Affrontare il tema del Viaggio è opera complessa, specie se si tratta di affrontarla da una cultura altra dalla nostra europea. Il Viaggio implica in effetti almeno due poli (partenza/arrivo) che differiscono non solo geograficamente, ma anche culturalmente e socialmente. Non è un caso che l’antropologia abbia nel suo statuto di fondazione il viaggio e in quanto scienza abbia avuto tra i suoi precursori e pionieri viaggiatori alla ricerca dell’Altro. Dal punto di vista europeo si potrebbero quindi ricercare nel viaggio molte ed interessanti intuizioni dell’antropologia moderna. Ma cosa avviene quando il baricentro viene spostato? Quale idea e visione del Viaggio conoscono culture differenti da quella europea?
La recente pubblicazione del Viaggio e ansia del ritorno nell’Islam e nella letteratura araba per l’editrice Aracne contiene diversi saggi nati all’interno dei Dipartimenti di linguistica, storia e cultura araba delle Università di Palermo e di Nancy. Dalla collaborazione accademica, che prevede il doppio titolo per coloro che intraprendono il percorso universitario nelle suddette università, deriva una non meno interessante e proficua intesa pubblicistica e di ricerca che si traduce in seminari, convegni e pubblicazioni scientifiche di indubbio valore. Edito nell’agosto 2019, a cura di Antonino Pellitteri e Laurence Denooz, il Viaggio ha al centro un tema affascinante, che nella religione islamica e nella letteratura araba ha conosciuto un valore sicuramente notevole.
Basti pensare, sia detto questo come premessa al testo e a costo di forzare qualche concetto, che è proprio un viaggio (l’egira di Muhammad) l’avvenimento decisivo che porterà alla nascita e quindi alla propagazione delle visioni del Profeta Muhammad. Occorre tuttavia non delimitare il campo troppo semplicemente: il tema del viaggio ha conosciuto, soprattutto nella modernità e contemporaneità araba, una discreta fortuna nella letteratura non religiosa, che vale la pena approfondire ugualmente, per mostrare al lettore europeo un Oriente che non si lascia avvolgere mollemente dalle sole riflessioni coraniche, ma che coraggiosamente tenta di aprirsi una prospettiva verso una narrativa che aspira ad imporsi all’attenzione mondiale. Il testo preso in esame è quindi articolato in due sezioni anche per mostrare questa dualità nell’interpretazione del viaggio: la prima parte In un giardino alto è dedicata al tema del viaggio nella religione islamica ed in primis nel Corano, mentre la seconda parte: C’è una fonte d’acqua corrente assume il viaggio nella prospettiva della letteratura araba, che nella sua contemporaneità cercherà, come detto, di affrontare il tema senza necessariamente appoggiarsi al retaggio islamico.
L’angoscia del ritorno, ovvero come cercare ciò che non può essere più trovato
Particolarmente interessante è la lettura della premessa di Laurence Denooz al testo, intitolata Le Voyage et l’angoisse du retour. Il docente di letteratura araba contemporanea presso le Università di Nancy e Bruxelles fornisce alcune fondamentali chiavi di lettura che permettono di comprendere al meglio la forza e la portata di un concetto ampio come quello di viaggio, del quale approfondisce il motivo eminentemente simbolico del ritorno, come ben descritto dalla stessa Denooz:
«Qu’il soit appréhendé comme un retour à un état précédent, considéré comme normal et idéal, conçu comme une deuxième chance, appréhendé comme une progression ou au contraire comme une régression, le retour entraîne nécessairement un changement, qui entraîne à la fois une rupture et des re trouvailles, et donc inévitablement un ajustement identitaire, un travail de dés–ancrage (…)» (Denooz, 2019: 13).
Il viaggio impone quindi una riflessione sulla possibilità di un ritorno che è meta importante almeno quanto la destinazione. Il luogo di partenza è difatti luogo di comparazione che si impone necessariamente al viaggiatore, portato ad un paragone tra destinazione e patria, spesso destinato anche risolversi in un’angoscia, in un’ansia insostenibile di dover ritornare alle proprie radici. È un discorso che si applicherà successivamente per Sayyid Qutb, ideologo dei Fratelli musulmani e autore dell’interessante reportage L’America che ho visto, in cui emergerà in tutta la sua forza l’angoscia del ritorno insieme all’inevitabile necessità di comparare il passato, la patria lasciata, alla situazione presente; passato che, contestualmente, viene sovente idealizzato e idolatrato proprio come risultato dal confronto con un presente che estrania e sradica dalle proprie convenzioni mentali e comportamentali. Sulla scorta della interessante riflessione di Denooz, si può quindi affermare che
«La représentation littéraire du retour varie entre désillusion, nouvelle rupture identitaire, errances mémorielles et nostalgiques, et impossibilité de raviver un passé imaginé comme l’âge d’or. Ce nouveau départ, qu’il soit concret ou abstrait, représente un futur à la fois abandon d’un présent et recommencement d’un passé, auquel sont liés des souvenirs personnels, réels ou reconstruits, adulés ou abhorrés, idéalisés ou dénaturés, magnifiés ou dépréciés» (Denooz, 2019: 13).
Il viaggio verso l’Altro, in direzione di una realtà differente, può accentuare la nostalgia fino ad idealizzare la realtà che si è lasciati alle spalle. Il passato viene quindi ad identificarsi con una età dell’oro che il viaggiatore deluso cerca di ritrovare, fallendo miseramente in quanto il viaggio segue non più una linea spaziale ma temporale. Conclude Denooz: «le retour s’apparente ainsi à un double deuil psychologique: deuil de ce que l’on abandonne mais deuil aussi de ce que l’on espère retrouver et qu’il est impossible de retrouver» (Denooz, 2019: 13). La riflessione introduttiva di Denooz nonché alcuni saggi presenti nel testo non faranno altro che confermare questa fondamentale tesi che traspare nel testo: non vi è viaggio che non implichi un’angoscia del ritorno.
Il Pellegrinaggio come viaggio per eccellenza
Il testo a cura di Pellitteri e Denooz si snoda quindi in un percorso che cerca di cogliere le diverse sfaccettature del concetto di viaggio. Il lettore trova la possibilità di affrontare la problematica del viaggio all’interno di una cornice religiosa: è il caso dell’articolo di Laura Bottini, che ragiona su una problematica giuridica difficile da districare, in quanto il pellegrino può incorrere in imprevisti nell’assolvere alle preghiere mandatorie. Più in generale, dalla lettura degli articoli della prima parte del testo emerge un’interpretazione ben definita:
«il viaggio nell’accezione spirituale e fisica, è una condizione esistenziale necessaria per il santo musulmano che trova, lo si è accennato, un riferimento preciso nel modello profetico. Nonostante, tuttavia, gli spostamenti geografici abbiano un significato spesso simbolico e comunque subordinato a quello spirituale essi occupano uno spazio importante nelle biografie esteriori scritte e orali dei sufi» (Paonessa, 2019: 68).
La religione islamica mostra sin dalla sua origine fondante un legame strettissimo con il viaggio, inteso sicuramente da un punto di vista simbolico-religioso piuttosto che solamente sotto il profilo spazio-temporale. L’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca che ogni buon musulmano deve compiere almeno una volta nella vita, potrebbe in effetti essere definito come ‘il viaggio dei viaggi’ per il suo valore religioso, e non è un caso che sia proprio questo hajj uno dei pilastri dell’Islam. Pellegrinaggio che, oltre ad essere compiuto ‘fisicamente’, implica necessariamente la componente spirituale del credente che si ritrova immerso nella Umma islamica, in un insieme di emozioni e sensazioni che ravvivano la sua fede religiosa e la consapevolezza di appartenere ad un ordine di cose più grande.
Il Nilo a Palermo: un viaggio ‘straordinario’
Prima di proseguire l’articolo con un ideale approfondimento sulla figura di Sayyid Qutb, vale la pena riportare alcune interessanti ricerche di Antonino Pellitteri sulla connessione, quanto mai sorprendente, tra Palermo e l’Egitto fatimida. Il titolo dell’articolo From the Nile my water comes and Papyrus is my name è una citazione del poeta Veneziano (“Traggo origine dal Nilo e il nome dal papiro; ed io ch’ero stato onda del mare, ora son corso d’acqua terrestre”) che avrebbe quindi portato in poesia la leggenda di un legame, strabiliante quanto improbabile, del Nilo con la città siciliana. Poeti siciliani coevi o poco posteriori al Veneziano fantasticarono dunque sulle acque del Papireto dove, nomen omen, il papiro era effettivamente presente e rigoglioso. «I am thus convinced – scrive Pellitteri – that the Fatimid presence in Palermo and in Sicily during the 10th–12th centuries, and even in the Norman period, played a fundamental role in transmitting ideas and knowledge». I Fatimidi non avrebbe quindi fatto altro che rinforzare una convinzione addirittura precedente alla loro presenza a Palermo durante i secoli X-XII sec. Una convinzione che solo l’interramento del fiume ha reso meno vivida nella memoria storica popolare di Palermo, ma che permane in tutto il suo fascino per coloro che ricercano nel capoluogo siciliano tracce della secolare dominazione araba.
L’America che ho visto: l’impossibile viaggio verso una nuova età dell’oro
La parabola esistenziale di Sayyid Qutb può essere riassunta in quella di giovane letterato di successo che, di fronte alle storture della politica nasseriana e della modernità occidentale, decide di scegliere l’Islam come unica via possibile per ricostruire la società egiziana, ormai corrotta sin nelle fondamenta. Tappe imprescindibili per comprendere Qutb sono proprio due opere strettamente legate con il viaggio: L’America che ho visto, resoconto del viaggio fra il 1948 e il 1950 compiuto dall’ideologo egiziano e pubblicato nel novembre 1951, e Pietre miliari, testamento spirituale che indica un percorso, un ‘viaggio’ ideale che ogni sincero musulmano dovrà compiere per salvare la sua religione dalla modernità occidentale imperante. Relativamente al primo testo, la sua importanza è ben sottolineata da Davide Tacchini, primo traduttore in lingua italiana del testo qutbiano:
«Sono i due anni abbondanti trascorsi da Qutb in Occidente il periodo in cui il suo pensiero si è avvicinato a quello dei Fratelli Musulmani (…). La solitudine e lo ‘sradicamento’ (…) dal suo mondo lo portarono a riscoprire l’Islam, sebbene non se ne fosse mai allontanato. (…) La permanenza oltreoceano rappresentò per Qutb la conferma che l’Islam era una dottrina sicuramente superiore e che quindi, per salvare il mondo musulmano era indispensabile conquistare il potere, poiché era impensabile poter contare sulla civiltà occidentale» (Tacchini, 2015: 69-70).
Il viaggio biennale di Qutb è emblema della nostalgia e dell’angoscia del ritorno: la disillusione, il non trovare quello che si sperava, il ricordo del passato che si idealizza… sono tutti motivi che tornano e traspaiono nelle dissacranti pagine che Qutb dedica agli Stati Uniti di metà secolo, un Paese che appariva nelle sue svariate contraddizioni: un mondo materialmente prospero e votato al benessere che non riesce tuttavia a svilupparsi spiritualmente, mostrandosi invece da questo punto di vista di una superficialità disarmante. Il lettore interessato troverà nelle pagine di questo piccolo diario aneddoti e racconti che, sotto una patina di sarcasmo e ironia, rivelano un’avversione (sicuramente dettata anche da pregiudizi) verso la società americana che spinge l’autore a esaltare e idealizzare la propria religione, la propria cultura, le proprie radici. Il risultato di questa ‘riscoperta’, di questo ritorno alle origini ha un significato enorme dal punto di vista geopolitico: Sayyid Qutb ritornerà in Egitto divenendo una delle principali voci critiche dell’imperialismo inglese prima, e del socialismo arabo dopo; la sua adesione al movimento dei Fratelli Musulmani, di cui diverrà l’ideologo principale, è l’epilogo del viaggio in America cominciato tre anni prima. Riprendendo le parole sopra citate da Denooz, l’obiettivo di Qutb diviene proprio quello di ritrovare (o, per meglio dire, ricostruire) quello che è impossibile da ritrovare.
Pietre miliari: dal viaggio interiore al cammino esteriore
A seguito del fallito attentato a Nasser, ad Alessandria, del 1954, Qutb viene arrestato e successivamente costretto ai lavori forzati; di fatto, Qutb trascorrerà il resto dei suoi giorni in carcere, fino alla data della sua esecuzione, avvenuta nell’agosto 1966. Lungo la decennale permanenza nelle carceri egiziane, Qutb attuò un particolare tipo di viaggio che si potrebbe definire interiore: l’ideologo egiziano compì una profonda opera di riflessione e ripensamento dell’interpretazione coranica che lo portò a conclusioni innovative e sicuramente estremiste se paragonate alla teologia di al-Azhar. Frutto di questa riflessione è l’imponente commentario All’ombra del Corano, in cui Qutb lascia emergere le sue idee e teorie politiche nei commenti alle sure coraniche. Questo viaggio interiore, tra le pieghe del Corano, che vede inoltre un continuo sforzo tra interpretazioni letterarie, filologiche, storiche e ideologiche, è tuttavia complesso e sicuramente poco ripercorribile dalla maggior parte dei credenti musulmani.
Nasce qui l’idea di Qutb di condensare e riassumere i punti cardine della sua riflessione in un’opera che potesse giungere a tutti e che fosse di facile fruizione: è con questa intenzione che l’ideologo egiziano compone Pietre Miliari (oppure Segnali sulla via, secondo diversa traduzione). Il viaggio, il cammino che Qutb indica a coloro che desiderano lottare per un ritorno (impossibile?) all’età dell’oro è quindi tracciato da dodici capitoli, ognuno inteso appunto come pietra miliare per non perdersi nella jahiliyya, nella corruzione e nel politeismo odierni. Riprendendo le stesse parole di Qutb nel suo testo:
«È necessario che un’avanguardia si incammini con determinazione e che persista nella sua strada, marciando attraverso l’immensità della jahiliyya che ha ricoperto tutto il mondo. Durante il suo tragitto, dovrà essere in grado di isolarsi dalla onnipresente jahiliyya ed in alcuni casi mantenere dei legami con questa» (Qutb, 2017, 21).
Il tragitto, il viaggio da intraprendere è in questo caso il più complesso possibile, poiché esso prevede un cammino tortuoso e rischioso in una società che non condivide più né i valori né la formazione del viaggiatore.
Stessa destinazione, viaggi diversi?
A conclusione del saggio, non può che risultare stimolante rileggere le due opere di Sayyid Qutb sopra menzionate alla luce delle riflessioni intorno al viaggio e all’angoscia del ritorno su cui sono incentrati i contributi del volume collettaneo. In particolare, il lettore interessato potrebbe cogliere le affinità e le divergenze tra i resoconti di viaggio proposti nel saggio di Cristiana Baldazzi e il reportage americano di Qutb. Baldazzi approfondisce il resoconto di viaggio di due autori (Fikri e Zaki), rimasti impressionati dalla modernità europea rispetto all’arretratezza materiale dell’Egitto. È una posizione che Qutb potrebbe facilmente sottoscrivere. Eppure, partendo da una comune visione, sono differenti gli approdi che il viaggio porta con sé: per Fikri e Zaki, come scrive Baldazzi, il ritorno in Egitto
«comporta infatti un’attività di traduzione e di sintesi tra cultura orientale e occidentale; filtrano e dunque rielaborano il messaggio di rinnovamento cui la società araba deve aspirare per costruire una nazione moderna. Sia Fikri sia Zaki entrano nella Massoneria, della quale certamente condividono lo spirito filantropico e di solidarietà nonché l’idea di appartenere a un gruppo ristretto il cui compito è appunto quello di guidare la società nella costruzione di una patria moderna».
Differentemente, Sayyid Qutb rifugge quella stessa modernità che, se da un punto di vista meramente materiale può essere esaltata, spiritualmente si dimostra debole e ottusa. Il compito di Qutb sarà quindi l’esatto opposto dei viaggiatori Fikri e Zaki: ricostruire non la patria (watan), ma la comunità (umma) islamica che in maniera dicotomica si pone lontanissima dalla modernità occidentale. Lo stesso viaggio conduce a due esiti radicalmente diversi. Non deve però questo sorprendere il lettore: il viaggio ha bisogno del viaggiatore, ed è quest’ultimo che riveste di senso le distanze geografiche, tracciando confini talvolta ben più netti e invalicabili di qualsiasi altro confine fisico.
Dialoghi Mediterranei, n. 41, gennaio 2020
Riferimenti bibliografici
Sayyid Outb, Milestones, edited by A. B. Mehri, Makbatah Booksellers and Publishers, Birmingham 2006.
Davide Tacchini, Radicalismo islamico. Con il diario del soggiorno americano di Sayyid Qutb, O barra O, Milano 2015.
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Roberto Cascio, laurea Magistrale in Scienze Filosofiche conseguita presso l’Università degli Studi di Palermo, con una tesi dal titolo “Le Pietre Miliari di Sayyid Qutb. L’Islam tra fondamento e fondamentalismo”. Ha collaborato con la rivista Mediterranean Society Sights e il suo campo di ricerca è l’islamismo radicale nei Paesi arabi, con particolare riferimento all’Egitto.
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