di Salvatore Colazzo e Ada Manfreda [*]
1. Cosa è “Idrusa”
Idrusa è il nome di un progetto di ricerca, finanziato dal CUIS, il Consorzio universitario che alcuni comuni salentini e la Provincia di Lecce costituirono negli anni Cinquanta del secolo scorso per sostenere l’azione politica a favore dell’istituzione dell’Università del Salento. Una volta raggiunto il proprio scopo il Consorzio non si sciolse, ma riconvertì la sua azione, volgendola al sostegno di progetti di ricerca funzionali alla migliore conoscenza del territorio e al suo sviluppo.
Il progetto da noi proposto si è da poco formalmente concluso, anche se come gruppo di lavoro stiamo continuando ad approfondire nodi teorici e questioni metodologiche emerse nel corso della nostra attività di ricerca. Dei risultati finora raggiunti abbiamo dato contezza in un volume, che abbiamo voluto intitolare Formare lo sguardo [1].
Quantunque il gruppo che abbiamo messo in piedi abbia un carattere interdisciplinare, Idrusa si qualifica come un progetto in cui l’elemento pedagogico ed educativo sono preminenti. Esso rientra in un più vasto programma di ricerca che mira a ripensare l’epistemologia e la metodologia di una branca degli studi pedagogici fino ad oggi piuttosto negletta: la pedagogia di comunità, di cui abbiamo recentemente scritto nel volume La comunità come risorsa [2] e a cui, per testare le teorie e gli strumenti elaborati, da otto anni dedichiamo una Summer School, che raccoglie ricercatori e studiosi provenienti da diversi luoghi d’Italia, con diversificate estrazioni disciplinari [3].
Intenzione del progetto Idrusa è stata quella di promuovere una sensibilizzazione al paesaggio, inteso quale componente fondamentale del patrimonio culturale della comunità, in linea con le più recenti prospettive internazionali e informato ai principi ispiratori dell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018 [4].
2.Paesaggio come bene materiale /immateriale
Il paesaggio non è l’ambiente naturale, ma è il luogo dove l’uomo confrontandosi con la natura ha inciso le tracce della propria storia. Paesaggio è la natura fatta mia, tanto da far scattare un moto di riconoscimento. Il paesaggio racchiude il senso della relazione dell’uomo col suo ambiente. È questo il senso, peraltro, della definizione che ne dà il Consiglio d’Europa (Risoluzione n.53 del 1997), per cui paesaggio è «una porzione determinata di territorio quale è percepita dall’uomo, il cui aspetto risulta dall’azione di fattori umani e naturali e dalle loro interrelazioni». Esso può essere qualificato come bene comune, in quanto «fondamento dell’identità culturale e locale delle popolazioni, componente essenziale della qualità della vita e espressione della ricchezza e della diversità del patrimonio culturale, ecologico sociale ed economico».
Il paesaggio del Salento ha particolare interesse, poiché questa regione è stata abitata sin dai tempi più remoti, è stata attraversata da molte popolazioni e ha subìto l’influenza di una pluralità di culture, che hanno tutte lasciato i loro segni nel territorio. Si presenta come risultato di millenni di stratificazioni di azioni; nelle sue maglie sono impigliate storie che si tramandano da molte generazioni, ricco di particolarità, un vero e proprio micromondo (con i suoi complessi equilibri sistemici) che invita all’esplorazione e all’esercizio della memoria, al gioco del riconoscimento.
I territori del Salento sono ricchi in biodiversità e dei modi di metterla a frutto per l’alimentazione umana, hanno modalità specifiche di costruzione delle abitazioni urbane e rurali, conoscono manufatti che risalgono a epoche remote, sono caratterizzati da saperi complessi e pratiche d’uso (che si sono trasmessi spesso oralmente), da modelli culturali strutturatisi sotto l’azione formante di spinte divergenti che hanno dovuto trovare il modo di convivere ed integrarsi.
Da qui il valore del paesaggio salentino e la sua importanza storica, valore che le popolazioni locali hanno colto nella sua portata identitaria e che quindi si sono impegnate, spesso in forma tacita e secondo un implicito accordo, a conservarlo ovvero a farlo evolvere secondo una sostanziale linea di continuità.
Dagli anni Sessanta del secolo scorso fino ad oggi, però, quella crescita armonica, quel delicato rapporto tra popolazioni e loro ambiente di vita, quale si era andato costituendo nel corso dei millenni, si è andato sfaldando, a favore di modelli di abitare lo spazio molto meno rispettosi del contesto, spesso disposti a sacrificare qualsiasi altra ragione a quella di corto respiro dell’economico, in nome di un mitico progresso e di una necessaria, inevitabile, modernizzazione.
Di quel che fosse il paesaggio prima dell’abbandono dell’agricoltura, dei massicci fenomeni migratori interni ed esteri che hanno spopolato i borghi rurali, ci è rimasta testimonianza in alcuni testi letterari, ma soprattutto nei quadri e nelle fotografie. Per questa ragione, senza pretesa di esaustività, attraverso il progetto Idrusa abbiamo voluto rivolgerci alle testimonianze di alcuni tra i più significativi paesaggisti salentini, operanti in un’area che oggi è quella definita dal Parco Otranto-Santa Maria di Leuca.
Cosa a fine Ottocento-inizi Novecento alcuni pittori e letterati salentini hanno colto del paesaggio? Quale punto di vista hanno assunto? Cosa ci ha restituito il loro sguardo? Cosa ha isolato del territorio e con quale significato? Cosa del loro paesaggio hanno interiorizzato e poi esteriorizzato con la loro arte? In che termini la ricerca da essi compiuta sul paesaggio salentino può oggi tornarci utile? E in che modo?
3. Potenzialità educative del paesaggio
Il paesaggio ha di per sé un considerevole potenziale educativo, induce ad apprezzare la bellezza e invita al rispetto, e può essere investito da una intenzionale azione educativa, che induca gli abitanti di un territorio a rendersi conto dell’ambiente in cui vivono. Suggerisce un approccio interdisciplinare ed è strettamente connesso col tema della cittadinanza, poiché sollecita ogni singolo membro della comunità a prendere consapevolezza del processo storico che ha generato il paesaggio e lo impegna a tutelarlo e salvaguardarlo, quale componente fondamentale dell’identità collettiva e soggettiva. In quanto costruzione culturale, il paesaggio è luogo di differenti percezioni e rappresentazioni, e quindi anche di conflitti, laddove, vigendo interessi differenti, esso può essere investito da istanze divergenti per obiettivi, strategie, metodi.
Il paesaggio, nel momento in cui assurge a consapevolezza, diviene veicolo comunicativo interno alle comunità ed esterno, risorsa simbolica, ma anche economica, quando diventa un bene che soggetti o gruppi sono disposti ad “acquistare” per poterne fruire. Paesaggio quindi insieme come valore culturale e possibilità di sviluppo locale, all’interno di una progettazione territoriale, capace di cogliere i valori simbolici ed economici di un bene comune, da gestire nell’interesse della collettività.
Il progetto Idrusa è strettamente connesso con l’esigenza di creare una presa di consapevolezza dei significati che l’esistenza del Parco Otranto-Santa Maria di Leuca-Bosco di Tricase [5] reca con sé, anche in termini di potenzialità per lo sviluppo locale. Esso si rivolge alle comunità del Parco nel suo complesso, ma anche specificamente alle scuole, che debbono rinvenire nel patrimonio in generale e nel paesaggio in particolare un fondamentale ruolo educativo. Fare del Parco un’aula decentrata, utilizzando i beni del SAC “Porta d’Oriente” [6], questa ci sembra una proposta pedagogicamente forte e politicamente significativa, che, attraverso il nostro progetto, abbiamo voluto consegnare ai dirigenti scolastici e ai docenti.
Per tale ragione abbiamo cominciato a portare sul territorio gli esiti della nostra ricerca, convinti di dover coinvolgere le amministrazioni, le scuole e l’Ente gestore del Parco.
4. Paesaggio: oltre la mera fruizione estetica
Nell’esperienza comune avvertiamo il fascino del paesaggio, per il benessere procurato ai nostri sensi, ma quando lo intenzioniamo e apprezziamo l’equilibrio delle forme, l’armonia dei colori, il gioco di luci e di ombre che lo caratterizzano, e magari abbiamo voglia di rendere la realtà per come l’abbiamo percepita, restituendola in un quadro o in una narrazione, prevale l’approccio estetico. Il paesaggio per noi non è solo piacevolezza e benessere, ma è esperienza di bellezza. Nel paesaggio cogliamo la quiete della pianura e l’energia vigorosa delle montagne, apprezziamo gli accostamenti cromatici armoniosi o arditi, le geometrie regolari e quelle irregolari.
La caratteristica fondamentale di ciò che noi chiamiamo paesaggio è l’operazione compiuta dalla nostra coscienza di fondere in un’unica rappresentazione un complesso di elementi che sono tanto percettivi quanto emotivi.
È in età moderna che emerge con chiarezza il paesaggio: lo leggiamo nei testi letterari, lo vediamo nelle opere dei pittori del Cinquecento veneto, nella pittura fiamminga, che attestano come esista la possibilità di una contemplazione disinteressata delle forme del territorio, risultato dell’industriosità umana. Da quel momento in avanti, il paesaggio viene avvertito come un bene estetico, di cui saper godere grazie all’acutezza dello sguardo e alla sensibilità del cuore. I viaggiatori, coi loro diari, coi loro schizzi, sottolineano l’importanza formativa del paesaggio. Nel gusto illuminista e romantico, godere la visita in luoghi sconosciuti, spesso identificati col Tour in Italia, costituisce sia un allargamento della propria esperienza delle cose e degli uomini, sia la possibilità, una volta rientrati in patria di valutare in maniera differente (da un’altra prospettiva) le cose conosciute.
Quando si fa una passeggiata o un viaggio è possibile che il paesaggio venga goduto come se ci si trovasse in un quadro, percorrendolo in qualche modo lo si ricrea, nella percezione del paesaggio è implicito un atto produttivo, ci si mette nei panni dell’artista (se fossi artista saprei ritrarre questo scorcio, questo particolare…) e si ha la possibilità di godere del paesaggio e di essere consapevoli delle emozioni che esso suscita in noi.
D’altro canto, quando ci si trova di fronte ad un quadro di un paesaggio, immergendosi in esso si viaggia nel mondo emotivo dell’artista, il paesaggio diventa un veicolo per scorgere un paesaggio interiore. Diventa possibilità di relazionalità ed empatia. Come ha ben intuito Akira Kurosawa che nell’episodio “Corvi” dedicato a van Gogh di Dreams fa entrare il protagonista che ammira in un museo alcune opere di Vincent van Gogh in uno dei quadri che sta rimirando, ne è letteralmente risucchiato dentro. Viaggiando nel quadro, incontra il pittore appena dimesso dal manicomio: ha una fasciatura a coprirgli l’orecchio sinistro ed è alla ricerca della prospettiva giusta per dipingere un paesaggio. Corre via, non può fermarsi a parlargli. Il protagonista decide di corrergli dietro, si ritrova improvvisamente in un altro dei suoi quadri celebri, lo percorre, vede lontano van Gogh: cammina lungo un sentiero che porta in un campo di grano. Un improvviso colpo di pistola e uno stormo di corvi si alzano in volo, sono i corvi di una altro celeberrimo quadro di van Gogh se non altro perché fu l’ultimo da lui dipinto prima del suicidio, Campo di grano con volo di corvi [7].
Esiste dunque un nesso stretto tra la capacità di cogliere la dimensione artistica del paesaggio e lo sguardo pittorico, le suggestioni visive delle note di viaggio del visitatore, essi si influenzano reciprocamente. L’atto dell’artista che dipinge un paesaggio, così come l’atto dello scrittore che lo descrive sono gesti di riconoscimento e di interpretazione. Lo sguardo dell’uomo è in grado di assegnare all’espressione della sua vita, delle sue azioni una valenza estetica, che, colta dallo sguardo dell’artista, rimbalza ritornando sul paesaggio, che si specchia in quello spazio e prende ulteriormente consapevolezza delle sue potenzialità estetiche, che estrinseca attraverso l’immaginazione, le capacità di progettare e il lavoro. I territori sono infatti modellati con le coltivazioni, con gli interventi per renderli accessibili, per ridurre la loro suscettibilità alla furia degli elementi della natura, combinando abilmente diverse essenze naturali a fare l’armonia dei giardini, preservandone porzioni per consentire alla natura di esprimersi in maniera meno condizionata dall’uomo. Attraverso i paesaggi l’uomo esteriorizza immagini interiori e con la pittura, con la letteratura, con la fotografia mette in dialogo i paesaggi che abita e attraversa con le sensazioni interiori, che sono suggestioni, suggerimenti, opportunità per ulteriori interventi volti a trasformare i luoghi. Ovvero più semplicemente li contempla e apprezzandone la perfezione estetica trova la possibilità di una catarsi.
Il senso del paesaggio non nasce coi vedutisti e la letteratura di viaggio, vi sono tracce della capacità di percepire la bellezza dei luoghi, colti con uno sguardo di sintesi, in Omero (canto V dell’Odissea: vv. 63-75) e in Platone (Fedro: 230, A-E), ma è moderno il desiderio di intenzionale esplorazione estetica dell’ambiente in cui si vive o con cui si entra in contatto, dandone conto in visioni e in racconti. Gli studi sul rapporto tra uomo e ambiente nel mondo antico, segnalano come i greci e i romani concentrassero la loro attenzione sull’agire umano e la sua capacità trasformativa, tant’è che non mancò, a quei tempi, un atteggiamento talvolta poco equilibrato nella gestione delle risorse naturali.
Senso del paesaggio è la curiosità che ha l’indigeno di decifrare lo sguardo che lo ha guardato: è lo sguardo estraneo che aiuta a costruire la propria identità. Anche se oggi la mediatizzazione dello sguardo può portare all’acquisizione di un’identità a misura delle esigenze di teatralizzazione che quel processo ha e quindi alla possibilità di isterilimento dei propri tratti, quando li si renda a misura delle esigenze comunicative della società dello spettacolo. È questo il processo di iconizzazione che si innesca quando si accetti il suggerimento di semplificazione, banalizzazione, enfatizzazione di sé, che proviene dai media, questi, dovendo parlare a pubblici ampi, hanno bisogno sì della differenza, ma nell’ordine del tipico, del pittoresco.
I paesaggi si banalizzano per darsi allo sguardo superficiale del turista, che in tal modo concorre alla ulteriore banalizzazione dello spazio di cui non ha saputo coglierne fino in fondo la capacità espressiva. Per familiarizzare con un paesaggio è necessario tempo e disponibilità all’ascolto (ove per ascolto va intesa la capacità di percepire il ritmo, l’energia, i suggerimenti di senso di ciò con cui si stabilisce una relazione). Bisogna entrare in contatto con la comunità che quel paesaggio ha creato e che quel paesaggio abita, continuando con le sue azioni ogni giorno a trasformarlo. Bisogna cogliere la natura dinamica del paesaggio
Come dice Raffaele Milani, «leggere un paesaggio significa capire la natura, la storia e la cultura dei luoghi»[8], poiché «paesaggio e cultura compongono una relazione inscindibile»[9]. Il paesaggio è il risultato dell’ingegnosità e del gusto estetico delle persone, i saperi locali hanno risolto creativamente i problemi che l’ambiente ha prospettato agli uomini, e creativamente va inteso in termini di strategie idonee a gestire accuratamente le risorse a disposizione. A leggere un paesaggio si riesce a cogliere questo senso profondo del lavoro umano e la logica reale del funzionamento delle comunità.
Ma l’industrializzazione diffusa, il consumo di suolo, l’imporsi di strutture continue come ferrovie e autostrade hanno determinato un incremento di “rumore semiotico” che rendono difficile la lettura del paesaggio. «Si è alterato in modo rapidissimo e brutale il millenario rapporto città-campagna. Nel caos e nel Kitsch ovunque disseminati s’apre tutta una riflessione sul campo architettonico e urbano rappresentato da un ‘perverso’ modo di vedere il mondo e mettere in pratica la citazione; risulta eclatante, in questo senso, il modello Las Vegas, caso esemplare e clamoroso»[10].
«Il pericolo, imminente e grandissimo, è la perdita della memoria dei luoghi, la perdita di quei processi e di quei segni di trasformazione che hanno costituito l’identità dei luoghi stessi sulla base della loro eterogeneità»[11]. Le trasformazioni sono tanto rapide che, accadendoci sotto gli occhi, ci disorientano, poiché quasi senza accorgercene diventiamo estranei nella nostra stessa patria. Senza migrare subiamo un processo di sradicamento.
«Il paesaggio italiano visto da Goethe e da Schinkel, come da tanti altri, non esiste più o quasi»[12]. In altri casi si è mantenuto più intatto. Si può essere tentati di ripristinare in qualche modo il paesaggio perduto, trasformandolo in una qualche forma di parco (letterario, artistico, musicale), ma vi è il rischio della musealizzazione, diventando un rituale del turismo mordi e fuggi, una meta kitsch buona per i selfie. La perdita di sensibilità verso il paesaggio è un segno di imbarbarimento preoccupante, poiché il paesaggio ha uno statuto anfibolico: è «sia reale, un’arte fornita dal fare e dalla cultura di un popolo, sia mentale, legato alla rappresentazione e alla visione del mondo»[13].
5. Il senso del progetto Idrusa
Il progetto Idrusa da noi è stato inteso come un elemento di un quadro strategico di azioni aventi come scopo quello di supportare la comunità, attraverso degli interventi educativi, a perseguire il rispetto del patrimonio ambientale del proprio territorio, nell’ottica dell’evoluzione di un processo identitario, disegnata nella piena presa di consapevolezza dei valori del paesaggio, indispensabile per l’interiorizzazione delle regole per il rispetto del territorio e quale base per intessere il dialogo con gli ospiti, come si conviene nel turismo relazionale [14].
Una più ampia e profonda consapevolezza del paesaggio concorre alla comprensione della necessità di ridurre gli impatti ambientali, per poter preservare un territorio fragile qual è quello del Parco, la cui attrattività dipende dai modi di interazione tra l’uomo e l’ambiente nel corso del tempo, che ha generato una specificità, che forme diverse di interazione potrebbero inopinatamente distruggere.
Attraverso il progetto Idrusa vogliamo sottolineare l’importanza dell’educazione della popolazione, a partire dalle generazioni più giovani, che è indispensabile per poter avviare azioni condivise e partecipate funzionali al miglioramento della gestione ecologica del territorio.
Con un’altra parallela ricerca stiamo studiando il grado di affezione delle popolazioni al Parco, il grado di condivisione delle azioni intraprese dall’Ente gestore e dalle amministrazioni locali a favore della salvaguardia del territorio. I primi risultati di questa ricerca ci dicono di quanto sia indispensabile far radicare nella sensibilità comune l’idea del Parco, la possibilità che esso sia un’opportunità e non un limite o un vincolo per le comunità che vi insistono.
Vogliamo, su un piano più operativo, sottolineare l’importanza di creare un Centro di Educazione Ambientale del Parco, con lo specifico scopo di progettare – su solide basi pedagogiche e metodologico-didattiche – attività per bambini, giovani e adulti pensate per favorire la conoscenza del territorio, organizzare campagne di sensibilizzazione e promuovere buone pratiche messe in atto dalle amministrazioni locali in merito al governo del territorio, nell’ottica della sostenibilità ambientale.
Secondariamente vorremmo sollecitare i decisori pubblici a far nascere un Ecomuseo per la valorizzazione dei paesaggisti e dei letterati del Parco, che consenta sia di far conoscere le loro opere sia gli oggetti di loro interesse, ossia luoghi e scorci paesaggistici che furono scoperti dal loro occhio e dalla loro sensibilità, che, opportunamente identificati, possano diventare oggetti d’interesse turistico.
Per questa ragione non solo abbiamo recuperato i quadri di Stasi, Casciaro e Ciardo [15] che ritrassero luoghi nell’area di pertinenza del Parco, ma abbiamo anche tentato di fare una ricognizione alla data odierna di quei luoghi, che abbiamo documentato grazie al contributo di un acuto fotografo (Carlo Elmiro Bevilacqua), anche per segnalare quanto sia indispensabile l’azione di tutela e salvaguardia di una bellezza fragile, che perfino interventi minimi non adeguatamente considerati può mettere in questione.
Ne abbiamo ricavato un report di ricerca (lo abbiamo citato in apertura di quest’intervento), una mostra didattica e una cartoguida. La realizzazione di questi artefatti culturali nell’ambito del progetto muove da una fondamentale premessa: le narrazioni che riescono a farsi spazio e a risultare dominanti in una comunità, con la ridondanza e la ricorsività di significati e pratiche che generano, definiscono una precisa idea e un preciso modo di vivere il paesaggio e il territorio. La mostra, combinando opportunamente riproduzione degli scorci paesaggisti di Stasi, Casciaro, Ciardo, integrati da visioni di artisti contemporanei che hanno programmaticamente meditato la loro lezione, foto di elementi del paesaggio salentino, testi letterari (dal Cinquecento ad oggi) scelti a commento di quelle immagini o comunque in affiancamento ad esse, si propone di sensibilizzare il pubblico, soprattutto quello delle nuove generazioni, sul fatto che il benessere soggettivo e collettivo dipende dalla capacità di percepire, conservare e tutelare un bene comune, qual è il paesaggio, non rinnovabile, veicolo di identità e strumento di relazione con chi voglia condividerne la fruizione, a condizione che sia sempre rispettosa dei valori comunitari a cui il paesaggio correttamente inteso rinvia.
Con ciò vuole anche contribuire a promuovere una migliore comprensione e interiorizzazione dei motivi ispiratori che sono alla base della costituzione del Parco regionale naturale Otranto-Santa Maria di Leuca, che ha riconosciuto il valore del paesaggio della costa adriatica salentina, per gli elementi estetici, naturalistici e antropici che lo costituiscono. Spetta alle genti salentine inverare quei motivi ispiratori, con le loro azioni quotidiane.
Concludendo, possiamo dire che nel suo complesso il Progetto Idrusa intende proporre una singolare narrazione del paesaggio del Salento sud-orientale da restituire innanzitutto alle comunità che vi abitano, quale contributo per un processo di sensibilizzazione al territorio e al suo rispetto, ma anche di presa di consapevolezza delle sue caratteristiche antropologiche e geografiche e delle sue potenzialità. Un contributo affinché le nostre comunità possano auto-immaginarsi e posizionarsi nei flussi socio-economici in modo progettuale e attivo, culturalmente qualificato e capace di uno sguardo dialogante, inclusivo e sostenibile.
Dialoghi Mediterranei, n. 40, novembre 2019
[*] L’articolo è il risultato di una stretta collaborazione tra i due autori, che sono anche i cofirmatari del Progetto del quale in esso parla. Tuttavia la redazione finale è così ripartita: paragrafi 1, 3 e 5 Ada Manfreda; paragrafi 2 e 4 Salvatore Colazzo.
Note
[1] A. Manfreda (a cura di), Formare lo sguardo. Valorizzazione del paesaggio e sviluppo del territorio, Pensa Multimedia, Lecce, 2019.
[2] S. Colazzo, A. Manfreda, La comunità come risorsa. Epistemologia, metodologia e fenomenologia dell’intervento di comunità, Armando editore, Roma, 2019.
[3] Ci riferiamo alla Summer School di Arti Performative e Community Care, di cui si può leggere in internet. Il modo più agevole per trarre informazioni è consultare il canale fb: https://www.facebook.com/summerschoolartiperformative e il blog: http://artiperformative.wordpress.com.
[4] Obiettivo dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 è stato quello di «incoraggiare il maggior numero di persone a scoprire e lasciarsi coinvolgere dal patrimonio culturale». Il motto scelto: “Il nostro patrimonio: dove il passato incontra il futuro”, offre lo spunto per iniziative a favore dei cittadini affinché questi possano «avvicinarsi e conoscere più a fondo il loro patrimonio culturale. Il patrimonio culturale plasma la nostra identità e la nostra vita quotidiana». A giusta ragione viene precisato che «non si tratta soltanto di letteratura, arte e oggetti, ma anche dell’artigianato appreso dai nostri progenitori, delle storie che raccontiamo ai nostri figli, del cibo che gustiamo in compagnia e dei film che guardiamo per riconoscere noi stessi». Il patrimonio culturale è ciò che noi consideriamo importante da trasmettere alle nuove generazioni. Non è statico, ma in realtà è un processo attraverso cui noi ci interroghiamo sulla nostra identità e su ciò che vogliamo diventare. «Il patrimonio culturale si presenta in varie forme: tangibile – ad esempio edifici, monumenti, artefatti, abbigliamento, opere d’arte, libri, macchine, città storiche, siti archeologici; intangibile – pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze, competenze, e i relativi strumenti, oggetti e spazi culturali, cui le persone attribuiscono valore. Ciò comprende la lingua e le tradizioni orali, le arti dello spettacolo, le pratiche sociali e l’artigianato tradizionale; naturale – paesaggi, flora e fauna; digitale – risorse create in forma digitale (ad esempio opere d’arte digitali e animazione) o che sono state digitalizzate in modo da garantirne la conservazione (testi, immagini, video, registrazioni)».
[5] Il Parco istituito con Legge Regionale del 25 ottobre 2006, n.30, denominato Parco Regionale Naturale “Costa Otranto-S. Maria di Leuca e Bosco di Tricase” interessa i comuni di Alessano, Andrano, Castrignano del Capo, Castro, Corsano, Diso, Gagliano del Capo, Ortelle, Otranto, S. Cesarea Terme, Tiggiano e Tricase. Fu istituito individuando le seguenti finalità: a) conservare e recuperare la biocenosi, con particolare riferimento alle specie animali e vegetali e agli habitat contenuti nelle direttive comunitarie 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, e 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nonché i valori paesaggistici, gli equilibri ecologici, gli equilibri idraulici e idrogeologici superficiali e sotterranei; b) salvaguardare i valori e i beni storico- architettonici; c) recuperare e salvaguardare la funzionalità del sistema costiero e della vegetazione naturale autoctona con particolare riferimento alla Quercus macrolepis; d) monitorare l’inquinamento e lo stato degli indicatori biologici; e) allestire infrastrutture per la mobilità lenta; f) promuovere attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, nonché attività ricreative sostenibili; g) promuovere e riqualificare le attività economiche al fine di migliorare la qualità della vita delle popolazioni residenti.
[6] La Regione Puglia anni addietro, sotto l’Amministrazione Vendola, istituì i cosiddetti SAC, Sistemi Ambientali e Culturali, con l’intenzione di valorizzare i beni materiali facenti parte del patrimonio collettivo di tanti comuni pugliesi, mettendoli in rete e connettendoli con quelli immateriali, promuovendo, col coinvolgimento di soggetti espressione della comunità, la raccolta ed organizzazione del patrimonio immateriale secondo un progetto unitario di valorizzazione. Il SAC di riferimento del progetto “Idrusa” è il SAC “Porta d’Oriente”, costituto dal “Parco Costa Otranto-Santa Maria di Leuca-Bosco di Tricase” (capofila), dalla Provincia di Lecce e dai comuni di Alessano, Andrano, Bagnolo, Cannole, Castrignano del Capo, Castro, Corsano, Diso, Gagliano, Giuggianello, Giurdignano, Morciano, Muro Leccese, Ortelle, Otranto, Palmariggi, Patù, Salve, Santa Cesarea Terme, Tiggiano, Tricase, Uggiano La Chiesa.
[7] Sogni, regia di Akira Kurosawa, Ishirō Honda, soggetto e sceneggiatura di Akira Kurosawa, Giappone, 1990.
[8] R. Milani, L’arte del paesaggio e la sua trasformazione, estratto da “Re-Vista. Ricerche per la progettazione del paesaggio”, n. 1, gennaio-giugno 2004, University Press, Firenze: 2.
[9] Ibid.
[10] Ivi: 7.
[11] Ibid.
[12] Ibid.
[13] Ivi: 13.
[14] Il turismo relazionale, che nell’accezione a cui si fa riferimento in quest’articolo, converrebbe più propriamente chiamare turismo relazionale integrato, si presenta come alternativo al turismo promosso su scala globale dalle grandi multinazionali del viaggio organizzato. Esso punta sulle relazioni umane e sulla sostenibilità. La comunità mette a disposizione le risorse del territorio, quelle più tipiche, che lo differenziano e caratterizzano. Col coinvolgimento della comunità e delle reti che si costruiscono allo scopo si realizza la possibilità di un uso (sostenibile) delle risorse naturali, ambientali e culturali, nonché di quelle umane e sociali. Il turista, giungendo in un luogo, può, durante il suo soggiorno, vivere il territorio diventando una sorta di membro provvisorio della comunità, integrandosi con le sue dinamiche, avendo la possibilità di realizzare un incontro (che talvolta può anche essere uno scontro) con il sistema territoriale che lo ospita. Cfr. C. Bizzarri, L’impatto di nuovi flussi turistici a scala globale: il caso della Community delle GOLF, “Bollettino della Società Geografica Italiana”, serie XIII, vol VI (2013): 471-487.
[15] Paolo Emilio Stasi (1840 -1922), pittore di Spongano. Dopo gli studi liceali compiuti al Colonna di Galatina, si trasferì a Napoli per studiare, secondo le intenzioni della famiglia, Farmacia; ma, frequentando gli ambienti letterari e artistici partenopei, intraprese la carriera di pittore. Rientrato nel Salento, nel 1870 avrà la possibilità di insegnare disegno al Convitto annesso al Liceo “Capece” di Maglie; vi rimarrà fino al 1911. Studioso dai molteplici interessi, si appassionò di paleontologia e scoprì Grotta Romanelli, a Castro. Per la datazione dei resti umani ritrovati nella Grotta, entrò in polemica col massimo paleontologo dell’epoca, Luigi Pigorini (1842 -1925), successivamente si dimostrerà la giustezza della tesi di Stasi. Anche se non ha lasciato molte opere figurative, tuttavia la critica riconosce in Stasi un buon talento e una certa originalità. I suoi soggetti sono costituiti da scorci del Salento, da ritratti e da raffigurazioni a tema religioso.
Giuseppe Casciaro (1861-1941), nato ad Ortelle, allievo di Stasi, si perfeziona a Napoli. Noto per i suoi pastelli, che riproducono, in forma poetica, scorci del territorio campano e salentino. Appare legato alla cultura figurativa del paesaggismo romantico napoletano di Anton Pitloo e debitore delle esperienze veriste di Smargiassi, Palizzi e Morelli. Tuttavia il sodalizio con l’artista abruzzese Francesco Paolo Michetti appare decisivo per l’evoluzione della sua tecnica coi pastelli. Si misura anche con la pittura, accogliendo le suggestioni di Giuseppe De Nittis e Adriano Cecioni. Di questi accoglie la proposta a dipingere all’aria aperta, dal vero, con tecnica affine a quella dei macchiaioli toscani. Coi suoi viaggi a Parigi affina il suo stile. Notato dal prestigioso mercante d’arte, entra nella sua scuderia. Arrivato alla notorietà internazionale, espone in tutte le principali città italiane e in alcuni importanti centri europei come Berlino, Barcellona, Bruxelles, Vienna e Pietroburgo
Vincenzo Ciardo (Gagliano del Capo, 23 ottobre 1894-Napoli, 26 settembre 1970) è stato un pittore italiano. Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Urbino, si spostò a Napoli nel 1920. Influenzato dal verismo, farà parte del “Gruppo Flegreo” e frequenterà artisti che lo porteranno a maturare una sensibilità pittorica che lo avvicinerà alle esperienze di Paul Cézanne e a Pierre Bonnard. Frequentò il poeta Girolamo Comi, facendo parte dell’Accademica che questi costituì attorno alla rivista “L’Albero”.
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Salvatore Colazzo, professore ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università del Salento, ove insegna oltre alle canoniche materie afferenti al settore, Pedagogia e didattica musicale al DAMS. Fino al 2000 è stato docente di ruolo di Storia della Musica per didattica al Conservatorio di Musica ‘N. Piccinni’ di Bari. Si occupa dei nessi interdisciplinari che legano la pedagogia a discipline quali la medicina, la storia, la geografia e l’antropologia. Ha svolto intensa attività giornalistica. Ultime pubblicazioni: (con F. Bearzi) New WebQuest. Apprendimento cooperativo, comunità creative di ricerca e complex learning nella scuola di oggi; (con P.G. Ellerani) Service learning tra didattica e terza missione.
Ada Manfreda, ricercatrice in Pedagogia sperimentale all’Università di RomaTre, dove insegna Metodologia della ricerca educativa e tiene un Laboratorio di scrittura creativa. È PhD in ‘Scienze della mente e delle relazioni umane’ (Università del Salento), ha svolto un post-Doc all’Università di Foggia in ‘Media education, progettazione partecipata e comunità’. Coordina EspérO, un’azienda innovativa nata nel 2009 quale spin-off dell’Università del Salento, che si occupa di progettare e implementare interventi formativi complessi in contesti organizzativi e comunitari. È co-direttrice della Summer School di Arti performative e community care, giunta quest’anno alla sua ottava edizione. Ultime pubblicazioni: Formare lo sguardo: valorizzazione del paesaggio e sviluppo del territorio; (con S. Colazzo) La comunità come risorsa.
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