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Scenari di pensiero e pluralismo pragmatico nelle attività del ‘Riabitare l’Italia’

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il centro in periferia

di Pietro Clemente

La storia si aggira per il mondo

Tutti i giorni i giornalisti ci informano che la storia sta passando vicino a noi, può trattarsi di una partita di calcio, di un incontro di tennis, di una guerra, di un viaggio del Papa o di Draghi o addirittura della partecipazione di Chiara Ferragni a Sanremo 2023, tutte date che, secondo loro, entreranno sicuramente nella storia. La visita di Macron, Draghi e Scholz con Iohannis (premier rumeno, spesso espunto dalla lista perché un po’ scomodo) è stata raccontata dai giornalisti come se Italia Francia e Germania fossero i Paesi più importanti o forti d’Europa, stilando sempre delle classifiche che certo non aiutano la solidarietà europea.  Un giornalista di Rai News 24 in vena di retorica ha detto «Ieri la storia è passata dalla capitale dell’Ucraina», come se l’avesse vista transitare con i suoi occhi. L’avverbio più usato è ‘davvero’ e a volte viene addirittura raddoppiato “davvero davvero” perché l’ascoltatore capisca che si tratta di cose stupefacenti che succedono davvero.

Mentre la storia si mostra ovunque, i virologi si nascondono. Infatti nonostante la presenza di un picco estivo, i media continuano a dire che il virus non c’è, che è finito, che è diventato una semplice influenza, e i virologi preferiscono stare nascosti e farsi vedere poco.

I piccoli paesi sono alle prese con il PNRR e mentre sperano che le risorse vengano assegnate, hanno però la consapevolezza che vi sarà una grande dispersione di energie. Il bando del MIC sui ‘borghi’ ha suscitato un gran vespaio, di cui abbiamo parlato nel numero scorso. Sembra poi che la vocazione del Ministro Franceschini è quella di occuparsi dei luoghi visitati da almeno un milione di visitatori l’anno. Al resto fa poca attenzione.

sdt-firenze20220609_web_page-0001Bilanci

Anche il mondo delle zone interne, delle Isole, delle Alpi e degli Appennini, delle reti e della Associazioni per Riabitare l’Italia vive una fase di passaggio. Le isole si ‘smarcano’ perché vi è una legge di indirizzo ancora in fieri (vedi l’ampio e nitido testo di Michele Cossa) che le separa dalle altre zone interne, cominciando ad adeguarsi così anche all’articolo 3 della Costituzione. Nelle nostre reti il PNRR è un fantasma che si aggira, per l’Italia. Si tradurrà in sviluppo finalizzato ai luoghi? Si disperderà? La maggior parte dei finanziamenti andrà come sempre a ciò che è già polarizzato secondo il principio che ‘piove sul bagnato’?

Ma ci sono in atto diversi progetti. La Società dei Territorialisti ha mobilitato una parte rilevante dei dottorati di ricerca italiani per cercare di creare un nuovo scenario nell’ambito delle zone interne, in una prospettiva territorialista, che non abbia interessi parziali, e che non si basi sulle leggi di mercato ma metta in atto un progetto di futuro in cui città metropolitane e periferie montane costruiscano nuovi rapporti reciproci, basati sul territorio e la sua storia, sulla coscienza di luogo.

Il convegno “L’approccio eco-territorialista: principi e metodi”, che si è tenuto a Firenze il 9 giugno, ha messo insieme varie generazioni oltre che varie discipline e ha fatto il punto su diversi aspetti. Ne riproduco qui il ‘menù’ per dare l’idea dell’impegno di messa a punto e di progettualità interculturale:

Territorialismo, eco-territorialismo, bioregionalismo: genesi, contesti, motivazioni (prof. Ottavio Marzocca, Università di Bari “Aldo Moro”), Dall’archeologia globale alla storia del territorio: un progetto di saperi essenziali per la definizione di valori, invarianti, statuti dell’eco-territorialismo (prof. Giuliano Volpe, Università di Bari “Aldo Moro”), L’approccio eco-territorialista alla pianificazione territoriale: il ruolo fondativo degli aspetti patrimoniali (prof. Anna Marson, Università IUAV di Venezia), Gli apporti della geografia all’integrazione delle relazioni ambiente-territorio verso l’autosostenibilità dei sistemi locali (prof. Egidio Dansero, Politecnico di Torino) – L’innovazione degli approcci sociologici nella rinascita dei luoghi e nella crescita di istituti di democrazia comunitaria (prof. Giovanni Carrosio, Università di Trieste) – Gli approcci antropologici nella ridefinizione del ruolo delle culture locali nell’eco-territorialismo (prof. Pietro Clemente) – Ecomemoria, condizione preliminare dei processi di riterritorializzazione (dott. Antonella Tarpino, Fondazione Nuto Revelli) – L’agroecologia come supporto fondativo dell’eco-territorialismo (prof. Stefano Bocchi, Università di Milano), La bioregione urbana, strumento multidisciplinare del progetto eco-territorialista (prof. Alberto Magnaghi, Emerito, Università di Firenze), La struttura territoriale della bioregione urbana: verso reti multipolari di bioregioni urbane autosostenibili e solidali (prof. Angela Barbanente, Politecnico di Bari; prof. David Fanfani, Università di Firenze) – La città come nodo della rete ecoterritoriale (prof. Daniela Poli, Università di Firenze) – Le declinazioni del concetto di comunità nel progetto bioregionale: verso il superamento della dicotomia comunità società (prof. Sergio De La Pierre, Osservatorio SdT; dott. Riccardo Troisi, RIES) - Dalle ‘piattaforme produttive’ territoriali alla ricomposizione dell’autogoverno dei soggetti socioproduttivi: dai ‘distretti sociali’ alle bioregioni (dott. Aldo Bonomi, AASTER Milano) – I fondamenti culturali del progetto bioregionale dell’Ile-de-France (prof. Agnès Sinaï, Institut Momentum Paris) – Culture pubbliche del cibo per l’autogoverno locale dei beni comuni (prof. Gianluca Brunori, Università di Pisa).

Sono temi strategici per la società futura, società che si confronta col proprio destino tra crisi ambientale e ‘co-evoluzione’ progettuale da perseguire. Si tratta di un grande progetto nel quadro dell’ultimo libro di Alberto Magnaghi Il principio territoriale, che riguarda il bilancio e il rilancio del suo approccio al territorialismo, centrato sul concetto di processi eco-evolutivi.

L’Associazione Riabitare l’Italia ha invece messo in stampa un volumetto critico contro l’uso ‘infestante’ della parola ‘borgo’. Occupando lo spazio antico e classico del ‘paese’ il ‘borgo’ crea graduatorie, egemonie, esclusioni, e infine ulteriori diseguaglianze [1].  Questo volumetto non vuole essere il bilancio sull’attività e le prospettive del movimento per Riabitare l’Italia, ma è piuttosto il tentativo di sbarazzare il campo da quella modalità che privilegia una generica e selettiva identità di borgo, creando attriti e difficoltà e distogliendo l’attenzione dai problemi reali.

i__id6170_mw600__1xInfine è uscito un volumetto di bilancio, non sempre confortante, dell’esperienza della Strategia Nazionale Aree Interne con una ampia intervista a Fabrizio Barca, il suo principale animatore, e con diversi resoconti sullo stato delle ‘aree interne’ [2]. È comunque un testo di grande interesse per un approccio concreto all’esperienza SNAI e alle prospettive che ha creato, avviato e visto cadere.

La Società dei Territorialisti, il movimento e l’Associazione Riabitare l’Italia e la SNAI sono le principali forme della ricerca teorica e pratica che in Italia è legata allo sviluppo mirato delle aree interne. Dopo la crisi del marxismo e delle ‘grandi narrazioni’, mi sono abituato ai patchwork teorici. Ma è anche vero che davanti ai processi e ai casi talora modelli diversi tirano in direzioni diverse. Questa può essere una risorsa, ma può essere anche un problema quando li si deve usare per interpretare e orientare azioni locali.

Nella sua riflessione Fabrizio Barca parla molto criticamente della fase che stiamo vivendo e del ruolo che vi gioca la politica. Definisce il quadro attuale come dominato dalla ‘assenza di un sogno comune’ e si chiede dove può portare la politica senza alcun progetto di futuro. Visto lo stato delle cose, Barca arriva a dire che bisogna investire sulle nuove generazioni e che questo può essere un obiettivo prioritario.

Da quando ho cominciato ad occuparmi dei temi del ritorno ho avuto l’opportunità di arricchirmi di molti nuovi apprendimenti. Come diceva un mezzadro intervistato molti anni fa: ‘Il contadino è un mestiere che non si smette mai di imparare’. Così è per me l’antropologia. Sono in pensione da 10 anni e continuo a imparare un sacco di cose. All’inizio ho cercato di coordinare reti di paesi, legati da conoscenze comuni e dalla presenza di una generazione di quarantenni. Gli incontri fatti, le letture che hanno arricchito gli incontri hanno visto una fase di crescita di esperienze e di scambi. Ma dopo un po’ l’impegno immersivo dei ritornanti e degli innovatori territoriali ha reso sempre più rare le riunioni. Gli aspetti generali dei nostri dialoghi tra Piemonte, Trentino, Friuli, Toscana, Calabria, Sardegna erano comparabili, ma quelli locali non lo erano e poi i rapporti con la politica non decollavano. Ma mancavano anche tattiche comuni. Era stato fecondo l’incontrarsi imparando i vissuti altrui, rafforzandosi delle somiglianze, ma poi senza una vera rete politica diventava difficile rispondere alla domanda: ‘cosa devo fare ora’? La politica, anche in fase di PNRR, è ben lontana da investire sui luoghi. Attribuisce fondi, ma senza connetterli in un progetto, finirà per esserci una altissima dispersione, e un forte orientamento a investimenti culturali subalterni alle tendenze dominanti. Temo che di comunità energetiche, di comunità patrimoniali, di comunità progettuali non ci sarà una gran crescita. Anche se spero di sbagliarmi.

Mi è capitato più volte di notare che l’aspetto che accomuna l’attività dei piccoli paesi che ho conosciuto e seguito è la presenza di festival e di forme festive. Questo tratto comune può essere una risorsa, perché si entra in un campo di attività simboliche che possono essere importanti rispetto ai modi di costruire il futuro. Le comunità che vanno definendosi spesso sono altamente conflittuali e trovano nella festa la dimensione comune più marcata. Ma al tempo stesso i paesi che investono in modo fortemente specializzato su festival che durano una settimana e comunque solo con cadenza estiva creano dei calendari della vita locale piuttosto anomali. Tutto si concentra sulla festa e si rischia di privilegiare lo sviluppo della ristorazione, dei bed and breakfast e degli agriturismi, ma non lo sviluppo di agricolture biologiche o di allevamenti non industriali. In ogni caso i festival, le feste, le ideologie ecologiste dei ritorni, le passioni e gli investimenti in pratiche che contrastino il disastro ambientale, tutti gli aspetti etici, ideali, sociali delle possibili comunità meritano un ascolto attento. Forse per vincere una battaglia come questa c’è bisogno di ‘credere’, c’è bisogno di ideologie, di sentimenti forti di comunità. Forse occorre tradurre le indicazioni prospettiche dei territorialisti, e quelle politico-economiche di Riabitare l’Italia e della SNAI in un percorso di alto valore simbolico, quasi religioso, visto che le implicazioni più forti non stanno solo nel tornare nei paesi, ma nel darsi una speranza per salvare la terra.

5520336Esperienze

Le pagine de Il centro in periferia raccontano spesso esperienze locali. Non poche di queste sono suggeritrici di percorsi, altre lanciano degli allarmi per quel che succede nei luoghi. Di recente mi è successo di fare una esperienza di convegno itinerante nell’Alta Gallura. Il convegno dal titolo “Oltre la città e la campagna verso una inedita città-natura: riabitare il territorio”. promosso dall’architetto Linda Decandia, (Università di Sassari/Alghero) [3] si è svolto nel quadro di un dottorato nazionale di ingegneri e architetti. Già il titolo contiene una interessante idea per pensare i nessi che storicamente sono stati tematizzati nella contrapposizione città/campagna. Una città- natura immaginata in un territorio a insediamenti multipli distinti, diffusi, connessi. Si parte dall’insediamento disperso, proprio degli ‘stazzi’ galluresi, simile alle zone contadine dell’Italia ex mezzadrile e si prende atto di un ritorno agli stazzi con vari tipi di iniziative e investimenti caratterizzati spesso da nuovi contesti e nuove possibilità tecnologiche. In questo seminario itinerante è stato possibile incontrare contadini, pastori, viticultori, erboristi, apicoltori, operatori dell’agriturismo e del turismo culturale. In questi casi si intuisce che non tutte le prospettive delle singole imprese sono alla lunga tra loro condivisibili, che ci sono strategie diverse, che possono produrre alleanze, favorire investimenti comuni in azioni verso la politica e verso il prestito, fare da cerniere comunitarie attraverso forme festive esplicitamente legate ai nuovi processi dell’abitare locale. Le occasioni festive sono forse le forme in cui immaginare tracciati di futuro comune tra esperienze diverse.

All’inizio di luglio avrò occasione di partecipare a Seneghe a un altro convegno di questo tipo per iniziativa del Centro Bastianino Brusco e del sociologo Benedetto Meloni. Il convegno, caratterizzato da molte presenze locali plurali dentro una area circoscritta, si intitola “Montiferru-Alto Campidano- Planargia come area pilota per il turismo rurale sostenibile. Progettazione pregressa ed in itinere, individuazione di buone pratiche e loro implementazione per un contributo al laboratorio di sviluppo dei territori”. Sarà una altra occasione per me di imparare ma soprattutto di trovare indicazioni metodologiche che rendano più espliciti i nessi tra le esperienze territoriali e le prospettive ideali, politiche ed economiche del ritorno.

In questo periodo mi è anche capitato di leggere il libro Ritorno alle origini. L’esperienza degli Elfi, di Mario Cecchi [4], che è stato uno dei fondatori dell’esperienza comunitaria nella montagna pistoiese. Dal 1980 questa comunità vive di agricoltura tradizionale, di famiglia aperta, di autosussistenza e di limitazione dei consumi. Il libro è anche la biografia di Mario Cecchi, tenace ideologo e costruttore di una esperienza difficile basata sull’occupazione di case coloniche abbandonate, di agricolture montane elementari senza alte tecnologie, sulla assenza di televisioni e di internet, e di forte distanza fisica (ore di cammino a piedi) dal nostro mondo dei supermercati. Questa lettura, anziché darmi un senso di distanza da esperienze così radicali, mi ha dato invece la sensazione di una sorta di garanzia e di promessa di possibilità, perché se può esistere da 40 anni una esperienza radicale di autoconsumo e di agricoltura ‘tradizionale’ in zone montane difficili, possono esistere anche forme meno radicali che dagli Elfi hanno tutto da imparare. Gli Elfi condividono e trasmettono una religione senza teologia basata sulla Madre Terra, sul rispetto di essa, sul Grande Spirito che anima il mondo. Di certo non saranno tra gli agenti della distruzione del pianeta, anzi forse ritengono di essere coloro che sopravviveranno alla vicina drammatica crisi planetaria. Credo che abbiamo da insegnare la loro esperienza, anche in contesti complessi come quelli di cui qui si parla.

Emiliano Giancristofaro

Emiliano Giancristofaro

Casi

Non sono certo che Il centro in periferia continui ad interessare chi si occupa di aree interne, o chi prova a tornare ed è impegnato non solo a studiare ma ad agire localmente. Vedo la missione che avevo proposto un po’ in crisi di fronte all’assenza di incontri e di prospettive condivise dei ‘riabitatori’. È da un po’ di tempo che penso a come cambiare, cosa cambiare, se continuare. Anche questo numero di Dialoghi Mediterranei contiene un ‘Centro in periferia’ in cui prevalgono temi culturali, informazioni su attività in corso e presenta una certa ricchezza di voci e di riflessioni sebbene non una linea di marcia.

Si apre con un testo di addio a Emiliano Giancristofaro redatto da Mariano Fresta che ne racconta il percorso intellettuale. Emiliano aveva collaborato con tutti gli studiosi che si erano occupati di Abruzzo: da Alfonso Di Nola ad Alberto Mario Cirese a Giuseppe Profeta e da tutti loro era stimato. Con i suoi studi ha posto le condizioni perché il mondo popolare abruzzese sia ricco di coordinate e di suggerimenti per chi affronta il futuro. Con sua figlia Lia, collega antropologa all’Università di Chieti, aveva seguito da vicino la festa di San Domenico e dei Serpari di Cocullo. E qui, come altrove, aveva rapporti con sindaci e cultori di studi locali. Un uomo affabile, gentile, accogliente con una bella storia di vita e di fatica con la quale aveva potuto accedere al mondo degli studi. Era una sorta di ‘eroe culturale’ dell’Abruzzo, e se fosse esistito un premio de ‘Il centro in periferia’ lo avrebbe meritato. Lascio a Fresta la parola ma prima desiderio manifestare il mio cordoglio, essere vicino a Lia e ai familiari, e raccontare che per me il suo libro più caro è Cara moglia. Storie e lettere a casa di emigranti abruzzesi [5], non solo perché lo sento molto vicino ai miei studi sulla scrittura popolare, ma anche perché contiene una dedica affettuosa a me e a Ida, a ricordo di uno dei primi incontri con lui.

Segue il prezioso testo di Michele Cossa sul tema della insularità e delle disuguaglianze territoriali. Descrive chiaramente l’avvio di una nuova legislazione europea, le prospettive e lo stato delle cose.  

Il testo dagli Eco-musei piemontesi è una ‘terza puntata’ e continua una collaborazione che mostra come gli ecomusei contengano princìpi di sviluppo locale e talora azioni esplicite in questo senso. Ed ha forti tratti delle tematiche territorialiste sulla storia antropica dei territori e delle loro vocazioni:

«…nel contesto di un paesaggio in cui gli elementi visibili rimandano a stratificazioni storiche sedimentatesi nel corso dei secoli in un mosaico di grandiosa complessità. Un paesaggio, questo, dove può capitare di incontrare una chiesa romanica edificata sui resti di una villa romana con riscaldamenti a pavimento situata a breve distanza da aziende, fondate da peltrai e scalpellini, che nel XXI secolo producono impianti per la climatizzazione degli edifici. E questo è solo uno dei possibili esempi che si possono trarre da un territorio di grandissima ricchezza culturale».

Il testo di Renzo Rossi, già sindaco di Montecatini Val di Cecina, è legato a un incontro avvenuto a Montecastelli, una comunità che opera fortemente per dare vitalità al territorio tramite una associazione culturale, un museo, una rivista oltre che ad attività culturali e musical varie. E lo fa nello scenario piuttosto complesso e drammatico che qui ci viene raccontato dall’ex sindaco Rossi attraverso la sua esperienza e attraverso dati statistici che spero vengano recepiti sul territorio per avviare un dialogo e delle iniziative. Ogni valle ‘marginale’ è un nuovo scenario, e vista dappresso mostra aspetti di straordinaria peculiarità, per cui i paesi sono sempre ‘unici’ e ‘imprevedibili’ anche dopo lo sforzo secolare di appiattirli sulla modernità e l’omologazione. Qui si vivono altre geografie rispetto a quelle normalmente immaginate e si praticano stili di vita che si misurano con i grandi temi del presente. Per me la Val di Cecina e le esperienze che sono state fatte, la storia che c’è, la passione che anima ancora gli operatori culturali è stata davvero una scoperta.

Settimio Adriani è forse l’unico collaboratore che di volta in volta mostra aspetti diversi della vita dei piccoli centri; Fiamignano è questa volta protagonista nell’attività specifica di accogliere profughi dall’Ucraina, di mettere in atto gesti di comunità aperta e solidale. Un aspetto importante nel nostro mondo di conflitti e di transiti.

30223262513L’ampio saggio di ricerca di Ornella Ricchiuto, ricco di fonti orali e di intensa vita della antica comunità di Tricase, arricchisce gli studi e sviluppa i confronti con la sfera artigiana alla quale è importante guardare anche in prospettiva del futuro. Ma testimonia anche del valore della ricerca prodotta a Tricase dall’Associazione Liquilab, in questo momento impegnata in una difficile resistenza contro la pretesa dell’Amministrazione comunale di chiudere l’attività impedendo l’uso dei locali all’associazione conosciuta proprio per la vita di ‘strada e di piazza’ ricca di esperienze artigiane ancora vive e di occasioni musicali e didattiche. A Ornella e a Liquilab la nostra totale solidarietà, con la certezza che la ragione può contrastare l’arbitrio e la speranza che il sindaco del paese possa capire quali sono le vere priorità di una comunità.

Il contributo di Costantino Cossu, Ripensare Carlo Levi e la Sardegna, chiude questa rassegna. Cossu ci parla di una mostra presente al MAN (Museo di Arte Nuoro) fino a poco tempo fa, che mostrava l’attualità di Carlo Levi, importante figura della nostra storia culturale, che si potrebbe considerare il fondatore di una idea di centro in periferia, con il suo Cristo si è fermato ad Eboli, e il suo costante legame, oltre che con la Basilicata, anche con la Sicilia e la Sardegna. 

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022 
Note
[1] A cura di F. Barbera, D. Cersosimo, A. De Rossi, Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi, Donzelli in uscita il 1 luglio 2022
[2] S, Lucatelli, D. Luisi, F. Tantillo, L’Italia lontana. Una politica per le aree interne, Roma. Donzelli, 2022
[3] I temi dell’incontro ma anche molti dei soggetti attivi sul territorio sono proposti e pensati entro questo libro che ha ispirato il convegno: Linda Decandia, Territori in trasformazione. Il caso dell’Alta Gallura, Roma. Donzelli, 2021
[4] Il libro è ancora inedito e dovrebbe uscire entro l’anno a cura dell’Associazione 9cento di Pistoia, protagonista anche di convegni e volumi sull’abbandono.
[5] Rivista Abruzzese editrice, Lanciano, 2011.

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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021).

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