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Il Piano d’azione dell’UE per contrastare l’immigrazione nel Mediterraneo centrale: il calcio allo sgabello

 

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di Roberto Angrisani

L’Unione europea è attanagliata nella morsa della gestione miope del fenomeno migratorio. Le ultime misure adottate per “affrontare” la ripresa degli sbarchi nel Mediterraneo centroccidentale [1] mostrano quanto le istituzioni di Bruxelles abbiano poco appreso dalle lezioni del passato recente.

Non si tratta di persistere semplicemente in scelte poco efficaci, ma di serrare un cappio che oramai soffoca ogni possibile analisi ad ampio respiro del fenomeno migratorio ed impedisce di incanalarlo nell’alveo del pieno rispetto dei diritti fondamentali e dei valori sui cui i trattati UE affondano le loro radici.

Il Primo giro al cappio che l’UE metaforicamente mette a se stessa, è dovuto al divario tra l’attenzione mediatica sui temi dell’immigrazione – il cosiddetto effetto crisi – e il volume degli sbarchi effettivi. Se mettiamo a confronto i dati del Ministero degli interni riguardo il numero degli sbarchi di richiedenti asilo in Italia e le informazioni indicizzate da Google (articoli, video e post) riguardo l’emergenza migranti, ci si rende rapidamente conto che spesso le curve non coincidono.

Sebbene potremmo esser portati a pensare che tale trend abbia un impatto soprattutto sulla fascia meno istruita della popolazione, senza incidere in modo significativo sull’opinione pubblica complessiva, in realtà è esattamente l’opposto. La politica, soprattutto quella nazionale dei Paesi di sbarco come l’Italia [2], risente ai più alti livelli del dibattito dai toni sensazionalistici sul tema immigrazione. La legislazione emergenziale, fatta per decreto, infatti domina la materia creando non poche asimmetrie e conflitti con i principi generali della nostra comune Costituzione.

1L’Unione europea non è da meno. Da decenni ormai, la normativa comunitaria in materia di immigrazione non viene modificata se non con accordi informali temporanei e meccanismi volontari dettati dal susseguirsi delle emergenze. I mesi di ottobre e novembre del 2022 sono stati caratterizzati da alcuni casi eclatanti di navi di ONG [3] bloccate nei porti siciliani con il loro carico di migranti e dal parallelo braccio di ferro tra Francia e Italia in merito all’accoglienza. La risposta politica (e non normativa) non si è fatta attendere e la Commissione ha così proposto un piano in venti punti per affrontare il fenomeno dell’immigrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale [4]. Questa scelta di intervenire con nuove misure emergenziali, risulta dettata dalla pressione mediatica e dalla narrazione politica di alcuni Stati membri e non riflette in alcun modo le stime ufficiali fornite dalla stessa Commissione UE [5].

Nei primi mesi del 2022 sono arrivate in Europa circa 70 mila persone dalla rotta del Mediterraneo e 86 mila dalla rotta balcanica. Dei quasi 90 mila migranti sbarcati in Italia quest’anno, poco più del 15% è stato preso in carico dalle navi delle ONG, gli altri sono sbarcati autonomamente o soccorsi dalla Guardia Costiera. L’Italia, inoltre, risulta al 13° posto tra i Paesi dell’UE per numero di richiedenti asilo in rapporto alla popolazione. Infatti, nel 2021 il numero di richieste di asilo in Italia è stato 43.900, decisamente più basso che in Germania (148.200), Francia (103.800) e Spagna (62.100) [6]. Ciò dimostra tre cose: 1) che le ONG non sono il problema principale; 2) che la rotta del Mediterraneo centrale non è il canale privilegiato per i flussi migratori; ed infine 3) che l’Italia è lontana dall’essere “invasa” da cittadini stranieri irregolari. Pertanto, risulta più che legittimo porsi la questione dell’opportunità del varare misure europee meramente dettate sulla narrativa dei media e al sentimento contingente dell’opinione pubblica.

Il Secondo giro al cappio, è dovuto alla mancata analisi ponderata e strutturale delle ragioni del recente aumento degli sbarchi. Che gli ingressi irregolari siano aumentati nell’ultimo anno e soprattutto rispetto al 2018 è un dato di fatto.  Nel periodo gennaio-luglio 2022 ci sono stati infatti 153 900 attraversamenti illegali delle frontiere UE, ossia l’85% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Per comprendere tale fenomeno è necessario osservare l’evoluzione dei numeri negli ultimi dieci anni e prestare particolare attenzione al periodo 2017-2021.

2Due eventi chiave segnano un cambio di passo radicale nei flussi migratori. Nel febbraio 2017 l’Italia firma il memorandum con la Libia, accordo informale con il quale si forniscono mezzi e fondi alla sedicente guardia costiera libica al fine di bloccare le partenze ad ogni costo. L’Ue congratula l’Italia alla conferenza di Malta pochi mesi dopo e si attiva presso l’Organizzazione Marittima Internazionale (OMI) al fine di estendere la zona di pertinenza esclusiva per la ricerca e il soccorso delle acque territoriali libiche, ciò che permette di fatto alle autorità di Tripoli di intervenire, anche con la forza, per impedire a navi battenti bandiere estere di operare in buona parte del Mediterraneo centromeridionale.

Il secondo evento chiave da considerare è l’accordo (anch’esso informale, sottoforma di dichiarazione) tra UE e Turchia. Grazie a questo atto di realpolitik assai cinica, l’UE affida alla Turchia il compito di stoppare i flussi di siriani, afghani e iracheni che dalle coste turche transitano in Grecia. La contropartita è di una generosità senza precedenti. Ad oggi Erdogan ha incassato più di 6 miliardi di euro.

Questi elementi spiegano il calo drastico dei flussi registrato tra il 2017 ed il 2020. Ma lo schema del “more for more” è oramai chiaro a tutti i Paesi confinanti. Più si coopera al fine di bloccare i flussi, più si può aspirare a finanziamenti ed aiuti omnibus da parte dei Paesi dell’UE e della Commissione stessa. Tra febbraio e marzo 2020 Erdogan apre le proprie frontiere verso la Grecia per dimostrare la propria potenza negoziale ed ottenere una nuova tranche di finanziamenti. Ad Agadez, in pieno Niger dove l’UE investe da anni per bloccare la rotta del Sahara orientale, gruppi paramilitari si affrontano al fine di controllare i passaggi per poi ottenere sostegno economico ed apparecchiature biometriche di controllo delle frontiere. Esattamente un anno fa, nel novembre 2021 assistevamo allo spettacolo desolante di centinaia di migranti ammassati alle frontiere Bielorussia-Polonia. L’intento del governo di Minsk anche lì era sempre lo stesso: sedersi al tavolo con l’UE ed ottenere fondi per reprimere la migrazione.

Si parla spesso di push factor, con riferimento a ciò che spinge i migranti a partire o ancora di pull factor con riferimento a ciò che attira verso determinate rotte (spesso erroneamente si additano per questo proprio le ONG). Ciò che sembra determinante, invece, è il cash factor, ossia l’incentivo dato a i Paesi limitrofi per il loro ruolo di cane da guardia dei cancelli dell’UE.

Questo stringe ancor di più il cappio ad una UE che resta schiava di logiche tipiche dell’estorsione: tu non paghi, io apro i cancelli. E costringe a correre da un lato all’altro dell’area Schengen per “riparare le falle”. Infatti, una volta chiuse le vie della Turchia e della Libia, i flussi si sono riorientati verso la Tunisia, il Marocco, quindi la Spagna, l’Egitto e la rotta artica (passando per Bielorussia e Russia), a riprova del fatto che tali tentativi repressivi non contrasteranno mai abbastanza il desiderio di una vita migliore di milioni di persone in fuga da guerre e miserie.   

vecchia_europa_0417Il calcio allo sgabello

Il piano preparato dalla Commissione e approvato dal Consiglio europeo il 25 novembre 2022, sembra il colpo di grazia ad una UE vittima di una politica migratoria a forma di nodo scorsoio. Il testo si articola su tre assi principali: I. Il rafforzamento dei partenariati con i Paesi terzi; II. Un maggior coordinamento delle operazioni di ricerca soccorso in mare; III. Il potenziamento del meccanismo volontario di solidarietà proposto dalla Francia durante il suo turno di presidenza del Consiglio europeo il 22 giugno 2022.

L’esternalizzazione del controllo della migrazione risulta pertanto l’ingrediente principe di questa nuova, ma in realtà vecchia e scaduta, ricetta. Così facendo l’UE lega il proprio destino e il proprio equilibrio interno, quello che per molti sociologi potrebbe esser definita la pace sociale, alla buona volontà e agli incentivi economici degli Stati vicini da cui partono o transitano i migranti.

Nel testo del piano d’azione si parla chiaramente di rinforzare la cooperazione con Tunisia, Egitto e Libia al fine di esercitare un controllo “più’ efficace” delle frontiere. I punti 5 e 6 fanno poi riferimento all’ obiettivo di creare task forces congiunte, anche con il supporto di Frontex, al fine di facilitare i ritorni “volontari” in Libia delle persone irregolari espulse dal territorio UE. Tra le linee risulta invece impossibile ritrovare la benché minima traccia di riferimento all’applicazione dei diritti fondamentali delle persone migranti e alle norme del diritto internazionale umanitario che dovrebbero applicarsi in luoghi di conflitti.

migrantiLa freccia che recide la corda tesa

Proprio come in un racconto di altri tempi, l’UE avrebbe la possibilità di scoccare la freccia che recide la corda oramai troppo tesa e mettere in campo misure in grado di spezzare il giogo dell’esternalizzazione. Un legislatore (la commissione) ed un Parlamento illuminati potrebbero mettere in campo l’arma letale dell’apertura di vie legali per l’immigrazione e soprattutto, portare a termine le misure strutturali incompiute su questo tema. Ne citiamo per concludere tre:

  1. Dal meccanismo previsto dal regolamento di Dublino si potrebbe passare ad un sistema europeo unificato che gestisca in modo congiunto e coordinato sia il controllo delle frontiere che le operazioni di ricerca e soccorso in mare, cosi come le domande di asilo e la Protezione sussidiaria.
  2. Mettere fine una volta per tutti agli accordi informali con i Paesi terzi. Se tutti gli accordi con Paesi partner seguissero le forme previste dai trattati per gli accordi firmati dall’UE, ciò garantirebbe il controllo giurisdizionale della Corte di giustizia UE e maggiori garanzie e vie di ricorso per i singoli.
  3. Infine occorrerebbe una pianificazione su scala europea del fabbisogno di mano d’opera non qualificata per la sopravvivenza del mercato unico.

Ciò che i governi, soprattutto i più nazionalisti, omettono di dire è che senza l’immigrazione, nel 2019, la popolazione europea si sarebbe ridotta di mezzo milione, dato che quell’anno nell’UE sono nati 4,2 milioni di bambini e sono morte 4,7 milioni di persone. Nel 2020 la popolazione dell’UE si è ridotta di circa 100 mila persone (da 447,3 milioni di persone il 1º gennaio 2020 a 447,2 milioni il 1º gennaio 2021), a causa di una rovinosa combinazione di calo delle nascite, aumento dei decessi e diminuzione dell’immigrazione netta.

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
Note
[1] EU action plan for the Central Mediterraneam
[2] É importante ricordare la differenza tra Paese di sbarco o primo arrivo e Paese di destinazione. L’Italia, la Grecia e la Spagna, sebbene siano i principali porti di approdo sulla rotta del Mediterraneo centrale, restano prevalentemente Paesi di transito, essendo poi i Paesi dell’Europa centro-settentrionale le vere mete di chi migra dal continente africano o asiatico.
[3] Soprattutto la Ocean Vikings di SOS Mediterranée, la Geo Barents di MSF et la Humanity 1 di SOS Humanity.
[4]Comunicato stampa del 21 novembre 2022: Rotte migratorie: la Commissione propone un piano d’azione per il Mediterraneo centrale per poter affrontare sfide immediate  
[5] Statistiche sullimmigrazione in Europa
[6] PagellaPolitica.it, Quali Paesi europei accolgono più richiedenti asilo, 9 Novembre 2022.

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Roberto Angrisani, Consulente in protezione dei dati personali e diritti fondamentali per l’UE, é al contempo ricercatore universitario in diritto dell’Unione europea presso la cattedra Jean Monnet in integrazione europea all’Università Laval, il Centro di ricerca di diritto internazionale dell’Università di Montreal (CÉRIUM) e la facoltà di diritto dell’Università di Bordeaux (CREDI). Grazie alla sua tesi di dottorato sull’azione della Corte di giustizia UE per la protezione dei diritti fondamentali dei migranti, il governo federale Canadese gli ha riconosciuto la prestigiosa borsa di studio «Vanier Canada Graduate Scholarship» (CRSH), volta a premiare i progetti di ricerca nelle scienze umane ad alto impatto sociale. In precedenza, ha conseguito una laurea in giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli ed ha svolto la pratica forense come avvocato penalista presso il foro di Napoli. In Africa occidentale, ha lavorato come responsabile di progetti di cooperazione presso l’ambasciata italiana a Dakar nel 2011 e nel 2015. In parallelo ha contribuito a fondare l’organizzazione di cooperazione allo sviluppo associazione Progetto Senegal attiva dal 2006 nel campo della salute e dell’educazione.

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