di Giovanni Pepi
Fotografando, si vedono cose non sempre chiare quando si guarda. Lo penso da sempre. Ne ho conferma, adesso, dovendo scegliere gli scatti su Africa, immigrati e Sicilia, per Dialoghi Mediterranei. I volti, le cose, i paesaggi, i contesti, che trovo fissati nelle immagini, non sempre somigliano alle cronache conosciute o alle realtà immaginate.
A Palermo, lungo via Maqueda, da via Divisi a via Giardinaccio, le intestazioni delle strade sono tradotte in arabo. Ospiti e residenti entrano in quei vicoli, li popolano, vi si trovano. A Ballarò, popolarissimo mercato, uomini e donne di colore e residenti si incrociano, sono venditori e compratori, frequentano bar e botteghe, si riuniscono, parlano, sorridono. Nelle borgate di mare come Sferracavallo a Palermo, nelle lunghissime spiagge di San Vito Lo Capo, posti che frequento abitualmente d’estate, ambulanti neri si muovono a loro agio tra i bagnanti, nascosti nelle architetture strane, coloratissime e vaganti formate dagli oggetti di mare che vendono .
Sono attesi, come ad un appuntamento fisso, una scadenza ordinaria. Si riconoscono e si incontrano, trattano il prezzo e scherzano, si è così a mercati “di nicchia”. Tutti li accettano per trovare a buon mercato, e a domicilio, occhiali e salvagenti, parei e cappelli.
Sempre a Palermo, nella zona della stazione, nelle strade del centro come da via Terrasanta fino a via Sciuti, ancora nelle bancarelle di via Bandiera, è normale vedere i capi indossati da manichini bianchi e neri. Vedo, guardando, che sempre più l’Africa è fra noi e noi accettiamo (quando non vogliamo) più Africa. Malgrado tutto.
Non sono uno storico ma so che la storia può spiegare molto al riguardo. Non sono un sociologo ma so che, nel rapporto con l’Africa, il contesto sociale può mostrare molte differenze tra Nord e Sud. C’è più dialogo, meno avversione (o razzismo ), più contiguità di modi e di sentire? Può darsi.
Del resto, basta guardare il sito della Prefettura, a Palermo, guidata da Antonella De Miro, per vedere quanto seguite siano certe iniziative di integrazione, dai corsi di formazione svolti dagli insegnanti al liceo scientifico Croce, al coinvolgimento degli immigrati nel restauro della chiesa dell’Origlione. Mario Sedia, vicedirettore della Caritas, mi conferma queste diversità che collega pure ad una sorta di “affinità di relazione”, più forte in Sicilia e nel Sud.
Fotografando, io sono attratto dalle analogie nelle nature e nelle forme. Di terra e di mare. Mi prendono le coincidenze di colori e di paesaggio che influenzano l’anima. Quando, tempo fa, ho viaggiato in Tunisia, ero continuamente impressionato della somiglianza di certi contesti con la Sicilia che avevo lasciato. C’era Sicilia in quelle spiagge dorate dove i pescatori posavano, alla rinfusa, le piccole lance. Scafi erano vivaci, con giallo e blu, rosso e verde in gioco fra loro, come da noi, nella spianata del porticciolo di Mondello.
E c’è Africa nelle costruzioni in bianco che vedo ogni anno a San Vito Lo Capo, con quelle geometrie lineari. Quel bianco che sa dialogare con l’azzurro del cielo, allo stesso modo della costruzione che a Tunisi vedevo, affascinato, irrompere nell’interno buio da cui guardavo. Somiglianza e contiguità. Non solo di bellezze ma pure di degrado, di modernità e abbandono.
Le luci sul mare fissate in una sera sciroccosa a Sousse, mi ricordano i paesaggi notturni della nostra Mondello. La folla di parabole sui tetti, in una periferia polverosa, mi ricordava le strade del nostro Zen. I manichini accatastati, in uno spazio spoglio, richiamavano la stessa ammucchiata di manichini che avevo fotografato nel porticciolo di Sant’Erasmo…
Questo vedo, guardando. E penso che affinità di terra, di mare, di colori, di paesaggio possono avvicinare Palermo meglio, e di più, al futuro cui nessuno può opporsi. Immigrazione c’è e ci sarà. Bloccarla è impossibile. Non sono tra gli oltranzisti dell’“Accoglienza”. Non amo rifugiarmi in una troppo frequente retorica della nostra storia come storia di “Convivenza”.
Siamo in Italia, il Paese che può rivendicare con orgoglio uno sforzo umanitario che non è stato finora, colpevolmente, eguagliato in Europa. Ma pesano certi errori a lungo commessi. Perché in materia di immigrazione, si sono detti i “si” che erano giusti ma non i “no” che erano necessari. Ora si delinea, confusamente, una svolta. I flussi migratori si sono ridotti. Nelle politiche di integrazione qualche positivo cambiamento si avverte.
Molto è avvenuto e avviene, a prezzo di diritti travolti, di sopraffazioni orrende negli spazi bui della Libia. C’è molto da fare per rimuovere la colpevole, talora indecente, indifferenza (quando non indolenza) dell’Europa. Ma il tempo nuovo vede questa Sicilia in un ruolo di primo piano. Perché, qui, proprio qui, molti vedono senza paura, giorno dopo giorno, che sempre più l’Africa è fra noi, e più Africa noi accettiamo (quando non vogliamo) fra noi. Malgrado tutto.
Dialoghi Mediterranei, n. 31, maggio 2018
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Giovanni Pepi, giornalista e scrittore, già condirettore del Giornale di Sicilia per 34 anni, tra i fondatori di Telegiornale di Sicilia, Radiogiornale di Sicilia e www.gds.it. Come fotografo ha esposto, tra l’altro, al Loggiato San Bartolomeo e all’Orto Botanico di Palermo, all’ex convento dei filippini ad Agrigento, alla Fiumara d’Arte di Castel di Tusa e al Vittoriano di Roma. Il parlamento siciliano gli ha dedicato una mostra antologica.
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