di Ada Boffa
In questo articolo, che introduce ad un successivo ed accurato discorso sulla favolistica tuareg, si descrive la cultura dei KelTamajaq attraverso la lettura del mito fondatore di tale popolo: la leggenda eziologica di Amerolqis [1]. Una introduzione alla letteratura a partire dalla letteratura stessa. Si parte dall’analisi del mito da cui prendere spunto per affrontare il discorso sul patrimonio letterario tuareg, ponendo l’accento sulla dimensione narrativa di forma lunga e anche breve. Si riporta di seguito la trama del racconto eziologico.
Amerolqis è l’eroe civilizzatore dei KelTamajaq [2] (letter: “Quelli di lingua tamajaq”), è un uomo gigantesco ed è dotato d’intelligenza creatrice (taytte), grazie alla quale ha inventato la scrittura in caratteri tifinagh, da cui poi è derivata la lingua tamajaq. La sua grandezza fisica lo rende sessualmente irresistibile e tutte le donne cadono ai suoi piedi. É un uomo galante, ama partecipare alle riunioni serali che egli stesso ha ideato per poter sedurre le donne, dove fare poesia, cantare e suonare l’anẓad(violino monocorde suonato esclusivamente dalle donne). É proprio il gioco della seduzione che lo ha spinto a creare la scrittura, così da poter inventare degli enigmi o linguaggi segreti per comunicare con l’universo femminile. Si riporta di seguito il testo originale:
1- Amerolqis était coutumier des rencontres nocturnes et galantes, un homme accompli et bien fait de sa personne. Les femmes lui manifestaient des sentiments passionnés. […] 4- Amerolqis était un maȋtre en fait d’intelligence. Je peux t’affirmer que la caractéristique d’Amerolqis c’était d’ȇtre un galant noctambule et un amoreux des femmes et que c’est à ces propos qu’il inventa les tifinagh. Il n’inventa rien d’autre que le tifinagh. […] 5- Il fit chaque signe à propos des femmes. […] 10- Il imagina des codes secrets entre lui et le femmes. Les connivences entre lui et les femmes n’étaient que des codes secrets en tamajaq.
1-Amerolqis era un amante delle feste notturne e degli incontri galanti, un uomo perfetto nel fisico e nell’animo. Tutte le donne mostravano d’avere per lui sentimenti appassionati. […] 4-Amerolqis era insuperabile quanto ad intelligenza. Posso affermare che la peculiarità di Amerolqis era quella di essere un galante nottambulo oltre ad essere un amante delle donne, ed è proprio per loro che ha inventato il tifinagh. Egli non ha inventato null’altro che il tifinagh. […]. 5. Egli ha ideato ogni simbolo allo scopo di sedurre le donne. […].10- Egli ha ideato dei codici segreti per comunicare con le donne. La comunicazione con le donne avveniva esclusivamente attraverso questi codici segreti in lingua tamajaq.
La scrittura tifinagh deve la sua origine ad un tentativo di seduzione nei confronti della donna. Nonostante la carica seduttiva,Amerolqis è condannato dalla propria grandezza fisica a rimanere solo e senza prole. Il suo gigantismo non gli permette di accoppiarsi con le donne. Egli soffre di solitudine e non riuscendo a procreare, pur di avere una prole, è disposto ad ingravidare il più grande degli animali: l’elefante. Amerolqi stenta di accoppiarsi con una femmina d’elefante nel momento in cui questa è intenta ad abbeverarsi sulla riva del mare, ma fallisce. Non avendo ingravidato il pachiderma, Amerolqis delude la promessa fatta alla madre di una fanciulla dell’accampamento. Costei gli aveva detto che se fosse riuscito ad avere un figlio, egli avrebbe avuto in sposa la giovane ragazza. Infuriato per il fallimento e colmo di desiderio sessuale, l’eroe ritorna in riva al mare e, facendo traboccare il suo seme nell’acqua, ingravida le fanciulle mentre fanno il bagno. Anche questo tentativo risulta fallimentare,poiché le ragazze gravide dopo alcuni giorni muoiono, esplodendo. Sul finire del racconto, l’eroe deve confrontarsi con il suo amico Ghantara per conquistare le attenzioni di una fanciulla. In questo caso, Amerolqis pur di sedurre la ragazza cade ingenuamente nell’inganno dell’amico, il quale riesce a mettere in ridicolo l’eroe, pur non avendo le doti eroiche di Amerolqis. La leggenda si conclude con queste parole:
38-Toutes le femmes, mȇme celles qui ne peuvent lui donner d’enfant, ne font que lui manifester leurs sentiments amoreux quand il chante. Qu’il chante et mȇme les ȃnesses, les chèvres, les vaches accourent vers lui. Toute la gente féminine l’aimait, y compris les femelles des ȃnes.39- C’est lui qui inventa la poésie, le chant, le violon, les tifinagh et la langue tamajaq.
38-Tutte le donne, anche quelle che non possono dargli un figlio, non riescono a fare a meno di manifestare il loro amore quando lui canta. Perché quando lui canta, anche le asinelle, le capre e le vacche accorrono ai suoi piedi. Tutto il genere femminile è pazzo di lui, incluse le femmine dell’asino. 39- È lui che ha inventato la poesia, il canto, il violino, il tifinagh e la lingua tamasheq.
Dalla leggenda eziologica di Amerolqis si deducono nozioni sulla genesi della società tuareg relative alla scrittura, alla lingua ed al ruolo sociale che la letteratura svolge durante gli incontri serali. L’attività culturale dei Tuareg è il frutto del genio creatore di Amerolqis, il quale è detentore di uno dei valori più apprezzati ancor oggi dalla società tuareg: l’intelligenza (taytte).
É attraverso la lingua e la scrittura che l’uomo tuareg allena la propria intelligenza, inventando enigmi (igenni), indovinelli, e comunicando in linguaggi cifrati. Ancor oggi, questi componimenti prendono luogo durante le riunioni serali, hanno una funzione socio-letteraria ben precisa e sono classificati dagli studiosi come genere narrativo di forma breve. Una lunga parte del racconto è dedicata alla descrizione delle modalità con cui sono stati ideati gli enigmi ed i messaggi in codice. I caratteri tifinagh, secondo la leggenda, erano utilizzati come ideo- grammi e a ciascuno di essi corrispondeva un significato ben preciso; l’insieme degli ideogrammi dava vita ad un linguaggio in codice attraverso il quale Amerolqis poteva rivolgere la parola alle fanciulle, seducendole. Solo in un secondo momento, l’uso dell’alfabeto tifinagh e il conseguente sviluppo della lingua tamajaq hanno avuto come scopo quello di umiliare gli Arabi, escludendoli volutamente attraverso l’utilizzo di una lingua e di caratteri a loro incomprensibili.
Ciò legittima l’esistenza, quantomeno mitologica, della società tuareg, della lingua e della scrittura prima della rivelazione del Profeta. Dal testo si evince un tentativo del narratore di connotare la stirpe tuareg come erede di un antico popolo residente in tempi ignoti nel territorio della città sacra, Mecca. Ad avvalorare i contatti tra il popolo tuareg e la presenza araba è lo stesso nome dell’eroe: Amerolqis. L’etimologia deriva probabilmente dall’antico poeta preislamico Imru-l-Qays (540 a.C.) principe di Yemen, il quale, si narra, fosse stato allontanato dalla tenda familiare per aver inviato dei versi d’amore alla sua amata. La figura del poeta leggendario, creatore della qaṣīda [3], combacia con quella dell’eroe, essendo anch’egli un seduttore e creatore del genere poetico.
Altra informazione dedotta dal racconto eziologico, e valida ancora oggi, è l’immagine della bellezza femminile e le dinamiche della seduzione che rendono il mondo tuareg di gran lunga più libertino negli usi e nei costumi, grazie alla persistenza di tradizioni preislamiche. La donna è il motivo per cui si organizzano le gare serali, laddove attorno al fuoco si riunisce l’intero accampamento; é un momento di condivisione e di collettività. Gran parte della poesia epica e di quella amorosa sono ricche di scene di vita serali,laddove uomo e donna entrano in contatto tra loro [4].
Da una lettura più approfondita della leggenda di Amerolqis si individua un sostrato simbolico denso di immagini, temi e motivi comuni al panorama letterario pan berbero e mediterraneo. I motivi rappresentati dall’archetipo di Amerolqis riscontrati già nella letteratura narrativa pan berbera sono: il gigantismo, l’erotismo (accoppiamento con esseri animali; dispersione del seme nella natura), e il simbolismo legato all’acqua.
Per quanto riguarda il motivo del gigantismo è un elemento noto alla letteratura pan berbera in relazione ai personaggi della sfera fiabesca, quali l’orco e l’orchessa, cui sono riconosciuti forza fisica e proprietà magiche. L’eroe della civiltà tuareg non dispone di poteri magici, egli stesso è vittima della sua essenza soprannaturale. Egli è l’elemento di comunicazione tra il mondo umano e quello divino, ma l’ambiguità della sua natura non gli permette di realizzarsi in nessuna delle due dimensioni. Questo è il dramma di Amerolqis, ovvero la natura semi-divina, di cui non si conosce nulla.
27-Le gens ȃges nous ont dit que le violon, le chant, la flûte, tout est imitation d’Amerolqis. Personne ne sait s’il fils du paradis ou de l’enfer. Les marabouts eux-mȇmes se taissent à son sujet. 28-Les livres ne disent pas qui il est. Chacun se tait ò son sujet. Il n’a connu ni le Coran ni l’école. Sa tribu était celle des Kel Alfatarat. Ils se déplaçaient..[…].
27-Le antiche genti ci hanno tramandato che il violino, il canto, il flauto, tutto è stato inventato da Amerolqis. Nessuno sa se lui è figlio del paradiso o dell’inferno. Gli stessi marabutti non si pronunciano a riguardo. 28- I libri non ci dicono la sua identità. Tutti tacciono a riguardo. Egli non ha conosciuto né il Corano né la scuola. La sua tribù è quella dei Kel Alfatarat. Costoro erano soliti praticare il nomadismo.. […].
Il gigantismo in ambito letterario è un motivo caro al panorama culturale africano. Secondo quanto attestato da M. Aghali-Zakara, nelle tradizioni dei popoli neri presenti sull’area geografica del Niger, ovvero: Zarma e Songhay, compare la figura degli assaba, i giganti. A questi è attribuita la costruzione di tumuli e pozzi sul suolo nigerino. Alcune tradizioni riportano l’esistenza mitologica di tre fratelli giganti, tutti di razza bianca (in alcuni casi sia bianchi che neri), i quali presidiavano le colline e dalla loro postazione erano soliti darsi ordini o salutarsi. In una tradizione Filingué si tramanda l’esistenza di uomini antichi, dalle orecchie e dai piedi grandi, capaci di divorare una giraffa in un sol boccone. La presenza di varianti africane,in merito al motivo letterario del gigantismo, dimostra che il patrimonio orale tuareg si trova all’incrocio delle culture dell’Africa nera e di quelle dell’area geo-culturale pan berbera e mediterranea. Nonostante le analogie presentate si sostiene che la figura del gigante Amerolqis sia più vicina alla mitologia greca, come l’eroe di Prometeo, in quanto più affine per le qualità eroiche: portatore della conoscenza, creatore dell’uomo civile e dotato di un’ipersessualità negativa che lo priva della prole.
Il simbolismo legato all’acqua è anch’esso un motivo riscontrato nella letteratura pan berbera, cosi come quello relativo all’erotismo ed alla dispersione del seme nella natura. Inevitabile è il confronto con il toro della mitologia cabila ed ancor più con l’acqua come emblema della fecondità, ma anche della morte e della rinascita.
A proposito delle immagini del mondo animale nel racconto si nota la presenza del pachiderma della femmina dell’asino. L’elefante è menzionato non per una valenza simbolica, ma per la grandezza fisica che lo rende l’animale più vicino al gigantismo di Amerolqis. La presenza di tale immagine all’interno della letteratura tuareg è un residuo dei tempi antichi, in quanto la sua esistenza non è più attestata nella regione sahelo-sahariana dai tempi del neolitico. Le uniche testimonianze sono quelle relative all’arte rupestre. Per quanto riguarda la figura della femmina dell’asino,essa fornisce un’informazione sul ruolo dell’asino nella gerarchia del mondo animale, già attestata nella letteratura pan berbera. L’asino nel contesto tuareg è anche considerato un animale miserabile. In rapporto alla figura di Amerolqis il narratore vuole dimostrare come la seduzione dell’eroe non abbia limiti né eccezioni ed arrivi a conquistare persino l’ultimo stadio della gerarchia animale, rappresentato dalla femmina dell’asino.
L’analisi della leggenda eziologica di Amerolqis, se da un lato ha permesso di riscontrare la trans-culturalità della letteratura tuareg, dall’altro ne ha reso chiara la dimensione sociale. Per comprendere la letteratura tuareg, come qualsiasi letteratura orale, è indispensabile analizzare il valore che l’uomo attribuisce alla parola. Si riporta di seguito l’introduzione di J. Drouin a proposito dello studio sul senso e sulla parola nella Confederazione tuareg dei Kel Nan.
«Awal è la “parola”, e per estensione, “il modo di parlare, il discorso, il linguaggio il suono proferito” dalla bocca, “imi”: si riscontra questo termine in tutti i parlati berberi dalla Libia all’Atlantico e dal Mediterraneo all’area sahelo-sudanese. L’impiego della stessa parola attraverso la vastità geografica del territorio dona la misura di quanto siano importanti la Parola e l’oralità, come modo di comunicazione sociale privilegiato. Se da un lato la Parola rappresenta l’unico mezzo di comunicazione possibile per tutte le società berberofone, dall’altro fa eccezione la società dei Kel Tamajaq, poiché questa possiede ed utilizza un alfabeto consonantico, e dei caratteri bi-consonantici. Ma questa scrittura non ha che un semplice fine utilitaristico limitato alle attività ludiche collettive e ai rapporti umani individuali. La scrittura, e dunque la lettura, è in tutte le società, un esercizio solitario che non ha attirato l’attenzione dei KelTamajaq: questi ne fanno un uso ristretto, anche nelle regioni dove il tifinagh è conosciuto da tutti, adulti e bambini. La comunicazione sociale per eccellenza resta quella orale» [5].
La Parola orale e la Parola scritta, nella cultura tuareg, sono esaltate nel loro valore esoterico. L`oralità, grazie a miti e leggende, conserva intrinseche le radici del popolo, tramandandone tradizioni ed ammonimenti sulla morale sociale. Alla parola scritta spetta un esoterismo formale, legato alla simbologia dei caratteri alfabetici tifinagh. Il risultato è una letteratura criptica e mistica, molto variegata nei generi letterari, raffinata ed aristocratica nei contenuti, portatrice di valori nobili tipici della cultura tuareg, ironica ed astuta nei giochi di parole, generosa e sensuale nelle trame amorose. Una letteratura seducente come il suono delle parole, come il canto delle sirene, per cui sembra impossibile restare legati.
Dialoghi Mediterranei, n.21, settembre 2016
Note
[1] M. Aghali-Zakara, J. Drouin, Traditions touarègues nigériennes. Amerolqis héros, civilisateur pré-islamique, et Aligurran, archétype social, l’Harmattan, Parigi, 1979.
[2] I Tuareg si riconoscono tra di loro secondo la lingua o la regione in cui vivono: Kel Tamahaq (Algeria); Kel Tamashaq (Mali); Kel Tamajaq (Niger), quelli parlanti la lingua tamahaq, tamashaq o tamajaq. A ciascuna di queste varianti corrispondono dei dialetti locali: Algeria (tahaggart); Mali (tadghaq; taneslemt; tawellemt); Niger (tayert; tawellemet; tamesgerest), M. Aghali-Zakara, Elements de morpho-syntaxetouaregue, CRB/GETIC, Parigi, 1996.
[3] La qaṣīda araba è un componimento di origine preislamica che si presenta come un collage di tematiche convenzionali: rimpianto amoroso, viaggio nel deserto col fido cammello […], vedi F. Gabrieli, Storia della letteratura araba, Nuova Accademia, Milano, 1951.
[4] A proposito della poesia epica ed amorosa, vedi: G. Castelli Gattinara, I Tuareg attraverso la loro poesia orale, CNR, Roma, 1992.
[5] J. Drouin, «La parole et le sens. Recherches sur quelques unités lexicales chez le Kel Nan», in Littérature orale arabo-berbère, n° 8, CNRS, 1997.
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Ada Boffa, attualmente insegnante d’italiano L2 ed esperta di Studi Berberi, ha conseguito il titolo di Laurea Magistrale in Scienze delle Lingue, Storie e Culture del Mediterraneo e dei Paesi islamici, presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, discutendo una tesi in Lingua e Letteratura Berbera: “Temi e motivi della letteratura orale berbera: racconti tuareg dell’Aïr”, svolta in collaborazione con tutor esterno presso l’Università di Parigi, INALCO. Ha partecipato al convegno ASAI, Africa in movimento (Macerata 2014), presentando un paper sulla favolistica tuareg.
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