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Il sogno americano è finito

mv5bytyyodhlodktyjuznc00njuylwi1mzytnmi0mty3ytuxyjy2xkeyxkfqcgdeqxvymtkxnjuynq-_v1_fmjpg_ux1000_di Giuseppe Sorce 

Il sogno americano è finito. E per quanto gli Stati Uniti mantengano ancora un certo fascino e per quanto ancora possono rivelarsi terra di opportunità per qualcuno, tutto ciò che c’è attorno a questo fascino e a queste opportunità risulta oggi difficile da immaginare e raccontare. Per gli americani prima di tutto, perché ciò che ha portato a una rielezione di Trump ruota proprio attorno questo tema. Che America immaginano e si raccontano gli americani?

Scrivo queste righe mentre sono in un volo che mi riporta in Italia per le vacanze di Natale. È notte per me e fuori c’è solo l’oscurità atlantica. Nel frattempo qualcuno in Italia, in una sorta di post sbronza onanistica si crede convinto di spiegarci l’America, di mostrarci l’America e di raccontarci l’America dall’alto del suo privilegio, quello di essere nato negli anni sessanta o settanta o prima ancora, quando qualcosa del sogno americano restava, quando ancora non esisteva internet così come lo conosciamo oggi, quando ancora il futuro era roseo e il mondo era diviso in due blocchi e con un diploma potevi comprare una casa e forse, se eri bravo e diligente, anche un villetta al mare per le vacanze.

Queste righe non vogliono essere l’ennesimo tentativo di spiegare gli Stati Uniti agli europei perché è impossibile. Gli Stati Uniti sono troppo grandi, semplicemente. E se i film e i libri ci hanno mostrato qualcosa di simile a noi, questo è vero. E se i film e i libri hanno reso noi che ci siamo cresciuti un po’ americani, spiegare le peculiarità della cultura statunitense diventa ancora più difficile. Troppo diversi eppure così familiari. Vale lo stesso principio di quel parente con cui siamo cresciuti ma di cui ignoriamo la vita al di fuori del contesto familiare. Lo abbiamo visto a ogni festa, a ogni compleanno, sappiamo come si siede, come parla, quello che solitamente dice a tavola, è più grande di noi ma lo abbiamo visto crescere comunque, prima si vestiva sempre in un modo, da quando ha fatto quarant’anni si veste in maniera completamente diversa ma sempre uguale a ogni occorrenza camicia con le maniche rivoltate e gilet. Sappiamo che di solito si addormenta dopo pranzo per poi risvegliarsi, spostarsi dal divano alla poltrona e riaddormentarsi. Succede alle volte che se ne va in veranda a fare delle telefonate, lui dice di lavoro ma abbassa sempre la voce, ne cambia il timbro e il tono e si allontana da tutti. Però, a parte questo, tutto come sempre. Certo chissà che affari ha, che giri frequenta. Però è lui insomma, è sempre lo stesso. No?

Erano il più grande Paese del mondo. Ora sanno di non esserlo e danno la colpa agli altri o a loro stessi anziché pensare che il sogno americano era appunto un sogno. E prima o poi ci sveglia. Ma questo lo dico io che negli Stati Uniti non ci sono nato, perché gli Stati Uniti sono un Paese che sta in piedi grazie alla narrazione che fa di sé. Parliamo infatti di un Paese i cui abitanti si definiscono american (“sono americano”, non c’è un corrispettivo inglese dell’aggettivo “statunitense” se non la perifrasi “United States citizen”), cioè appropriandosi del nome del continente intero, e parlano “inglese”, non “statunitense”, appunto, o al massimo american english.

Eppure gli statunitensi, che anche noi per contagio chiamiamo “americani”, sono il Paese etnicamente più eterogeno di tutti, hanno un fortissimo senso identitario e si sa che in tutti gli Stati Uniti vige un forte sentimento patriottico. Eppure gli Stati Uniti sono la prima potenza mondiale, decidono sostanzialmente le sorti dei Paesi europei e di tutti gli altri Paesi alleati (clientes dovremmo dire più correttamente), controllano il commercio marittimo mondiale, hanno avuto il ruolo di egemone anche dal punto di vista culturale, dal dopoguerra a oggi in tutto l’Occidente. Eppure la classe media americana oggi ha una qualità della vita inferiore a quella dei corrispettivi europei, eppure l’emergenza degli homeless, del fentanil, del mercato immobiliare, delle assicurazioni sanitarie … Eppure, tanti eppure. Eppure gli Stati Uniti sono indipendenti dal punto di vista energetico e alimentare. Gli Stati Uniti sono la culla dell’avanguardia tecnologica. Gli Stati Uniti sono questo e molto altro. Per cui queste righe non vogliono spiegare nulla ma semplicemente desidero offrire una riflessione sulla rielezione di Trump. Cosa è successo negli Stati Uniti? Provo a rispondere in breve, da un punto di vista distorto, il mio, docente di italiano per un anno in un college americano tra i più ambiti.

È chiaro, gli studenti e il corpo docenti non sono stati affatto felici. L’indomani del risultato elettorale, paura e sconforto si leggevano negli sguardi bassi di studenti e colleghi. Seria paura e serio sconforto, non un modo di dire. Chi pensava a fare scorte di pillole abortive, chi a trovare il modo di andare a studiare o lavorare in Europa. Ma questo non deve sorprenderci. Sappiamo tutti cosa Trump è solito dire in campagna elettorale e tutti abbiamo visto cosa è successo durante l’assalto al Campidoglio. Ma allora come è possibile che Trump abbia stravinto le ultime elezioni? Come è possibile che Trump abbia stravinto grazie ai voti dei latinos, degli afroamericani e dei giovani?

2024-07-23t193109z_1868362314_rc2619afqout_rtrmadp_3_usa-election-harris1Partiamo dal presupposto che il college non è di certo lo specchio di una società. Anzi, è proprio il contrario – e se ne è lo specchio lo è per contrasto. Gli statunitensi sono circa 350 milioni e soprattutto non vivono tutti a New York o Los Angeles né possono permettersi di mandare i figli al college. Inoltre, le campagne elettorali presidenziali sono più uno show che altro. “Vorreste come babysitter dei vostri figli Kamala o Trump” è questo che chiede ai telespettatori una giornalista della CNN in live durante lo spoglio. La risposta, che la giornalista riteneva impensabile, è che gli americani hanno scelto proprio Trump. Una risposta impensabile a un quesito altrettanto surreale che fa capire quanto la campagna democratica, nonostante il quasi miliardo e mezzo raccolto, sia stata un disastro, e quanto la “sinistra” americana sia allo sbando quanto quella europea.

mappa elettorale 2024

mappa elettorale 2024

Quale è stato l’errore? I democratici si sono raccontati una “verità”, che è diventata ineluttabile, e come tutte le verità (che verità non sono ovviamente ma narrazioni) a un certo punto arriva sempre la dissonanza, lo shock [1]. La verità che i democratici si sono raccontati per anni è che avrebbero sempre avuto i voti degli afroamericani e dei latinos, quasi per statuto. I repubblicani dal canto loro hanno risposto “votate per i democratici da anni e la vostra vita non è mai cambiata. Cosa avete avuto in cambio? Niente. A questo punto perciò votate per noi”. Vediamo che succede, in pratica. Il male minore, direbbe qualcun altro. Oppure, il sistema è talmente disfunzionale ormai, la vita è talmente peggiorata tra inflazione, prezzi delle case e delle assicurazioni sanitarie che il sogno americano è quasi diventato un incubo e che adesso c’è bisogno di una rottura. Una rottura che probabilmente non arriverà mai, un “età dell’oro” come Trump ripeté ossessivamente durante la campagna, che non ritornerà, ma il cui solo riferimento ha spinto milioni di americani a credere e a votarlo. Credenza e narrazione, come al solito.

In un Paese che costruisce se stesso in un eterno storytelling, vale ancora di più soprattutto quando tutto il resto crolla. Fa impressione parlare con la classe media degli anni sessanta, settanta e ottanta e con quella di oggi. Raccontano due Paesi diversi e inconciliabili. Ecco perché giovani e vecchi, anche se bianchi e relativamente agiati, hanno votato Trump. Ecco perché chi bianco e agiato non è ha votato quell’uomo che parla di muri da costruire, immigrati che mangiano cani e gatti da rimandare a casa. Non c’è nulla di vero, nulla di realmente realizzabile: le industrie non ritorneranno, gli immigrati non smetteranno di arrivare a milioni, immigrati di cui il Paese ha bisogno per rimanere con una bassa età media e violento abbastanza da fare la guerra ovunque, così come l’idea che se lavori ti puoi comprare la casa e mandare i figli al college. Possiamo quindi dire che i democratici hanno perso per ragioni simili a quelle per le quali la sinistra perde ovunque in Europa. Una sinistra che non esiste più, figuriamoci in America, una sinistra che si è arroccata nel wokismo, nel finto moralismo, che fa gli interessi dei ricchi sempre più ricchi.

Quanti artisti, che fanno tour di milioni se non miliardi di persone, hanno dato l’endorsment a Kamala, quanti giornali si sono schierati altrettanto. Ma gli artisti, hollywood, e lo starsystem non rappresentano più nessuno se non una ristretta minoranza fortemente urbanizzata e post-storica. I giornali, che raccontano le grandi città come fanno le sit-com, vengono ormai identificati come il nemico da chi vive nella cosiddetta America profonda. La stessa America profonda (da sempre identificata negli Stati del midwest ma oggi anche in quelli del sud) che Trump non conosce minimamente (è un tycoon newyorkese, sotto vari processi, non dimentichiamolo) ma della quale ha intercettato sogni ed incubi.

01-photographers-trump-shooting-cnnphotosEcco perché Trump, ecco perché il suo innegabile populismo. Ecco perché la destra estrema lo sostiene ed ecco perché lo sostiene anche chi è sempre stato il bersaglio della sua retorica. Perché in ogni caso, per l’uno o per l’altro, per il redneck barbuto senza denti che vive in una roulotte con il fucile in mano e per l’immigrato recente o per l’afroamericano che vive sotto la soglia di povertà da generazioni, Trump rappresenta la necessità di rottura di un sistema che ha mostrato l’altra faccia della medaglia, l’esigenza di rilanciare un sogno diventato un incubo, il bisogno di trovare negli altri (i Paesi europei, la Cina, gli immigrati ecc.) i colpevoli dell’inflazione, dell’indebitamento del Paese, della sua violenza. Se il woke, su cui la sinistra si è incartata, è stato un goffo tentativo di fare autocritica moralista per ottenere consenso, Trump ha risposto rilanciando una narrazione delirante ma utopistica, che evidentemente non è stata percepita xenofoba ma autarchica. In assenza di buone reti sociali, la civiltà statunitense si poggia su altro. Questo altro oggi è ciò che Trump rappresenta: torneremo a essere belli e forti, a tutti i costi. Come Trump stesso, immortalato nella foto dell’anno mentre alza il pugno verso il nulla, con l’orecchio sanguinante, sopravvissuto a una pallottola, sparata da un repubblicano. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] https://anthropocenist.substack.com/p/appunti-su-civil-war?utm_campaign=post&utm_medium=web 

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Giuseppe Sorce, laureato in lettere moderne all’Università di Palermo, ha discusso una tesi in antropologia culturale (dir. M. Meschiari) dal titolo A new kind of “we”, un tentativo di analisi antropologica del rapporto uomo-tecnologia e le sue implicazioni nella percezione, nella comunicazione, nella narrazione del sé e nella costruzione dell’identità. Ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica e scienze linguistiche presso l’Università di Bologna con una tesi su “Pensare il luogo e immaginare lo spazio. Terra, cibernetica e geografia”, relatore prof.  Franco Farinelli.

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