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di Lorenzo Ingrasciotta
Cos’è il Portogallo se non una condizione dell’anima! Sospeso, perfettamente in equilibrio, fra la sofferente melodia del Fado e l’incalzante ritmo del Rock & Roll. Sempre deciso, fra il Bacalhau e la Francesinha.
Un ottimista signorotto di mezza età vestito di bianco: pantaloni, camicia, cappello e bianche anche le scarpe immacolate. Capelli lunghi e sempre tenuti indietro da troppa brillantina. Un po’ demodé. Solo, da poco, appena dismesso.
Come “la mezza età”: nessuno più usa questa definizione da quando siamo entrati nel terzo millennio! Eppure fiero della sua prestigiosa condizione, della sua straordinaria postazione geografica.
Affacciato al pronunciato balcone Manuelino del suo palazzo ancora molto ben conservato, guarda, con occhi severi e con una smorfia strafottente della bocca, la perfida linea retta che permette al cielo sconosciuto di baciare un Atlantico inaffidabile.
Orizzonte misterioso che nasconde le vestigia di un eroico passato travestito irrispettosamente da Nuovo Mondo.
Affacciato al suo balcone vista mare e dietro a lui il frastagliato sky-line di Porto, affollato da decine di snellissime gru che svettano nel cielo infuocato di uno speranzoso tramonto: il futuro promettente dell’Europa.
Andai la prima volta in Portogallo nel 1998. Lisbona sembrava stiracchiarsi dopo un lungo torpore. Nemmeno tanto preoccupata da un epico incendio che aveva cambiato il volto alle case del centro città.
Intanto, aveva ultimato il fantastico ponte di Vasco da Gama. Si apriva ai miei occhi, man mano che lo attraversavo in auto provenendo dalla Spagna, come carte da poker in mano ad un giocatore.
Architettura Moderna e design avanguardistico che conviveva serenamente con l’eterno rispetto per il Fado che faceva da colonna sonora alla vita dei capitolini. Erano comunque giorni in cui era ancora possibile incontrare un uomo in canottiera, sul marciapiede della Calçada de Estrela, schiacciato al muro di una vecchia casa al passaggio del mitico Elèctrico, mentre, con atavica sicurezza, continua ad occuparsi delle otto/dieci sardine che sfrigolano sulla graticola sopra la carbonella ardente.
Il fumo che profuma di pesce le strade di Lisbona era ancora una pittoresca caratteristica del quartiere de l’Alfama, oggi ripulito e colorato da tetti rossi su case esclusivamente bianche che restituiscono agli strettissimi vicoli in discesa, che dal Miradouro de Santa Luzia portano sino al mare, la luce brillante del sole e l’aria trasparente del vicino Atlantico.
La strada che portava al nord del Portogallo mi consigliava una sosta a Coimbra, città universitaria celebre anche fuori i confini nazionali. Silenziosa e grigia nel 1998, colorata solamente dai suoi preziosi Azuleio, oggi mi accoglie con una generosa vitalità che solo una rinnovata generazione di giovani sa dare tra una cattedrale Romanica e una moderna Taberna e un bicchiere di porto in mano.
Alla fine del secolo scorso tutto quello che c’era fra Lisbona e Porto non conosceva affatto il “turismo di massa”: Aveiro, Batalha, Peniche, Obidos, Alcobaça ed Evora non erano in nessuno dei programmi delle agenzie di viaggio.
Eccezion fatta per Fatima, oggi meta di innumerevoli gruppi che poco hanno a che fare con la religione, piuttosto rischiosissimo luogo di selvaggi assembramenti.
Nel 1998 Porto dormiva ancora. Si cullava sugli allori che il tempo passato le aveva regalato, rendendola famosa in tutto il mondo per il commercio dell’omonimo vino. Persino i ristoranti erano rimasti con l’arredo anonimo degli anni cinquanta.
Le proposte scarse e poco interessanti. Si, il bacalhao era onnipresente, come oggi d’altronde, ma con presentazioni poco appetibili e che certamente inibivano qualsiasi curiosità.
Oggi la città è irriconoscibile. Ha conservato il fascino della tradizione artistica, letteraria e gastronomica.
Ha trasformato, in questi ultimi vent’anni, tristissime piazze poco frequentate solo da anziani signori (maschi), in luoghi verdi che nascondono enormi e comodi parcheggi per auto sotto manti erbosi trasversalmente frequentati ed adoperati come comodi luoghi di lettura, attività ginniche, e riferimento per incontri fra persone di tutte le età.
Siamo di fronte alla Libreria Lello, forse la più bella del mondo. Antico e moderno si abbracciano e si fondono lasciando immutato il valore della storia e l’importanza di sentirsi già nel futuro. Un futuro che conserva memoria del passato.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
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Lorenzo Ingrasciotta, originario di Castelvetrano, inizia a fotografare con una reflex, a Palermo, appena iscritto all’Università. Appassionato di viaggi, fa il primo reportage in Thailandia; una delle foto parteciperà ad un concorso fotografico e vince il primo premio. Ha realizzato servizi pubblicitari ed è stato premiato con menzione al secondo concorso nazionale indetto dall’AGFA. Sue foto sono pubblicate su quotidiani e riviste.
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