La questione dei migranti, coi loro itinerari di dolore, stupri, torture e violenze di ogni genere, dall’attraversamento del deserto ai lager libici e ai gommoni, spesso inghiottiti dal mare, ci pone una domanda fondamentale: qual è la genesi psico-sociale che mette in moto indifferenza, paura e rifiuto dell’altro, lo straniero, e che determina l’opposizione uguaglianza-diversità, inferiore-superiore?
Sigmund Freud ha individuato nell’uomo due pulsioni fondamentali, Eros (pulsione di vita) e Thanatos (pulsione di morte). La prima tende alla autoconservazione e alla conservazione della specie, amore per l’Io e amore per gli altri, la tendenza ad estendere le relazioni con gli altri. Thanatos contiene, invece, pulsioni aggressive, autodistruttive e distruttive. Ogni comportamento trae origine dal gioco reciproco delle due forze opposte e complementari. Le due pulsioni coesistono sempre insieme con prevalenza ora dell’una ora dell’altra.
Melanie Klein ha messo in luce un processo di splitting che ci porta in determinate situazioni a investire le pulsioni erotiche sulle persone amiche e quelle aggressive sulle persone che consideriamo diverse da noi, secondo la dinamica amico-nemico. La studiosa sostiene che le situazioni contingenti come la guerra, le appartenenze, la fede, le ideologie, gli atteggiamenti dogmatici possono trasformare ciascuno di noi in un efferato criminale. Ciò spiegherebbe come i gerarchi nazisti, molti dei quali amavano la musica e l’arte, a casa e in famiglia si comportavano come persone sensibili, capaci di dedizione e di amore per i propri figli, potessero vivere una vita schizofrenica, trasformandosi in criminali spietati nei confronti, di ebrei, zingari, omosessuali, rom, e cioè quella apparente normalità che Hanna Arendt, durante il processo di Norimberga, definì la “banalità del male”. Lo psicoanalista Luigi Zoja riprende il tema junghiano della presenza nell’uomo di un inconscio collettivo, i cui contenuti sono costituiti da archetipi, tra cui il bisogno di creare il nemico e la diffidenza verso il diverso. La psicoanalisi, in sostanza, non solo risponde alla domanda che ho posto all’inizio ma spiega anche perché la storia si ripete, sebbene in forma diversa.
«La storia ci ha insegnato che stragi, eccidi e stermini hanno sempre accompagnato il cammino umano». È l’incipit dell’ultimo libro di Maria Immacolata Macioti, Genocidi e stermini di massa. Il Novecento a confronto (Guida editore), sociologa delle religioni, che si occupa da tempo di immigrati e rifugiati, responsabile della rivista La critica sociologica. Non è la prima volta che scrive di genocidi. Sempre con l’editore Guida aveva pubblicato già Il genocidio e la diaspora armena. Cento anni dopo, che avevamo recensito nel numero di maggio 2016 di Dialoghi Mediterranei. La peculiarità di questo ultimo lavoro è che la Macioti offre uno sguardo ampio e una accurata comparazione tra i genocidi verificatisi in diverse parti del mondo, riportando la nostra memoria subito agli orrori del Novecento, il cosiddetto. secolo breve, secondo la dizione di Eric Hobsbawn, ma denso di tragedie immani, quali guerre, razzismi e genocidi.
Citando la definizione di genocidio dell’ONU e cioè gli «atti commessi con intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso», l’autrice muove dalla questione armena, ripercorrendo le diverse fasi verso il genocidio, a partire da un rigido nazionalismo, supportato dal ruolo della stampa turca, attraverso una progressione che va dalla cancellazione dei gradi agli ufficiali armeni e poi la privazione delle armi, al successivo ritiro dei passaporti a tutti gli armeni, proseguendo con l’arresto di intellettuali e politici armeni il 24 aprile 1915, data che sarà successivamente scelta per ricordare al mondo il genocidio.
A questo punto, l’autrice avvia una puntuale analogia con gli altri genocidi del Novecento a cominciare da quello degli ebrei che vivono in Germania negli anni trenta, ricostruendo la tragedia dell’Olocausto anche attraverso l’aiuto della letteratura. Anche la Germania nazista compie arresti tra gli intellettuali e brucia in piazza i libri sgraditi. In entrambi i casi, le persecuzioni iniziano a livello governativo. Dopo il 1933, quando Hitler diventa cancelliere del Reich, già cominciano manifestazioni ostili davanti alle case di professori universitari ebrei e ai negozi dei commercianti e vengono imbrattate le vetrine con scritte oscene, cui seguiranno il sequestro dei loro beni, la deportazione degli ebrei rastrellati in tutti i territori occupati, costretti in campi di concentramento e avviati allo sterminio.
Nel genocidio degli armeni come in quello degli ebrei prevale il dato identitario e l’aspetto etnico che portano a considerare estranei coloro che sono di etnia o di religione diversa. Da rilevare che i curdi, vittime anch’essi oggi di genocidio, venivano impiegati dai turchi contro gli armeni per depredarli e annientarli. Prima si sono usati i curdi per annientare gli armeni e poi si penserà ad annientare i curdi, un altro genocidio attualmente in piedi, di cui non si può tacere, come nel caso della violazione dei diritti umani dei palestinesi, cui accenna l’autrice nelle conclusioni. La Turchia, da parte sua, non ha mai riconosciuto il genocidio armeno ma soltanto qualche singolo massacro e quindi gli armeni non hanno potuto avere alcun risarcimento per i loro beni perduti, mentre la Germania, che ha ammesso le sue responsabilità, paga ancora oggi a Israele 450 milioni di marchi tedeschi come riparazione e altri tre miliardi di marchi al Congresso ebraico mondiale.
Molto diverso è, invece, quanto accade dopo il genocidio armeno e dopo la Shoah. Un tribunale condanna, nel primo dopoguerra, i responsabili turchi in contumacia ma poi nulla accade. Passeranno anni prima che il genocidio si affacci nella letteratura e nelle comunicazioni. Reagiranno alcuni intellettuali, nascerà il movimento Nemesi e verranno individuati i maggiori responsabili che moriranno per mano armena. Invece, la Shoah è molto conosciuta, non solo perché gli ebrei hanno uno Stato, Israele, ma anche perché tutti gli ebrei sparsi nel mondo hanno avuto la possibilità di tenere vivi i temi della memoria.
La Macioti non evita di rimarcare gli orrori commessi dall’Italia durante la conquista della Libia: centomila libici finiti nei lager, di cui quarantamila moriranno a causa delle pessime condizioni igieniche, sfatando il mito degli italiani “brava gente”. L’indagine si sofferma poi su eventi a noi più vicini e che pensavamo non potessero più ripetersi dopo gli orrori del nazismo. È il caso dell’Argentina e dei desaparecidos, dopo il colpo di stato del 1976 da parte dei militari. Tra il 1976 e il 1983, periodo della dittatura militare, scompaiono oltre diecimila persone, rapite, soggette a tortura e uccise. Caduta la dittatura e con l’elezione democratica del presidente Alfonsin, grazie alla tenacia delle madri e nonne-coraggio, o delle “madri di Plaza de Mayo” e delle nonne che vogliono sapere cosa è accaduto ai loro figli e nipoti, si giungerà a capire ciò che era successo, anche se ancora non del tutto. Anche in questo caso, annota Macioti, pur diverso da quelli degli armeni e degli ebrei, ci troviamo comunque davanti a persone cui sono stati negati i diritti umani da governi che avrebbero dovuto proteggerli.
Analoga situazione si determina nel Cile di Pinochet, nominato capo delle forze armate dal presidente Allende e dopo qualche mese autore di un colpo di stato, in cui viene ucciso Allende e Pinochet lo sostituisce alla presidenza del Cile. Anche qui, ci troviamo di fronte alla sparizione di circa centomila persone. Pur se in Turchia e in Germania le uccisioni hanno uno sfondo etnico-razziale e in America latina una motivazione politica, in ogni caso, resta uguale il metodo brutale e illegale contro coloro che vengono considerati nemici, etnici o politici.
L’analisi degli orrori del Novecento continua ancora nell’Europa coi Paesi balcanici, dove vengono narrati gli eventi dal patto di Corfù del 1918, tra rappresentanti di Croazia, Slovenia e Serbia proseguendo con lo Stato fascista croata che durerà fino al 1945 e, poi con la Jugoslavia di Tito, che riuscirà a tenere unito il Paese, ricordando l’atroce vicenda delle foibe, per approdare ai fatti più recenti delle agitazioni nel Kossovo, represse brutalmente nel 1981, la crescita dei nazionalismi, la secessione della Slovenia nel 1991, la nascita della repubblica federale jugoslava con Serbia e Montenegro e quella della Slovenia e della Croazia, entrate entrambe nell’Unione europea. Le due guerre balcaniche hanno coperto per un periodo stragi e uccisioni. Il tribunale internazionale ha parlato decisamente di genocidio, ma soltanto per il caso di Srebrenica, per il massacro di circa ottomila musulmani. Mladic e Krstic sono stati condannati per genocidio. Dalla Serbia, nel frattempo, si è staccato il Kossovo a maggioranza albanese, la cui indipendenza è dichiarata nel 2008. Anche il Montenegro si è staccato dalla Serbia ed è indipendente dal 2006. La speranza, per i Paesi dell’ex Jugoslavia, è l’ingresso nell’Unione Europea. Anche in Siria, più recentemente si è parlato di genocidio per quanto riguarda le armi chimiche usate contro la popolazione. Il team dell’Alto rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani, composto da giuristi di fama, parla esplicitamente di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati nelle prigioni siriane.
Maria I. Macioti mette in luce come l’elemento unificante dei vari eccidi e stermini sia il “campo”, luogo di parcheggio, di segregazione, di lavori forzati e violenze, luogo di sopraffazione e di dolore, circondato naturalmente da muri o da filo spinato, magari elettrificato, luogo, di solito, di transizione verso la morte, verso la soluzione finale per gli ebrei, che finiscono cremati o nelle fosse comuni dopo l’uccisione nelle camere a gas, oppure, come è avvenuto per i militari italiani rastrellati dai tedeschi dopo la fuga del re e usati come manodopera per le fabbriche belliche. Ci sono stati anche i campi fascisti per prigionieri di guerra, per lo più inglesi catturati in Nord-Africa. Ci sono stati campi in America latina con un ruolo nefasto nelle vicende dei desaparecidos in Argentina e anche in Cile, dove è stato trasformato in campo di concentramento lo stadio nazionale. I campi di oggi sono sostanzialmente quelli dove sostano i migranti, come avviene nei lager libici, dove rifugiati e richiedenti asilo subiscono violenze e abusi, nella speranza di potere raggiungere l’eldorado Europa, dove altri campi li attendono.
Non poteva mancare nel libro di Maria I. Macioti la riflessione sul ruolo delle religioni sui genocidi del XX secolo e certamente vittime di pregiudizi etnici e religiosi sono stati gli ebrei. È noto il pregiudizio storico del cattolicesimo verso di essi, accusati di deicidio, ben presente nella teologia cattolica ancor prima del nazismo. Ancora aperta è la questione dell’atteggiamento della Chiesa di Pio XII durante il nazismo. Il ruolo della Chiesa cattolica sugli stermini del Novecento, tuttavia, non si limita all’Europa. Sono ormai noti gli orrori avvenuti nel 1994 in Ruanda, dove sono state uccise circa un milione di persone. Questa volta, a differenza, di ciò che era avvenuto in Turchia, dove gli esponenti della Chiesa hanno cercato di salvare gli armeni, in Ruanda, la Chiesa sembra avere svolto un ruolo attivo e deleterio nell’alimentare odio reciproco tra hutu e tutsi e anche un ruolo negativo dopo il genocidio, per avere occultato e difeso i responsabili. Ma c’è di più. Numerose testimonianze attestano che il curato della parrocchia di Nyange ha fatto seppellire vivi duemila profughi tutsi nella sua chiesa, che fece demolire dai bulldozer. Un omicidio di massa di donne, uomini e bambini, che si erano affidati al sacerdote, credendo di essere al sicuro in un luogo sacro. Dopo la sconfitta delle forze governative, il procuratore capo per il tribunale ruandese, Carla Del Ponte ha emesso per il parroco Seromba un mandato di cattura internazionale, ma il sacerdote è scomparso per ricomparire in Toscana sotto altro nome e svolgere per due anni il suo ministero. Dopo varie vicende, il sacerdote Seromba sarà arrestato e portato in Tanzania con la condanna all’ergastolo. È il 12 marzo 2008. Non è il solo caso. Altri sacerdoti e suore sono responsabili di orrendi crimini a danno dei tutsi. Tra gli accusati c’è anche il vescovo Augustin Misago, che verrà arrestato nel 1999 con l’accusa di avere partecipato alla programmazione dell’uccisione di numerosi tutsi. L’accusa chiede la condanna a morte. Il vescovo riceve un telegramma di solidarietà da parte di Giovanni Paolo II, il papa, santo subito. Il vescovo sarà assolto per insufficienza di prove nel 2000. Secondo il presidente dell’associazione dei sopravvissuti, vi sarebbero state pressioni della Chiesa cattolica sui giudici e lettere del pontefice a favore del vescovo.
Un vicenda orrenda quella del Ruanda, che l’autrice fa toccare con mano coinvolgendo il lettore nell’indignazione. Il lettore interessato ad approfondire le tragiche vicende del Ruanda, può leggere anche il libro molto documentato di Vania Lucia Gaito, Il genocidio in Rwanda. Il ruolo della Chiesa cattolica (ed. L’asino d’oro, Roma 2014), la quale s’interroga se l’ideale cristiano di fratellanza e amore sia davvero al centro dell’azione evangelica della Chiesa e delle sue cosiddette. missioni evangeliche.
Ritengo che le azioni della Chiesa cattolica, come la storia ci ha insegnato, dipendano dalle figure, dalla fede e dalla spiritualità dei pontefici. Papa Francesco, nel marzo 2007, ha chiesto perdono, a nome della Chiesa, per il genocidio del Ruanda. Qualcosa d’analogo è avvenuto anche nei Balcani e soprattutto in Argentina con il regime militare, dove buona parte della Chiesa cattolica è stata vicina al regime in base alle scelte di anticomunismo, sostenendo i responsabili di torture e assassini. Lo stesso dicasi per quanto riguarda le atrocità nell’ex Jugoslavia e in particolare nel genocidio della Repubblica serba di Bosnia. Valga per tutti l’operato del cardinale Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria, sostenitore dei militari serbi del regime ustascia, poi beatificato da Giovanni Paolo II. In sostanza, quel che emerge da questi efferati eventi è una Chiesa-istituzione che non ha certamente testimoniato la verità, la carità, la giustizia, l’amore, in consonanza con gli insegnamenti del Cristo.
Le conclusioni dell’emerita autrice si possono riassumere nel dire che le guerre, le dittature militari, le guerre civili sono un buon humus per l’emergere di motivi etnici e religiosi e generare massacri e genocidi. L’auspicio è un’Europa consona agli ideali dei fondatori e un ruolo trainante di scuole, università e società civile. Un libro meritorio e molto utile quello della Macioti, che traccia un excursus storico, ricostruendone l’ambientazione in cui s’inseriscono gli eccidi e genocidi narrati. Un libro anche di grande attualità per i preoccupanti segnali del tempo presente. In diverse parti d’Europa aleggiano impulsi nazionalistici, xenofobi e talvolta chiaramente razzisti. La nota filosofa e sociologa ungherese Agnes Heller ha parlato di «chiare tendenze autoritarie» e di un’Europa a rischio. Un’Europa abbarbicata su problematiche economiche e monetarie, impotente e incapace di dare soluzioni comuni alla questione dei migranti, alle emergenze nazionalistiche e di formulare proposte generative per un futuro di condivisione, di giustizia e di solidarietà.