A cura di Associazione Dislivelli
In occasione della Festa del Solstizio, incontro nazionale voluto dall’associazione Dislivelli, dall’Unione Montana Valle Maira (Cn) e da Espaci Occitan per affermare l’orgoglio del turismo dolce sulle Alpi, tenutasi dal 22 al 24 giugno 2018 nell’accogliente piana di Acceglio, è stato lanciato un documento politico dal titolo “ Manifesto del Turismo Dolce”.
La partecipata tre giorni in Valle Maira è trascorsa tra momenti di raffinata riflessione politica, molte esperienze di montagna vissuta dalle Alpi all’Appennino, escursioni con le guide alpine e naturalistiche, una meditazione alle sorgenti del Maira, un incontro letterario tra il bosco e l’alta montagna e due spettacoli di musica “alpina” trasformata in musica contemporanea.
Come hanno spiegato il politologo Marco Revelli e l’architetto Antonio De Rossi, tra i testimoni della festa, il futuro dell’Italia si gioca sul riscatto delle aree interne (montagne, colline e borghi dimenticati), dove si annidano le forze più vive, innovative e propositive del Paese. Il turismo dolce è una chiave fondamentale per rilanciare l’economia dei territori, rinnovando la tradizione e salvaguardando la bellezza.
Ad Acceglio si è parlato di molte cose, e quasi tutte convergono su una riflessione: la vocazione dell’Italia non è certamente affidata ai vecchi riti di partito e alle stanche logiche del potere, ma emerge dalle sperimentazioni affidate ai margini, nei luoghi in cui si stanno costruendo embrioni di comunità perdute, scampoli di cooperazione interculturale e intergenerazionale, sogni di economie e socialità sostenibili.
Alla crisi del “centro” corrisponde un sussulto vitale delle “periferie”, attraverso progetti e iniziative che non arrivano alle copertine dei giornali e non rientrano nei programmi elettorali, ma che silenziosamente, talvolta eroicamente, stanno ricostruendo il tessuto di quell’Italia “minore” che gli stranieri ci invidiano ma che sembra sfuggire alla cultura urbanocentrica dell’Italia “maggiore”, intrappolata in visioni assai più provinciali di quanto talvolta si va immaginando nelle vecchie province, tra colline e montagne.
Con un paragone un po’ ardito, accade ciò che è successo per la cultura del cibo: pareva inevitabilmente sottomessa alla logica della grande produzione e invece, grazie alla spinta di illuminati riformatori, ha “inventato” l’agricoltura pulita e il cibo di qualità, agganciando una tradizione antica e rinnovandola, raccontandola, ridandole senso, economia e speranza.
Per il turismo sta avvenendo quasi esattamente la stessa trasformazione, anche se sembra che la grande industria turistica, come la grande produzione alimentare, non consenta alternative. Invece il turismo sta cambiando nella testa delle persone. È già cambiato. I partecipanti alla festa del Solstizio hanno condiviso e firmato il Manifesto del Turismo Dolce, diventata una piattaforma di buone pratiche per i frequentatori della montagna, gli operatori del turismo, gli amministratori e, speriamo, i politici di varia provenienza.
«Se la parola “futuro” ha un senso, se siamo disposti a imparare dagli errori del passato, se vogliamo consegnare la biodiversità delle alte terre alle nuove generazioni, dobbiamo ammettere che il turismo alpino è a un bivio. Si tratta di decidere se puntare su un modello realmente sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico, oppure sperare ancora nel miracolo dei motori, dei grandi impianti e delle pesanti infrastrutture che consumano le bellezze e i silenzi della montagna, lasciandoci più poveri. La scommessa del turismo dolce s’incrocia con la sfida sociale ed economica delle aree interne e della cosiddetta “Italia minore”. Si tratta di un tema di grande urgenza e attualità, sul quale si gioca il futuro dell’Italia e dell’Europa e nel quale il ruolo pilota delle Alpi può giocare una partita fondamentale, a livello nazionale e internazionale. Il turismo dolce è diverso dal turismo di massa perché è profondamente inserito nella realtà del territorio e nella vita delle comunità. Riguarda le attività produttive e culturali, dalla caseificazione di pregio alle coltivazioni biologiche, dalla divulgazione naturalistica alla promozione escursionistica. Il turismo dolce è capace di adattarsi alla domanda modulando l’offerta in base al luogo, al tempo e alla congiuntura climatica, coprendo anche le mezze stagioni . È un turismo morbido che non danneggia l’ambiente ma lo valorizza, non urla ma dialoga, e cresce lentamente con la possibilità di fermarsi, correggere e ripartire su nuovi sentieri. Utilizza e valorizza gli unici beni di cui l’Italia è incredibilmente ricca senza rendersene conto – la natura, la cultura, l’arte e la bellezza – e si sposa con l’agricoltura di qualità. Turismo dolce e produzione pulita, in due parole sweet and slow, sono l’unico futuro credibile per le Alpi e per le aree interne del nostro Paese».