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Il peso che schiaccia l’Algeria e l’eredità del rapporto coloniale con l’Europa

gas-dallalgeria-e1646128129223di Francesco Valacchi 

Sulle sponde meridionali del nostro Mar Mediterraneo l’Algeria, oltre alla comunanza geografica con l’Europa, è stato pressoché parte integrante del territorio politico europeo sino alla sua indipendenza. Sul suo territorio continua a pesare enormemente la sanguinolenta eredità del colonialismo che si estrinseca anche in un rapporto strettissimo di parentela e soggezione, anche giuridica, con la Francia e con l’Europa.

Il peso dell’occupazione francese, risoltasi con una lunga e violenta guerra di indipendenza, dal 1954 al 1962, ha condizionato per sempre l’economia di questo Paese, agendo principalmente in due sensi: ha frenato uno sviluppo armonico dell’industria e ha creato una notevole disomogeneità economica fra le città della costa e l’entroterra.

Senza una struttura industriale formata, con la scoperta di buoni giacimenti di risorse minerarie come il petrolio e il gas naturale, l’Algeria si è naturalmente trasformata in un rentier State, basti pensare che a tutt’oggi l’esportazione degli idrocarburi rappresenta oltre il 90% delle esportazioni totali (Lebowich, 2015). Specie a partire dagli anni fra il 1965 e il 1978 (sotto la guida di Houari Boumedienne) il Paese ha iniziato a basare su questo export la propria economia e, attraverso un bilanciamento politico ben noto in Africa, ha garantito alla popolazione un minimo di benessere o l’anelito allo sviluppo (spesso mal riposto) in cambio della sospensione delle libertà e della piena democrazia. Il rentier State, o Stato basato su una rendita (in questo caso l’estrazione mineraria), è proprio questo: un Paese nel quale il contratto sociale vero e proprio è basato sulla distribuzione delle ricchezze provenienti da una rendita fissa generalmente dovuta alle risorse naturali.

Il legame a doppio filo con i proventi delle estrazioni ha finito con l’esporre il Paese alle varie crisi energetiche contemporanee, provocando un freno allo sviluppo e accentuando gli squilibri sociali.  Non riuscendo ad approfittare immediatamente degli stimoli della crisi del 1973, la produzione e conseguentemente l’economia algerina hanno subìto un contraccolpo.

why-algerias-black-october-in-19Nel 1985 e 1986 si registrò il collo del prezzo del barile di petrolio sul mercato mondiale. Divenne praticamente impossibile, anche per larga parte delle classi medie, procacciarsi beni alimentari di primissima necessità. Come diretta conseguenza i moti del 1988, rinominati “moti del cous cous”, soppressi con estrema violenza dal governo, investirono le città del Paese. Come risposta alla crescente situazione di caos nel 1992 un colpo di stato militare portò al governo rappresentanti delle forze armate, i cosiddetti “Janviéristes”.

Dopo la crisi del 2008 l’Algeria è stata esposta alle oscillazioni del costo degli idrocarburi e del gas naturale al punto che le condizioni economiche del Paese all’inizio del 2011 erano ancora instabili, e questo fu uno dei fattori che scatenarono le sommosse anche ad Algeri come nel resto del Maghreb.

In generale la coscienza sociale algerina sale alla ribalta nei momenti nei quali il “contratto sociale” che il rentier State propina alla popolazione vacilla decisamente a causa della crisi dei prezzi dei prodotti energetici, altrimenti la compressione dei diritti politici viene di buon grado accettata per sfuggire alla miseria.

E ancora oggi, la necessità di smarcarsi da una aggravata povertà, con un’economia che pare non essersi ripresa dall’anno delle rivolte, inanellando dal 2012 una serie di risultati negativi per quanto riguarda il PIL e la distribuzione della ricchezza, riporta al complesso rapporto con le sue risorse naturali.

gasdotti-algeria-europaAll’Algeria come Paese mediterraneo vicino si sono recentemente rivolti gli Stati dell’Europa nella complessa crisi economica ed energetica causata dalla Russia con l’invasione dell’Ucraina, proponendo accordi che approfittano del suo stato generale dell’economia e della sua particolare natura di rentier State. Il governo italiano, come peraltro anche quello francese con le proprie imprese, alle prime avvisaglie dell’acuirsi della crisi di approvvigionamento del gas, ha messo al lavoro la partecipata ENI Spa per ottenere vantaggiosi accordi di sfruttamento, e la prima missione bilaterale del governo Meloni in Nord Africa è stata anch’essa in Algeria, tesa ad ottenere un approvvigionamento di gas sempre più vantaggioso per l’Italia e soprattutto per l’ENI. L’interlocutore della sete energetica dell’Italia e dell’ENI è l’algerina Sonatrach Spa, impresa fondata nel 1963 e a tutt’oggi la più importante società per azioni africana.

eni-palazzo-867x487Gli accordi con l’Italia

Gli accordi stretti dall’Italia con Algeri hanno visto sin dall’inizio interessare una vasta serie di campi di operatività, come la lotta alla corruzione, la cooperazione economica e il settore farmaceutico solo per fare alcuni esempi. L’Algeria si è impegnata a fornire gas fino alla quantità di 24 miliardi di metri cubi a prezzi convenienti per il nostro Paese per il 2022 (punto che è stato mantenuto), e di incrementare ulteriormente le forniture per il futuro prossimo. Ma la contropartita diretta e indiretta di questi accordi è ingombrante, se si pensa che Sonatrach per mantenere le quote di produzione necessarie anche alle forniture all’Italia ha incrementato i lavori svolti in urgenza e gli scavi per reperire nuovi giacimenti, causando un innalzamento del numero degli incidenti gravi sul lavoro, già decisamente elevati (Zerrouki, Ghozlane, Estrada Lugo, Patelli, 2022)  nonché un sensibile aumento della ricerca e dello sfruttamento di fonti comunque non rinnovabili e decisamente inquinanti.

La quantità di materia prima gas concordata come fornitura per il governo italiano rappresentava un volume così alto per l’apparato estrattivo algerino che, già nell’estate 2022, vi erano dei dubbi sull’effettiva capacità di assolvere alla commessa, come sostenuto nel settembre 2022 dal sito di giornalismo investigativo algerino “Algeriepart” (redazione Algeriepart, 2022). Secondo questa fonte, sul finire dell’estate 2022 una grande preoccupazione si era diffusa fra i dirigenti algerini, come testimoniato dalle frequenti riunioni su questo tema, per il sospetto di non essere in grado di mantenere quanto promesso ai rappresentanti del governo di Mario Draghi. Da qui il provvedimento d’urgenza su come reperire le risorse da stoccare e vendere sul mercato e come moltiplicare la ricerca di ulteriori giacimenti o vene estrattive (aumentando le ore lavoro della manodopera già assunta e assottigliando le norme di sicurezza).

Una conseguenza diretta degli accordi stipulati per soddisfare la fame di gas del governo italiano è stato dunque l’aggravarsi dello sfruttamento dei lavoratori algerini e delle scorte di questo Paese per arricchire la dirigenza Sonatrach e concedere risorse non rinnovabili alla famelica ENI. A godere della contropartita economica degli accordi è principalmente il consiglio di amministrazione della Sonatrach che, ancorché non rappresenti più la lobby molto potente che era in passato, quando fino agli anni Novanta l’impresa estrattiva veniva definita uno “Stato nello Stato”, è comunque un importante snodo di accumulo delle ricchezze scarsamente redistribuite nel Paese.

Anche l’ENI ha certamente ottenuto un vantaggio economico diretto dagli accordi, capitalizzando sia l’intesa con l’Algeria che quella con la Libia, innanzitutto in ambito finanziario: nel secondo semestre del 2022 le azioni dell’impresa italiana hanno fatto un notevole balzo. Sull’onda di questo incremento la società italiana ha poi lanciato una vendita di titoli azionari legati agli obiettivi di sostenibilità: un bond legato alle fonti energetiche sostenibili (Dominelli, 2023). La società in pratica ha mostrato la propria rinnovata stabilità ottenendo degli accordi che riguardano lo sfruttamento, senza troppi lacci e vincoli esterni, di risorse minerali altamente inquinanti e poi ha usato questo vantaggio per vendersi sul mercato azionario come azienda sostenibile, con molti più progetti ecocompatibili e pochi fatti coerenti. 

thumbnail_5Una spada di Damocle sull’Algeria 

La conseguenza indiretta degli accordi sul gas è una contropartita assai dura per l’Algeria su cui pesa l’asimmetria nei rapporti politici e la subalternità ai piani economici dei Paesi importatori del gas. Il governo algerino nel 2015 aveva messo a punto un programma di implementazione della transizione energetica verso energie rinnovabili: il cosiddetto “Algeria Newly Updated Renewable Energy Program”, con il quale venivano fissati degli obiettivi abbastanza ambiziosi da raggiungere per il 2030. Il piano venne salutato come uno dei più ambiziosi per l’Africa e divenne un fiore all’occhiello del governo del Presidente Abdelmadjid Tebboune. Tra i traguardi ambiti spiccava anche la volontà di aumentare in maniera decisiva l’esportazione di fonti rinnovabili come quella solare a discapito di fonti fossili.

Ben diverso, per non dire opposto, è il contenuto degli accordi. Nelle intese stipulate con il governo Draghi e successivamente con l’esecutivo a guida Meloni, viene infatti previsto che fra i due Paesi vi sia una rafforzata cooperazione nella giustizia (con un maggiore scambio di informazioni) e nella lotta alla corruzione; è stato siglato anche una intesa per la cooperazione nelle infrastrutture, che l’Italia spera di poter realizzare in Algeria, e per la creazione di startup che le imprese italiane vorrebbero attivare sul territorio nordafricano. Infine altri protocolli riguardano i farmaci, la cooperazione scientifica, il marmo e la promozione del patrimonio culturale e del turismo, ma si tratta di accordi abbastanza generici. Per ciò che concerne l’energia e in particolare l’energia rinnovabile si prevedono le consultazioni bilaterali e la promozione di eventuali investimenti, ma niente di vincolante.

L’unico vero vincolo è l’incremento della fornitura di gas all’Italia cui si impegna il nostro Paese in cambio della progettazione della porta di ingresso in Unione europea del gas algerino. Queste ultime sono le parole dell’amministratore delegato della Sonatrach Toufik Hekkar (Redazione de Il sole 24 ore, 2022), che definiscono una strategia che sembra uscita dall’amministrazione di una multinazionale del petrolio degli anni Settanta. In estrema sintesi non si ha nessuna attenzione per la compatibilità ambientale, per il bene comune né per la sostenibilità del lavoro e del consumo consapevole. Si tratta in tutta evidenza di una manovra economica basata sullo sfruttamento di combustibili fossili, approfittando della contingenza della guerra in Ucraina e della sponsorizzazione dei governi che sostengono le imprese coinvolte.

Questo è un vincolo al quale l’Algeria è ben felice di sottoporsi in cambio di un mercato su cui vendere combustibili fossili, stante la profonda crisi economica che subisce ormai da oltre dieci anni, poiché, dopo le rivolte del 2011 e la pandemia, il Paese non si è mai effettivamente ripreso. Resta la lieve speranza che siano rispettati gli impegni dichiarati per gli investimenti in energie sostenibili ma l’impresa italiana e il governo algerino dovranno dimostrare, con una seria realizzazione di questi piani alternativi, di non essere interessati solamente alla rendita. Allo stato attuale se c’è un guadagno netto è quello dell’ENI che diviene azienda sempre più forte nello sfruttamento dei combustili fossili e se c’è una perdita altrettanto netta è quella della popolazione algerina, sempre più legata alle logiche di sfruttamento ambientale e sociale del proprio Paese e dipendente da una sostanziale politica post-coloniale.

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023 
Riferimenti bibliografici
Dominelli, C. (2023), “Bond Eni, richieste per 10 miliardi. Tasso annuo lordo fissato al 4,3%. Descalzi: «Successo straordinario»”, in Il sole 24 ore, 23 gennaio 2023, accessibile on-line a: https://www.ilsole24ore.com/art/da-oggi-bond-eni-i-risparmiatori-come-funziona-titolo-correlato-obiettivi-green-AEoeS8WC , ultimo accesso il 3 febbraio 2023.
Lebowich, A. (2015), “Deciphering Algeria, the stirrings of reform?”, in Policy brief, European Council on Foreign Relations, 1 dicembre 2015.
Redazione Algériepart, “Exclusif. Panique à la direction générale de Sonatrach: l’Algérie peine a honorer ses nouveaux engagements gaziers avec l’Italie”, in Algériepart 16 semmbre 2022, accessibile on-line a : https://www.algeriepart.com/exclusif-panique-a-la-direction-generale-de-sonatrach-lalgerie-peine-a-honorer-ses-nouveaux-engagements-gaziers-avec-litalie/  .
Redazione Il sole 24 ore (2022), “Italia-Algeria. Sottoscritti 15 accordi. Gas, contratto per 30 miliardi di metri cubi”, in Il sole 24 ore, 19 luglio 2022.
Zerrouki, H., Ghozlane, M. D., Estrada Lugo, H. D., e Patelli, E. (2023), “Workplace accident analysis in the Algerian oil and gas industry”, in Process safety progress, 17 gennaio 2023.

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Francesco Valacchi, vive a Livorno, laureato in Scienze strategiche a Torino e Studi internazionali a Pisa, si è poi dottorato in Scienze politiche/Geopolitica nel 2018. Si occupa di geopolitica, geoeconomia e International Political Economy con particolare riguardo all’area asiatica. Ha pubblicato una monografia dal titolo: Le Federally Administered Tribal Areas: Storia e futuro dell’estremismo islamico in Pakistan e Afghanistan; è collaboratore di riviste come “Affarinternazionali” e dell’Istituto di Alti studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, e della rivista RISE del Torino World Affairs Institute.

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