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Il Matteotti dileggiato

Gramsci e Matteotti

Gramsci e Matteotti

di Mariano Fresta 

Introduzione

Alcuni mesi fa, in una puntata del programma “Otto e mezzo”, curato dalla giornalista Lilli Gruber per l’emittente televisiva La7, si parlava di antifascismo; durante il dibattito fu ricordata la figura di Giacomo Matteotti su cui si soffermò uno dei partecipanti, Luca Josi, che chiuse il suo intervento con una battuta velenosa e sprezzante nei confronti di Gramsci e Togliatti, rei a suo dire, di aver avuto parole “vergognose” nei confronti di un eroe ammazzato dai fascisti. Nessuno replicò alla sua uscita, sia perché la trasmissione era in chiusura, sia perché i presenti non ebbero la prontezza di rispondere. D’altra parte, ad un’accusa del genere non si può rispondere con un’altra battuta, perché, eventualmente, occorre considerare cosa è stato veramente detto o scritto e contestualizzare il tutto nel momento storico in cui vengono formulati certi discorsi. Soprattutto, se non si è storici di professione oppure non si ha una solida cultura storica è difficile rispondere immediatamente ad una frase così apodittica e lanciata con l’aria assertiva di chi ne sa più degli altri.

Il sette giugno scorso, sempre durante un’altra puntata di “Otto e mezzo”, il signor Josi, interrogato ad apertura del dibattito dalla Gruber sull’imminente centenario dell’assassinio di Matteotti, accusò ancora una volta Gramsci di aver ironizzato vergognosamente sulla morte del deputato socialista. A lui cercò di rispondere l’onorevole Bersani mettendo sullo stesso piano l’omicidio di Matteotti e il carcere subito da Gramsci: come dire che la vertenza si poteva chiudere in pareggio, quasi fosse una partita di pallone.

Non ho letto quasi nulla di Togliatti, conosco, però, quel tanto di Gramsci da poter dire che non mi risultava lì per lì che egli avesse detto qualcosa di offensivo nei confronti di Matteotti; ma si sa, l’ignoranza non ha limiti e quindi era possibile e naturale che qualcosa mi fosse sfuggito. Per alcune settimane la questione mi è rimasta in testa fino a quando la curiosità di sapere come sono veramente andate le cose ha vinto. Ed ecco qui i risultati delle mie indagini; ma prima di renderne conto, posso anticipare che, per quanto riguarda l’attribuzione a Gramsci di parole “vergognose” rivolte a Matteotti l’episodio non è altro, avremmo detto qualche decennio fa, che una leggenda metropolitana, nata, molto probabilmente, in ambiente socialista, non quello dei tempi di Nenni e Lombardi, ma quello più spaccone e meno romantico dell’epoca di Craxi, e ampiamente diffusa negli ultimi decenni da persone poco informate che ripetono con superficialità notizie strumentalmente costruite e ritenute verità incontrovertibili. 

Seguendo la trasmissione non riuscivo a capire chi fosse Josi: la scritta sul monitor diceva “giornalista e imprenditore”, ma i suoi interventi (non era la prima volta che lo vedevo) mi erano sempre apparsi ben lontani da quelli che potenzialmente possano esprimere un imprenditore e un giornalista avvertiti. Per documentarmi ho fatto ricerche su Internet in cui si trovano sue interviste e molte notizie sulla sua attività di imprenditore. In gioventù è stato segretario nazionale della Federazione giovanile socialista; in un’intervista si mostra fiero di essere stato a fianco di Craxi quando questi, uscendo dall’hotel Raphael di Roma, fu oggetto di insulti e di lancio di monetine [1]. L’attività politica gli ha dato la possibilità di scrivere sulla stampa di partito e su quella fiancheggiatrice, e così è diventato giornalista; poi si è dedicato all’organizzazione di attività pubblicitarie fortunate e di spettacoli di natura “nazional-popolare” (nell’accezione “Pippo-Baudiana”), vincendo ben cinque “Telegatti”, premio istituito dal settimanale Sorrisi e canzoni. Ultimamente ha lavorato per la Tim, di cui ha curato la promozione commerciale mediante la sponsorizzazione del festival di Sanremo. Queste attività, se da un lato gli hanno consentito di approdare come opinionista alla trasmissione della Gruber, dall’altro probabilmente non gli hanno concesso il tempo per documentarsi su Gramsci: per questo è costretto a riportare giudizi formulati da altri, senza prima averli verificati e, purtroppo, con superficiale supponenza.

Questa diceria, infatti, su Gramsci, e poi estesa anche su Togliatti, circola da un po’ di tempo; malgrado le mie ricerche non sono riuscito, tuttavia, ad individuarne l’autore; essa comunque fa parte di quel bagaglio polemico che i socialisti usano quando contrastano con i comunisti, anche se di partiti comunisti, come attualmente, non c’è nemmeno l’ombra. L’insistenza con cui i pochi socialisti rimasti continuano ad usarla ha fatto sì che di essa, come vedremo, si sono appropriate oltre alle persone di orientamento riformista e liberale anche quelle di ispirazione fascista.

Le polemiche e i contrasti tra socialisti e comunisti risalgono già ai primi decenni del secolo scorso, quando le accuse reciproche, tra riformisti e bolscevichi, tra gradualisti e massimalisti erano piuttosto violente, ma a mio parere l’uso di darsi battaglia, utilizzando come bandiere di partito le icone di due grandi figure come quelle di Matteotti e Gramsci, è nato nella seconda metà del Novecento, nel momento storico in cui il PCI era sul punto di sopravanzare la Democrazia Cristiana e il PSI si rivestiva di panni capitalistici e decisionistici con la leadership di Bettino Craxi. Nello stesso arco di tempo veniva ristampato un articolo apparso anonimo già sul numero di agosto del 1924 di «Stato operaio», rimasto semisconosciuto per decenni e successivamente attribuito, con certezza, ad Antonio Gramsci [2]. Ed è proprio in questo articolo che si trova l’espressione con cui, secondo i socialisti, Gramsci avrebbe dileggiato il martire riformista; lo vedremo fra poco.

covermuoio-per-teIn occasione del centenario dalla morte di Matteotti, le pubblicazioni di libri, di articoli su giornali e riviste, sono state innumerevoli, aggiungendosi a quelle degli ultimi decenni, altrettanto numerose. La sua vicenda politica, la sua difesa ad oltranza dei braccianti del Polesine e dei lavoratori in genere, le sue battaglie di avvocato in difesa della legalità, in ultimo la sua tragica fine lo hanno fatto diventare un eroe e un martire della libertà e della giustizia sociale, tanto che in Italia sono molte le piazze e le vie a lui intitolate. Naturale, quindi, che su di lui, oltre alla popolarità acquisita presso le classi lavoratrici, che in sua memoria hanno composto un canto piuttosto conosciuto nei decenni passati [3], si moltiplichino pubblicazioni di carattere storico, politico e perfino letterario. Ma ho anche l’impressione che molti testi siano stati scritti con l’intento di esaltarne la figura e la vicenda politica con lo scopo di adottarle come emblemi del proprio partito e della propria posizione ideologica e politica e per controbattere la supremazia politica del Partito comunista (oppure per scongiurarne il ritorno), mediante l’apologia di un eroe senza macchia e senza paura [4].

Vista l’abbondanza di libri e di articoli sul tema, citerò soltanto quei pochi che mi sembrano meritevoli; tra l’altro una breve ricerca su Internet offre sulla vita di Matteotti un’ampia panoramica degli studi che ripetono spesso le stesse notizie, compresa la presunta calunnia gramsciana, di cui però non riportano nessuna documentazione.

876b0296ad75442897920b5645fd1bd1Tra i biografi recenti di Matteotti non poteva mancare il socialista Riccardo Nencini, ex Presidente del Consiglio regionale Toscano, nonché senatore della Repubblica e faro odierno di quel che resta dell’antico PSI; tuttavia, egli ha preferito scriverne non in un saggio storico, bensì in un romanzo che ha come protagonista assoluto il deputato inviso a Mussolini [5]. Il che gli permette di costruire attorno al personaggio, di per sé illustre e carismatico, un’aura di eroismo e di epos, non mancando di ricordare il disprezzo che i comunisti hanno mostrato nei suoi confronti.

Lo storico Gianpaolo Romanato [6], invece, pur manifestando solidarietà al deputato socialista per il suo coraggioso antifascismo, non condanna il giudizio di Gramsci, perché ne capisce le ragioni, spiegando che per il politico comunista lo scopo principale non era quello di denunciare le violenze fasciste e di difendere in Parlamento e nei tribunali le classi lavoratrici, bensì quello di teorizzare un progetto politico e organizzare un movimento rivoluzionario di massa per abbattere il sistema capitalistico e con esso il regime fascista, sua emanazione diretta. Per la qualcosa, l’attività politica di Matteotti nel giudizio di Gramsci appariva alquanto debole e velleitaria rispetto alla complessità dei problemi che il movimento operaio doveva affrontare in quel momento storico.

Tra tutti i politici di ispirazione riformista che si sono occupati della vicenda, Federico Fornaro è quello che ha tratteggiato con maggiore equilibrio i rapporti tra Gramsci e Togliatti da una parte e Matteotti dall’altra: ha riportato il giudizio gramsciano, ne ha saputo riconoscere le motivazioni, così come Romanato, ma si è schierato dalla parte del deputato socialista e mantenuto con forza le sue posizioni ideologiche e politiche [7].

61pd7ljzsbl-_ac_uf10001000_ql80_Ma Romanato e Fornaro sono due eccezioni: gli altri biografi, autori di libri o di articoli giornalistici, ripetono con superficiale sicumera che Gramsci ha espresso un giudizio oltraggioso nei confronti di Matteotti. Probabilmente si sono serviti non di documenti originali ma di informazioni di seconda e terza mano; si può anche sospettare, cosa più triste, che pur avendo letto i documenti o non li hanno capiti, oppure hanno ripreso da essi, estrapolando dal paragrafo d’apertura dell’articolo gramsciano, le sole tre parole su cui si fonda il pettegolezzo, per motivi che non hanno niente a che fare con la verità storica. Ne è esempio il libro di Antonio Funiciello [8] che, dopo aver scritto che per Matteotti l’antifascismo era “legalitario” e che in lui era sommo il culto della libertà, alla fine si accoda ai giudizi dei socialisti e dei riformisti di ogni specie perché ripete pedissequamente che i comunisti lo considerano un personaggio da dileggiare, «con espressioni che dopo la morte diventano oscene». Eppure, per lui sarebbe stato facile documentarsi meglio e forse anche doveroso, non solo perché provava a fare lo storico, ma perché è stato consulente politico di Veltroni e dell’on. Zanda, oltre che consulente economico del Partito Democratico, come si può leggere nella terza di copertina del suo libro.                                    

A conclusione di questa breve rassegna mi sembra opportuno citare anche un autore, Alessandro Giuli [9], di orientamento evoliano, non per l’importanza della sua opera ma perché le sue idee rappresentano bene il tentativo in corso da parte della Destra di sostituire la propria ideologia alla presunta egemonia culturale della Sinistra. Ha scritto un pamphlet dal titolo Gramsci è vivo, riprendendo, strumentalmente, il titolo con cui il giornale di Giustizia e Libertà annunciava la morte del pensatore sardo e in cui dichiara la necessità che l’attuale destra al governo, che è, secondo lui, «antifascista nei fatti e quindi rispettosa della cornice costituzionale in cui vive», riprenda il concetto di «cultura del confronto politico» che fu di Gramsci, anche se le sue «categorie di cultura sono superate» (sic). In un’intervista all’ANSA, alla domanda del giornalista «È vivo anche Matteotti?», così risponde: «Matteotti è anche più attuale di Gramsci. Oggi è nel riformismo gradualista di Matteotti e nel rispetto delle libertà costituzionali che bisogna trovare un modello. Non a caso Gramsci considerava Matteotti un nemico di classe del comunismo. E lo aveva bollato come il “pellegrino del nulla”» [10].

9788817186636_0_536_0_75E così, finalmente, è venuta fuori l’espressione (pellegrino del nulla) che a molti, presa nella sua nudità, sembra oltraggiosa. Fino ad ora l’avevo tenuta nascosta e ne avevo parlato come di un giudizio falsato, usato solo polemicamente; adesso mi è sembrato che questo sia il momento di far vedere come la rinuncia ad ogni tentativo di cambiare il sistema sociale e la difesa ad oltranza del gradualismo possano fornire agli avversari di classe e ai loro sostenitori concetti e parole che, per la loro ambigua formulazione, permettono l’elaborazione di mistificanti teorie. Il fatto che i fascisti si approprino delle parole dei riformisti dovrebbe farci riflettere molto su come vanno e su come possono andare le vicende politiche se gli eventi storici sono manipolati o raccontati secondo il proprio particulare. Così si dà modo che di un’espressione polemica, estrapolata dal suo contesto e dal clima drammatico del momento in cui fu formulata, e usata per dar forza al proprio pensiero riformista, si approprino addirittura gli eredi di coloro che furono i mandanti e gli esecutori dell’assassinio di Matteotti. I quali, senza arrossire, evocano oggi una società in cui prevalga il riformismo gradualista e il rispetto delle libertà istituzionali, mentre in Parlamento si adoprano a smantellare la Costituzione del 1948. E così Matteotti con il suo pragmatismo e la sua avversione a progetti rivoluzionari può diventare il simbolo di una visione del mondo in cui Gramsci fa la figura di chi agisce per fondare un sistema politico illiberale e totalitario. Il che può essere verisimile se si inquadra l’articolo apparso su «Stato operaio», scritto nel clima della Terza Internazionale, ma certamente non ascrivibile più al Gramsci dei Quaderni; cosa di cui nessuno tiene conto, limitandosi a raccogliere la diceria senza chiedersi il perché della sua origine, senza indagare sul perché Gramsci usi quella metafora e fingendo, comunque, che il pensiero del filosofo sia rimasto per sempre immutato.

Chi era Giacomo Matteotti                                                           

«Possidente terriero illuminista»: la biografia che di Giacomo Matteotti traccia l’A.N.P.I. [11] comincia con questo ritratto, che nella sua sintetica formulazione ci dice molto della personalità del deputato socialista. Apparteneva, infatti, ad una famiglia di possidenti terrieri del Polesine, ma il suo razionalismo e il suo senso etico, ambedue di ispirazione illuministica, lo portarono a prendere le difese dei braccianti del basso Veneto e della Romagna, a diventare organizzatore di leghe di braccianti e mezzadri, a dirigere sindacati e infine a svolgere il ruolo di deputato socialista. Delle discussioni su come mettere in pratica il pensiero socialista ed eventualmente riformare radicalmente alcune funzioni dello Stato si occupò poco, fu invece molto pragmatico e assai propenso ad affrontare le questioni del lavoro più come avvocato che come guida politica di un partito. Quindi si tratta di una personalità poco interessata ad approfondimenti filosofici e rielaborazioni teoriche, fondamentalmente diversa da quella di Gramsci.

f137f76cover38930Sono gli stessi suoi biografi, come Funiciello, che scrivono che nella sua attività politica vede solo «la lotta per il rispetto della legalità formale», ma è soprattutto lui stesso ad esplicitarlo nella risposta ad una lettera di Togliatti del gennaio del 1924. Questi gli aveva scritto, per conto del PCd’I, per invitare il Psu a partecipare alla costituzione di un blocco popolare contro il fascismo. L’invito alla partecipazione prevedeva, tuttavia, tre pregiudiziali formulate in modo inaccettabile perché unilaterali e assiomatiche; fu quindi molto facile all’avvocato Matteotti respingerle pienamente. Soprattutto per lui era irricevibile la terza condizione la quale prevedeva che, sconfitto il fascismo,  non si sarebbe più potuto tornare al sistema statutario albertino. Il rovesciamento dello status quo era per lui del tutto inconcepibile [12].

Questa sua posizione era coerente con quella assunta durante il suo intervento alla Camera del 31 gennaio 1921, quando, nel denunciare le continue violenze fasciste nei confronti di operai e contadini, invocò «le classi dirigenti borghesi» a porre fine alla loro «piccola controrivoluzione, che prepara la guerra civile». Non riusciva a vedere che le squadre fasciste erano la mano armata proprio delle classi borghesi alle quali chiedeva il rispetto della legalità. Tale posizione coincideva con quella assunta dal Partito socialista che aveva dichiarato di non voler reagire alle violenze fasciste e di rispondere alle provocazioni. Questo atteggiamento fu da Piero Gobetti giudicato tipico delle classi piccolo borghesi.

Il suo ultimo discorso alla Camera del 30 maggio 1924 fu svolto in un clima quanto mai confuso e drammatico, con lui che insisteva nel denunciare le violenze perpetrate dai fascisti nei seggi elettorali e i deputati mussoliniani che cercavano di impedirgli di parlare interrompendolo e minacciandolo continuamente. La sua efficacia oratoria, la documentazione precisa dei reati commessi impunemente dai fascisti, il coraggio con cui affrontò quel clima intimidatorio dovettero convincere Mussolini della pericolosità di un avversario politico deciso e difficile da combattere con una retorica che nascondeva dietro frasi vuote ed ampollose i crimini commessi e il disegno di un regime illiberale e tirannico. Ma probabilmente fu il prevedere che Matteotti non si sarebbe fermato lì e che nella seduta successiva del 10 giugno avrebbe svelato i retroscena di una corruzione che interessava la compagnia petrolifera Sinclair Oil (collegata alla Standard Oil di Rockefeller), il partito fascista e il fratello di Mussolini, Arnaldo. La documentazione in merito sarebbe stata puntuale, com’era nello stile e nella prassi di Matteotti. Era dunque necessario eliminare l’uomo [13]. 

9791280456243_0_424_0_75Il “pellegrino del nulla” 

Qualche settimana dopo il ritrovamento del cadavere di Matteotti, apparve l’articolo, più sopra citato, di Gramsci su «Stato operaio». A rileggerlo senza pregiudizi, l’unico neo che vi si riscontra è l’uso, ad apertura del testo, retorico e forse non necessario, di una citazione che riguardava un episodio avvenuto in una riunione del Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista di qualche tempo prima, durante la quale la frase incriminata era stata usata nei confronti di un militante di sinistra fucilato dall’esercito francese. Probabilmente Gramsci rifacendosi a quell’episodio voleva significare che le sue parole non esprimevano un giudizio personale, bensì erano frutto di una valutazione politica più vasta, elaborata in seno all’Internazionale, secondo la quale una persona come Matteotti era il simbolo di chi pensava di sconfiggere il fascismo per mezzo soltanto della difesa della legalità violata. Ecco cosa scrive Gramsci, nelle sue considerazioni su Il destino di Matteotti, a proposito dell’azione politica del deputato socialista:

«Poneva le premesse di una rivoluzione, e non creava un movimento rivoluzionario. Scuoteva le basi di uno Stato, e credeva di poter eludere il problema della creazione di uno Stato nuovo. Scatenava la ribellione, e non sapeva guidarla alla vittoria. Parlava da un desiderio generoso di redenzione totale, e si esauriva miseramente nel nulla di una azione senza vie di uscita, di una politica senza prospettiva, di una rivolta condannata, passato il primo istante di stupore e di smarrimento degli avversari, a essere soffocata nel sangue e nel terrore della riscossa reazionaria».

Si tratta di un giudizio molto severo, d’altra parte la posta in gioco, diversamente da come la vedeva Matteotti, per Gramsci non era la conquista della maggioranza dei seggi parlamentari con la quale ristabilire l’ordinamento statutario, ma una rivoluzione proletaria come quella avvenuta in Russia qualche anno prima. Col senno di poi, sappiamo che il progetto di Gramsci e compagni era per quel momento velleitario e soprattutto conteneva importanti nodi teorici non risolti che interessavano il rapporto tra collettività ed individuo, tra giustizia sociale e libertà. Dobbiamo, quindi, giudicare le parole di Gramsci non come un atto di disprezzo nei confronti di Matteotti, verso il quale invece mostra grande rispetto, ma come condanna di una politica dettata, secondo lui, da una visione ristretta e rinunciataria. Nel suo lungo articolo Gramsci ripete più volte le motivazioni politiche che lo allontanano da quelle di Matteotti, quasi a giustificare a sé stesso e agli altri la profondità delle motivazioni che gli hanno suggerito quel giudizio assai severo, che non è affatto personale. Per lui, infatti, era

«necessaria una organizzazione nella quale prende carne e figura una volontà chiara di lotta, di applicazione di tutti i mezzi che dalla lotta sono richiesti, senza i quali nessuna vittoria totale mai ci sarà data. Una organizzazione che sia rivoluzionaria non solo nelle parole e nelle aspirazioni generiche, ma nella struttura sua, nel suo modo di lavorare, nei suoi fini immediati e lontani».

Nonostante queste differenze ideologiche e politiche, tra le righe dell’articolo gramsciano si sentono sempre il rammarico, l’amarezza ed anche il dolore di non averlo avuto come compagno di lotta, di aver perso un combattente generoso. E soprattutto si avverte il profondo dispiacere per il fatto che Matteotti, per la sua visione politica, abbia sacrificato la vita «senza risultato e senza via di uscita».

Se la condanna della visione politica del deputato socialista è netta e decisa, non possiamo, tuttavia, far finta che nei confronti dell’uomo, del generoso e coraggioso combattente contro le ingiustizie sociali e contro le violente violazioni della legalità da parte dei fascisti, Gramsci abbia avuto soltanto parole di rimprovero e di disprezzo; nell’articolo accanto al giudizio politico negativo c’è sempre l’ammirazione per la persona, alla quale riconosce il grande merito di essere stato tra i pionieri del movimento dei lavoratori, di aver dato vita, tra i primi, al risveglio contadino e dei lavoratori in genere. Si augura, infine, che «i semi gettati da chi ha lavorato per il risveglio della classe lavoratrice» non vadano perduti.

dxNon mi sembrano parole di dileggio o addirittura frasi oscene che offendono chi ha perso la vita per un ideale. D’altra parte, Gramsci non poteva usare altre espressioni meno severe, erano tempi molto duri quelli; il conflitto epocale tra capitale e lavoro era in Italia alle sue prime manifestazioni, le classi al potere non sapevano come difendersi, se non con i cannoni di Bava Beccaris prima e con la violenza delle squadre fasciste poi, dagli attacchi delle classi proletarie, mentre queste ultime, dovendo inventarsi nuove strategie e tattiche di lotta, ondeggiavano tra riformismo empirico e massimalismo velleitario. Ed è in questa temperie politica e culturale che vanno collocati l’articolo e la frase incriminata di Gramsci; il quale, cosa che non riesce ad altri, dalla tragica vicenda di Matteotti trae «un valore non più “personale”, ma di indicazione generale e di simbolo». Ma per capire ciò occorre guardare un po’ più in là della punta delle proprie scarpe, saper immaginare un sistema sociale molto diverso, forse opposto rispetto a quello dentro il quale si vive.

E per chi, infine, avesse voluto evitare di parlare di dileggio, di oltraggio e di parole vergognose nei confronti del martire socialista, sarebbe bastato andare a rileggersi gli articoli di stampa di Gramsci raccolti nel volume La costruzione del Partito Comunista, 1923-1926 (Einaudi, Torino 1971) e dell’antologia relativa agli articoli apparsi nel periodo del delitto Matteotti a cura di Sergio Caprioglio [14]; in essi è molto chiara la posizione di Gramsci, il quale, pur non ammorbidendo i toni della sua posizione politica, interviene più volte sui giornali di Partito denunciando il delitto, indicando in Mussolini, prima che questi lo ammettesse, il mandante del sequestro e dell’uccisione del deputato socialista.

Invece di addebitare ad altri l’uso di parole oltraggiose sarebbe meglio badare alla precisione del proprio linguaggio e di documentarsi bene prima di lanciare giudizi sommari, questi sì veramente oltraggiosi nei confronti delle persone e della Storia. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
Note
[1] Si veda https://www.lamescolanza.com/2023/12/31/luca-josi-un-craxiano-tutto-dun-pezzo/, sito visitato il 7 giugno 2024.
[2]  Il destino di Matteotti, ora in A. Gramsci, Sul fascismo, Ed Riuniti, Roma 1978: 242-246.
[3] Il canto è stato pubblicato in F. Castelli – E. Jona – A. Lovatto, Senti le rane che cantano, Donzelli Ed., 2005. La prima quartina dice così: Povero Matteotti / te l’hanno fatta brutta; / i vili assassini / la vita t’han distrutta.
[4] Tra i primi a tracciare il profilo di Matteotti fu Piero Gobetti (P.G., Matteotti, Torino 1924), che individuò le origini del suo pensiero politico in una cultura piccolo borghese, cosa che non è mai piaciuta ai socialisti.
[5] Di Riccardo Nencini si veda Solo, Mondadori, Milano 2021; nel 2024 ha pubblicato un altro libro in cui si parla delle compagne di Matteotti, Gramsci e Turati (Muoio per te, Mondadori, Milano).
[6] Gianpaolo Romanato, Un italiano diverso, Bompiani, Milano 2024: 248-249.
[7] F. Fornaro, Giacomo Matteotti. L’Italia migliore, Bollati Boringhieri, Torino 2024. Fornaro proviene dalle file socialdemocratiche e attualmente è deputato eletto nelle liste del PD; è inoltre autore di diversi saggi storici su alcuni momenti della storia italiana del Novecento.
[8] Antonio Funiciello, Tempesta. La vita (e non la morte) di Giacomo Matteotti, Rizzoli, Milano 2024.
[9] Giornalista, spesso presente anche lui nel programma della Gruber, da poco è stato nominato dall’attuale governo Presidente della Fondazione del MAXXI di Roma.
[10] Il pamphlet di Alessandro Giuli è edito da Rizzoli, Milano 2024; ma qui mi è stato sufficiente servirmi dell’intervista rilasciata all’Ansa e che era ancora reperibile il 20 giugno scorso sul seguente indirizzo: https://www.ansa.it/amp/sito/notizie/cultura/libri/2024/05/30/giuli-matteotti-come-tobagi. Nella stessa intervista Giuli accosta a quella di Matteotti la figura di Tobagi, riformista e socialista anche lui, ucciso però da una “banda di comunisti” (in questo modo sembra a Giuli di poter applicare la norma della par condicio).
[11] Si leggeva in rete il 20 giugno scorso in: https://www.anpi.it/biografia/giacomo-matteotti.
[12] Sullo questo scambio epistolare si veda il sito: http://www.fondazionestudistoriciturati.it/wpcontent/uploads/2015/09/Matteotti90.
[13] Della vicenda del 1924 conosciuta come “scandalo dei petroli”, si è occupato Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna, 1997: 287 e ss.. Non c’è documentazione sull’ipotesi del reato di corruzione, ma è convinzione comune che essa non sia infondata.
[14] S. Caprioglio, Gramsci e il delitto Matteotti con cinque articoli adespoti, in «Belfagor», 3 maggio 1987, vol. 42, n. 2, Olschki, Firenze: 249-267.

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Mariano Fresta, già docente di Italiano e Latino presso i Licei, ha collaborato con Pietro Clemente, presso la Cattedra di Tradizioni popolari a Siena. Si è occupato di teatro popolare tradizionale in Toscana, di espressività popolare, di alimentazione, di allestimenti museali, di feste religiose, di storia degli studi folklorici, nonché di letteratura italiana (I Detti piacevoli del Poliziano, Giovanni Pascoli e il mondo contadinoLo stile narrativo nel Pinocchio del Collodi). Ha pubblicato sulle riviste Lares, La Ricerca Folklorica, Antropologia Museale, Archivio di Etnografia, Archivio Antropologico Mediterraneo. Ultimamente si è occupato di identità culturale, della tutela e la salvaguardia dei paesaggi (L’invenzione di un paesaggio tipico toscano, in Lares) e dei beni immateriali. Fa parte della redazione di Lares. Ha curato diversi volumi partecipandovi anche come autore: Vecchie segate ed alberi di maggio, 1983; Il “cantar maggio” delle contrade di Siena, 2000; La Val d’Orcia di Iris, 2003.  Ha scritto anche sui paesi abbandonati e su altri temi antropologici. É stato edito nel 2023 dal Museo Pasqualino il volume, Incursioni antropologiche. Paesi, teatro popolare, beni culturali, modernità.

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