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Il patrimonio conteso e minacciato

Picasso, Guernica, part.

Picasso, Guernica, part.

il centro in periferia

di Pietro Clemente

Idolatria del potere

In questi ultimi tempi riflettevo sul fatto che l’Ucraina può essere quasi un riferimento paradigmatico all’immagine del centro in periferia perché, suo malgrado, è diventata centro subendo una invasione e una guerra distruttiva.

Dall’inizio delle ostilità la città di Mariupol ha perso 60 mila abitanti. Nel 2014 ne aveva 490 mila. Ora che somiglia ad Aleppo [1], distrutta da bombardamenti e da missili russi, quanti ne avrà? Si dice che ne siano rimasti 100 mila. Quelli che non sono fuggiti. Se si vuole fare un confronto con le città italiane capoluogo di regione con lo stesso numero di abitanti, possiamo pensare alle città di Genova o di Firenze. A Genova fece riferimento anche il Presidente ucraino Zelensky nel suo discorso indirizzato al Parlamento italiano.

Nel 1962 la mia generazione scese nelle piazze per contestare l’invasione americana a Cuba, poi nel 1967 per protestare contro gli USA che avevano invaso il Vietnam. Una foto di mia moglie, Ida, in mezzo ai poliziotti. pubblicata su L’Unione Sarda, è rimasta a ricordo delle lotte per la pace e contro la guerra. Nel 1963 con un gruppo di giovani fondammo a Cagliari il MAP, Movimento di Azione per la pace e la prima iniziativa pubblica fu la presentazione dell’Enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII. Il MAP durò poco: non tardarono a manifestarsi le aporie concettuali del pacifismo che anche oggi sono ben presenti. Ma come allora, da agnostico, mi sento di condividere di nuovo il pensiero di un papa, Francesco, e la durezza delle sue parole di condanna della guerra. Parole che, nei primi anni ’60, trovai nelle amichevoli lezioni di Aldo Capitini, gandhiano, vegetariano e pacifista.

Manifestazione per la pace, 1991

Manifestazione per la pace, 1991

Provo dolore nel trovare la guerra così vicina e nel vedere coniugato il tema del centro in periferia in questa forma. Provo dolore nel vedere ex post che il nostro sogno giovanile ed ingenuo di progresso pacifico era impossibile e che lasciamo ai nostri figli e nipoti l’orrore di un’altra guerra, dopo che – almeno per quanto riguarda l’Italia – abbiamo vissuto dal 1945 ad oggi senza conflitti. E trovo ora assurda la mia convinzione che la geopolitica fosse finita con la Prima Guerra mondiale.

Il presente dà una sensazione davvero sconfortante se penso a quel che ho pensato e creduto. È come rivedere l’Ungheria e la Cecoslovacchia invase dai carri armati russi, Piazza Tienanmen invasa anch’essa dai carri armati, e il crollo totale dello spirito di pace sia del mondo russo putiniano sia di quel che ancora si chiama comunismo cinese. La logica della guerra contro la quale lottavamo è di nuovo dominante, in forme non troppo diverse, ma con nuovi Stati e nuovi dittatori.

Ci illudemmo che con il crollo dei muri fosse possibile un mondo unico di dialogo e di pace. E, davanti ai nostri occhi, la Yugoslavia si frammentò in diversi nazionalismi. Anche quella fu una periferia che la guerra aveva fatto diventare centro, ma noi la vivemmo come qualcosa di marginale, che riguardava solo loro. All’epoca, una mia cara amica e collega che viveva a Zagabria mi raccontò di essere tornata nei rifugi, di avere rivisto situazioni e politiche che aveva combattuto da giovane partigiana. Il suo racconto fu il filo rosso che mi tenne legato a quelle tragedie, alla distruzione del ponte di Mostar patrimonio dell’umanità. Su indicazione di una allieva romana lessi La guerra in casa, Einaudi, 1998, di Luca Rastello [2], e poi i libri di Alex Langer, testi che forse sono la risposta più radicale e coerente al mondo in guerra. Fui colpito da una sua frase che diceva del bisogno e del diritto di piangere: la misi nel mio repertorio di emozioni. Fui davvero turbato dalla sua scelta di togliersi la vita.

9788806245658_0_536_0_75Avere superato la fine della Yugoslavia (senza trascurare i conflitti in Irak, in Libia, in Siria, in Afghanistan eccetera e eccetera), avere superato l’assedio di Sarajevo, le stragi e le violenze di Srebrenica, ha comportato un processo di rimozione. Papa Francesco ci invita a non abituarci alla guerra. I giornalisti inviati in Ucraina usano aggettivi superlativi negativi, avverbi di rinforzo emotivo, si esibiscono sui luoghi della guerra. l’Ucraina è sempre la prima notizia dei telegiornali. Ha tolto il primato al Covid che è ora un po’ ai margini dell’informazione. Attualmente il Covid presenta una percentuale quasi stabile al 15% dei contagiati sui tamponi, e oscillazioni tra gli 80 e i 300 morti al giorno, ma viene incomprensibilmente dichiarato ormai in calo. Nella sua trasmissione Otto e mezzo, Lilli Gruber dice: “oggi si parla di genocidio, bambini morti, stupri, rischio di terza guerra mondiale … ma dopo la pubblicità” [3]. In questi giorni al centro dei telegiornali viene descritto il desiderio di evasione degli italiani e il successo del turismo nelle vacanze pasquali. Non è difficile vedere le vie di Firenze o di Genova piene di gente, le spiagge affollate, senza confrontarle coi palazzi scheletriti di Mariupol, colle bombe, colle mine, coi missili, coi carri armati che dominano lo scenario. A breve il centro tornerà altrove e la periferia tornerà tale, almeno per i più.

addolorata2Caino

Il papa ha parlato di Caino e del gesto irreversibile del dare la morte e della responsabilità totale del primo gesto. Non poteva nominare Putin, ma, bene o male, lo ha fatto capire lo stesso. Un mondo di immagini salgono alla memoria: il tema dell’orrore, che si impone da Conrad a Coppola in Apocalypse now  [4]. Ha il volto del dittatore.

Riemergono immagini profonde, le sette spade nel petto dell’Addolorata che se ne va in processione trafitta.

1 Una spada è la guerra;

2 Una spada è la morte dell’universalismo;

3 Una spada è la consapevolezza del nostro privilegio e della perdita dell’innocenza;

4 Una spada è non vedere le guerre nascoste, essere nella guerra diffusa e fingere di non saperlo;

5 Una spada è che il Papa e Mattarella siano inascoltati, che si acceleri la produzione di armi e i guadagni di chi le vende;

6. Una spada è l’esodo dei bambini e delle madri, il viaggio degli orfani e delle vedove verso nuovi campi profughi;

7. L’ultimo coltello è “il pianto che non si vede, la morte si sconta vivendo”.

da La Lettura, 17 aprile 2022

da La Lettura, 17 aprile 2022

Putin è Macbeth, è l’idolatria del potere. Su La lettura sono state assemblate delle immagini che mostrano il viso di Putin composto dai volti di Stalin e di Hitler. Il suo nazi/stalinismo, forse prevedibile, ma non per me, è un dato di fatto che prima che un giudizio chiede una maledizione. Non è sopportabile che Putin dica che la sua è una ‘operazione speciale’ [5] per denazificare il Donbass, che accusi gli ucraini di fare genocidi che invece è lui a compiere, che si faccia beffe della verità arrivando a dire che gli ucraini si sparano addosso da soli. Il bue che dice cornuto all’asino.

da La Lettura, 17 aprile 2022

da La Lettura, 17 aprile 2022

Putin è responsabile di avere cambiato il mondo, di averne fatto vedere la gracilità e di avere prodotto – come dice il titolo dell’ultimo numero di Limes – la fine della pace. Una pace che non c’era, come continua a dire il Papa, ma di cui si poteva almeno fingere che ci fosse e che la guerra fosse lontana. Ci sarà una Terza guerra mondiale? Saranno comunque anni di scontri armati e di profughi. Sarà questo il futuro e non la pace e il benessere, che peraltro non ci sono mai stati per tutti.

Questo è il clima de La fine del mondo in cui De Martino riflette sulla minaccia della scomparsa nucleare del pianeta. L’apocalissi prossima vicina.

Patrimonio conflitti antropocene

Lo scritto di Lauso Zagato, studioso di diritto internazionale, Sul patrimonio culturale dissonante e/o divisivo mi rende più semplice passare dalla guerra ai temi del patrimonio. Con attenzione puntuale e precisi promemoria Zagato mostra il volto ‘caldo’, drammatico, dei valori patrimoniali non condivisi, valori che spesso vengono dimenticati, riducendo il patrimonio a una sorta di luogo differenziato per stile ma senza conflitti. Invece ci sono conflitti forti sul valore e sull’identità che possono essere estesi al rapporto tra patrimonio, storia nazionale, storia coloniale. Il tema del patrimonio diviso penetra nella vita dei Comuni, nei nomi dei luoghi, chiede chiarezza. Il Comune di Padova mantiene i nomi coloniali delle strade e, attraverso didascalie, ne spiega la storia. È un modo questo di far uscire i nomi delle strade dalla memoria indifferente. Ma ci sono sempre discussioni su questi argomenti e le nuove giunte comunali di destra cercano di lasciare i loro segni.

het-artikel-van-ruth-ben-ghiat-in-the-new-yorkerPartendo da un saggio di Ben-Ghial sul ‘patrimonio dissonante’ italiano [6], Zagato mette alla prova le FAQ che danno risposte sulla Convenzione di Faro, ed affronta i nodi delle permanenze coloniali. Conclude con la critica al quieto vivere italiano sui temi caldi della memoria pubblica: «Abbiamo accertato qualcosa di nuovo: quando viene in discussione il grumo di tenebra del colonialismo, e l’immobilismo non sia oltre difendibile, si preferisce da parte istituzionale la cancellazione all’utilizzo di quelle stesse iscrizioni e intitolazioni a fini di ricostruzione pubblica di una verità storica che non si vuol lasciare emergere».

Ho trovato sentieri analoghi nello studio delle stragi naziste in Italia. Da ricerche condotte nel 1994 da un gruppo di studio sulla memoria degli eccidi, uscì il libro di Giovanni Contini [7], forse il più rappresentativo di quegli anni, che chiamò ‘memoria divisa’, quella memoria che imputava la colpa delle stragi ai partigiani. Il nostro lavoro sulle stragi aveva in progetto di condividere con la popolazione la memoria divisa, di riunificarla. Nel caso di Civitella della Chiana, la comunità che si era sentita per 50 anni isolata ed accerchiata nel proprio lutto, si aprì alla ricerca, al confronto e ritrovò anche attenzione istituzionale. Le stragi che studiammo, le persone che incontrammo mi diedero la percezione di una comunità che aveva vissuto e memorizzato l’Apocalisse [8] , e dell’entità dell’offesa che gli eredi del lutto sentivano. Quelle stragi così vicine, tra Arezzo e Siena, ci aiutano a vivere il presente.

giovanni-contini-la-memoria-divisa-rizzoli-1ed-1997Le proporzioni della strage di Bucha del marzo 2022 sono simili alla strage nazista di Civitella della Chiana del 1944. Così si mescolano le storie di violenza di guerra, di uccisione arbitraria di civili innocenti, si misurano i tempi del dolore che la guerra produce. Ci vogliono poi decenni per ritrovare memorie conciliabili. Tutto questo aiuta a capire i temi del patrimonio divisivo, le stratificazioni diacroniche, i gruppi che si coalizzano per difendere immagini del passato, la trattativa e il conflitto sulla memoria. I temi forti, oltre quelli della guerra, del patrimonio conteso.

Connetto a questi temi la riflessione di Settimio Adriani su Il bosco che avanza. Lo scritto ha una portata davvero ampia, anche se è collocato nel piccolo paese di Fiamignano, in provincia di Rieti, e può servire a dilatare ulteriormente il nodo del patrimonio conteso. Se il paesaggio è patrimonio, come in Italia è previsto anche dal Codice dei beni culturali, e di conseguenza è paesaggio culturale, la dimensione del patrimonio e del suo carattere conflittuale diventa ancora più estesa.

Attualmente, in conseguenza della guerra, si sceglie di ritornare all’uso di risorse energetiche già da tempo condannate ed escluse. Si riparla di carbone, di gas ricavati con mezzi inquinanti: sembra più facile fare passi indietro che non tuffarsi coraggiosamente nel futuro utilizzando risorse come energia solare, eolica, etc…. Il 22 aprile si è svolta la Giornata della terra, nata nel 1970, che è «la più grande manifestazione ambientale del pianeta, l’unico momento in cui tutti i cittadini del mondo si uniscono per celebrare la Terra e promuoverne la salvaguardia. La Giornata della Terra, …coinvolge ogni anno fino a un miliardo di persone in ben 192 Paesi del mondo».

Questo grande sforzo si scontra e si confronta con la guerra. Gran parte del mondo sceglierà l’uso delle vecchie energie che danneggiano il pianeta, con il potenziamento dell’antropocene. Già è in atto il conflitto per procurarsi comunque le risorse energetiche pur che siano. E il consumo occidentale è del tutto incomparabile con quello di altri mondi. L’evento della Festa della Terra non sarà centrale ma sarà uno dei tanti che vengono dopo le notizie sulla guerra e sul PIL, sfondo della scena, quasi rituale nel suo ripetersi, doveroso da nominare non certo da realizzare come priorità. Nello scritto di Settimio Adriani ci sono questi nodi, c’è l’urgenza di affrontarli e non rinviarli, la sensazione che una trasformazione ecologica sia evidente a tutti ma non sia altrettanto evidente per la politica e l’economia dominanti, che le vedono come oggetti liturgico, di cose da dire, non come dramma planetario da strapparsi i capelli. Ora comunque esso viene dopo la guerra.

earth-day-400x386-3Paesaggi in movimento

Lo scritto di Benedetto Meloni, al cuore dei nodi del riabitare i territori marginali e della prospettiva di sviluppo finalizzata ai luoghi, ribalta, in modo significativo, l’idea che i territori marginali siano territori carenti di qualcosa, e li propone come ricchi di potenziali iniziative e di risorse importanti. Meloni pensa questi territori nella prospettiva dello sviluppo finalizzato ai luoghi evitando il rischio di vederli solo come luoghi di assistenza.

«In senso positivo le aree interne sono meno soggette a pressioni antropiche, dispongono di risorse specifiche, sottovalutate ma preservate più che in altri contesti: vocazioni produttive, qualità dell’ambiente risorse naturali e paesaggistiche, risorse insediative, risorse culturali, archeologiche, saper fare locale, potenzialità di sviluppo (produttive, energetiche, turistiche) inespresse. Ciascun territorio offre risorse e una diversità e specificità per certi versi latenti. Grazie anche al carattere policentrico, sono in grado di offrire una diversità di produzioni uniche, identitarie, di qualità, quindi di rispondere alla forte domanda di specificità che emerge dal cambiamento dei modelli e delle pratiche di consumo. Le aree interne vanno quindi pensate e progettate sia come destinatarie di beni collettivi e servizi fondamentali – scuola e salute, diritti di cittadinanza – sia come sistemi capaci di produrre diversità e specificità, di offrire beni agroalimentari, strutture insediative, beni collettivi, paesaggio, qualità delle acque, energie, biodiversità, cultura e esternalità positive Si tratta di risorse nascoste, che stanno lì, possono essere estratte, tirate fuori e valorizzate a patto che questa estrazione e valorizzazione sia fatta mobilitando le intelligenze prevalentemente locali, e che non sia imposta, paracadutata o guidata dall’attore centrale».

Il centro della riattivazione è l’agricoltura, una agricoltura multifunzionale ovvero capace di

«produzione di beni alimentari e materie prime ad uso non solo alimentare, fornitura di servizi di varia natura come la tutela, la gestione e la messa in valore del paesaggio rurale, la protezione dell’ambiente, servizi sociali e culturali, valorizzazione delle peculiarità anche culturali del territorio, forme di solidarietà tra cittadini e produttori. Si tratta di attività no-food realizzate all’interno dell’azienda che possono comprendere: (1) servizi turistici, ristorazione, pernottamento, escursionismo, cicloturismo, turismo a cavallo, visite guidate paesaggistiche archeologiche; (2) servizi verdi e forme variegate di gestione della natura, della biodiversità e territorio, manutenzione per garantire estetica e funzionalità, produzione di energia alternative, uso biodiversità, benessere animale, sicurezza alimentare; (3) servizi sociali di cura ed assistenza come l’agricoltura sociale, fattorie didattiche, pet therapy; (4) servizi al territorio tra cui l’istituzione di marchi collettivi, sponsorizzazioni a eventi, partecipazione a ricerche, promozione tradizioni ed eredità culturali, convegni ed eventi culturali, la strutturazione di museo civiltà contadina, ecc. ».

Mette in evidenza il dialogo e il vantaggio reciproco nel rapporto di scambio tra città e campagna, tra città e montagna ed aree interne.

Nelle nostre limitate esperienze, un tema che appare evidente è la grande pluralità delle pratiche del ritorno o del nuovo abitare. Non di rado sono segnalate conflittualità con i residenti, ma anche diverse prospettive tra i nuovi abitanti e i ritornanti sul tema del rapporto con il mercato, dell’uso delle energie rinnovabili e della biodiversità. Così che ci sono interne divisioni che vanno dalla sfera etica a quella finanziaria. È questo un altro aspetto delle ‘dissonanze’ del patrimonio inteso in senso ampio. Dissonanze che ci sono anche tra ‘noi’ che riflettiamo su questi mondi locali che ci sembrano strategici per il futuro. Nell’ambito delle politiche territoriali del giorno per giorno, legate ai piccoli successi, sorgono differenze tra prospettive più radicali e più mirate sulle strategie e intolleranti dei piccoli passi e l’investire sul patrimonio come parte necessaria dello sviluppo locale e come fattore di conservazione.

45_standalone-image-444376La modellistica proposta da Benedetto Meloni deve utilmente essere confrontata con le pratiche correnti e collocarsi non come un disegno di futuro remoto ma come un obiettivo aperto, di medio periodo, in parte in atto, e da estendere in termini di consapevolezza.

Sempre a proposito di patrimonio, negli altri due testi, il mondo degli ecomusei ci viene raccontato tra le buone pratiche della Regione Piemonte e le cattive pratiche della Regione Sicilia. In questa fase difficile ma promettente del ‘riabitare l’Italia’ gli ecomusei sono, a mio avviso, dei presidi importanti e attrattivi per ritorni e nuove esperienze. Il tema dello sviluppo locale è spesso alla base della loro nascita e della loro missione, mentre esso per i musei è oggi una nuova missione. Nel testo viene descritta la rete costituita da quattro ecomusei piemontesi che si confrontano e si connettono sul tema del gusto, rientrando così nel quadro della multifunzionalità dell’agricoltura, dei prodotti locali e della qualità. Nel caso piemontese è chiaro il nodo tra ecomusei e produttori:

«Rafforzando questo legame tra ecomusei e prodotti/produttori, nonché utilizzando una comunicazione coordinata tra gli istituti ecomuseali, si vuole creare una sinergia in cui ognuno possa trarre vantaggio dal successo dell’altro, incrementando il numero di visitatori e la conoscenza dei prodotti tipici».

Il formaggio Castelmagno, la pecora sambucana e i suoi prodotti, la segale e le acciughe sono i temi guida di questi quattro ecomusei che all’apparenza mostrano una bizzarra sequenza, ma di fatto rivelano una ricchezza sia di inventiva che di storia. Ognuno dei prodotti rappresenta una parte di un insieme plurale e ancora attivo, non ridotto alla sola rappresentazione turistica.

Carta dei Nebrodi

Carta dei Nebrodi

Il racconto dell’ecomuseo ‘abortito’ progettato da Sergio Todesco – paziente e attivo realizzatore di studi e di musei ed esperto di patrimonio in Sicilia – fa capire che spesso il tratto divisivo del patrimonio va prima di tutto messo in relazione ai disegni, agli opportunismi o al totale disinteresse culturale delle amministrazioni pubbliche e della politica. La rete ecomuseale che avrebbe potuto nascere sui Nebrodi Occidentali – area di importanti studi antropologici nonché di nascita di Giuseppe Cocchiara, uno dei fondatori degli studi italiani di antropologia culturale – vien fatta cadere attraverso una decisione amministrativa totalmente chiusa alla comprensione della domanda territoriale, decisione dovuta sia alla cancellazione di competenze demoetnoantropologiche nelle Soprintendenze che operano in Sicilia sia alla cancellazione sulla carta di una realtà di parco legata a momenti diversi e dialoganti del patrimonio.

Le ragioni sono difficilmente comprensibili. Nel campo della cultura le scelte amministrative sono diventate ovunque quasi assenti, e dove si attivano sono legate a ragioni che non hanno nulla a che fare con la valorizzazione del patrimonio. Recente è la notizia che a Tricase (Lecce) il sindaco sfratta d’imperio, senza alcuna ragione plausibile, un centro culturale molto attivo nel campo del patrimonio immateriale. Così come l’Archivio di Alberto Mario Cirese, dato in comodato d’uso dalla famiglia a una fondazione culturale di Rieti, viene rimandato indietro al mittente. Quasi nessun comune ha nel suo bilancio fondi per la cultura. Spesso i sindaci e i presidenti delle Regioni scelgono di tenere per sé l’assessorato alla cultura come fiore all’occhiello, come luogo di ‘visibilità’. Visibilità del nulla. Come ne “I vestiti nuovi dell’imperatore”.

In generale in Italia la cultura è diventata – o forse è tornata ad essere – uno spazio di resistenza e come tale va pensato e interpretato. È il nodo centrale di un progetto a tutto campo che contiene la guerra come il patrimonio, e che si misura con l’idea di possibili nuovi mondi a partire dalla tragedia che abbiamo davanti agli occhi.

Dialoghi Mediterranei, n. 55 maggio 2022
Note
[1] Mi riferisco al film di Waad Al-Khateab, Edward Watts: For Sama. In Italia Alla mia piccola Sama del 2019. “Alla mia piccola Sama” è la videolettera che Waad al Kateab scrive alla loro bambina, nata sotto i missili russi e i barili bomba, per spiegarle perché i suoi genitori sono rimasti ad Aleppo e perché l’hanno tenuta con loro, a rischio della loro vita e della sua. Nel film sembrava strano vedere bombardamenti russi in Siria, ma oggi capiamo che la Siria era un esercizio di potere e di morte, l’allenamento di Caino per fare cose più grandi e più mortifere.
[2] Ho trovato straordinario anche il suo ultimo libro, Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime, Chiarelettere, Milano, 2018 dove si vede la consapevolezza della morte vicina.
[3] Non è una vera citazione della Gruber ma indica il suo quotidiano modo di dare titoli drammatici alla sua trasmissione e di rimandare il dramma a ‘dopo la pubblicità’. Con un certo disgusto personale, trovo che la pubblicità sia, purtroppo, diventata l’unica certezza della comunicazione.
[4] «Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei. Ma non ha il diritto di chiamarmi assassino. Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di far questo. Ma non ha il diritto di giudicarmi. È impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto. E bisogna farsi amico l’orrore…orrore, terrore, morale e dolore sono i tuoi amici. Ma se non lo sono, essi sono nemici da temere». Frasi tratte dal film Apocalypse now.
[5] Niente di nuovo, è la ‘neolingua’ de Il grande fratello di Orwell.
[6] Ruth Ben-Ghial, Why are so Many Fascists Monuments still Standing in Italy, New Yorker, October 5, 2017.
[7] Giovanni Contini, La memoria divisa, Rizzoli, Milano, 1997.
[8] P. Clemente, Ritorno dall’apocalisse in P. Clemente, F. Dei, Poetiche e politiche del ricordo. Memoria pubblica delle stragi nazifasciste in Toscana, Regione Toscana, Carocci, Roma, 2005. 

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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021).

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