Il concetto di natura nelle opere verghiane e, in modo particolare, nei Malavoglia è nettamente scisso dalla cornice paesaggistica: la prima si caratterizza per dinamicità e forza motrice che influiscono sull’azione psicologica dei personaggi, mentre il paesaggio è connotato maggiormente in ottica suggestiva e lirica ovvero «un’intenzione espressiva concernente il particolare»[1] che condensa a pieno il dramma dell’esistenza umana, inficiando ogni ulteriore descrizione. Il modello più esemplificativo si trova in un dialogo, tratto dal romanzo, fra Barabba e il figlio di Bastianazzo: «Lo vedi dove si è persa la Provvidenza con tuo padre? – disse Barabba; – laggiù al Capo, dove c’è l’occhio del sole su quelle case bianche, e il mare sembra tutto d’oro» [2]. I colori bianco e oro e la luminosità dell’occhio solare sono una fotografia perfetta di un ricordo tragico, della sofferenza, muta e profonda, di un figlio che ha perduto il padre e della rassegnazione che questa condizione ineluttabile comporta.
Un tale periodare, volutamente sinfonico, non può che diffondere un’eco nostalgica e malinconica [3]. Il paesaggio contemplato è volto ad integrare, dunque, un contesto in parte definito con altri tratti e si configura come «il vagheggiamento tanto più struggente quanto più privo di speranza di quel mondo, luogo ideale degli affetti e della memoria che si visualizzano in un paesaggio filtrato e sfumato dalla nostalgia» [4]. Dunque, Verga ha istituito un codice paesaggistico nuovo e innovativo, da intendersi come «superamento della descrizione paesistica come adeguazione analogica delle cose» [5]: bisogna osservare il paesaggio come qualcosa di lontano, remoto ed astratto così da carpirne la quintessenza [6].
La relazione dell’io con l’ambiente può assumere, in questo senso, un risvolto romantico-regressivo poiché privilegia una geografia appartata delle zone d’Italia trascurate come la Sicilia di fine Ottocento, secondo la teoria della paesologia, «in cui i sentimenti elegiaci e lo spirito di dissidenza si incontrano» [7]. I paesaggi del romanzo, di conseguenza, «nascono dalla rimembranza e dalla nostalgia [...] segnati dalla presenza di miti e di tradizioni e di antiche pratiche popolari del costume, in piena consapevolezza del valore delle profonde radici etniche della realtà regionale» [8].
Geograficamente l’ambiente descritto nei Malavoglia è la parte della Sicilia che si dipana fra il mar Ionio e le piane catanesi, una porzione di territorio che acquisisce un valore prettamente morale: la famiglia Toscano e i compaesani appaiono, infatti, inchiodati in questo contesto naturale col quale ingaggiano una lotta continua e quotidiana. L’autore non si sofferma tanto sulle coordinate geografiche quanto sugli elementi naturali del villaggio senza precisazioni di carattere storico o sociale: i luoghi e i personaggi creano una sorta di microcosmo arcaico ed ancestrale che oltrepassa il contesto strettamente siciliano per innalzarsi a orizzonte universale [9].
Nella forma mentis dei protagonisti è un imperativo morale ingaggiare una lotta con la natura per sottrarsi ad un destino di miseria [10]: un tentativo di contrastare le avversità consiste anche nel dare spiegazioni razionali a eventi naturali, appellandosi, ad esempio, alla provvidenza divina ed esprimendo queste credenze in modi di dire e proverbi che avvallano l’esigenza dell’uomo di semantizzare qualunque cosa gli accada, appannaggio di un background culturale popolare intrinsecamente superstizioso [11]. Ogni elemento trova la propria collocazione all’interno di una sfera magico-religiosa che permette di mettere un freno alle frustrazioni e alle angosce, creando opportunità di sodalizi e condivisione di ideali [12].
La mancanza di piogge, per esempio, è imputata all’invenzione del telegrafo: «Non piove più perché hanno messo quel maledetto filo del telegrafo, che si tira via tutta la pioggia e se la porta via» [13] e la scarsità di pesci nelle acque sarebbe causata dalle traversate dei nuovi vaporetti il cui rumore spaventerebbe gli animali facendoli allontanare dalle coste: «Sono quei maledetti vapori che vanno e vengono, e battono l‘acqua colle loro ruote. I pesci si spaventano e non si fanno più vedere» [14]. Il mondo in cui si muovono i personaggi verghiani è, infatti, estremamente legato alle condizioni climatiche dalle quali dipendono le sorti della pesca e del raccolto [15]: le influenze della natura sulla vita del paese sono, dunque, evidenti e soprattutto complesse.
Aci Trezza appare sospesa fra due poli dell’ambiente circostante, il mare e la sciara, «forze possenti di vita, strumenti di un destino che si doveva compiere per intero» [16]: il primo, quasi antropomorfizzato, può dare la vita grazie alla pesca ma anche la morte, la seconda, invece, è desertica, piena di burroni e priva di forme di vita al di fuori della ginestra. Da qui già si evince come la natura assuma una doppia fisionomia ovvero dispensatrice di vita ma anche nemica, due differenti aspetti della medesima realtà in cui i personaggi abitano [17]: la dicotomia venutasi a delineare non è tanto una scelta deliberata da parte dell’autore bensì l’intima necessità di suscitare un conflitto fra l’impassibilità della natura e le forze etiche e sentimentali degli uomini [18].
I Malavoglia devono fronteggiare il mare e la sciara che si tramutano in strumenti del fato per autodeterminare la propria esistenza e, dunque, sopravvivere [19]. Mediante la lotta di una singola famiglia «il dramma dei Malavoglia prende le risonanze di dramma universale» [20]. Sopravvivere è estremamente difficile e a poco giovano gli sforzi di uomini e donne per non soccombere, di fronte alla forza impetuosa della natura; ma dentro questa cornice riuscire anche solo nell’intento di rendere la vita un tripudio di forza è la condizione per sopportare l’esistenza, farsene carico e vincerla [21]. Il mare e la sciara sono al centro dei tre momenti cardinali dell’opera ovvero la rovina economica, il tentato riscatto e la sconfitta morale.
La prima lotta è quella contro il mare ovvero quando la famiglia tenta la grande vendita del carico di lupini: questo episodio è un chiaro esempio della capacità umana di sfruttare la natura a proprio vantaggio (economico), capacità che, però, si rivela assai limitata in quanto la natura sconvolge repentinamente lo status di calma e il mare, distributore di ricchezza, inizia ad agitarsi con l’alzarsi del vento, preludio di una sventura che si consuma per volere di una natura malevola e personificata: il vento diviene il diavolo ed il mare è paragonato a un dio mutevole e noncurante che si diverte a cambiare il corso degli eventi [22]. Sempre la distesa marina è protagonista del secondo importante momento del romanzo ossia il tentativo di riscatto economico: «è sul mare che i Malavoglia vanno a conquistare le quaranta onze di Zio Crocifisso e la casa del nespolo. Ed è sul mare che essi subiscono una seconda sconfitta» [23].
Ancora una volta la famiglia soccombe dinanzi alle forze del «mostro dai cento colori e dai mille occhi» [24]. Sarà, poi, Alessi a tentare di risalire, ancora una volta, la china tornando tra le onde poiché, come il nonno, la sua volontà di lotta è integra. Al centro dell’atto decisivo della sconfitta morale, infine, si trova la sciara che, imprigionando ’Ntoni nel suo fitto buio, gli impedisce la fuga[25].
In generale la concezione che Verga ha della natura all’interno dei Malavoglia è, dunque, negativa, paragonabile alla matrigna leopardiana che osserva minacciosamente, tradisce, inganna e sembra voglia ‘mangiarsi’ gli uomini: il rapporto con l’uomo, conseguentemente, è spesso ostile e frustrante [26]. Dopo questo romanzo sarà sempre più difficile riscontrare in Verga un legame diretto e privo di intermediazioni fra uomo e ambiente circostante [27].
Come è noto, uno dei significati fondamentali che l’ecologia ha assunto nel corso della seconda metà del Novecento riguarda la trasformazione del paesaggio per mano dell’uomo ovvero l’insieme delle attività umane che hanno modificato il territorio naturale: in campo letterario questo specifico campo di analisi si configura come ecocritica la quale si addice in maniera particolare alla cosiddetta letteratura industriale di Pasolini o Calvino. Delle pionieristiche tracce si possono, però, intravedere molto chiaramente anche nei Malavoglia di Verga. Si è già più volte ricordato come nel rapporto con la natura sia evidente l’abitudine (popolare) dell’uomo di imputare alle invenzioni della modernità come il vaporetto e il telegrafo una serie di problematiche climatiche e ambientali. Dal momento che la natura non è un monumento immobile ma un’entità in continuo divenire, una rappresentazione idealizzata di essa è, ormai, anacronistica ed inattuabile a causa della fiumana del progresso.
La prospettiva ecologica della narrazione oscilla, dunque, fra aspirazione e frustrazione. Lo sguardo ecologico di Verga, in questo senso, cattura e descrive la relazione e l’intarsio fra gli abitanti di Aci Trezza e la modernizzazione della loro umwelt mediante l’elaborazione di una tecnica narrativa embedded ovvero incarnata nel contesto. Questa modalità narrativa che coinvolge una serie di elementi diversi come agenti di natura, persone e fenomeni si addice perfettamente al concetto di ipercausalità di Scaffai che teorizza quanto l’uomo sia parte integrante dell’ambiente in cui abita [28]. Le sezioni dei Malavoglia in cui è maggiormente presente la prospettiva storica e i suoi risvolti sull’umwelt di Aci Trezza descrivono una serie di esperienze concernenti un’intera collettività che, dunque, sono vissute entro una tela di corrispondenze. L’ecocritica sottende un genere letterario chiamato nature writing o environmental literature che si prefigge l’obiettivo di evidenziare le problematiche del rapporto uomo-natura [29]: nel romanzo verghiano quest’intento si traduce nel cercare di esprimere l’influenza delle tematiche sociopolitiche emergenti nell’ambiente circostante.
È fondamentale, poi, ricordare che l’ecocritica mette in luce come i vari fenomeni vadano disaminati nelle loro sfere locali e non globali: nei Malavoglia si trattano, infatti, gli sconvolgimenti che la modernità ha avuto non in una metropoli bensì in un paesino della remota Sicilia. Quando su quest’ultimo irrompe la prospettiva storica moderna ovvero l’Unità d’Italia (che allontana tanti ragazzi dalle loro famiglie per prestare servizio di leva) e soprattutto la Rivoluzione Industriale che modifica l’ambiente circostante, l’equilibrio che vigeva nella umwelt viene stravolto in un modo completamente sui generis che non si sarebbe verificato in altre zone della Penisola.
La trasformazione dell’idillio in crisi determina, quindi, il passaggio dalla sintonia a una condizione di alienazione e conflitto [30]. L’invenzione dei nuovi vaporetti, ad esempio, ha alterato l’intero status dell’umwelt di Aci Trezza poiché ha investito non solo l’ordine dell’uomo ma anche quello delle altre specie viventi come i pesci. In quel momento l’uomo ha preso consapevolezza dell’ambiente, riflettendo su alcuni nessi a cui prima non faceva caso poiché li dava per scontati: guardando la realtà sotto un’altra luce i paesani hanno notato come gli innesti della modernità abbiano improvvisamente reso ignote delle cose che fino a poco prima erano familiari. In questo senso è adoperata la tecnica dello straniamento che rende qualcosa di conosciuto (il mare, l’attività della pesca) quasi sconosciuto poiché la prospettiva, e conseguentemente la percezione, hanno subìto un notevole mutamento le cui conseguenze hanno bisogno di tempo per essere interiorizzate e metabolizzate.
Lo sguardo straniato di Verga consente di percepire la natura come un’entità subordinata a incessanti cambiamenti e degradi di cui l’uomo non è solo spettatore ma attore perché, in fondo, non è vittima del progresso bensì artefice. Il placetelling nei Malavoglia ovvero quella declinazione specifica dello storytelling che si focalizza sulla narrazione dei luoghi e ne avvalla la semantizzazione passa soprattutto attraverso la descrizione dei paesaggi: infatti essi si configurano come la rappresentazione dello spazio osservato, non dello spazio in sé, e le caratteristiche sono descritte secondo il punto di vista dell’individuo che lo sta osservando in quel momento.
Oltre il paesaggio fisico, dunque, una delle componenti ambientali che rientrano nel romanzo è, come teorizzato da Buell, il paesaggio implicito dell’autore che si può ricostruire sulla base delle sue vicende personali ovvero il suo legame col luogo descritto e l’atteggiamento che mostra verso di esso [31]: nel caso dei Malavoglia la tendenza è migratoria e diasporica. Secondariamente, un’altra categoria ambientale che s’interseca con le maglie narrative del romanzo è la forma culturale che sottende il testo cioè la presenza di misticità legata ad un ambiente rurale e contadino [32] visibile nei retaggi culturali degli abitanti di Aci Trezza.
Sulla base di queste considerazioni è possibile, dunque, sostenere che il romanzo appartenga ad una teoria antropocentrica dell’ecologia chiamata “della frontiera” (o scialuppa di salvataggio), postulata da Bondi: questo filone dell’ecologia è, infatti, particolarmente adatto ai Malavoglia anzitutto perché si definisce come una pre-ecologia e, dunque, rispetta la finestra temporale in cui il romanzo è stato composto quando le teorie propriamente ecologiche non esistevano ancora, e, secondariamente, perché è una teoria di stampo utilitaristico dominata dalla legge della sopravvivenza e dal darwinismo sociale che si sposano in toto con la concezione verghiana dell’esistenza umana: la natura viene, infatti, etichettata come ostacolo da superare che si frappone fra l’uomo e i suoi obiettivi, una nemica che «viene così ridotta semplicisticamente a un deposito di risorse da sfruttare a proprio piacimento» [33].
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] G. SINICROPI, La Natura nelle Opere di Giovanni Verga, «Italica», 37, 2 (1960): 89-108: 89.
[2] G. VERGA, I Malavoglia, Sesto San Giovanni, Peruzzo 1985: 54.
[3] S. CAMPAILLA, Anatomie verghiane, Bologna, Patron 1978: 272.
[4] G. P. MARCHI, Concordanze verghiane: cinque studi con un’appendice di scritti rari, Verona, Fiorini 1969: 157-158.
[5] S. ROMAGNOLI, Spazio pittorico e spazio letterario da Parini a Gadda, in Storia d’Italia. Il paesaggio, C. De Seta (a cura di), Torino, Einaudi 1982: 429-559: 509.
[6] D. MARCHESE, La poetica del paesaggio nelle Novelle rusticane di Giovanni Verga, Acireale, Bonanno 2009: 64.
[7] N. SCAFFAI, Letteratura ed ecologia: questioni e prospettive, in Natura Società Letteratura, Atti del XXII Congresso dell’ADI – Associazione degli Italianisti, a c. di A. Campana, F. Giunta, Bologna, 13-15 settembre 2018, Roma, Adi editore 2020: 2-12: 9.
[8] ROMAGNOLI, Spazio pittorico e spazio letterario cit.: 504.
[9] S. ZAPPULLA MUSCARÀ, Invito alla lettura di Giovanni Verga, Milano, Mursia 1984: 126.
[10] SINICROPI, La Natura nelle Opere cit.: 92.
[11] A. J. DE VITO, Disasters and Disease in the Work of Giovanni Verga, «Italica», 46, 3 (1969): 279-291: 290.
[12] L. GIANCRISTOFARO, Il segno dei Vinti. Lettura antropologica dell’opera di Verga, Lanciano, Carabba 2005: 29-30.
[13] VERGA, I Malavoglia cit.: 38.
[14] Ivi: 23.
[15] A. J. DE VITO, The struggle for existence in the work of Giovanni Verga, «Italica», XVII (1941): 179-185: 180-181.
[16] SINICROPI, La Natura nelle Opere cit.:101.
[17] Ivi: 106.
[18] Ivi: 106-107.
[19] Ivi: 98.
[20] Ivi: 101.
[21] A. G. BIUSO, Verga, la letteratura come antropologia, «Dialoghi Mediterranei», 54 (2022): 151-157: 156.
[22] G. OLIVA (a cura di), Animali e metafore zoomorfe in Verga, Roma, Bulzoni 1999: 112.
[23] SINICROPI, La Natura nelle Opere cit.: 100.
[24] Ibid.
[25] Ibid.
[26] MARCHESE, La poetica del paesaggio cit.: 165.
[27] R. LUPERINI, Verga o il viaggio impossibile, «Belfagor», 44, 4 (1989): 365-378: 369.
[28] N. SCAFFAI, Letteratura e ecologia, Roma, Carocci 2018: 34.
[29] S. IOVINO, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Milano, Edizioni Ambiente 2006: 18.
[30] SCAFFAI, Letteratura ed ecologia: questioni e prospettive cit.: 10.
[31] L. BUELL, La critica letteraria diventa eco, in Ecocritica. La letteratura e la crisi del pianeta, C. Salabè (a cura di), Roma, Donzelli 2013: 3-15, ivi: 7.
[32] Ivi: 8.
[33] D. BONDI, Rassegna su Ecologia ed ecologie, «Il pensiero storico», 6, 6 (2019): 135-144: 140.
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Alessia Vacca, laureata in Lettere Moderne presso l’ateneo di Cagliari e specializzata in Filologie e Letterature Classiche e Moderne, si interessa a studi di matrice socio-letteraria di ambito sardo dal Medioevo all’epoca contemporanea. Attualmente è impegnata in un progetto di ricerca sul teatro seicentesco religioso in Sardegna.
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