di Antonio Di Natale
Un vecchio film dell’orrore si intitolava “A volte ritornano”. È la frase che mi è venuta in mente quando si è trattato di analizzare la nuova proposta del ponte sospeso. È la terza volta che mi accade di analizzare le proposte e ogni volta questo lavoro, fatto a titolo totalmente gratuito e, spero, nell’interesse del bene comune, si fa sempre più difficile, anche per il lievitare del numero di pagine da guardare.
Stavolta era anche più difficile del solito, perché non c’erano solo parti tecniche o scientifiche, ma anche un buon insieme di corbellerie, per le quali sarebbe talvolta utile identificare gli estensori per starne alla larga quanto più è possibile. Solo che, trattandosi di fondi pubblici, la situazione non è piacevole e occorre comunque esaminare tutto con cura, per poter proporre le osservazioni più pertinenti.
La domanda che molti mi fanno è probabilmente la stessa che molti lettori potrebbero farmi: perché preoccuparsi della parte marina, visto che il ponte è sospeso e non tocca l’acqua? Occorre partire dal presupposto che la vita marina è come è perché il mare è sotto il cielo e ne segue i ritmi, da tanti punti di vista.
Le biocenosi dei fondali, tutte, a qualunque profondità, si sono sviluppate e adattate alle varie condizioni ambientali e di luce, stabilendo un equilibrio dinamico tra le specie, che cambia quando ci sono elementi perturbanti. Lo Stretto di Messina, nell’area dove sarebbe prevista la realizzazione del ponte, ha una quantità di diverse biocenosi sul fondo, tra le quali alcune sono particolarmente preziose.
Tra queste, molto peculiari sono i fondali a Laminariales, alghe di grandi dimensioni che hanno una prevalente distribuzione atlantica. Nello Stretto ci sono specie costiere, soprattutto nell’area di Villa San Giovanni, e specie più profonde. Le specie costiere vivono proprio perché ci sono certe condizioni di luce che sono indispensabili per la loro vita, ma così accade anche per la grande specie profonda, la Laminaria ochroleuca, che può raggiungere e superare i 14 mt. di altezza, formando vere e proprie foreste subacquee. Queste alghe sono relitti di epoche fredde, presenti solo in tre siti del Mediterraneo. Un ponte sospeso di quelle dimensioni (oltre 3 km di lunghezza e 60 m di larghezza) creerebbe un’ombra che altererebbe in modo sostanziale la disponibilità della luce, non permettendo più la vita di queste specie nell’area interessata.
Ma l’area sottomarina della zona ha anche un’altra biocenosi particolarmente preziosa: sono i fondali a idrocoralli, caratterizzati prevalentemente da una specie che sembra un corallo di un delicato colore avorio, la Errina aspera. Questa specie vive insieme a numerose altre specie, tutte molto peculiari come il dente di cane gigante, piccolissime ofiure e minuscoli granchi pelosi, vari vermetidi e un piccolissimo cipreide rosa, la Pedicularia sicula, in un’area caratterizzata da correnti molto rapide, su guglie concrezionate che hanno il loro apice a circa 92 mt. di profondità, che formano la cosiddetta “sella” dello Stretto. Sono biocenosi di ambienti estremi, che rappresentano un ambiente che è lì dal periodo interglaciale Riss-Wurm, veri e propri fossili viventi. La loro vita è condizionata sia dalle forti correnti ascendenti e discendenti, che creano rivoli velocissimi tra le guglie, che dalla poca luce che filtra a quelle profondità. Se quella poca luce venisse a mancare, questi ambienti preziosi scomparirebbero per sempre.
Un ponte sospeso ha anche altri effetti sulla vita nelle acque, ai quali solitamente non pensa nessuno, perché occorre una visione scientifica ampia per comprenderli. Uno è il cosiddetto “effetto FAD”, cioè l’effetto che trasforma un ponte in un enorme strumento di aggregazione di specie ittiche. In Sicilia, da tanti secoli, i pescatori utilizzano i “cannizzi”, piccoli ciuffi di fronde di palma legati a una sagola, trattenuti in prossimità della superficie con un galleggiante e bloccati in basso da un peso a fine sagola. Questi marchingegni servono a concentrare sotto di essi alcune specie di pesci (lampughe, pesci pilota, giovani tonni e altre) che hanno un comportamento scientificamente chiamato “fototropismo negativo”, cioè si aggregano nelle zone d’ombra.
Un ponte di quelle dimensioni, con la sua grande ombra variabile diurna, costituirebbe un gigantesco strumento di aggregazione, che farebbe interrompere alle varie specie la propria regolare migrazione, portandole a fermarsi nella zona d’ombra. Sono alterazioni pesanti dei comportamenti normali, quando avvengono lungo rotte di migrazione primarie. Inoltre, questo esporrebbe le specie coinvolte a predazioni anomale da parte dei pescatori, che potrebbero incidere sull’abbondanza delle specie stesse.
Un effetto uguale e contrario si avrebbe durante la notte, quando le luci che inevitabilmente dovrebbero illuminare il tracciato del ponte avrebbero effetti sul mare sottostante. In questo caso si raggrupperebbero tutti quegli organismi che hanno un “fototropismo positivo”, cioè che si avvicinano alle fonti luminose. Ce ne sono tante: i pesci volanti, le aguglie, le costardelle, le acciughe, le sardine, i totani e varie altre. Anche in questo caso, vengono alterati i comportamenti normali e si rendono queste specie più vulnerabili all’azione dei pescatori. Sembrano fatti quasi minori, ma non lo sono quando questi effetti avvengono ogni giorno dell’anno, anche perché sono in grado di alterare le normali catene alimentari marine, con effetti a cascata.
Poi ci sono anche degli altri effetti, causati dalla fisicità del ponte sospeso, che certamente creerebbe problemi ai Cetacei, organismi dalla psicologia complessa e sofisticata. Questo effetto viene chiamato dagli specialisti “gate effect” (effetto cancello). Per motivi che non ci sono noti, i Cetacei hanno una paura folle di qualunque struttura sospesa sull’acqua, anche se non pone alcun ostacolo fisico al loro passaggio al di sotto. È qualcosa che è molto conosciuta negli acquari e negli oceanari dove si mantengono i Cetacei: spesso occorrono oltre due anni per tentare di convincere un delfino a passare sotto un passaggio dove ci sia una parte rigida in alto. Lo si fa anche utilizzando incentivi positivi (cioè offrendo il cibo dall’altra parte del passaggio) ma, malgrado non ci sia alcun ostacolo fisico, occorrono sempre non meno di due anni per convincerlo che non ci siano pericoli di sorta. Immaginiamo questa situazione con una struttura sospesa enorme, che incombe sul mare lungo una delle principali rotte di migrazione dei cetacei dell’intero Mediterraneo, dove passano stenelle striate, delfini comuni, tursiopi, grampi, globicefali, zifi, pseudorche, orche, capodogli, balenottere comuni e balenottere minori, ma forse anche altre specie più rare. Questi grandi migratori si fermerebbero e probabilmente prenderebbero altre strade.
Non sono ipotesi, sono fatti verificabili. Il grande ponte tra la Svezia e la Danimarca, per il quale nessuno aveva pensato a questo problema, ha di fatto causato l’isolamento per oltre due anni della popolazione di focene del Baltico da quelle del Mare del Nord (con le quali gli interscambi erano frequenti). Poi, alcune focene hanno usufruito del passaggio tra un’isola artificiale e la terraferma, laddove il ponte si trasformava in tunnel sottomarino, e vincendo la paura del rumore del tunnel sono riuscite a passare da un lato all’altro. I tecnici del Ponte hanno suggerito una soluzione: mettere sui due versanti imbarcazioni che dessero incentivi positivi al passaggio dei cetacei: credo che questa proposta si qualifichi da sola. Riuscite a immaginarvi qualcuno che, con uno sgombro in mano, tenti di convincere un gruppo di delfini a passare sotto il ponte, tutto il giorno e tutti i giorni? Sembra una facezia, ma nel progetto è scritto chiaramente.
Ci sono altri fatti che occorre considerare: la costruzione di questa enorme infrastruttura richiede lavori marittimi per anni, con presenza continua di vari mezzi nautici proprio nel punto più stretto dell’area. Significherebbe avere un rumore subacqueo rilevante, praticamente tutti i giorni. Cosa accadrebbe alle tante specie migratrici che devono attraversare l’area? Riuscirebbero a farlo lo stesso o si allontanerebbero spaventate? Ragionevolmente, la seconda ipotesi è più probabile. E questo è un rischio non considerato.
Poi ci sono le cose che non sappiamo: cosa accadrebbe ai grandi pesci pelagici migratori (tonni, pesci spada, alalunghe, pesci luna, squali), che utilizzano lo Stretto per spostarsi stagionalmente da un bacino all’altro del Mediterraneo? Avrebbero problemi a passare sotto l’ombra del ponte e altererebbero le loro migrazioni o continuerebbero la rotta? Sono domande per le quali non abbiamo risposte, ma il potenziale rischio (anche economico) è elevato.
Infine, per costruire un ponte sospeso di quelle dimensioni, occorre portare una quantità di materiale e, per farlo, servono approdi in prossimità. Da progetto, occorrerà costruire una decina di moli lungo le coste più prossime al ponte. I documenti del progetto non erano neanche in grado di definire esattamente dove sarebbero stati costruiti i vari moli e su quale fondale, rimandavano tutto questo a fasi successive, ma per ogni molo è necessario verificare l’impatto ambientale (fisico, acustico e biologico), sia sulle biocenosi costiere che sul regime dei sedimenti costieri, e di tutto questo non c’è nulla.
Ma quest’opera ha una quantità di altri problemi, che non riguardano il mare e dei quali si sono occupati vari altri colleghi. In base a quella che è una consapevolezza più che una opinione, questa è un’opera che non regge da nessun punto di vista, incluso quello economico. Ma, come avrebbe detto il vecchio filosofo Seneca, basta capire “cui prodest?” E, certamente, non è un’opera che serva al bene comune!
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
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Antonio Di Natale, taorminese, biologo subacqueo ed ecologo marino, è un esperto di gestione delle risorse marine, di riserve marine, di grandi specie migratrici e di normative internazionali nel settore dell’oceano. Ha insegnato in diverse Università italiane e straniere e ha lavorato con le maggiori istituzioni sovranazionali. È stato per 11 anni vice-presidente dello STECF della Commissione Europea, per 8 anni responsabile della ricerca sul tonno all’ICCAT e ha diretto numerosi progetti internazionali. Sinora, ha lavorato in 72 Paesi, è autore di 360 pubblicazioni scientifiche, un centinaio di rapporti tecnici e diversi libri, tra cui la monumentale “Bibliografia Italiana Annotata sui Tunnidi e gli Istioforidi”, considerata dall’UNESCO il più alto contributo in materia a livello mondiale. È membro di varie Accademie in Italia e all’estero ed è stato insignito di diverse onorificenze; è stato tra i fondatori di alcune società scientifiche di prestigio. Attualmente fa parte di tre gruppi di esperti dell’ONU, è coordinating author del capitolo “Scientific Understanding of the Ocean” del World Ocean Assessment dell’ONU e ricopre numerosi incarichi in vari enti. È ministro del Mare del Garbage Patch State e Segretario Generale della Fondazione Acquario di Genova.
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