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Il museo vivente di comunità “A casa di Augusto” di Berceto

Berceto, A casa di Augusto

Berceto, A casa di Augusto

CIP

di Maria Molinari 

Come in molti paesi di Appennino, anche a Berceto non è raro incontrare case abbandonate nei boschi circostanti, ma è più raro invece trovarle dentro al paese. Qualche volta si ha notizia di una casa che è diventata un peso, non più una risorsa, per i proprietari che non la usano più perché, per esempio, sono emigrati altrove. Alcune proprietà immobiliari sono infatti divise tra una molteplicità di famigliari: molti sono partiti per l’estero decenni addietro, oppure altre sono rimaste indivise ma non più utili. È stato questo il caso della piccola casetta in pietra situata in centro paese, proprio a due passi dalla storica Via Francigena, costruita probabilmente sul finire del XIX secolo e oggi divenuta museo. Un compaesano ricorda così Augusto, l’ultima persona che ci ha vissuto:  

«Augusto e la moglie Pierina, con i figli Mauro e Marino – Marino poi è divenuto guardiacaccia e fu padre di Domenico, conosciuto in paese come «il Ghiro» – venivano da Sgonzola, podere in cui erano mezzadri, vicino a Pagazzano. Era l’estate del 1960. Lo ricordo perché era il giorno in cui passava da Berceto il giro d’Italia. Non ricordo se il loro carro era trainato dai buoi o dal trattore. Erano gente buona, Augusto sistemava anche le scarpe. Ogni due minuti bestemmiava. Nel mese di ottobre a casa mia si diceva il rosario e lui, dopo cena, veniva a prendere il latte e si fermava al rosario con noi. Erano entrati in quella casa lì da contadini, hanno continuato a fare i mezzadri, ma per comodità si sono poi avvicinati a Berceto». 

casa-di-augusto-coloreTra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento sono state molte le famiglie che dalle frazioni, o “ville”, circostanti si sono trasferite in paese. Negli anni in cui in centro erano ancora presenti molte persone e tanti servizi erano attivi, i contadini, ormai vicini alla pensione, preferivano vendere il podere, o parte di esso, per comprare o costruirsi casa all’interno del borgo in modo da essere vicini, per esempio, al medico. Anche Augusto, insieme alla sua famiglia, si era dunque trasferito in paese vivendo in questa casa fino al termine della sua vita.

È stato nel 2018 [1] che i discendenti di Augusto hanno donato la casa al comune di Berceto che ha deciso, quindi, di farne un luogo per la comunità. La casa di Augusto è composta di un pian terreno in cui è collocata una piccola stalla buia. Il pavimento in pietra della stalla (composto “a risseu”) lascia intravedere la terra. Si entra nella stalla chinandosi e si sta chinati come in una piccola grotta per evitare di colpire, con la testa, il grosso trave di legno che sostiene, sopra alla stalla, il resto della casa. Una mangiatoia lungo la parete fa capire che non potevano che starci due o tre mucche al massimo. La piccola “stalletta” ha una finestrella, di fianco all’ingresso, che affaccia nell’aia che le altre case hanno in comune con quella di Augusto.

Berceto, A casa di Augusto

Berceto, A casa di Augusto

Si entra nell’abitazione salendo una scaletta esterna e si approda in quella che un tempo doveva essere la sua cucina. La porta di legno dell’ingresso si apre parzialmente, data la disconnessione dei blocchi in arenaria del gradino di entrata. Un camino avvolto dal nero della fuliggine fa capire che quello doveva essere il centro vivo della casa. Oltre alla cucina, vi sono due sole piccole stanze. Se si alzano gli occhi si vedono le travi di legno scuro che corrono lungo i soffitti, mentre sotto i piedi si trova il pavimento in cotto, di quelli che erano usati un tempo nei solai delle case dei benestanti ma che qui compongono la pavimentazione delle tre piccole stanze. La casa di Augusto è dunque un piccolo alloggio, se si considera che in passato ha ospitato una famiglia.

Ancora al momento della donazione al comune, la casa non presentava impianto elettrico o acqua corrente. Non c’è, tuttora, un bagno né al suo interno né esternamente. Non c’è mai stato. Il Comune di Berceto, quando l’ha acquisita, ha svolto degli interventi di messa in sicurezza dell’edificio e di intonacatura interna ed esterna grazie ad un finanziamento del GAL del Ducato [2].

Berceto, La Casa Museo (ph. Maria Molinari)

Berceto, A Casa di Augusto

La particolarità di questa casa, oggi museo, è che non ci sono oggetti in esposizione. È una casa vuota. Infatti, non sono gli oggetti ad essere di interesse, ma i ricordi delle persone che, entrando nella casa e parlando tra compaesani o con le persone che vengono da fuori paese, si sprigionano. Il museo di Augusto è stato pensato come luogo di costruzione della memoria collettiva da risvegliare in uno spazio che richiama la memoria (l’edificio è rimasto com’era), l’intimità dello scambio reciproco (le dimensioni minime dell’edificio), vicino a quella che abitualmente era il punto di incontro nelle ore serali degli amici e dei parenti della stagione invernale (la stalla). Andare “in veglia” allora significava parlare, raccontarsi o pregare insieme in un ambiente naturalmente riscaldato dai corpi degli animali che in questa dimoravano. Un calore che strategicamente saliva nelle stanze al piano superiore.

Moltissime case del centro storico di Berceto sono ancora caratterizzate da questa antica struttura: la stalla al piano terra e l’abitazione al piano superiore, raggiungibile da una scaletta esterna di grigia arenaria. Compito dei contadini era quello di portare le vacche al pascolo, dirigendole alla mattina presto dal paese verso i campi che lo circondavano. È proprio qui, al confine dell’abitato, che si trova infatti la casa di Augusto, in quella zona dove, prima della folle edificazione degli anni Sessanta, finiva il paese e iniziavano i campi.

Berceto, A casa di Augusto

Berceto, A casa di Augusto

L’idea del progetto del museo vivente di comunità “A casa di Augusto” ha preso vita da un confronto con il professor Mario Turci, direttore del Museo Guatelli di Ozzano Taro, e dalla lettura della Convenzione di Faro [3] e della Convenzione Europea del paesaggio [4] che pongono particolare rilevanza al valore del patrimonio culturale per le società.

La prima è una Convenzione del Consiglio d’Europa, adottata appunto a Faro, in Portogallo, nel 2005 ed entrata in vigore nel 2011. Essa rappresenta un approccio innovativo alla gestione del patrimonio culturale, spostando il concetto di patrimonio da una visione tradizionalmente centrata sulle strutture monumentali a una prospettiva più inclusiva e partecipativa delle persone. L’approccio al patrimonio culturale orientato alle comunità è considerato come un elemento centrale della vita della gente. Il patrimonio diventa quindi protagonista nella costruzione dell’identità e nella promozione del dialogo interculturale. Uno degli aspetti chiave della Convenzione è il concetto di “patrimonio culturale immateriale”, che include pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e competenze che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli individui riconoscono come parte della loro ricchezza culturale. Ciò include le tradizioni orali, le pratiche artigianali, le celebrazioni. La Convenzione di Faro sottolinea l’importanza di coinvolgere la società civile nella conservazione del suo stesso patrimonio culturale e ne auspica il coinvolgimento nel processo decisionale, incoraggiando un approccio collaborativo tra le comunità e tra queste e i governi o le organizzazioni.

La Convenzione Europea del Paesaggio, entrata in vigore nel 2004, è un trattato internazionale adottato dal Consiglio d’Europa nell’anno 2000: mira a promuovere la protezione, la gestione e la pianificazione sostenibile del paesaggio europeo. La convenzione, che riconosce la dimensione culturale, sociale ed ecologica del paesaggio, lo definisce come «qualsiasi parte del territorio, percepita dalle popolazioni, il cui carattere è il risultato dell’azione e dell’interazione di fattori naturali e/o umani». Anche questa convenzione promuove un approccio partecipativo alla gestione del paesaggio come risorsa patrimoniale, coinvolgendo la popolazione locale e altre parti interessate nel processo decisionale. Riconosce dunque il valore intrinseco del paesaggio come risorsa essenziale per il benessere delle persone, per la diversità culturale e come contributo alla qualità della vita. Suggerisce azioni per la sua protezione, gestione, pianificazione.

All’interno di questa cornice, l’ipotesi era quella che il futuro museo di Augusto potesse diventare un luogo “sintesi” del paese, risorsa anche per coloro che vengono da altrove. Uno spazio vivo in cui poter ritrovare il senso del presente e del futuro attraverso la narrazione condivisa del passato. Un luogo dove fosse la condivisione la principale essenza di vita della sua esistenza e dunque il primo motore della sua attrattiva. L’ascolto e la partecipazione come volano di co-costruzione del “proprio” patrimonio culturale immateriale avrebbero fatto in modo che in questa casa museo potessero dimorare non oggetti muti ma persone parlanti.

60662503-1d3f-4547-a593-0fe375918c05La posizione del museo si potrebbe definire strategica rispetto alla restante porzione di paese poiché si trova proprio sulla Via Francigena, storica via di pellegrinaggio disegnata su una strada di comunicazione che collega, nella sua parte più ampia, il nord Europa con il Mediterraneo e quindi, nella sua declinazione locale, la pianura padana al mar Tirreno, passando attraverso il valico della Cisa. L’idea del transito su questa via ci rimanda alle mobilità stagionali dei bercetesi e alle loro migrazioni verso le città del nord Italia o verso l’estero, in particolar modo verso Parigi e New York. Il passato “mobile” degli abitanti di Berceto racconta l’evoluzione culturale del paese stesso: dal passato contadino all’accoglienza turistica, che oggi si sta trasformando sempre più nell’approdo di persone che scelgono di venirci a vivere stabilmente, nonostante non si siano mai interrotti i flussi in uscita dei suoi giovani abitanti.

Secondo questa prospettiva dunque è assente l’immagine di un luogo chiuso all’interno di confini precisi atti a denotare la difesa “identitaria” del piccolo campanile, ma v’è un’immagine aperta di un paese in continua transizione che si rispecchia nei contenuti culturali che si mettono in atto nella casa di Augusto. L’essenza stessa del museo vivo emerge dall’azione delle persone che questa memoria la riproducono e la ri-infoltiscono delle loro esperienze personali e attuali. Esse sono stimolate dai contenuti culturali proposti, che fungono solitamente da semplice pretesto, di cui poi i narratori se ne appropriano e li rendono vividi creando storie che possono essere trasmesse ai partecipanti, che siano essi nuove generazioni di abitanti o visitatori di passaggio.

Berceto, A casa di Augusto

Berceto, A casa di Augusto

È stato così che nel settembre 2019, in seguito all’inaugurazione avvenuta nel periodo estivo, ha preso vita il piccolo museo. Una delle prime attività svolte è stata la “chiamata a raccolta” per individuare i significati dei soprannomi bercetesi. Come in molti paesi accade, frequentemente le persone sono conosciute prima con il soprannome e poi con il nome. Spesso il primo ha il sopravvento sul secondo facendo perdere le tracce del vero nome della persona, così come spesso si dimenticano i significati dell’appellativo attribuito ad un individuo o alla sua famiglia. Quindi, nei giorni che hanno preceduto l’evento, sono stati raccolti i soprannomi in un abbozzo di lista, semplicemente parlando con la gente incontrata al bar o in piazza.

L’invito agli abitanti a presenziare in una serata dedicata agli stranòm è stato poi ampiamente corrisposto e quella lista, contenente decine di stranòm, si è allungata fino a raggiungere le centinaia. Quell’incontro è stato un susseguirsi di parole, modi di dire, ricordi, momenti di nostalgia, aneddoti e di risate. Una ricchezza sia per i “vecchi” abitanti, che hanno avuto modo così di rinfrescarsi la memoria e di condividere saperi, che per i “nuovi” abitanti, intenti ad ascoltare ammaliati l’enormità della ricchezza culturale invisibile agli occhi: si sono arricchiti di numerosi strumenti di interpretazione del territorio e della popolazione che lo abita [5].

Successivamente c’è stata la serata in cui si è parlato di guaritrici, dette anche “medicone”. Alcuni dei partecipanti le avevano viste all’opera, altri invece non le hanno mai conosciute, ma per lungo tempo hanno fatto parte della quotidianità dei paesi e hanno curato e assistito le persone, talvolta in compresenza con i medici, grazie all’uso di erbe medicinali o a formule ritenute di guarigione.

Berceto, La Casa Museo (ph. Maria Molinari)

Berceto, A Casa di Augusto

Un’altra serata è stata dedicata ai venditori ambulanti. I primi luoghi a soffrire di spopolamento sono infatti più spesso le frazioni. La conseguenza di ciò è la chiusura delle attività commerciali, gli alimentari o la trattoria. In molti paesi di montagna il venditore ambulante di frutta, verdura o altri generi alimentari (e non solo) diventa così il riferimento settimanale per i pochi abitanti che restano nelle frazioni. La serata è stata animata a partire da un reportage fotografico realizzato da un fotografo locale accompagnato dalle narrazioni di un venditore di frutta e verdura.

Un altro professionista del paese ha condiviso, insieme ai presenti, i filmati in superotto girati nei primi anni Ottanta. Questo è stato il pretesto per richiamare alla memoria momenti come la cottura collettiva del pane nel forno del paese; la preparazione invernale delle spongate [6]; la pulizia delle stalle… Ancora una volta questo ha dato il pretesto per innescare la catena dei ricordi che sono divenuti collettivi.

Uno dei momenti da cui è iniziata la raccolta delle narrazioni è stato anche la presentazione di un libro illustrato sulle migrazioni stagionali del secolo scorso, un’epoca in cui si sopperiva alle magre economie agricole con le migrazioni di mestieri all’interno o all’esterno dei confini nazionali. Indubbiamente, grazie al dialogo con altre progettazioni, le memorie migranti del paese hanno costituito una sezione particolarmente rilevante delle attività del museo, che è diventata una pagina dedicata sul sito web [7].

flyer-retro-1038x735La collaborazione con altri progetti è rappresentativa di quanto il museo vivente di comunità “A casa di Augusto” sia divenuta poi di ispirazione nell’attivazione della memoria locale. Un esempio è quello realizzato con la scuola media del paese, in cui gli alunni hanno lavorato nella creazione di mappe di comunità; oppure quello dal titolo Guide Junior in cui loro stessi si sono fatti promotori del territorio divenendo guide per un giorno, un progetto che ha fatto da volano per altri progetti realizzati in altri plessi extraterritoriali. Il dialogo con il Piccolo Festival dell’Antropologia della Montagna, che si tiene ogni anno a Berceto dal 2016, è costante, così come il contributo all’implementazione della piattaforma digitale (“Qui prima e poi”) nata per sviluppare le comunità patrimoniali nell’ambito di Parma 2020, città della cultura.

Berceto, La Casa Museo (ph. Maria Molinari)

Berceto, A Casa di Augusto

Il museo di Augusto, in una prospettiva territoriale e di contenuto, è perfettamente collegabile ad altri stupendi musei situati nel comune di Berceto. Uno di questi è il Museo Jasoni, collocato a Corchia, frazione di Berceto in cui visse Martino Jasoni, pittore nato nel 1901 e poi emigrato, ancora bambino, a New York insieme ai suoi genitori. Il museo propone una collezione dei suoi oli su tela ed acquarelli che raffigurano scene newyorkesi, ma anche la vita quotidiana di contadino che ritrovò quando, dopo un’interessante formazione artistica nella Grande Mela, nel 1924 tornò a Corchia per poi non rientrare più in America. La rappresentazione della sua storia di migrazione è trasmessa non solo attraverso i suoi dipinti ma anche nei numerosi scritti che ha lasciato, tra cui “i diari americani”, preziosa testimonianza del periodo di emigrazione dall’appennino parmense [8].  Ancora, in centro paese, c’è la collezione di alcuni oggetti di uso quotidiano delle famiglie contadine che sono oggi esposti in una struttura della parrocchia, raccolti e curati dal parroco durante i suoi lunghi anni di servizio a Berceto. 

Oltre al possibile collegamento con gli altri spazi museali, nel tempo ha poi preso slancio il sogno di collegare questa piccola casa alle future ristrutturazioni previste nel comune: un laboratorio-museo del paesaggio di montagna, un centro studi del pellegrinaggio e un centro di co-working dedicato ai professionisti digitali [9].  Ulteriori luoghi di interesse sono gli antichi mulini abbandonati da decenni alle adiacenze dei torrenti, molti dei quali ancora in buono stato di conservazione. Gli essiccatoi per le castagne; i canali di irrigazione; le vie mulattiere; le miniere abbandonate; gli edifici storici; i luoghi della resistenza… tutti questi costituiscono altrettanti “luoghi di memoria” utili per apprendere il rapporto dell’uomo con l’ambiente e la cui accessibilità e conoscenza potrebbero divenire un possibile vantaggio soprattutto per chi, quel rapporto, intende recuperarlo.

Tutta questa ricchezza materiale e immateriale potrebbe agilmente intrecciarsi rendendo l’esperienza di condivisione delle “memorie abitanti” una possibilità concreta e laboratoriale dove sperimentare nuovi modi di vita all’interno di un paese che ha bisogno non solo di attirare abitanti ma di farli restare. Tutto questo potrebbe prendere le forme di un “museo diffuso” o di un “laboratorio a porte aperte” in cui sperimentare possibilità di vita a partire dalle conoscenze locali. Questo, se realizzato, dimostrerebbe ancora una volta che il recupero delle memorie locali è un utile strumento per immaginare possibilità di vita future in una società in continua evoluzione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
Note
[1] Con deliberazione di Consiglio Comunale n. 52 del 29.09.2018 è stata deliberata l’accettazione della donazione a titolo gratuito di proprietà immobiliare di fabbricato (posto in Berceto, vicolo Torto 1) da parte dei proprietari. Successivamente, con deliberazione di Giunta Comunale n. 34 del 18.03.2019 è stato approvato il progetto esecutivo per la ristrutturazione di fabbricato di civile abitazione, da destinarsi a Casa Museo denominata “A Casa di Augusto”.
[2] https://galdelducato.it/bando-b-2-4-comune-di-berceto-a-casa-di-augusto/
[3]https://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/1492082511615_Convenzione_ di_Faro.pdf
[4] http://www.convenzioneeuropeapaesaggio.beniculturali.it/uploads/2010_10_12_11_22_02.pdf
[5] Tra i più conosciuti ci sono i soprannomi di “Fritéla” e “Dendòr” che hanno passato entrambi ormai quattro o cinque generazioni. Secondo la testimonianza della famiglia Andrei, Fritèla e Dendòr emigrarono in America verso la fine dell’Ottocento. Dendòr (dente d’oro) lo chiamavano così appunto perché indossava un dente d’oro. Invece Fritèla aveva dei problemi intestinali e non andava di corpo abbastanza spesso poiché, talvolta, la vita dei migranti bercetesi in America era difficile: non si mangiava regolarmente per penuria di cibo o per irregolarità dello stile di vita. È stato così che un giorno Fritèla uscendo dal bagno ha detto: “Ah!! In cö a jo fat na bèla fritèla!” (“oggi ho fatto una bella frittella!”). Da lì il nome Fritèla che, come Dendòr, cavalca le generazioni di differenti rami della famiglia Andrei fino ad oggi.
[6] Dolce tipico del periodo natalizio, ha origini antiche ed è fatto di una sfoglia dolce ripiena di mostarda, una sorta di marmellata piccante ricca di ingredienti saporiti come senape, miele di castagno, frutta secca, bucce d’arancia. Tradizionalmente ogni famiglia possiede il suo stampo in legno per la spongata, raffigurante un diverso motivo che si imprime sul dolce assumendo così anche un uso pratico poiché nella cottura collettiva nel forno di paese si poteva distinguere così la famiglia a cui questo apparteneva.
[7] https://acasadiaugusto.com/
[8] I diari americani di Martino Jasoni sono in corso di pubblicazione.
[9] I nascenti laboratorio del paesaggio di montagna e lo spazio co-working, insieme anche al centro studi del pellegrinaggio diretto dal professor Franco Cardini, sono situati a pochi passi dal museo Casa di Augusto.

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Maria Molinari, laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università di Bologna, ha percorso formazioni post-laurea nell’ambito della cooperazione, dell’intercultura e dell’antropologia museale. Ha lavorato quindici anni nel campo dell’accoglienza migranti coordinando progetti in contesti cittadini e poi montani. Oggi lavora nella gestione di progetti socioculturali nell’Appennino parmense e svolge un dottorato in antropologia culturale presso l’Università di Torino. I suoi temi di ricerca sono il ripopolamento dei territori montani e la trasmissione del patrimonio culturale tra vecchi e nuovi abitanti.

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