di Salvo Cristaudo e Andrea di Napoli [*]
Lungo i litorali delle regioni che si affacciano sul Mare Mediterraneo, la natura ha creato le condizioni ideali per estrarre il sale contenuto nell’acqua del mare, ricorrendo ad un procedimento antichissimo.
In Sicilia, nelle saline della Riserva Naturale Orientata di Trapani e Paceco [1], il lavoro di raccolta del sale marino è avvenuto ininterrottamente sino ai nostri giorni nel rispetto della tradizione e di tutti gli elementi del complesso ecosistema che compone l’ambiente naturale [2].
A tutti coloro che osservano la zona, come addetti ai lavori, come visitatori interessati o come semplici curiosi, appare una straordinaria magia cromatica che deriva dalla caratteristica colorazione che le vasche assumono. Il blu cobalto domina in quelle più grandi, in quelle intermedie compare distintamente il rosso, in seguito, nelle vasche più piccole, dove il sale si “cristallizza”, riconosciamo il comune condimento dal colore bianco che riflette sotto il sole siciliano; al termine il prodotto viene ammonticchiato dai salinari lungo gli argini per completare l’essiccazione.
I lavoratori non svolgono una attività di tipo folkloristico, ma la loro fatica ricopre un ruolo autentico nella difficile economia del territorio [3]. Solo coloro che non conoscono questa tecnica potranno ancora dire con superficialità che il sale è bianco anche prima di finire sulle nostre tavole.
Furono probabilmente i Fenici i primi a praticare l’estrazione del sale marino attraverso una serie di vasche di decantazione e a comprendere la importanza di questo prodotto alimentare come una consistente risorsa economi- ca. Fin dall’antichità l’unico modo di conservare gli alimenti consisteva nel cospargerli di sale e proprio le saline alimentavano tutte le attività legate alla salagione del pesce azzurro, un alimento essenziale della semplice industria conserviera.
Le acciughe e le sarde salate nei barili prima e, successivamente, nelle caratte- ristiche “lanne” (scatolette metalliche chiuse ermeticamente) costituiscono infatti un prodotto tipico della parte occidentale della Sicilia esportato in tutto il mondo.
Per tante ragioni il sale rappresentava un bene prezioso, perfino la paga dei legionari romani avveniva in modesti quantitativi di sale e si chiamava, appunto, salario. Il prezioso condimento, insomma, veniva utilizzato come moneta corrente. Fino a pochi decenni addietro in Italia sul commercio del sale gravava un’imposta dei Monopoli di Stato dalla quale era esentata solo la Regione siciliana.
Di conseguenza accadeva frequentemente che, a bordo del famoso ferry boat, all’interno del bagaglio dei viaggiatori provenienti dall’isola e diretti nelle regioni appartenenti al cosiddetto “continente”, venissero illecitamente nascosti i preziosi pacchetti di sale destinati ad amici e parenti. In quantitativi modesti o massicci il trasporto clandestino di sale costituiva, comunque, una diffusa forma di contrabbando che alimentava gli affari sia della criminalità organizzata che dei piccoli malavitosi locali.
Considerato tutto questo, si spiega perché, nel linguaggio comune, ricorre frequen- temente il termine “salato” inteso come sinonimo di costoso, caro. In un altro modo di dire si fa riferimento al buon senso di coloro che “hanno sale in zucca” e possiedono, quindi, una particolare saggezza.
Erodoto nella sua opera Le Storie, che risale al V sec. a.C. racconta delle famose “vie del sale” e delle collinette che, partendo da Tebe d’Egitto, distano circa dieci giorni di cammino l’una dall’altra e forniscono alle popolazioni circostanti sia l’acqua fresca che il sale per un processo di evaporazione caratteristico dei climi più secchi. Da questi luoghi le carovane provvedevano al trasporto del sale a dorso di cammello attraverso il deserto africano.
Nel tempo sono state sfruttate anche miniere di sale formatesi nei millenni, a seguito di sconvolgimenti geologici che hanno isolato il flusso delle acque. Località molto attraenti anche dal punto di vista turistico sono l’imponente altura salina di Realmonte, nell’Agrigentino, e il Mar Morto, l’enorme lago salato che si trova tra Israele e Giordania, ed occupa la più profonda depressione del nostro pianeta, ma anche gli chott tunisini, come quello grandissimo e coloratissimo di El Jerid, che si estende in una depressione tra le oasi di Tozeur e di Nefta da un lato e tra Kebili e Douz ai confini del Sahara dall’altro, su una superficie di oltre 5.000 km² (alcune fonti indicano 7.000 km): è il più esteso lago salato della regione.
Le differenti caratteristiche ambientali che coesistono nelle zone nelle quali viene raccolto il sale creano una straordinaria combinazione tra le località marine, quelle lacustri e la terraferma, che si rivela particolarmente adeguata ad ospitare numerose specie di uccelli migratori durante i lunghi spostamenti che compiono da una regione all’altra del vasto bacino del Mediterraneo. Spesso nidificano e si riproducono proprio in corrispondenza delle acque basse nelle Oasi del Wwf frequentate dagli esotici fenicotteri rosa.
La vegetazione deve essere particolarmente resistente alle difficili condizioni ambientali che sembrano favorire la crescita spontanea dell’aloe, una pianta dalle molteplici proprietà salutari. Le forti sensazioni suscitate da questo paesaggio estremamente suggestivo hanno persuaso il fotografo Salvo Cristaudo a realizzare il variopinto reportage I colori del sale attraverso cui viene accuratamente rappresentato il precario equilibrio di un complesso habitat naturale e l’impegno di coloro che svolgono ancora un’attività strettamente legata ad antiche tradizioni.
Recentemente ho riletto una favola raccolta da Italo Calvino nel primo volume delle Fiabe italiane. Le favole tramandano la saggezza popolare e i loro insegnamenti sono spesso comuni ad aree geografiche anche molto distanti tra loro. La fiaba dal titolo Bene come il sale racconta di un re che, avendo domandato alle tre figlie quanto gli volevano bene, dalla prima si sentì rispondere “Come il pane”, dalla seconda “Come il vino”, e dalla più piccola “Come il sale”.
Al re non piacque la terza risposta e cacciò la figliola e la dimenticò. Finché un giorno la regina fece servire a sua maestà un pranzo completamente insipido. A quel punto il re comprese il significato della risposta della figlia minore e, avendo capito il valore del sale, la riaccolse amorevolmente.
Dialoghi Mediterranei, n.20, luglio 2016
[*] S. Cristaudo è l’autore delle fotografie, A. di Napoli del testo
Note
[1] Percorrendo la strada costiera SP 21 in direzione di Marsala, la prima tappa della “via del sale” è Nubia, sede del Wwf che gestisce la Riserva Naturale delle Saline di Trapani e Paceco, dove in una casa salaria vecchia di 300 anni c’è un Museo del Sale. Vi sono illustrate le fasi della lavorazione del sale e conservati attrezzi utilizzati per l’estrazione e la raccolta: ingranaggi di mulini, pale, ruote dentate, spine, pignoni. I pannelli alle pareti e le foto dei salinari al lavoro illustrano il mondo delle saline e un mestiere, con i suoi tempi e i suoi riti, che si tramandava da padre in figlio.
[2] Il geografo arabo al-Idrisi documenta la presenza delle saline nel periodo normanno. Sotto Federico di Svevia fu istituito il monopolio di Stato sul sale, che si protrasse durante la dominazione angioina. Furono gli aragonesi a decidere il ritorno delle saline alla proprietù privata, ma sotto la corona spagnola la produzione del sale raggiunse il massimo, trasformando il porto di Trapani nel più importante centro europeo di commercio del prezioso elemento. Le saline si erano già estese fino alle isole dello Stagnone, nel Marsalese.
3) Il sale marino trapanese è oggi inserito nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali siciliani, riconosciuti dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, che nell’aprile 2011 ne ha anche riconosciuto la IGP (Indicazione geografica protetta) con la denominazione “Sale marino di Trapani”. Nel 2011 le saline di Trapani hanno ottenuto il riconoscimento di “Zona umida Ramsar” (Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale) con decreto del ministero dell’Ambiente.
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Salvo Cristaudo, nato a Catania ma ormai da moltissimi anni residente a Palermo dove ha lavorato nel settore informatico. Fotografo che ama il paesaggio e predilige il dettaglio, i colori e i contrasti, da sei anni è consigliere nazionale della U.I.F. (Unione Italiana Fotoamatori). Alcune delle immagini che accompagnano il testo di Di Napoli fanno parte di una mostra fotografica intitolata I Colori del Sale, esposta al castello di Lombardia di Enna, ad Alcamo e di recente c/o la Mondadori Megastore di Palermo.
Andrea di Napoli, palermitano di nascita, sin da giovanissimo coltiva l’interesse per la fotografia dalla fase di ripresa sino alla stampa in camera oscura e per qualche anno è stato titolare di uno studio fotografico con annessa sala da posa. Successivamente ha conseguito la qualifica di “Addetto alla conservazione dei beni fotografici” e ha effettuato brevi stage formativi (presso Alinari a Firenze e Panini a Modena). Esperto di Storia della Fotografia, ha condotto progetti didattici nell’ambito del F.S.E. nelle scuole. Da alcuni anni collabora con diverse testate scrivendo recensioni e articoli relativi non solamente al settore fotografico.
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La ringrazio per l’articolo molto interessante, ho notata la sua ricerca scientifica. Con stupore ho letta la sua biografia. Il mio apprezzamento alla sua persona e alle sue capacità intellettive è stato immediato ed ora ho conferma di non essermi sbagliata.
Complimenti al fotografo. Finalmente inquadrature diverse, ha superato foto da me viste scattate da un fotografo professionista. Il socio Montalbano non mi ha invitata all’inaugurazione della mostra perché sa che per arrivare alla Mondadori devo chiamare un taxi, ormai non posso posteggiare con facilità e non posso camminare a lungo.
Cordiali saluti giovanna lb