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Il posto giusto. Dialogo sull’afrofobia

 

copertinadi Lisa Regina Nicoli

Usa, 25 maggio. Nel frammento video un po’ sgranato, George Floyd [1] è sdraiato sull’asfalto, si intravede il torace nudo mentre il resto del corpo è nascosto da una macchina. Il poliziotto tiene una mano in tasca e il ginocchio appoggiato sulla nuca dell’afro-americano. Che non respira.

L’immagine di Floyd mentre muore rimarrà una marca indelebile agli occhi della storia, non perché sia stata la più cruenta e nemmeno la più crudele, ma perché nei giorni successivi all’assassinio è emerso nitidamente che alcuni meccanismi sociali stavano bruscamente invertendo il senso di marcia.

Inghilterra, 7 giugno. Il ragazzo nella fotografia è giovanissimo, nero con i dread sottili annodati dietro la nuca. Ha una mascherina nera in viso, forse è il corona virus, forse la paura di essere arrestato. Le braccia sono lunghe e lucide, mentre rovescia la statua di Edward Colston nel fiume di Bristol, dall’altra parte del mondo rispetto a Minneapolis. L’icona di un filantropo, dice qualcuno. Di uno schiavista, dice la storia. Alla fine del 1600 Colston contribuì a deportare quasi 100 mila persone dalla Costa d’Oro [2] alle Americhe, parte dei proventi derivati dal commercio degli schiavizzati venne usato per finanziare progetti ospedalieri e scolastici per tutta l’Inghilterra e in particolare per la città di Bristol. “Eretta dai cittadini di Bristol in memoria di uno dei più stimati e saggi figli di questa città” 1895.

Edward Colston giace sul letto del fiume, tormentato dai suoi spettri, e io mi sento confusa. La reazione alla prima immagine è stata di tristezza, per la seconda invece ho sentito un tumulto nel cuore. Con il passare dei giorni però mi è sembrato che questo subbuglio non mi appartenesse pienamente e mi sono sentita tiepida, confusa rispetto al mio possibile ruolo in un conflitto del quale riconoscevo e condividevo le ragioni, ma allo stesso tempo percepivo, pur in modo sgradevole, le responsabilità anche personali.

«Starei quasi per arrivare alla spiacevole conclusione che nel cammino dei neri verso la libertà l’ostacolo maggiore non è l’aderente al “White CitizensCouncil”, o l’affiliato del Ku Klux Klan, bensì il bianco moderato, che ha a cuore l’“ordine” più della giustizia; che preferisce la pace negativa, ossia l’assenza di tensioni, a una pace positiva, ossia la presenza della giustizia; che dice sempre: “Sono d’accordo con voi per quanto riguarda gli obiettivi che vi prefiggete, ma non posso essere d’accordo con i vostri metodi di azione diretta”; che crede, nel suo paternalismo, di poter essere lui a determinare le scadenze della libertà di un altro; che vive secondo un concetto mitico del tempo e continua a consigliare ai neri di attendere “un momento più propizio”. La scarsa comprensione da parte di persone bendisposte è ben più frustrante dell’assoluta incomprensione mostrata da chi è maldisposto. L’accettazione tiepida sconcerta assai più del rifiuto secco»[3].

Pur essendo consapevole di vivere in una società razzista, non credo di aver mai compreso quanto io stessa ne fossi parte, ma il disagio di fronte all’evidenza che si trattasse di una lotta in cui avevo poco di mio da condividere l’ha reso chiaro. L’assassinio di Floyd ha segnato uno spartiacque importante tra la tolleranza nera e l’insinuazione del dubbio nel bianco.

Cosa significa essere neri oggi? ma soprattutto, nel mio caso, cosa significa essere bianchi in una società razzista? Cosa fare attivamente per condividere l’obbiettivo? Il problema grande del razzismo nel mondo è appunto il bianco tiepido, che di fatto non percepisce il problema, lo sminuisce, lo interpreta. E allora è necessario farselo spiegare da chi lo conosce bene perché lo vive tutti i giorni, riconoscere che il paradigma bianco e nero ha un aspetto valoriale nella nostra società e che l’uguaglianza rappresenta un falso obbiettivo. L’aspetto su cui ragionare è come ciascuno di noi viva all’interno di questa stessa società e quale sia la parte da svolgere per contrastare un razzismo che si è fatto furbo e si è mimetizzato nella costruzione istituzionale e culturale di molte delle nostre società. Peggio. Alberga dentro di noi che lo esercitiamo nel nostro linguaggio, nel luogo in cui costruiamo il pensiero.

Un bianco non può compiere questa operazione in autonomia, deve necessariamente permettere che a guidarlo sia qualcuno che ha maturato questa consapevolezza in una storia lunga più di cinquecento anni, un nero appunto.

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Simão Amista

Circa cinque anni fa mi trovavo in un bar del centro di Modena in zona Sant’Eufemia con alcuni amici, la tavolata vicino a noi era composta da un gruppo di giovani forse appena maggiorenni che bevevano e facevano chiasso. La cameriera, giovane e nera gli aveva appena servito la birra che avevano richiesto e mentre stava rientrando in cucina hanno intonato un coro per lei. «UH UHUH CAMERUN», mimando una scimmia.

Simo, uno degli amici seduto con me si è fermato. Gli ho chiesto di lasciare perdere, perché rischiavamo di rovinarci la serata, ma lui si è alzato dal tavolo, ha preso la sua sedia e trascinandola dallo schienale ha raggiunto il tavolo dei ragazzi e si è seduto a capotavola. Nel silenzio che improvvisamente è sceso nella stanza ha preso il bicchiere di birra che la cameriera aveva appena servito e l’ha bevuto, rimettendolo vuoto davanti al proprietario. Le scuse e le vergogna si sono profuse, ma in quel frangente, lui ha solo detto – che non ricapiti più.  E rimettendo a posto la sedia è tornato al suo posto.

Quella sera avevo sperato che lasciasse correre, oggi invece gli chiedo aiuto per fare sì che non ci siano più scuse per lasciare correre. Simão Amista è nero. Simão è antropologo ed educatore, un attivista panafricanista, sostenitore delle filosofie epistemologiche afrocentriche. Esperto di religioni afrobrasiliane e afrocaraibiche, da anni è impegnato nello studio e nella valorizzazione delle religioni tradizionali africane e afrodiscendenti. Ha fondato il KEMET CLUB, Associazione di promozione culturale finalizzata alla promozione e allo sviluppo di una corretta informazione sul continente africano.

In questi giorni mi sento fuori posto e ho difficoltà a scegliere il linguaggio con cui raccontare questi episodi, in generale sentiamo discutere molto sulle parole giuste da usare quando si parla di razzismo, di colore, neri, afrodiscendenti tu come ti definiresti?

«Io sono un italo afrobrasiliano, sono un attivista panafricanista, sostenitore delle filosofie epistemologiche afrocentriche».

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Omaggio a G. Floyd da Bansky

In pratica cosa fai?

«(ride) Mi impegno perché  la visione di Africa, anzi, delle Afriche, africani e afrodiscendenti cambi, sia agli occhi degli africani sia di chi africano non è. L’Africa negli anni è stata raccontata da persone che non l’hanno capita e che l’hanno interpretata con strumenti culturali eurocentrici che nel tentativo di trovare corrispondenze con canoni locali l’hanno etichettata non solo in modo errato, ma soprattutto degradante. Attraverso la colonizzazione questa visione dell’Africa è cresciuta anche nelle menti e nella visione di se stessi di alcuni africani e afrodiscendenti, in particolare nella diaspora. Questo ha fatto sì che l’inferiorizzazione e la disinformazione abbiano interessato e influenzato gli stessi discendenti che si sono allontanati dalla propria cultura e dalla propria spiritualità perché ritenute ora demoniache ora primitive causando un vero e proprio epistemicidio».

In queste settimane assistiamo scioccati a quanto sta accadendo negli Stati Uniti, all’omicidio di Floyd e alle proteste di massa che si stanno espandendo in tutto il mondo. Cosa pensi a riguardo?

«Will Smith [4] ha detto una cosa molto vera. Il razzismo e gli atti di razzismo non si sono incrementati negli ultimi anni, semplicemente ora è più facile che vengano registrati e quindi diffusi. Sicuramente avere sotto gli occhi quello che è accaduto a Floyd ha fatto scattare una molla a tutta la popolazione afrodiscendente e a tutto il resto del mondo. Da un lato, è positivo che questa tragedia abbia risvegliato in molte persone un sentimento attivo, dall’altro, bisogna essere consci del fatto che non tutti gli atti di razzismo vengono registrati e non ragionare solo per ciò che si vede ma soprattutto per ciò che resta invisibile. La speranza di tutti gli attivisti è che il caso di Floyd non sia un fuoco di paglia e che a seguito di questa grande risposta non si torni tutti a pensare di essere uguali e di vivere sulla stessa barca con le stesse possibilità».

Quindi non siamo tutti uguali? Aspirare all’uguaglianza è sbagliato?

«Dire che siamo tutti uguali sarebbe semplice. Se l’uomo fosse un animale come tutti gli altri questa domanda non avrebbe senso, la scienza ha già dimostrato molti anni fa che biologicamente siamo tutti uguali. Le razze che l’uomo ha creato – pur avendo inizialmente una pretesa scientifica – sono ‘razze’ sociali. Per questo non è tanto il quantitativo di melanina che si ha in corpo l’unico discrimine per subire il razzismo bensì l’afro-discendenza, e per afrodiscendenza intendo sub-sahariana. La dicotomia bianco-nero è stata creata dall’Occidente per creare classificazioni umane, con l’unico scopo di definire chi comanda e chi subisce.

Questo si rispecchia anche nelle diseguaglianze sociali odierne. Chi pensa di risolvere il problema ricordandoci che abbiamo tutti il sangue rosso, o che siamo fatti tutti di carne e ossa, è mosso da buoni sentimenti ma usa metodi inefficaci. Viviamo nel 2020, tutti sanno che gli uomini sono fatti della stessa materia, ma ciò non impedisce che il razzismo sia ancora vivo e vegeto. Finché non si guarderà al problema da un punto di vista sociale e strutturale nulla cambierà. Finché non si vorrà capire che se c’è una categoria di persone discriminate ve ne è un’altra che è privilegiata, nulla cambierà. Finché la “bianchezza”[5] (dall’inglese whiteness, in portoghese branquitude) non si guarderà come parte del problema, e quindi parte fondamentale della soluzione, saremo sempre tutti uguali, alcuni però, più uguali di altri.

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Pubblicità Pears Soap, XIX secolo

Alcuni dei privilegi a cui aspirano gli afro-discendenti, non sono neanche considerati tali da molti bianchi occidentali: girare per la strada senza vedere occhi preoccupati quando ci si avvicina ad altre persone, non ricevere commenti di vario tipo quando si portano i capelli in un modo che si discosta da quello che la bianchezza reputa adeguato, e questo può valere anche per i vestiti o accessori. Oppure la libertà di mettersi in coda per comprare un panino senza che le altre persone mettano una mano sulla tasca o sulla borsa, non essere esclusi ad un colloquio di lavoro solo per non avere un aspetto che rispecchia quello che è la normalità ecc.

A mio parere bisogna aspirare al rispetto della differenza, non all’uguaglianza; per quanto si vogliano le persone uguali (a chi?), ce ne saranno sempre alcune che appariranno diverse. Questa società ha bisogno di educarsi al rispetto delle diversità. Rispettare chi è uguale lo stanno già facendo tutti».

Perché l’omicidio di George Floyd è un atto razzista e non un “semplice” omicidio?

«È logico che si sia trattato di un abuso di potere e che la responsabilità non sia esclusivamente dei bianchi, dato che all’atto erano presenti un poliziotto di origine asiatica e uno di origine latina, ma proprio perché questo abuso di potere è l’ennesimo ai danni di un afro-americano fa capire come tutti, a prescindere dalla propria origine etnica siano immersi in una mentalità razzista afrofobica che progetta atti criminali come questo che hanno alla base il sistema razzista. Il modo in cui si tratta un arrestato o un fermato nero assume caratteristiche specifiche, in termini di trattamento, libero uso della violenza e timore delle conseguenze. Il meccanismo alla base della morte di Floyd è il pensiero che possa abusare di potere con più facilità nei confronti di una persona nera rispetto a una persona bianca senza temere conseguenze. Il sistema colloca la persona nera in un regime di maggiore sospettabilità e di conseguenza soggetto a misure restrittive maggiormente violente giustificate dalla percezione dell’aggressore. In poche parole, negli Stati Uniti hanno dimostrato che è pensabile aggredire e torturare, persino uccidere un nero senza temere conseguenze disciplinari, figuriamoci eventuali condanne».

Anche in Italia ci sono stati casi di giovani bianchi uccisi per abuso di potere, perché l’omicidio di Floyd è diverso?

«L’omicidio di Floyd va contestualizzato. In Italia la percentuale di afrodiscendenti è inferiore rispetto agli Stati Uniti, numericamente esigua per essere percepita come un pericolo. Il sistema reagisce quando si sente minacciato, quando percepisce una presenza numerica o una posizione sociale rilevante. L’abbiamo visto con la ex ministra Kyenge,[6] i sentimenti razzisti sono sopiti finchè il nero occupa una posizione accettabile. È difficile che la società offenda senza motivo la donna delle pulizie che pulisce l’ospedale o il nero che fa il netturbino. Ma se il nero occupa un posto che il sistema non prevede associabile alla sua identità, scatta il sistema sopito. La ministra Kyenge è stata insultata ancora prima che facesse o non facesse qualcosa per lo Stato. Solo ed esclusivamente per il suo aspetto, come lei altri esempi».

Quindi il razzismo è un prodotto socio-culturale specifico che possiamo ritenere essere presente in tutte le società?

«Assolutamente sì, il razzismo è stata la costruzione di un sistema gerarchizzante propedeutico alla realizzazione della schiavitù e del colonialismo, che sono state le basi del colonialismo economico e del capitalismo su cui l’Occidente ha costruito il suo benessere».

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La schiavitù è stato un abominio, ma sono passati secoli, è davvero così importante parlarne ancora?

«La schiavitù ha causato la più grande deportazione transoceanica della storia. Si stimano 10 milioni di persone in totale, di cui 4 milioni solo in Brasile. Questo numero, nella sua imprecisione al ribasso, data la mancanza di fonti certe, va moltiplicato per tutti gli afrodiscendenti nati nel contesto schiavista delle Americhe; considerando anche che alla fine della schiavitù ogni Paese di deportazione ha attuato un sistema economico e politico per mantenere marginale la posizione dei neri nella società, come segregazione, colorismo, impossibilità di accedere ai sistemi di istruzione scolastica, impossibilità di acquistare terreni, persecuzioni religiose. Alcune di queste pratiche razziste non erano esplicitate formalmente, ma sottointese e condivise a livello sociale. Tutto ciò continua ad avere conseguenze molto concrete ai giorni nostri e sono la ragione principale legata al fatto che la popolazione afrodiscendente sia la più vulnerabile, la più precaria a livello socio economico soprattutto con minori prospettive di crescita in società».

Il razzismo è un problema di colore o di discendenza?

«Ufficialmente è un problema legato all’essere neri, ma in realtà racchiude in sé una vera e propria afrofobia a 360 gradi».

Perché noi bianchi dovremmo essere afrofobici?

«Perché il sistema razzista si basa sull’inferiorizzazione della cosiddetta razza nera dove per nero si sottintende di origine africana, poiché ad esempio esistono Paesi asiatici dove le persone hanno un colore di pelle molto scuro ma non soffrono lo stesso tipo di discriminazione degli afrodiscendenti, ma anzi, spesso, dimostrano di avere atteggiamenti razzisti afrofobici nei confronti di chi è africano o di origine africana».

Piuttosto che razzismo si potrebbe parlare di discriminazione legata ad uno status sociale invece che al colore? Certamente un migrante o un richiedente asilo è più soggetto rispetto a te a possibili episodi di razzismo

«Lo status sociale non impedisce a nessuno di subìre razzismo. Ripeto, basti pensare alla Kyenge, o a Balotelli, oppure ancora allo stesso Obama [7] e Oprah Winfrey [8] negli Stati Uniti. Senza dubbio però può rendere più o meno vulnerabili a determinate situazioni. Quando un nero cammina per strada il primo aspetto che si nota è il suo essere nero, poi il suo essere individuo, nella visione comune il nero è la razza, il bianco è l’individuo. I bianchi non si relativizzano mai, bianco è generale, tutto il resto è più o meno diverso dall’essere bianco. Un nero può essere povero ed essere discriminato per lo status, può essere donna e vittima di femminicidio, può appartenere alla popolazione LGBT ed essere discriminato per il genere, crescere nel sud Italia ed essere discriminato per l’accento meridionale, ma tutte queste casistiche potrebbero essere oggetto anche di razzismo».

obamaNon è un’esagerazione? Ci sono delle situazioni lette come razziste che in realtà non lo sono e possono essere strumentalizzate?

«La società occidentale è impregnata di piccoli o grandi concetti di base razzista, in gergo si chiamano micro-aggressioni. Questo fa sì che molte espressioni o modi di ragionare siano entrati nel sistema comune di pensiero e si rendano invisibili. Le persone che li usano non si reputano razziste ma assumono involontariamente atteggiamenti o schemi di pensiero razzisti. Ad esempio, quando incontro qualcuno che si complimenta per la mia padronanza linguistica, o che si sorprende per il mio attivismo perché “non sono tanto nero” o ancora qualcuno che vuole toccarmi i capelli o dice che in vacanza era quasi diventato scuro come me. In sé per sé non sembrano frasi offensive, ma in realtà racchiudono uno stereotipo relativizzante e inferiorizzante. Anche nel nostro linguaggio comune abbiamo alcune terminologie profondamente razziste che passano inosservate, ad esempio il termine “zulu” per indicare chi adotta un comportamento incivile, o “mulatto” per indicare una persona mista, si tratta di un termine che deriva dal portoghese mula, mulo e sta ad indicare il fatto di essere meticcio tra due razze, quella dei cavalli e degli asini, che ricalcano la dicotomia bianco o nero [9]. Potete immaginare che se una persona dovesse scegliere un termine per definirsi non sceglierebbe mulo. Questo termine oggi viene usato sia dagli afrodiscendenti sia dai bianchi in modo superficiale, poiché molti non ne conoscono le origini, perpetrandone il significato dispregiativo».

Se non c’è intenzionalità si tratta di razzismo?

«Molti confondono il razzismo con l’atto razzista, Ma il razzismo non è solo l’atto in sé, il razzismo è il sistema a cui fanno capo tutti questi atteggiamenti, tutte queste nomenclature e tutta questa gerarchizzazione delle persone che legittimano o sminuiscono l’atto in sé. Quindi sì, è razzismo. Non è chi lo agisce che determina se un concetto sia razzista o meno, è soprattutto la percezione di chi lo subisce. Se io ti faccio il solletico e tu mi chiedi di smettere perché ti infastidisce e io ti dico che alla fine non ti ho fatto niente e che non può averti dato fastidio, chi è nella ragione, chi agisce l’atto o chi lo subisce?»

Le parole sono così importanti?

«Le parole sono molto importanti perché nominando qualcosa la si definisce; diventano ancora più importanti se le parole che si usano per definire una tipologia di persone vengono scelte da una società che li opprime. Usando termini dispregiativi si costruisce concretamente il disprezzo dentro e fuori da quelle comunità. Ci sono poi anche l’intersezionalità, definire una donna nera “panterona” è razzista e sessista».

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Jim Crow

Ti potrei rispondere che il razzismo non sembra essere esclusivo della dicotomia nero/bianco, esiste in tutte le società, anche in Italia c’è una lunga storia legata alle differenze tra nord e sud

«Più che razzismo, discriminazione e xenofobia [10] esistono in tutte le società. Nel corso dei decenni più o meno consapevolmente il razzismo ha assunto un significato vasto quanto fuorviante. Di questo passo chiameremo razzismo anche le dispute campaniliste tra Modena e Bologna. Molti parlano di razzismo nei confronti di minoranze, ma in questo caso è più corretto parlare di xenofobia. Il razzismo è un sistema capillare di gerarchizzazione piramidale costruito appositamente per annientare prima fisicamente, oggi culturalmente una tipologia di persone, gli africani e afrodiscendenti, allo scopo di avvantaggiarne un’altra, i bianchi occidentali, nella costruzione di quella che è stata una grande operazione socio-politica ed economica della storia del mondo che attraverso la schiavitù prima e la colonizzazione poi, ha posto le basi per il capitalismo moderno. La xenofobia fa parte degli esseri umani ed è presente in ogni gruppo di persone, negli asiatici, negli africani, negli europei, ma non è un sistema globalizzato come il razzismo, non tutti discriminano allo stesso modo e per le stesse ragioni, ad esempio, i meridionali italiani come dai settentrionali in Italia, mentre le ragioni per le quali un nero afrodiscendente subìsce razzismo in ogni parte del mondo hanno le stesse basi».

La società mondiale di oggi è mista, molti neri occupano posizioni di potere. Com’è possibile che sia in vigore il sistema di cui parli?

«Questo accade perché non ci sono più leggi razziste che impediscono agli afrodiscendenti di accedere a determinate posizioni socio-economiche, ma non si può ragionare sul singolo quando si parla di sistema. Il razzismo è strutturale, sistemico. Il sistema è ancora profondamente imbevuto di razzismo e fa sì che nei grandi numeri una fetta di popolazione rimanga relegata ad uno status basso senza avere la possibilità di migliorare la sua situazione. Gli afrodiscendenti, a causa del contesto storico, è evidente che partano in svantaggio sia sociale sia economico rispetto agli altri e questo crea un effetto a catena che ne rende impari le condizioni. Avendo meno possibilità o proprietà è più probabile una condizione economica svantaggiosa, che preclude la possibilità di accedere liberamente al sistema di formazione specializzato e quindi impedisce di ambire a posti di lavoro ben remunerati. Se andiamo a vedere statisticamente la distribuzione di ricchezza, il numero di persone che accedono ai più alti livelli di istruzione, lo status sociale ecc., ci rendiamo conto di quanto la situazione degli afrodiscendenti in tutto il globo sia estremamente insoddisfacente e questo a causa del contesto razzista che ne preclude le possibilità. Non esiste né parità né uguaglianza, anche se il fatto che il razzismo non sia più esplicito ma strutturato e istituzionalizzato non rende visibile questi meccanismi».

Cosa si intende per razzismo strutturale?

«Quando una persona pensa al razzismo spesso ha in mente una violenza diretta, oppure un’offesa o un gesto platealmente razzista. Una palese discriminazione. Questo porta spesso anche ad affrontare il tema in modo scorretto. Abbiamo visto spesso definire “folli” atti razzisti, attribuendo quindi un significato patologico alle persone che li agivano. Vedere il razzismo in questo modo lo dipinge come un’anomalia in un sistema altrimenti equo. Quando si parla invece di razzismo istituzionalizzato, strutturale ecc … si pone il presupposto che la norma sia quella di una società razzista; palesemente o velatamente, in modo orgoglioso o ipocrita. Il razzismo è strutturale in una società quando questa lo ha interiorizzato, anche senza rendersene conto. Quindi il razzismo diventa una forma sociale che regola le relazioni interpersonali, gli atteggiamenti e i comportamenti coscienti ed incoscienti. Quando quindi le discriminazioni sono generalizzate e senza confini, in campo economico, politico ed in tutti gli altri aspetti della società».

Come uscire da questo circolo vizioso se non se ne ha coscienza?

«Se non si è coscienti è impossibile. Il primo passo è riconoscere questi meccanismi e una modalità semplice è afrobetizzarsi, ossia conoscere l’oggetto del razzismo, africani e afrodiscendenti e delegare a loro la scelta di quali terminologie usare e di come sentono la presenza del razzismo nel loro Paese. Facciamo un esercizio, osserviamo quanti neri sono nostri colleghi di lavoro o di studio, quanti escono nella nostra comitiva, quanti ne conosciamo e chiediamoci il motivo. Cosa sappiamo del continente africano? Abbiamo mai letto autori africani? Abbiamo mai reagito apertamente ad una micro aggressione o ad un atto di razzismo o abbiamo preferito astenerci per non avere problemi? E se sei bianco, sei in grado di riconoscere il tuo privilegio?[11]

Quando si dibatte sul razzismo non stiamo parlando solo dei neri, ma di un sistema gerarchico e oppressivo tra razze sociali che necessariamente comprende oppresso tanto quanto oppressore. La lotta al razzismo senza il bianco è inutile quanto persa. Il razzismo non è stato inventato dai neri ed è fondamentale una partecipazione attiva e quotidiana di tutti nella sua decostruzione, partendo dal riconoscimento attivo del proprio posizionamento. Non è facile e neppure piacevole, ma è l’unico modo di affrontare il problema».

Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
 Note

[1] 25/05/2020 Minneapolis, Minnesota. Intorno alle 20.00 un negoziante chiede l’intervento di una pattuglia della polizia nei confronti dell’afro-americano George Floyd, accusato di avere utilizzato valuta contraffatta per pagare un pacchetto di sigarette. L’intervento degli agenti Thomas K. Lane, J. Alexander Kueng, Derek Michael Chauvin e Tou Thao che porterà alla morte dell’uomo circa 20 minuti dopo, è stata interamente filmata e diffusa dall’amico di Floyd che si trovava con lui al momento del fermo.
[2] Così veniva chiamata la lingua costiera tra gli odierni  Ghana e Nigeria da cui partivano le navi cariche di schiavi durante i secoli del commercio triangolare.
[3] M.L. King, Lettera dal carcere di Birmingham, 1963.
[4] Attore e produttore cinematografico statunitense.
[5] Per un primo approccio al concetto di bianchezza https://ilmanifesto.it/il-privilegio-della-whiteness/
[6] Per citare solo alcuni esempi.2013 – l’europarlamentare Borghezio durante un intervento alla trasmissione radiofonica La Zanzara aveva insultato la ministra, condannato in Cassazione https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/01/borghezio-diffamo-kyenge-motivazioni-della-sentenza-frasi-basate-sullidea-razzista-dellinferiorita-della-sua-cultura/3830852/
2013 – Golini (Forza Nuova) aveva affisso un manifesto invitando la ministra a tornare in Congo, condannato. https://www.ilrestodelcarlino.it/macerata/cronaca/kyenge-insulti-razzisti-golini-1.4546265
2013 – Calderoli aveva definito la Ministra “Orango”, condannato. https://www.modenaindiretta.it/insulti-razzisti-kyenge-calderoli-condannato-primo-grado-video/
[7]  Cito solo un esempio in cui nel 2014 il quotidiano belga “de morgen” ritrae Obama e la moglie con fattezze scimmiesche. Travolto dalle polemiche si giustifica con queste parole «Abbiamo dato per scontato che il razzismo non sia più accettato e quindi potesse essere oggetto di una vignetta. Eravamo ignari che negli Stati Uniti il paragone fra la gente di colore e le scimmie fosse ancora una pratica diffusa». https://www.repubblica.it/esteri/2014/03/24/foto/belgio_obama_e_michelle_come_scimmie_polemiche_sulla_caricatura-81798344/1/
[8]https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-09/oprah-winfrey-star-americana-183250.shtml?uuid=AbK25sLI
[9] http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/mulatto/
[10] Dal greco Xeno-Phobia, paura del diverso.
[11] https://meticciamente.wordpress.com/tag/privilegio-bianco/
 Riferimenti bibliografici
Aimé Césaire, Discorso sul colonialismo. Seguito da Discorso sulla negritudine, Ombre Corte, Verona, 2014.
Kennet Morgan, Edward Colston and Bristol, The Bristol branch of the historical association local history pamphlets, 1999.
Marco Valeri, Afrofobia Razzismi vecchi e nuovi, Fefè Editore, Roma, 2019.  The last 30 minutes of George Floyd’s life in BBC News 30/05/2020 consultato in data 12/06/2020https://www.bbc.com/news/world-us-canada-52861726
 George Floyd a Bristol abbattuta la statua di Edward Colston, trafficante di schiavi, Rai News 08/06/2020 consultato in data 9/06/2020https://www.rainews.it/dl/rainews/media/George-Floyd-a-Bristol-abbattuta-la-statua-di-Edward-Colston-trafficante-di-schiavi-d1b536df-8924-4e94-bda4-524138583e78.html#foto-1

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Lisa Regina Nicoli, antropologa e ricercatrice esperta di religioni afro-brasiliane e afro-caraibiche, si occupa dello studio delle culture e tradizioni di matrice africana, con focus specifico sulle religioni Vodoun. Da dieci anni si occupa di migrazioni internazionali, della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale e dei sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati.

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