di Valeria Dell’Orzo
La storia è disseminata di eventi drammatici, di scoperte rivoluzionarie, di mere condizioni di fatto che scivolano e possono impantanarsi nella viscosità della paura dell’impossibilità di far fronte a qualcosa che non si è in grado di comprendere o di accettare e che quindi si preferisce smentire, anche di fronte all’evidenza più schiacciante, per il mero bisogno di allontanare da sé il peso della responsabilità, della colpa, dell’incapacità di sfidare la nuda realtà o, in alcuni casi, per il bisogno di perpetrare il male nella sua negazione, di esternare con la risonanza dei mezzi di comunicazione moderni una propria presunta superiorità, un’indipendenza di pensiero da esplicare non nella coscienza personale, ma nel disprezzo verso il prossimo, verso la storia e la scienza.
Ciclicamente, fette di popolazione più o meno grandi inscenano collettivamente il rito del rifiuto, una pratica che trova sostegno nella condivisione e nel rimaneggiamento non solo delle consapevolezze storiche e scientifiche, ma anche di quelle garanzie sociali, quali la libertà di espressione, il diritto di manifestazione, la facoltà di dubitare, di confutare, di informarsi liberamente e di costruire un pensiero autonomo. Queste ragioni, conquiste di fondamentale importanza, finiscono col divenire la caricatura di se stesse, ridicolizzate da un uso spregiudicato e irragionevole del loro infinito e ricchissimo potenziale.
I diritti formalmente cardine del vivere contemporaneo vengono stravolti dalla loro stessa esasperazione che, in una compulsione crescente e parossistica, permette a centinaia di persone di affermare con forza la loro tenace opposizione all’accettazione degli eventi storico-sociali, documentati da testimonianze e prove scientifiche.
Riflettere su cosa si annidi dietro il bisogno di negare ciò che ci spaventa e che non ci è comodo nella vita quotidiana, ci aiuta a comprendere come si possa giungere a una repressione della libertà passando attraverso la pretesa di una sua esaltazione estrema e spudorata, come si possa pretendere il diritto di una libertà che si afferma nel rifiuto del dovere della memoria, come ci spiega Cardini (2020), e della consapevolezza, del dovere di tutela reciproca che fonda la società e del dovere di crescere e progredire attraverso le scoperte, lo studio e la ricerca.
La dimensione umana si basa sulla condivisione delle forme comunitarie di gestione della libertà individuale. L’essere umano, animale sociale e insufficiente a se stesso, ha sviluppato e organizzato esperienze di scambio e reciprocità, pratiche di condivisione; ha realizzato spazi di autonomia e di limitazione basilari per gestire coralmente la convivenza, quello spazio immaginario al di fuori del quale sveliamo tutta la nostra insufficienza. Come è chiaro la condivisione di regole e di princìpi e la partecipazione alla creazione della realtà sono necessarie come lo è la condivisione di un codice di traduzione del mondo che permette di definire il vissuto attraverso la rete di significati e significanti entro i quali ci muoviamo e grazie ai quali possiamo decifrare il mondo che ci circonda.
Il negazionismo, invece, vieta la reciprocità del dialogo e dell’incontro poiché si muove su un terreno fatto di meri no, di paure agitate, di opposizioni prive della logica argomentativa e della base fattuale e scientifica. La comunicazione si trasforma in un fluttuare vacuo, eppure nell’osservare il panorama complessivo della società contemporanea, questa sacca di dissenso a tutti i costi merita un suo spazio di indagine e di riflessione.
Di fronte all’acuirsi del no a oltranza, affinché non si nasconda sotto un velo catarattico la complessità della società globale, seguendo le parole del costituzionalista Roberto Bin (2018), occorre soffermare con più attenzione lo sguardo e il pensiero sulle dinamiche che inducono fette sempre maggiori della popolazione a trincerarsi dietro la mancanza di un confronto storico, documentale e scientifico.
Un numero crescente di persone si alimenta oggi delle proprie cecità, pretese con la forza di un diritto e esercitate nell’ostentazione del disprezzo di quegli stessi princìpi che ne permettono la nascita e la legittimazione dell’espressione pubblica. Coesi e inamovibili i negazionisti proliferano anche grazie alla rapidità e alla vastità della rete globale, alimentandosi del sospetto, coralmente condiviso, di un macchinoso complotto internazionale all’interno del quale vengono amalgamate confusamente dati e nozioni assolutamente privi di fondamento, paure e frustrazioni, la necessità di dare al proprio io un ruolo possibile solo in quanto opposto a quanto viene più largamente condiviso e riconosciuto.
Negare è una pratica capace di appiccicarsi alle più svariate tematiche, destinata a ribaltare senza argomentazioni valide le evidenze storiche e scientifiche, a filtrare la propria immagine attraverso le maglie del dissenso per affermare una propria indipendenza impavida, un acume di pensiero e un’arditezza di gesti che esistono in quanto contrari alla realtà, alla conoscenza e al buon senso.
Il negazionismo è, come lo descrive lo storico Claudio Vercelli (2013), una bolla sociale autoreferenziale che fluttua nella realtà umana, storica e scientifica, senza essere colpito e intaccato dalla ragione comune perché si alimenta della propria, fondata sulla negazione dell’altro, così da dare vita a una totalità della menzogna radicale, tanto più forte quanto più opposta al reale.
Dal revisionismo storico che da anni tenta di coprire col fumo delle congetture e delle supposizioni eventi di portata colossale, definitivamente marchiati da efferatezza, si è giunti a forme apparentemente più blande ma intimamente meno legate alla necessità di allontanare l’orrore da sé. Dalla teoria della terra piatta alla violenza egoistica della lotta ai vaccini, dalla negazione dei disastri climatici all’opposizione all’uso di semplici strumenti e misure di controllo personali che tutelano i più fragili della società e la comunità tutta. Si perde nei meandri del negazionismo la necessità, indagata e sondata da Durkheim, di trovare il punto di equilibrio tra la realtà individuale e quella collettiva, si perde il necessario legame tra il pensiero e l’azione e tra la libertà dell’una e dell’altra nel rispetto di una dimensione che va oltre l’io singolo e monadico, che porta in sé il materialismo e la dimensione spirituale dell’individuo e della società di cui è parte (Durkheim, 2013).
Dietro lo stendardo di un no assoluto e ostinato si celano oggi le più disparate forme di dissenso ascientifico e astorico, passando l’ampio spettro del negazionismo dalla confutazione di comprovati eventi del passato, efferati e spaventosi, fino alle teorie antiecologiche, ai novax, sostenitori accaniti della pericolosità o dell’inutilità dei vaccini che tutelano, secondo le più ampie e consolidate attestazioni scientifiche, ampie fasce di popolazione, fino al nucleo dei nomask che dietro alla loro ribellione dissimulano il disprezzo della tutela e del rispetto della vita altrui ancor prima che propria.
Il negazionismo, nelle sue poliedriche direzioni rivendica per sè ciò che tenta di negare agli altri, dimenticando che «[…] il diritto […] non assorbe tutte le implicazioni dei diritti sociali, perché residua pur sempre una componente di libertà “negativa”» (Bin, 2018:15). La negazione del diritto sociale espressa dal negazionismo è «una componente, un margine, più o meno esteso, ma mai del tutto assente. […] Sottoposto a analisi accurata, l’impasto dei diritti “positivi” rivela gli stessi ingredienti dell’impasto delle libertà “negative”» (ibidem), e questo rende più difficile il percorso di comprensione dell’ingiustizia sociale che i negazionisti tentano di applicare alla realtà comunitaria che li circonda.
Agevolate da un crescente analfabetismo funzionale, queste teorie raccolgono proseliti e si dimostrano pericolose sul piano sociale della convivenza, rappresentando cellule sempre più estese di cecità, nuclei plasmabili e capaci a loro volta di influenzare gli esiti politici e culturali dei paesi trainanti. Si ottengono consensi elettorali alimentando il dissenso a tutti i costi che permette di unire coloro che hanno bisogno di sfogare le proprie insicurezze celandole sotto un rifiuto dell’evidenza storica e scientifica.
Nella ferma volontà di smentire con ardite forzature della ragione ogni cosa, dai campi di sterminio alla sfericità della terra, nulla sembra sfuggire, in un crescendo tipico della frenesia della globalizzazione, alla macina distruttiva che il negazionismo mette in atto. Alla base delle più recenti forme di negazionismo troviamo la presunzione di potere creare autonomamente delle realtà immaginarie, delle verità universali, di sostituire secoli di studi e ricerche con qualche giro sul web, di potere rendere equivalenti e interscambiabili tutte le teorie, senza discernimento alcuno, seguendo le più evidenti conseguenze della dimensione mediatica della globalizzazione, volta a livellare le informazioni ponendo ogni fonte, ogni percorso, ogni base argomentativa sullo stesso piano, creando la percezione distorta di un’uguaglianza fittizia, utile proprio per distogliere o veicolare l’attenzione di frange di popolazione, ovvero per alterarne la capacità di comprensione del presente.
A guardar bene, nel negazionismo troviamo il controsenso di una libertà che si nutre del liberticidio che professa. Urlate, vi troviamo le ragioni di chi non crede alla ragione, tutte le verità di chi ripudia la verità, tutto il mondo umano di chi non comprendendo la complessità del presente e della realtà che abita si costruisce un reality a misura delle sue aspirazioni e delle sue velleità.
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Riferimenti bibliografici
Roberto Bin, Critica della teoria dei diritti, Franco Angeli, Milano, 2018.
Franco Cardini, Il dovere della memoria, La Vela, Viareggio, 2020.
Émile Durkheim, La scienza sociale e l’azione, Il Saggiatore, Milano, 2013.
Claudio Vercelli, Il negazionismo. Storia di una menzogna, Laterza, Bari-Roma, 2013.
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Valeria Dell’Orzo, antropologa culturale, laureata in Beni Demoetnoantropologici e in Antropologia culturale e Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo, ha indirizzato le sue ricerche all’osservazione e allo studio delle società contemporanee, con particolare attenzione al fenomeno delle migrazioni e delle diaspore e alla ricognizione delle dinamiche urbane. Impegnata nello studio dei fatti sociali e culturali e interessata alla difesa dei diritti umani delle popolazioni più vessate, conduce su questi temi ricerche e contributi per riviste anche straniere.
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