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In Mongolia, dove ci si sente parte del tutto

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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di Valentina Brancaforte

Durante questo periodo, confinata fra quattro mura, mi sono spesso soffermata a rievocare le sensazioni suscitate dalla steppa e dal deserto della Mongolia. Puoi perderti con lo sguardo nel silenzio polveroso e sentirti improvvisamente iniziato ai misteri della vita, della morte e della loro cruda alternanza.

O puoi rifugiarti nell’intimità di una infinitamente piccola e accogliente gheer, prima che questa si trasformi in un guscio da portare lentamente in carovana.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

L’immensità degli spazi lascia un iniziale senso di spaesamento. Il deserto del Gobi è uno spazio sconfinato e arcaico che ti apre ad un dialogo intimo e meditativo. Una montagna di granelli dorati e plasmabili dal vento.

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Deserto, Il piccolo Gobi (ph. Valentina Brancaforte)

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Deserto, Gobi (ph. Valentina Brancaforte)

Quando non soffia sembra quasi un velluto morbido, ma diventa indomabile nei giorni di bufera. Ricordo benissimo la sensazione di essere percossa in viso da spilli appuntitissimi e non trovare il modo di proteggermi.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

La steppa è priva di ogni riferimento geografico con cui potersi orientare, soprattutto per un viaggiatore non appartenente a quell’habitat, per quanto esperto sia. È un mare d’erba, senza grandi rilievi.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Si può camminare per ore ed avere la sensazione di ammirare sempre lo stesso paesaggio. Ci si può smarrire facilmente (e credo non solo fisicamente).

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Poi all’improvviso appaiono come funghetti bianchi le gheer, le tende che accolgono la vita nomade nei suoi momenti privati e sociali.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

I nomadi incontrati sul percorso, grazie anche alla mediazione dell’autista guida, ci hanno accolto sempre con serenità. Il loro sorriso lascia trasparire un senso di quiete, di armonia.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Qui le relazioni sociali, proprio perché rade forse e perché si sviluppano in un ambiente difficile, hanno il sapore dell’accoglienza. Della condivisione. Anche con dei perfetti sconosciuti. E anche tra me ed alcuni dei perfetti sconosciuti compagni di viaggio è nato un rapporto profondo e duraturo.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Che sia stato anche questo frutto del volersi sentire vicini e farsi forza nell’affrontare steppa e deserto? Questo periodo di alienazione dovuto alla pandemia me lo fa avvertire ancora più forte di quanto mi fosse apparso ai tempi del viaggio.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

L’ingresso nelle gheer prevede dei rituali: c’è un senso di spiritualità che non potrei spiegare, non conoscendo bene la loro cultura, ma ti pervade anche in brevissimo tempo.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Una volta all’interno ci si siede sulle piccole panche di legno, attorno alla stufa di ghisa che serve a riscaldare dalle freddissime notti. E ad ogni visita viene offerto l’immancabile tè con il latte ed il formaggio essiccato.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

I pasti che condividiamo sono a base di carne di capra o di cammello. Le verdure, un miraggio. La coappartenenza tra uomo e animale è il sintomo più evidente della vita nomade, nonché la comunanza di destino. Tutto segue i ritmi imposti dalla natura in un continuo e resiliente adattamento. Compagni di viaggio, cibo, fonte di ricchezza: gli animali sono il fulcro della vita nomade.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Nei campi nomadi si trovano spesso capre, pecore, cavalli, cammelli e cani (che avvisano dell’arrivo di qualche sconosciuto e non hanno sempre un aspetto rassicurante).

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Oggi l’oro della Mongolia è rappresentato dal cashmere, prodotto di elevata qualità grazie al pelo folto che le capre sviluppano per proteggersi dalle escursioni climatiche.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Se un membro del gregge si smarrisce, il territorio è così vasto che per tentare di ritrovarlo si fa uso di un monocolo e si corre a riprenderlo con un motociclo, per guidarlo al campo.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Assistere alla pettinatura delle capre è uno dei momenti salienti del viaggio. Pettinatura, non tosatura. Un gesto semplice ed elementare, estremamente faticoso per chi lo esegue. Ho provato, non sono stata capace di far scivolare il pettine tra il pelo e al primo lamento della capra mi sono arresa.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Nei miei sogni (ma solo in quelli) mi vedrei meglio a fare l’amazzone e domare un cavallo dopo averlo preso al lazo. Chissà, nella prossima vita.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Nella natura selvaggia si ritrova un’armonia primordiale, e anche la ciclicità della vita assume un senso diverso. La vita e il sacrificio di un animale assumono un significato più profondo, più rispettoso.

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Da qualche parte in Mongolia (ph. Valentina Brancaforte)

Dimenticavo una cosa fondamentale. Prima del viaggio mi sembrava uno scoglio insormontabile, adesso faccio fatica a ritrovarla nei ricordi. Qui l’acqua corrente non esiste. Abbiamo fatto scorta di salviettine detergenti prima di partire. E i bagni sono buche nel terreno.

Ma ci si sente parte del tutto.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

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Valentina Brancaforte, catanese, comincia a fotografare nel 2012 e la fotografia diventa lo strumento per soddisfare la sua innata propensione verso ogni forma d’arte, il linguaggio che più corrisponde all’espressione del sé. La sua fotografia si concentra su tematiche sociali legate agli innumerevoli viaggi alla ricerca dell’identità dei popoli, siano essi i luoghi più remoti del mondo o i paesi della sua Sicilia. Ha fatto parte della giuria per diversi concorsi fotografici, ha esposto in Italia, in collettive e personali, ed è una delle autrici del progetto “Il Cantico di Librino” a cura Antonio Presti e della Fiumara d’Arte. Alcune sue immagini sono state scelte per la galleria fotografica online di National Geographic Italia. Nel 2020 le sue immagini ‘Terra’ (2016) e ‘Il lenzuolo’ (2016) sono entrate a far parte della collezione “Mediterraneum Collection” dell’Associazione Culturale Mediterraneum.

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