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di Salvo Cuccia
Una volta ho fatto un viaggio nel Mediterraneo che finiva nel deserto, oltre la linea della palma e dell’ulivo. Fu un viaggio folgorante, la risposta in termini introspettivi e riflessivi fu fortissima e me ne resi conto solo molto tempo dopo.
Girai un documentario con una troupe iniziando dalla Corsica. Il protagonista era Antoine Giacomoni, un fotografo corso che negli anni settanta e ottanta aveva fotografato alcune star del rock medianteuno specchio da camerino, ne fotografava il riflesso attraverso cui coglieva qualcosa di profondo nei suoi soggetti. Aveva fotografato Nico dei Velvet Underground, Lou Reed, i Sex Pistols, dei giovanissimi Depeche Mode e tanti altri. Poi aveva perso la vista e lentamente l’aveva riacquistata.
Insieme facemmo questo viaggio in cui lui fotografava gente comune e personaggi che volevo che lui incontrasse. In questo gioco non c’era esclusivamente la sua ricerca espressiva ma anche la mia, che si sovrapponeva alla sua.
Ad un certo punto durante le riprese e poi al montaggio avvenne una epifania, una cosa magica in un certo senso, una deriva onirica, che per un documentario rappresenta una deviazione, quasi un paradosso. E in effetti il titolo che poi scelsi, “Fuori Rotta”, era riferito al fatto che in ogni viaggio c’è un deragliamento, qualcosa che ti porta altrove, se è un viaggio vero. Mi resi conto tempo dopo che quell’altrove avrebbe dovuto essere esplorato in una deriva onirica tout court.
Avevo seguito quell’onda in cui i luoghi e i personaggi si trasfigurano ed entrano in una zona “parallela” dell’immaginifico e delle possibilità della nostra mente. Stavo immaginando un viaggio che nella realtà avevo già fatto, che sono due cose ben diverse.
Un viaggio inizia e a un certo punto deraglia, prende una sua strada, imprevista all’inizio, una strada che è soprattutto mentale. Dal viaggio di Ulisse in poi questo è ben chiaro. Seguii quella strada laterale, quello spostamento della ragione che lascia spazio all’immaginazione e si perde nei meandri della sfera onirica, recuperandola a distanza di tempo, realizzando una videoinstallazione inedita ad oggi, dal titolo “Voyage Deja Vu”.
E in effetti, pensandoci, cosa c’è di prezioso nel viaggio, a parte viverlo nel momento in cui lo viviamo? c’è la sua ricostruzione, nel ricordo, in cui si addensano solo alcuni istanti o situazioni in “grumi” che diventano parti significanti del viaggio, la sequenza temporale avvenuta nella realtà cessa di essere importante e affiorano singole immagini o auree degli eventi.
Avevo attraversato la Corsica, la costa della Francia, la Spagna ed ero arrivato in Marocco, poi ero tornato per andare in Albania e poi in Sicilia, per poi tornare in Marocco in un secondo viaggio da Ouarzazate a Erfoud, Merzouga, attraversando paesaggi di terre rosse, bianche e infine di lastre nere, fino al deserto di Erg Chebbi dove iniziano le dune del Sahara che ad est arrivano in Egitto.
Nel deserto ho ritrovato me stesso come unità infinitesimale, un granello di sabbia che compone l’universo. Nel deserto ho ridimensionato tutte le vicende della vita che cessano di avere un peso, passano le ansie, ci si ritrova nel mantra della vita e lo si recita inconsapevolmente, si è avvolti da quell’unica nota che si espande nel mondo e che normalmente non ascoltiamo o non ci accorgiamo di ascoltare.
Nel deserto accade di continuo qualcosa anche se apparentemente tutto sembra immutabile. Improvvisamente si materializzano uomini e animali che pochi istanti prima non avevi visto. Una tempesta di sabbia improvvisa scompone la realtà, la fa deflagrare.
Poi tutto torna al suo posto. Ma in quei momenti tu, umano, ti ritrovi in un vortice che non è solo fisico ma anche psicologico. Niente è più visibile per pochi attimi. E avviene una epifania, non vedi più niente e in realtà vedi, come è accaduto al mio amico Antoine che non vedeva e poi ha ricominciato a vedere.
Ad un certo punto un vortice di infiniti granelli di sabbia non ti fa vedere più niente e un attimo dopo rivedi ciò che hai intorno o, almeno credi di vedere, perché il deserto è il luogo dell’illusione per eccellenza, del miraggio, di qualcosa che in realtà non è o forse è e che si trova in fondo al paesaggio, verso l’orizzonte, qualcosa che ti sembra di vedere che è solo un riflesso di qualcos’altro ma che in quel momento è più reale del reale e diventa l’elemento guida, la cosa più importante verso cui concentri il tuo sguardo perché vorresti capire cosa è e ti attrae, vorresti arrivarci, vederlo da vicino per rivelarne la vera forma e scoprire di che si tratta.
Il vero segreto è l’inganno della vista, il riflesso del mondo che diviene pratica visiva quotidiana, anche questo un deragliamento, i sensi cedono a ciò che la mente inizia a elaborare e tutto può diventare credibile, anche ciò che non esiste e che tuttavia crediamo di vedere.
Distinguo il viaggio che sto facendo dal viaggio che ho fatto, due cose molto diverse tra loro. Il viaggio che sto facendo ha una progressione nel qui e ora. Il viaggio che ho fatto si concentra su alcuni momenti, su alcune immagini e non solo. Il viaggio che ho fatto diviene un deja vu di quello che è stato e si trasforma in un altro racconto, questa volta onirico.
Mi piace pensare a una deriva mentale, a qualcosa che forse non è mai realmente accaduto e che viene messo in relazione dal ricordo degli eventi che si sono susseguiti. Un viaggio nel Mediterraneo è talmente pieno di tutte le storie umane che si sono stratificate che è difficile alla fine distinguere ciò che è indotto dalla storia da ciò che si sviluppa nel ricordo o addirittura nel mito.
In fondo il viaggio è ciò che di esso rimane, brandelli nella memoria, ombre di personaggi e luoghi, riflessi del mondo che si rifrangono come onde del mare sugli scogli della mente. E tutto assume una forma nuova, indipendente da ciò che siamo convinti sia reale.
La realtà non è oggettiva ma è qualcosa che creiamo e ricreiamo continuamente dentro di noi. L’inconoscibile e l’irriconoscibile sono le parti della realtà che mi interessano di più. Credo che il viaggio rappresenti l’illusione della realtà e della vita per eccellenza, una sorta di allegoria della vita, una metafora che affonda i suoi benefici tentacoli nell’inconscio per esplodere nella sfera dell’immaginazione.
Il mio caro protagonista, Antoine, aveva perso la vista e l’aveva da poco recuperata e ciò mi poneva una domanda, cosa vediamo o cosa percepiamo in realtà? La mia indagine si è espressa, oltre che nel documentario con la sua struttura vococentrica, nel video di creazione in cui lascio che la dimensione onirica prenda il sopravvento.
Avrei voluto mettere subito insieme le due cose e lo sto facendo adesso. Ho davanti a me il viaggio che ho fatto fisicamente e il suo simulacro, ovvero ciò che si è sedimentato nella memoria, ciò che io ho immaginato, ciò che immagino anche ora e ciò che immaginerò in futuro. In questa sedimentazione rimane aperto ogni interrogativo, che è la cosa più bella e affascinante.
Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
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Salvo Cuccia, regista e artista visivo, nella sua sperimentazione eclettica coniuga videoarte, fiction e nuove forme del documentario. Ha realizzato molti lavori tra video di creazione, cortometraggi di invenzione, performances, videoinstallazioni e documentari, alcuni dei quali per i programmi RAI “La storia siamo noi” e “Magazzini Einstein”. I suoi lavori sono stati selezionati in numerosi festival internazionali, da Locarno al Festival dei Popoli, da Torino a Bombay. Nel 2005 Martin Scorsese ha presentato il suo film documentario Détour De Seta al Tribeca Film festival e al Full Frame Documentary Film Festival. Nel 2013 il suo film documentario Summer 82 When Zappa Came to Sicily è stato presentato come evento speciale alla 70.Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2015 ha girato Il Soldato innamorato e Lo Scambio, il suo primo lungometraggio di finzione (in concorso al 33 Torino Film Festival). Nel 2018 ha realizzato il film documentario La Spartenza (Speciale TG! RAI 1). La sua ricerca è oggi orientata verso il cinema di finzione.
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