di Paolo Giansiracusa
La statua di Santa Maria Maddalena si trova nella chiesa di Buccheri ed è attribuita a Antonello Gagini (1478-1536). Imponente nella postura, ampia nelle forme, appare come modellata nella docile cera e invece è tornita nel marmo cristallino toscano. Avanza sicura nello spazio della nuova dimensione che con la fede ha conquistato. Ricorda a tratti la Dea di Morgantina (Museo Regionale di Aidone, V sec. a.C.) del cui modello iconografico non gli sarà mancato di vedere opere similari. Anche nello scatto che proietta la figura in avanti c’è la tensione dinamica della grecità. Antonello Gagini d’altra parte sapeva che il Rinascimento è innanzitutto rinascita della classicità.
Maria Maddalena, scolpita con proporzioni naturali (in scala 1:1 rispetto al modello vivente di riferimento), non è più terrena, non è più debole e vulnerabile perché creatura del cielo, donna nuova destinata alla luce eterna. Le sembianze sono quelle di una figlia del popolo, di una fanciulla normale che ha visto nel Cristo l’àncora della salvezza. Vestita con abiti lunghi e ampi, chiude il suo corpo, di vertù repleto (direbbe Dante), nell’onda delle pieghe generose che traducono in termini plastici la via dolorosa che ha attraversato. Maddalena è imperturbabile, non rivela alcuna emozione, se non lo stupore di viaggiare verso la luce. La testa, levigata in ogni dettaglio, è chiusa dall’oro dei lunghi capelli che con ciocche abbondanti scendono sulle spalle e coprono persino la schiena nella sua interezza. Tale espediente ne fa un tutto tondo, una scultura totale concepita per essere guardata anche da dietro. Il collo lungo e nudo, che si ripete nella Sant’Oliva alcamese, unitamente al drappeggio, a tratti velato, ci rimanda alle armonie scultoree della classicità e a quel senso di bellezza universale che trae linfa dall’osservazione della realtà.
La statua della Maddalena di Alcamo (1520)
Per un raffronto formale ed espressivo tra la scultura di Buccheri ed opere similari dello stesso Gagini aggiungo l’analisi della statua della Maddalena conservata ad Alcamo, nella chiesa dei Francescani. L’Abate netino Roccho Pirro, alla data 1647, nella prima edizione nell’opera Sicilia Sacra, Disquisitionibus et Notitiis Illustrata, annota la presenza di una statua in marmo di Santa Maria Maddalena, nella chiesa dei Francescani di Alcamo. Nell’edizione curata da Vito Maria Amico (Palermo 1733, Tomo II: 897), nell’elenco dei beni ecclesiastici della Chiesa Mazarese, nella parte relativa alla Città di Alcamo, leggiamo la seguente notizia: Franciscanorum Convent. … hic colitur simulachrum S. Maria Magdal. marmoreum sculptum affabre à Cagino. Nient’altro viene aggiunto.
La presenza del marmo, nel convento dei francescani alcamesi, a distanza di circa cinquant’anni dal 1647, viene confermata da Giuseppe Vincenzo Auria nell’opera Il Gagino Redivivo. O’ vero Notitia della Vita ed Opere d’Antonio Gagino (Palermo 1698: 31): «Nella Città d’Alcamo v’è una statua di S. Maria Maddalena nel Convento di S. Francesco, opera del Gagino, come riferisce l’Abbate Pirri». E su questa pista storica che si muoverà la ricerca di Gioacchino Di Marzo (op. cit. vol. I: 292):
«Stimo però inoltre da lui scolpita in quel torno altresì per Alcamo quella bellissima e soavissima statua della Maddalena in piedi con un libro in una mano e nell’altra il vasetto degli unguenti, quale ivi si ammira nella Chiesa di San Francesco, recando dappiè l’epigrafe ANGELUS DE SCALISIO FIERI FECIT MDXX. Sebbene intanto non sia certa fin ora per documento la mano, cui fu dovuta, vi ha pure evidentissima l’opera dell’insigne palermitano maestro, di cui tutto ivi rende il carattere di espressione e di stile ineffabile, e singolarmente il volto con una tale armonia di bellezza, di compunzione e di dolore, che altri se non egli potè in tal guisa spirarvi. Nella base in piccole figurine in bassorilevo vi sta espressa in mezzo la Santa levata in cielo dagli angeli, essendovi a destra genuflesso il detto Scalisi in atto di leggere in un foglio, che tiene spiegato in mano, ed a sinistra il suo stemma con una scala».
Il confronto tra le due sculture di Buccheri e Alcamo mette in evidenza le affinità formali ed espressive. Hanno pressappoco la stessa altezza e la stessa postura. Una differenza sostanziale è nell’orientamento del volto e nell’inclinazione della testa. Quella di Buccheri ha la testa lievemente inclinata a destra, lato verso il quale guarda con espressione malinconica. Quella di Alcamo è invece rivolta a sinistra. Le mani e l’avanzamento della gamba destra sono identici. La mano sinistra di entrambe regge il Libro delle Scritture, la destra è invece portata verso l’alto in modo da reggere un unguentario. La presenza dell’unguentario nella statua di Alcamo dà forza all’ipotesi che anche il simulacro della Maddalena di Buccheri lo potesse reggere. Il pomo a cui fa riferimento l’atto del Notaio Giulio De Pascalio dovette essere sostituito in corso d’opera e quindi mai realizzato; la conferma di questa ipotesi deriva dall’identica postura della mano destra delle due versioni della Maddalena. Chiaramente l’unione delle dita attorno a qualcosa di mancante non fa pensare ad un frutto tondeggiante ma ad una piccola pisside per unguento.
Gli abiti sommariamente hanno la stessa volumetria e lo stesso disegno con la differenza che le pieghe nella Maddalena buccherese sono più fitte e conferiscono alla figura un aspetto più drammatico. L’abito della Maddalena alcamese ha invece svolazzi ampi e lisci. Il piedistallo propone in entrambe la Maddalena a mani giunte portata in cielo dagli Angeli. Anche in questo caso la scena buccherese (con due Angeli) è più drammatica, quella alcamese (con quattro angeli) appare più serena. Quella iblea è più pudica, con i lunghi capelli che coprono il corpo della Santa; quella alcamese è meno castigata, a tratti appare sensuale. Mancano purtroppo nel piedistallo buccherese le parti laterali che, come è già stato rilevato, in seguito alle probabili sbeccature angolari dovute ai danni del terremoto del 1693, furono cancellate per indietreggiare il piano scultoreo. In tal modo fu possibile eliminare le parti scheggiate e sbeccate e ottenere un livello plastico nuovo. Il nuovo risultato scultoreo mantenne intatta, nell’interezza del blocco originario, la parte centrale. Il resto del blocco, attraverso l’intarsio di marmi policromi, fu invece adattato al disegno e ai colori dei marmi dell’altare settecentesco.
In altre sculture eseguite dopo la Maddalena di Buccheri, Antonello Gagini riprenderà la struttura compositiva e l’espressione del capolavoro degli Iblei. Si veda in tal senso la statua di Sant’Oliva eseguita qualche anno dopo, nel 1511 (chiesa di Sant’Oliva, Alcamo). La posizione delle mani è la stessa e nella parte del busto l’abito ripete l’effetto bagnato della Maddalena. Affinità non mancano anche in relazione alla statua di Santa Lucia della Cattedrale di Siracusa, eseguita nel 1526 su commissione del vescovo Ludovico Platamone (Gioacchino Di Marzo, I Gagini e la Scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI, II° volume, Palermo1883: 131). Si direbbe che Antonello Gagini abbia un modello di riferimento preciso, ispirato dalle fanciulle palermitane del suo tempo: di media statura, dall’anatomia robusta e dalle carni ben tornite, così da dare l’impressione di un modellato morbido e luminoso.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
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Paolo Giansiracusa, Storico dell’arte, Professore Emerito Ordinario di Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti. Già Docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania. Componente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa-Roma. Direttore del M.A.C.T. Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea di Troina. Fondatore e Direttore della Rivista Nazionale “Quaderni del Mediterraneo”.
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