di Lina Novara
Nel Santuario di Custonaci (Tp) si venera da secoli la sacra immagine di una Virgo lactans, detta Madonna di Custonaci, rappresentata su una tavola cinquecentesca, la cui storia si sviluppa tra devozione, leggenda e arte. Secondo la tradizione, un quadro raffigurante una Madonna, poi detta Madonna di Custonaci, arrivò sul litorale dell’odierna cittadina in data imprecisata, a seguito di una tempesta che costrinse la nave su cui viaggiava – veneziana o francese, proveniente da Alessandria d’Egitto e diretta a Marsiglia – ad approdare; una volta sbarcata, la sacra immagine venne collocata in una cappelletta in contrada Linciasella per poi essere trasferita nel 1577 nel santuario dedicatole [1].
Nelle leggende non è inusuale l’arrivo di sacre immagini sulle coste del Mediterraneo dopo un naufragio ed è frequente il racconto che nel luogo del miracoloso approdo o sbarco venissero costruiti chiese e santuari, come ex voto per la divina intercessione. È noto il leggendario arrivo per mare della statua della Madonna di Trapani che, leggenda a parte, quasi certamente arrivò da Pisa via mare.
Significativo, in merito ai trasporti marittimi di opere d’arte, è un documento del 1469 nel quale si precisa che la statua simile alla Madonna di Trapani, commissionata a Francesco Laurana, doveva essere trasportata via mare da Palermo ed approdare sulla spiaggia di Bonagia, oggi nel territorio di Valderice, per essere poi trasferita sul monte [2]. È evidente che le opere provenienti da luoghi distanti da quello di destinazione non potevano che arrivare per mare e che attorno ad esse la leggenda ha costruito, poi, degli episodi miracolosi!
Dell’originaria sacra immagine della Madonna di Custonaci non si conosce la data di arrivo, né l’iconografia: in documenti del 1422 la cappella di Linciasella, nella quale si tramanda che fosse stata collocata, è indicata come di Sancta Maria di Custonachi [3]. Dalla storiografia più accreditata e soprattutto dalle ricerche di Salvatore Corso si evince che la cappella era in origine intitolata a Tutti i Santi ed in seguito, nel 1230, con l’arrivo di alcuni padri Eremiti provenienti da Palazzo Adriano, venne dedicata all’Immacolata Concezione di Maria, per via di un affresco raffigurante la Madonna [4].
Le fonti inoltre non indicano cosa esattamente rappresentasse l’opera arrivata per mare, anche se la tradizione propende per una Virgo lactans verso la quale, nel territorio trapanese, il culto è attestato fin dal XIII secolo: la più antica delle rappresentazioni è infatti una Madonna del latte raffigurata in un affresco risalente alla fine del secolo XIII – inizi del XIV, che si trova nell’attuale chiesa di San Domenico a Trapani e si presume appartenga alla preesistente chiesetta di Santa Maria La Nuova.
Derivante dal tema bizantino della galaktotròphusa, trova collegamenti stilistici con l’ambiente toscano di Coppo di Maccovaldo e con un dipinto su tavola (fine ‘200 – inizi ‘300) di un maestro campano, ora nel Museo Diocesano di Gaeta. Ancora al tema bizantino sembra potersi collegare la lacunosa immagine dipinta ad affresco nell’ex chiesa di Santa Caterina ad Erice, fondata nel 1335. Altra interessante rappresentazione di Virgo lactans è la cosiddetta Madonna della luce, una tavola ora custodita nel Vescovado di Trapani, che ebbe come ultima provenienza la chiesa trapanese della Luce, non più esistente: attribuibile ad un maestro di ambito locale, risente dell’influenza della pittura tardo trecentesca marchigiana-umbro-toscana.
A proporre un nuovo modo di rappresentare la Virgo lactans nell’arte italiana fu Ambrogio Lorenzetti nel 1324-1325 con una Madonna del latte, ora nel Museo Diocesano di Siena, considerata un punto chiave per la trasformazione dell’iconografia: la Madonna perde infatti la frontalità tipica delle icone bizantine e si rivolge verso il Bambino che, a sua volta, la osserva. Nel Quattrocento la Virgo lactans, oltre a cambiare posizione, via via non si colloca più su un fondo oro, come nelle tavole dei secoli precedenti, ma su uno sfondo paesaggistico, seduta in trono e reggendo il Figlio con il braccio sinistro mentre con la mano destra tiene il seno al quale è attaccato il Bambino. Nello stesso secolo il culto della Madonna del latte si diffonde soprattutto nelle campagne dove i contadini la considerano di forte valenza simbolico-taumaturgica, attribuendole anche svariati miracoli.
In questo ambito cultuale, agrario, si colloca la sacra immagine della Madonna di Custonaci, raffigurata nella tavola posta sull’altare del santuario, che durante l’ultimo restauro del 2002 ha rivelato una data dubitativamente letta come 1521 o 1471 [5]. La data si trova in basso, nella predella sulla quale sono raffigurati episodi della vita dei genitori di Maria, Gioacchino e Anna. Ritengo che leggasi chiaramente 1521, mentre le lettere comparse durante gli stessi lavori di restauro e individuate come facenti parte del nome dell’autore non sembra che possano avere senso compiuto.
Dal punto di vista iconografico la tavola ci presenta una Madonna seduta su un trono come una regina, mentre tiene in braccio Gesù Bambino, un tipo di rappresentazione intitolata Maestà e che ebbe particolare successo nella seconda metà del XIII secolo e nel XIV, sia come affresco che come pala d’altare lignea. «Regina» è il titolo usato frequentemente dai Cristiani per invocare Maria che, una volta assunta in cielo, viene incoronata sovrana di tutti i fedeli del Signore da Dio Padre, da Cristo e dagli angeli. In quanto «regina del paradiso» è anche sovrana di tutti gli esseri che lo popolano e, in primis, delle schiere angeliche che l’accompagnano e la incoronano nelle sacre rappresentazioni. Il trono simboleggia la gloria regale di Maria nella qualità di «regina del cielo», la più perfetta di tutti gli uomini della terra.
L’alto schienale-tenda, damascato, sta a significare il ruolo di protezione, difesa e conforto proprio della Madonna nei confronti dell’umanità credente, ai cui occhi Lei è regina di misericordia, corredentrice e avvocata degli uomini presso Dio, oltre che soccorritrice per chi la invoca. Con l’appellativo di «regina» viene spesso invocata nel culto liturgico, nella pietà popolare e nell’arte, e con il saluto Salve o regina si apre la preghiera scritta nell’XI secolo dal monaco Ermanno [6].
Maria, come ogni madre, tiene amorevolmente in braccio il figlio che si attacca al suo seno in un gesto avido e affamato: come ogni bambino Gesù, fattosi uomo, si nutre con il latte materno. Ave maris stella, /Dei Mater alma… Monstra te esse matrem,/sumat per te preces/qui pro nobis natus/tulit esse tuus…(Salve, stella del mare, alma Madre di Dio… Dimostra d’esser madre/ per te le preci accolga/colui che, per noi nascendo,/sofferse d’esser tuo…). È questo il saluto a Maria, contenuto nell’antica preghiera di origine incerta, attribuita a Venazio Fortunato (530-609) o a Paolo Diacono, ma risalente almeno al XI secolo in quanto si ritrova nel Codex Sangallensis 51, custodito nell’Abbazia di San Gallo in Svizzera [7]. Beato il ventre che ti ha portato e il seno che ti ha allattato (Luca 11, 27) è la prima connotazione di Maria, sancita dal Concilio di Efeso nel 431 che le ha accordato il titolo di madre.
La Madonna del latte è un tema iconografico ricorrente nell’arte sacra di ogni epoca e spesso, come nella tavola di Custonaci, Maria guarda intensamente il suo Bambino, instaurando con Lui un muto colloquio, fatto di sguardi. Nel Quattrocento il culto della Madonna del latte si diffonde particolarmente nelle campagne, collegato ai cicli del lavoro agrario da cui dipende la sopravvivenza della comunità. Nell’ambito agrario si colloca la devozione a Sancta Maria di Custonachi le cui testimonianze iconografiche più antiche sono tre: un altarolo ligneo datato dalla critica tra fine Quattrocento – inizi Cinquecento; la tavola dipinta ad olio, posta sull’altare maggiore del santuario, datata 1521; un’altra tavola del 1541, dipinta a tempera, che riproduce esattamente l’immagine della precedente. Ci troviamo di fronte a tre opere che, sebbene la prima sia un rilievo ligneo, rappresentano una Virgo lactans seduta in trono mentre viene incoronata da due angeli.
Per ragioni di opportunità esaminiamo per prima la tavola posta sull’altare maggiore del santuario, una sintesi figurativa tra i temi iconografici della Maestà, di Maria Regina e della Virgo lactans. Il restauro del 2002 ha restituito un’immagine diversa da quella che fino a quel momento era esposta alla devozione dei fedeli e che era frutto di vari rimaneggiamenti, tra cui uno degli ultimi avvenuto nel 1780: è comparsa una Madonna giovane, dal viso molto aggraziato, quasi botticelliano, con un’espressione dolce e lo sguardo affettuoso rivolto verso il figlio. Dietro al trono uno sfondo di paesaggio con montagna e mare.
Come elemento nuovo, inconsueto e nello stesso tempo molto appariscente, sono emersi i decori del manto, stampigliati in oro sopra la pittura, formati da vasi della tipologia rinascimentale, contenenti ciascuno sette spighe. Si tratta molto probabilmente dell’intervento di rinnovamento tramandato dalla storiografia secondo cui nel 1579 il manto era stato «trapunto a fiorami d’oro»[8]: questo probabilmente non era avvenuto per motivi decorativi, in quanto il manto originario era già abbellito da elementi ornamentali in oro. Nell’iconologia cristiana le spighe alludono al pane, al corpo di Cristo; anche il Bambino tiene in mano tre spighe, chiaro riferimento alla Trinità; porta inoltre al collo una collana con un ciondolo di rosso corallo, allusione alla passione e al sangue che verserà. Spighe e corallo con i loro contenuti allusivi diventano qui simboli eucaristici: pane e vino. Il Bambino, nutrendosi, assume il significato eucaristico della futura offerta del corpo e del sangue, come pane e vino per i fedeli.
Se le tre spighe che Gesù tiene in mano alludono alla Trinità, le sette dentro un vaso hanno altro significato! Il vaso, innanzitutto, è un oggetto che ha la funzione di contenitore! La pietà medievale ha riferito il simbolo del vaso alla Vergine Maria, docile alla mano dell’Eterno; nella sua integrità è maturato il frutto della vita; dalla sua generosità sono offerti il pane e il vino che nutre le nostre anime.
Con il titolo di vas Maria viene onorata nelle litanie lauretane: vas spirituale, vas honorabile, vas insignae devotionis (tempio dello Spirito Santo, tabernacolo dell’eterna gloria, dimora consacrata di Dio), ed anche nei testi dei Padri antichi e medievali, d’Oriente e d’Occidente, viene acclamata come vaso [9]. Le spighe contenute nel vaso fanno riferimento all’auspicio di fertilità del terreno e di abbondanza del raccolto da parte dei fedeli: in numero di sette alludono al sogno del Faraone (Genesi 41), il quale sognò sette vacche grasse e sette vacche magre, sette spighe di grano piene e mature che crescevano su un solo stelo e sette spighe sottili, allusioni a periodi di abbondanza e di carestia.
Da qui l’usanza popolare, da parte dei contadini proprietari di campi di grano, di appendere dietro la porta della propria abitazione un mazzetto di sette spighe di grano, raccolte in sette campi diversi e strette insieme tramite lo stelo intrecciato. Si tratta di una tradizione che aveva il fine di assicurare al padrone dei campi un buon raccolto oltre che prosperità e salute a tutta la sua famiglia; la composizione veniva preparata prima del sorgere del sole, unendo le spighe di grano a delle capocchie d’aglio.
La «Storia dell’arte» ci insegna che, per quanto riguarda l’arte sacra, gli artisti erano obbligati a seguire determinati programmi iconografici, rispondenti a precisi dogmi, simboli, significati, oppure destinati a finalità specifiche. Nella tavola di Custonaci è stato inserito attraverso le spighe, successivamente alla realizzazione del dipinto, un auspicio che si trasforma quasi in un’invocazione rivolta a Maria, regina e madre, nella sua accezione di mediatrice, per chiedere a Lei la fertilità dei campi e un abbondante raccolto. Non conosciamo i motivi di tale messaggio attraverso le spighe: potrebbero scaturire da un particolare momento di riduzione dei raccolti del grano che aveva inciso negativamente sull’economia del paese, da eventi climatici, dal pericolo di siccità o dalle conseguenze determinate dall’epidemia di peste che aveva colpito la Sicilia negli anni 1575 e 1576, anche se aveva risparmiato Trapani e il territorio limitrofo.
Allo stato attuale delle ricerche risulta ignoto l’autore del quadro! Premesso che l’analisi stilistica, alla data odierna, può essere limitata solo all’immagine che è stata consegnata dopo il restauro e le integrazioni, e che ulteriori indagini sulla tavola potrebbero mettere in luce altri elementi che, di conseguenza, indurrebbero a valutazioni diverse, è soprattutto l’assenza di fonti certe che non incoraggia a dare un nome all’ignoto autore dell’originario dipinto: resta l’auspicio che futuri apporti documentari e nuove indagini possano sciogliere i tanti nodi riguardanti l’origine, la data e l’attribuzione.
Tuttavia risulta utile il confronto con l’altra tavola conservata presso lo stesso santuario e che riproduce verosimilmente l’originario dipinto, datata 1541 anche se una seconda data incompleta, della quale si leggono solo i primi due numeri 1 e 5, posta vicino a quella leggibile del 1541, lascia non pochi dubbi su quale delle due tavole sia la più antica. Per la tavola del 1541sono state fatte ipotesi più o meno convincenti e la più accreditata è quella che attribuisce la paternità dell’opera al pittore “panormita” Antonello Crescenzio (Palermo, 1467- 1538 o 1542) [10]. Le lettere inoltre, individuate da Corso come parti del cognome Crescenzio non sembrano comporre cognome. Paolini, Scuderi, Vitella e lo stesso Corso propendono per Crescenzio o per la bottega del pittore, sul quale la critica tuttora dibatte nel definirne la personalità in quanto opere e documenti relativi ad un Antonello Panormita potrebbero riferirsi a due distinti maestri che usavano indifferentemente firmare Antonellus Panormita o Antonellus Crexenciu o Crescencio: forse due artisti dello stesso nome, probabilmente parenti, che si sono succeduti in una stessa bottega [11].
Nella tavola dell’altare maggiore del santuario si possono individuare assonanze fisionomiche tra gli angeli reggicorona e quelli dell’Assunta attribuita a Crescenzio, conservata presso la Galleria regionale della Sicilia di Palermo; altri riferimenti si possono rilevare con la Madonna in trono con Bambino tra Santa Lucia e Santa Margherita del 1497, ora presso il Museo di Palazzo Bellomo di Siracusa, firmata da un Antonellus Panormita, e con la Santa Cecilia del Museo Diocesano di Palermo, che recenti studi vogliono sia una Santa Barbara riferibile al pittore Cristoforo Fappeo, documentato a Napoli dal 1489 al 1497 e nei cui modi sono presenti i riflessi della produzione romana del Pinturicchio, di Melozzo da Forlì e di Antoniazzo Romano [12].
Nella tavola di Custonaci sono evidenti gli echi della pittura romana di fine Quattrocento e di quella cultura umbra di origine peruginesca e pinturicchiesca, diffusasi a Napoli e nei territori del viceregno tra primo e secondo decennio del secolo XVI. Nell’acconciatura dei capelli della Vergine, raccolti sulla nuca con un nastro annodato e poi coperti da una cuffietta, compaiono i riferimenti ad opere del Pinturicchio che fu allievo di Perugino, ed in particolare alla sua Santa Caterina d’Alessandria della National Gallery di Londra. Stesso modo di trattare l’acconciatura adotta in alcune sue Madonne il viterbese Antonio Del Massaro, detto il Pastura, documentato tra il 1478 e il 1509, un pittore consapevole del linguaggio di artisti operanti nell’Italia centrale ed in particolar modo del Pinturicchio: nella chiesa dei frati Francescani Minori Osservanti di Trapani si trovava un polittico con al centro la Madonna in trono con il Bambino fra angeli, attribuita al viterbese e assimilabile all’iconografia diffusa su questo tema.
L’Italia meridionale e soprattutto la Sicilia, tra il Quattrocento e il Cinquecento, non fu immune dalla importazione di opere e dagli influssi artistici provenienti dal resto della penisola attraverso scambi commerciali e culturali o gli avvicendamenti politici, con la conseguente commistione tra stili di artisti esterni e la creatività dei maestri locali; «è anche possibile – sostiene Teresa Pugliatti – che si fosse instaurato un filone di rapporti tra la Sicilia e l’Umbria» considerato che un pittore umbro, Orazio Alfani (1510-1589), si trasferì in Sicilia ed un siciliano Jacopo Siculo, impiantò bottega a Spoleto (1530-1543).[13]
Per quanto riguarda le fonti iconografiche l’ignoto autore della Madonna di Custonaci attinge alle opere che rappresentano la Vergine incoronata da angeli di cui si hanno molti esempi in svariate opere del Quattrocento italiano; in Sicilia Antonello da Messina aveva dipinto la Madonna in trono, incoronata da angeli, in più versioni. Ed ancora, in ambito territoriale, oltre alla già citata Madonna attribuita al Pastura, non è da sottovalutare il rilievo centrale della ancona marmorea della chiesa Madre di Erice, di Giuliano Mancino (1513), che raffigura la Madonna in trono con il Bambino in piedi. Sono tutte immagini di Maria con il capo coperto da un velo e non dalla cuffietta che nella tavola di Custonaci si attesta come riferimento alla pittura umbra di Perugino e Pinturicchio. Riguardo l’affinità iconografica tra la Madonna di Custonaci e la Madonna dell’ancona di Erice, Maurizio Vitella «suppone che la tavola […] non sia altro che l’interpretazione del prototipo ericino commissionato per veicolare nelle campagne dell’agro la devozione mariana particolarmente sentita nel trapanese dove già dal XIV secolo si era affermato il culto verso l’Annunziata dei Carmelitani»[14].
Come altro riferimento iconografico siciliano non va dimenticata la Madonna in trono del polittico dell’Assunta di Castelbuono, del secondo decennio del XVI secolo [15]. Ma in particolare la tavola riprende l’iconografia dell’altarolo conservato nello stesso santuario di Custonaci, sicuramente antecedente al dipinto e collocabile tra la fine del secolo XV e gli inizi del XVI [16]; poco considerato dalla critica per i caratteri artigianali e arcaicizzanti, talvolta definiti rozzi, a mio avviso, l’altarolo è significativo in quanto conferma che il culto della Madonna lactans era presente nel territorio già prima della diffusione attraverso il dipinto. Si avverte in esso una generica coscienza spaziale e una vaga ricerca di profondità nella resa del trono e nella collocazione della Vergine e del Bambino, mentre gli angeli, affrontati e convenzionali, denotano una posa estranea al linguaggio prospettico.
Non andrei a ricercare riferimenti stilistici in altre opere del territorio (come ad esempio la Madonna di Portosalvo di Marsala, indicata da Scuderi, che fra l’altro è del 1593) [17]: l’altarolo si presenta come un prodotto artigianale, legato al contesto devozionale ed è probabilmente opera di un ignoto artigiano che volle ritrarre la sacra immagine di Maria regina e lactans, nei pur consapevoli limiti delle sue capacità espressive, ispirandosi al tema della Madonna in trono e a quella del latte. E c’è ancora un altro particolare interessante da rilevare! La Madonna porta il velo sopra i capelli come tutte le immagini di Virgo lactans fin qui indicate. Ciò non accadrà più nelle rappresentazioni della Madonna di Custonaci, successive al 1521, che avranno al posto del velo una cuffietta.
È da rilevare anche la presenza di un altro dipinto con la Madonna della Grazia, ora al Museo Cordici di Erice, ceduto dal Museo regionale di Trapani Agostino Pepoli, in deposito temporaneo, nel quale si ripete la stessa iconografia della Virgo lactans, ancora con il velo [18]: dato importante è che nel pavimento riprodotto in questo ultimo dipinto sono riportate, ben visibili, tre date. La prima è 1518 e le altre, accompagnate dalla parola renovata, sono 1619 e 1786. Le due ultime si riferiscono chiaramente a restauri avvenuti in quegli anni, ma la prima si riferisce alla data di realizzazione dell’opera, il 1518. Ciò dimostra che antecedentemente al 1521 un artista, probabilmente siciliano, riprodusse una Virgo lactans, rispondente alla iconografia della Madonna con Bambino dell’altarolo, riproponendone la posa, il velo e la forma del trono con alto schienale.
Ancora da considerare è la notizia, documentata da fonti d’archivio, che a Trapani, nella chiesetta della Congregazione intitolata alla Madonna di Custonaci, esisteva una tavola del 1520, raffigurante la Madonna della pioggia, ossia di Custonaci, che è stata riprodotta ad incisione in un atto notarile ericino nel 1848 [19]. Nel disegno si nota che l’immagine venerata a Trapani ripeteva l’iconografia dell’altarolo ligneo e che la Madonna portava ancora il velo sui capelli. Sotto la tavola si leggeva: Vera Immagine della B.V.M. di Custonaci della città di Trapani – nell’anno 1520 nella sua venerabile congregazione tanto venerata – quanto invocata dalle popolazioni fedeli contro folgori e tuoni.
Significativo appare il titolo Madonna della pioggia, ossia di Custonaci: a tal proposito è da sottolineare che la sacra immagine riconduce ancora una volta al mondo agreste e fa tornare in mente particolari riti propiziatori o processioni in uso in Sicilia per invocare l’intervento divino durante i periodi di siccità, al fine di scongiurare la perdita dell’annata agraria o la minaccia di carestia; l’ invocazione contro folgori e tuoni si può intendere come un adattamento, da parte dei trapanesi, al loro contesto marinaro. La tavola fu distrutta nell’agosto del 1817, durante un incendio causato dallo scoppio di un vicino deposito di polvere da sparo, che fece saltare in aria la chiesetta che ospitava la sacra immagine [20]. L’anno dopo la chiesa venne riedificata e sulla nicchia dell’altare maggiore fu collocata una copia che riproduceva però la Madonna venerata a Custonaci a quella data.
Alla luce di queste riflessioni si può dedurre che la Virgo lactans di Custonaci è l’attestazione di iconografie accreditate e la continuazione di un culto radicato nel territorio locale, molto presente in quello siciliano e più ampiamente nazionale, che ha le sue origini nella galaktotròphusa bizantina, si sviluppa nel Duecento e nel Trecento e prosegue fino a quando il Concilio di Trento non ne limita la diffusione. La Riforma cattolica tridentina inserì infatti tra le immagini sconvenienti le rappresentazioni di Maria a seno scoperto poiché ritenute fuorvianti per il fedele e in grado di distoglierlo dalla preghiera: mentre l’iconografia della Virgo lactans decadeva, per contro, la venerazione popolare continuava con la Madonna della grazia e alcune chiese intitolate alla Madonna del latte mutavano denominazione.
La devozione verso la Madonna di Custonaci continuò nei secoli successivi e soprattutto nell’Ottocento vi fu un diffondersi di immagini, non solo nel territorio locale ma in tutto quello siciliano, attraverso riproduzioni, stampe e santini, fino ai nostri giorni.
Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
Note
[1] Per le notizie storiche sulla Madonna di Custonaci e la relativa bibliografia si rimanda a: S. Corso, Le radici religiose in «S. Corso (a cura di), Custonaci: identità di un territorio», Trapani 2000: 167-237. Vd. inoltre: S. Corso, La Madonna e la comunità, in www.professoresalvatorecorso.it, 2019/05; S. Giurlanda, Maria SS. Di Custonaci – Il culto di ieri e di oggi, Trapani 1996; V. Colli, F. Fonte, Lacte fluunt ubera cum pudoris lilio. Custonaci. Terra Mariana, Messina 2013.
[2] Il documento del 16 agosto 1469 è trascritto in: B. Patera, Francesco Laurana in Sicilia, Palermo 1992: 104-105.
[3] Vd. G. Castronovo, Erice, ora monte S. Giuliano. Memorie storiche, Palermo, I, 1872; Idem, Erice sacra o i monumenti della fede cattolica, Palermo 1861.
[4] S. Corso, Le radici religiose… cit.:170.
[5] S. Corso, La Madonna e la comunità… cit.: «Figura 17 Scritta visibile e in infrarosso a confronto».
[6] D. Rondoni, Hermann. Una vita storta e santa puntata alle stelle, Milano 2010.
[7] G. Scherrer, Verzeichniss der Handschriften der Stiftsbibliothek von St. Gallen, Halle 1875.
[8] G. Castronovo, Le glorie di Maria SS. Immacolata, Palermo 1875: 121.
[9] A. M. Apollonio, Le litanie lauretane. Preghiera mariana, preghiera della Chiesa, Avellino 2013.
[10] M.G. Paolini, Madonna in trono con Bambino, in «IX Mostra di opere d’arte restaurate», Palermo 1975, 83-86; V. Scuderi, Architettura e arte nel santuario in «S. Corso (a cura di), Custonaci …», cit.:115-117.
[11] Vd. nota 10 ed inoltre: M. Vitella, Le opere d’arte nella Chiesa Madre di Erice tra tardo gotico e primo rinascimento, in «Il Duomo di Erice tra Gotico e Neogotico», a cura di M. Vitella, Erice 2008:13-26.
[12] G. Travagliato, M. Sebastianelli, Da Riccardo Quartararo a Cristoforo Faffeo. Un capolavoro del Museo diocesano di Palermo restaurato e riscoperto, Palermo 2016.
[13] T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia occidentale, Napoli 1998: 242-247.
[14] M. Vitella, Le opere d’arte…cit.: 25, fig. 6.
[15] Vd. T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento …, cit.: 153.
[16] A Cuccia, Madonna in trono che allatta il Bambino, in «IX Mostra di opere d’arte restaurate», Palermo 1975: 87; V. Scuderi, Architettura e arte …cit.: 113-114.
[17] V. Scuderi, Architettura e arte… cit.: 114.
[18]M. Vitella, La collezione storico artistica, in «S. Denaro, Il polo Museale “A. Cordici” di Erice», Erice 2021: 84-86, fig. 11.
[19] S. Corso, La Madonna e la comunità …cit.: 34-35; «Figura 15 – Copia del 1520 venerata a Trapani».
[20] Ibidem.
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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.
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