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Il ruolo dell’antropologia come disciplina impegnata

Engaged Anthropology (da UGA research)

Engaged Anthropology (da UGA Research)

di Linda Armano

Accanto alle pubblicazioni su ricerche, teorie e metodi etnografici, negli ultimi anni si è assistito ad un incremento della letteratura sull’antropologia applicata e sull’antropologia pubblica. Questi dibattiti hanno contribuito ad includere anche una molteplicità di modi e di forme che vanno dall’attivismo alla decostruzione critica delle categorie dominanti (Nugent 2012), all’insegnamento ecc., in cui il lavoro antropologico può essere considerato con un approccio politicamente impegnato (Low e Merry 2010; Juris e Khasnabish 2013; Hale 2008; Speed 2008a). Tuttavia, ancora scarse sono le comprensioni sui modi in cui le critiche epistemologiche e ontologiche dell’applicato e del politico possono ridefinire gli usi e gli impatti dell’antropologia.

Combinando intuizioni da nuove visioni e forme di azione politica, alcuni autori ritengono sia possibile arricchire la nostra visione dell’engagement pubblico e il potenziale politico dell’antropologia partendo da collaborazioni che emergono da movimenti sociali contemporanei come anche da azioni che coinvolgono e producono forme di conoscenza in cui la complessità, l’incertezza, la riflessività e la criticità sono sia oggetti di studio che lenti teoriche fondamentali (Osterweil 2013).

51ofwmyhlkl-_sx349_bo1204203200_L’obiettivo di questo articolo è quello di ripercorrere, anche se non in maniera esaustiva, una serie di argomentazioni che hanno ampliato la portata dell’antropologia come “disciplina impegnata” spostando l’attenzione verso una definizione epistemica che comprende la relazione tra conoscenza e azione come intrinsecamente politiche e al centro del lavoro attuale da esercitare contemporaneamente sia dai movimenti sociali che accademici. Ciò significa andare oltre un riconoscimento intellettuale della natura politica del rapporto tra conoscenza e azione (cfr. Foucault e Gordon 1980; Haraway 1988) e tentare una comprensione più approfondita e pratica dei modi in cui i lavori – intellettuale, teorico e critico – sono essi stessi pratiche materiali e politicamente potenti.

Questa considerazione richiede di vedere la scrittura, la ricerca e le categorie epistemologiche e ontologiche che usiamo per eseguirle, sia come teoricamente e metodologicamente produttive che politicamente impegnate. Accanto a svolgere un servizio pubblico per partecipare a decisioni politiche per conto di coloro che studiamo, sarebbe importante anche impiegare metodi e forme particolari di produzione di conoscenza dell’antropologia per espandere la nostra comprensione e la nostra pratica di impegno politico (Hale 2008). Ciò include l’accesso al coinvolgimento di cosmovisioni, pratiche e quadri epistemologici altri, nonché il riconoscimento che queste alternative possano effettivamente attraversare mondi e realtà e trasformare potenzialmente anche il contesto dell’antropologo.

I recenti dibattiti sulla teoria e sul metodo antropologici costituiscono un punto di partenza particolarmente ricco per il tipo di politica epistemica e ontologica a cui questo articolo si riferisce. In particolare, le forme di ciò che Marcus (1999) definisce “antropologia critica” riguardano etnografie post-rappresentative di siti o interlocutori complessi, emergenti e contemporanei (Tsing 2005; Fischer 2009). Come egli afferma, eludere la demarcazione delimitata o ontologicamente realista, può offrire strumenti cruciali e approfondimenti su una pratica epistemica e ontologica che abilita o potenzia mondi alternativi e nuove forme di azione efficace. 

2-nugent-2012-critical-anthropologyRiflessioni sugli impegni politici e critici dell’antropologia 

In ambito italiano, tra gli studiosi che hanno ragionato sulla questione dell’antropologia critica Berardino Palumbo (2021) ha affrontato tale criticità ripercorrendo le riflessioni di Fabio Dei. Palumbo sostiene che l’antropologia critica dovrebbe essere letta come una proiezione, nel campo accademico nazionale, di tensioni teoriche nate nelle antropologie anglofone nord-americane alla fine degli anni Novanta. Lo studioso conclude affermando che molte delle questioni teoriche emerse in quegli anni sono riuscite a riconfigurare le pratiche di ricerca e gli stili della rappresentazione etnografica.

Negli ultimi decenni sono avanzate varie considerazioni sull’uso politico dell’antropologia. Theodoros Kyriakides, Hester Clarke e Ximin Zhou (2017) si chiedono se limpegno antropologico possa avvenire solo durante il lavoro sul campo oppure se il pensiero, la scrittura e il concept-work possano essere modalità di impegno destinati a intensificarsi man mano che il loro uso viene diffuso. Alpa Shah sottolinea che «The tension between intellectual rigour as cultural critique and the mainstreaming of solutions for effective practical action is one that faces all of us» (2008: 2). La studiosa solleva poi la questione della divisione tra «A strictly theoretical anthropology and an anthropology that has applied relevance» (ibidem). Partendo dalle considerazioni di quest’ultima, Kyriakides, Clarke e Zhou si interrogano se la nozione e la richiesta di engagement dell’antropologia sorgono in relazione solo a occasioni di malcontento sociale e disordini. In altre parole, essi si domandano se la mancanza di tali contestati processi sociali esclude anche la possibilità di un impegno e di una critica antropologici. Come Rylko-Bauer et al. (2006) evidenziano: «The decoupling of theory from practice is a uniquely Western phenomenon. In many other parts of the world, the applied-academic division is largely irrelevant because anthropological work is often driven by critical socioeconomic and structural issues» (2006: 178). Tale divario può essere in gran parte ricondotto alle agende istituzionali che collegano le nozioni di impegno a quelle di “impatto” e “collaborazione”, come sostenuto ad esempio dall’agenda di ricerca dei Research Councils UK (Kyriakides et al. 2017).

In base a questa prospettiva il termine “impegno” implica infatti una separazione tra pratica antropologica e teoria e favorisce la visibilità pubblica della prima attraverso progetti reciproci e collaborazioni tra gli antropologi e le questioni pubbliche di cui e con cui gli studiosi fanno ricerca. Non a caso Berreman et al. (1968) hanno discusso sul termine “torre d’avorio” per indicare la segregazione dell’accademia dalla società e la formulazione di idee che non hanno alcuna applicazione pratica. In quanto tali, queste riflessioni sembrano non riuscire ad affrontare le circostanze del mondo reale. Negli ultimi decenni questa espressione ha preso piede all’interno e all’esterno dell’accademia ed è ampiamente utilizzata per indicare l’irrilevanza politica e pratica delle scienze umane e sociali.

Haiti tra corruzione e povertà (da Borgen Magazine)

Haiti tra corruzione e povertà (da Borgen Magazine)

Alcuni studiosi hanno riflettuto anche sul concetto di “criticità” e della sua relazione con l’aspetto pratico dell’antropologia. Ghassan Hage ha affermato: «Anthropology becomes critical [when] it invites us to see that there are whole realities or dimensions of realities that were hidden from us even though they have always been constitutive elements of our life worlds» (2015: 186). In altre parole, il potenziale di un’antropologia impegnata non sta nei progetti di collaborazione tra antropologi e pubblico, quanto piuttosto nell’infondere a tali progetti una prospettiva critica che altrimenti non avrebbero raggiunto. Come Hage, Kim e Mike Fortun (2015) sottolineano che: «Anthropological and ethnographic insight is clear and pressing, offering ways to understanding and change how problems are identified, conceived, addressed, or discounted» (2015: 366). Questi modi antropologici di pensare e osservare il mondo, di svelare dimensioni affettive precedentemente non riconosciute e modi di essere mondani, possono essere strumenti potenti per rifondare un’antropologia dell’impegno politicamente consapevole. Tali metodi di conduzione della ricerca suggeriscono che il tumulto sociale non è l’unico impulso per l’impegno antropologico. Al contrario, ripensare e arricchire le complessità del mondano può fornire potenti incentivi agli antropologi per impegnarsi pubblicamente, socialmente e politicamente. 

La presa di distanza della separazione tra teoria e pratica etnografiche è stata sostenuta anche da Michal Osterweil (2013) il quale sostiene che questa divisione: «Perpetuates a number of false oppositions between political action and intellectual work» (2013: 599). Basandosi su una ricerca etnografica sul, come lui lo definisce, “Movimento dei Movimenti” italiano, lo studioso sostiene che le rigide divisioni tra la “politica del mondo reale” e la “torre d’avorio” del mondo accademico impediscono ulteriori impegni con realtà alternative. La pratica dell’antropologia impegnata riguarda quindi lo sviluppo di: «A better understanding of how [textual practices and practices in the real world] intersect and overlap» (ivi: 615).

La politica dell’impegno apre così alternative radicali che gli etnografi possono analizzare e teorizzare. Si tratta di dare spazio alle incertezze per destabilizzare le egemonie politiche. In modo simile a Osterweil, Luke Lassiter (2005) pone all’attenzione il problema riguardante il rapporto tra teoria e pratica, avvertendo che la pratica della collaborazione tra ricercatori e soggetti: «Integration of theory and practice, and cautions that the practice of collaboration between researchers and their subjects ‘is increasingly conditioning our so-called pure research» (2005: 84). La produzione di etnografia diventa, in questo modo, un atto politico che coinvolge non solo ricercatori entro i confini del discorso antropologico ma anche attori pubblici.

Raymond Firth

Raymond Firth

Quando Raymond Firth ricevette nel 1981 il Premio Malinowski al 41° meeting della Society for Applied Anthropology, si occupò anche della metafora della torre d’avorio e del suo rapporto con l’antropologia. Come l’autore spiega, il termine ha avuto origine nel lavoro del critico letterario francese Sainte Beuve per descrivere i modi di lavoro a volte riservati del poeta Alfred de Vigny. Così scrive Firth: «It has sometimes been said that anthropologists are living in an ivory tower, with no connection with the world of reality. If Vigny did retreat into his ivory tower, it was not to shut himself off forever from the world and its problems; on the contrary, it was to re-equip himself for struggle on the literary and political sense» (1981: 199). Firth sottolinea infatti l’importanza degli artifici tecnici o manierismi testuali, teorici e stilistici della prosa antropologica i quali dovrebbero diventare ancora più sensibili alle questioni politiche, pubbliche e sociali. Lo studioso conclude che il futuro di un’antropologia impegnata sta nel rendere la conoscenza antropologica più accessibile e rilevante per i non antropologi attraverso rinnovati modi di scrivere e comunicare (Peacock 1997). 

6-david-graeber-bullshit-jobsIl compito principale che dobbiamo affrontare come antropologi e studiosi pubblici potrebbe quindi benissimo comportare il fatto di non abbattere la torre d’avorio, ma di renderla più trasparente. Sulla base di tutte queste riflessioni dovremmo pertanto ripensare con maggiore impegno su come colmare la dicotomia tra teoria e pratica. Prendendo, per esempio, in considerazione la circolazione degli slogan del saggio dell’antropologo e attivista sociale David Graeber Bullshit Jobs (2013) sulla metropolitana di Londra ha reso possibile un impegno antropologico basato non semplicemente sulla comprensione etnografica dell’etnografo e sulla sua sensibilità alle difficoltà sociali diffuse e alle lotte politiche, ma al loro potenziamento attraverso la creazione di qualcosa di innovativo, che può comprendere un nuovo concetto o un modo di pensare in grado di rinnovare e migliorare le prospettive e le lotte politiche. In questo senso, un’antropologia impegnata può fungere da impulso per riconciliare e ricombinare la teoria antropologica e l’attivismo sociale in forme più potenti e innovative (Martin e Flynn 2014; Kyriakides 2014).

Al fine di massimizzare l’efficacia della critica, della teoria e della conoscenza antropologica, dobbiamo riconsiderare e riconfigurare le piattaforme attraverso le quali queste sono rese disponibili a pubblici ampiamente definiti. Lo sperimentalismo, non solo nella scrittura, ma anche nell’aprire il canale verso la distribuzione della conoscenza e del pensiero antropologici, offre alcune delle condizioni necessarie per l’impegno antropologico. In accordo con la filosofa Isabelle Stengers (2015) l’appello per un’accademia politicamente impegnata fornisce: «A outline of a possible new kind of researcher, inventing the means for independence in relation to their sources of finance, which enslave their practices, [and] is the order of the day» (2015: 115).

La mensa dei poveri ad Atene (da Avvenire)

La mensa dei poveri ad Atene (da Avvenire)

Phaedra Douzina-Bakalaki (2021) utilizza il tema dell’impegno per esplorare l’ambivalenza politica che circonda una mensa per i poveri nella Grecia in crisi. Il suo lavoro incrementa la letteratura antropologica di “solidarietà” che riguarda ambienti etnografici focalizzati su realtà sociali instabili. Nonostante l’importanza che gli antropologi attribuiscono alla nozione di solidarietà, non è mai stato considerato come questo termine sia stato usato dalle donne che lavoravano nella mensa dei poveri. Nella stessa ricerca sul campo, la studiosa analizza anche l’uso del termine “fidanzamento”. Grazie all’analisi di questi concetti, scrive Douzina-Bakalaki, il suo impegno funge da “prisma”. Invece di un oggetto etnografico, di cui i suoi interlocutori discutevano e dibattevano, il concetto di fidanzamento, o meglio fidanzamenti, trasmetteva le molteplici posizioni e modi di pensare e agire nel mondo che impiegano le donne operaie nella mensa rispecchiando il loro ruolo di madre, oppure di padrona di casa, o nel volontariato, ecc. La nozione di impegno si manifesta a proposito della molteplicità di significati, valori e pratiche che permeano tali identità sovrapposte. In altre parole, l’impegno non semplifica e singolarizza, ma piuttosto complica. Come suggerimento di intuizione etnografica, l’impegno elude la facciata ideologicamente omogenea che suggerisce nozioni di solidarietà, indicando invece la moltitudine di spazi politici, religiosi e discorsivi disordinati che costituiscono i contorni affettivi sia della fornitura di cibo che della società greca in generale.

Ciara Kierans e Kirsten Bell (2017) sostengono infine che l’ambivalenza di lunga data degli antropologi nei confronti della difesa politica è stata, negli ultimi anni, un tema dibattuto spesso inquadrato in termini di svolta morale della disciplina. L’antropologia secondo le studiose è stata fondata su un’ambivalenza epistemologica riguardo al suo orientamento rispetto ai problemi sociali. Pertanto, la svolta morale implica una trasformazione fondamentale nei modi in cui l’etnografia è concepita e attuata. Sebbene la possibilità di fondere la valutazione morale con l’interpretazione antropologica sia un pericolo già riconosciuto di questo cambiamento, le studiose credono che la questione possa essere risolta teorizzando maggiormente un’analisi critica dell’ambivalenza in quanto può migliorare ulteriormente la comprensione delle relazioni sociali. 

9780520098619Conclusioni 

Nonostante questo articolo non abbia l’ambizione di ripercorrere l’evoluzione dell’engagement della antropologia, ambisce a fornire alcuni spunti di riflessione che potrebbero sollecitare dibattiti futuri. Tra questi potrebbero rientrare ricerche che esplorano le difficoltà di impegnarsi con le idee accademiche e le gerarchie globali di potere inerenti a questi modi antropologici di impegnarsi. Alcuni studi potrebbero esplorare come il concetto dell’impegno viene riconfigurato all’interno di settori produttivi e come esso è utilizzato all’interno di contesti di disoccupazione. In primo luogo, ne potrebbero derivare spunti su come gli incentivi all’occupazione dei governi incoraggiano e misurano la disponibilità delle persone a impegnarsi nella ricerca di lavoro. La narrazione dell’impegno in questo caso potrebbe assumere la forma di atti disciplinari foucauldiani di autoproduzione, in cui il disoccupato è sollecitato, e probabilmente costretto, ad attuare la personalità neoliberista basata sullo sposare un senso di autorealizzazione con il processo di ricerca di lavoro. In secondo luogo, potrebbero emergere riflessioni su come i tentativi dei disoccupati di interagire con i meccanismi burocratici attraverso l’attuazione di una personalità impegnata non sempre si traducono nei guadagni promessi, lasciando molti lavoratori alienati dal processo di assicurarsi il lavoro. 

Attraverso l’etnografia infine, il coinvolgimento può essere considerato come una lente antropologica ed etica in cui il termine ‘impegno’ può denotare le dimensioni degli incontri, delle intimità e delle prossimità che si sviluppano nel lavoro sul campo. In questo modo, un’etica antropologica si relaziona con un impegno che supera le considerazioni analitiche e si estende alla creazione di relazioni di fiducia, e persino di parentela, con le persone con cui facciamo ricerca. 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Riferimenti bibliografici 
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali. Ha pubblicato recentemente la monografia Esplorare valore e comprendere i limiti, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 3, Cisu editore (2022).

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