di Carla Cerati
In questi anni recenti la prestigiosa istituzione dell’Accademia Nazionale Cinese di Pittura volge lo sguardo e l’attenzione verso l’Italia e l’Europa, affascinata dalla grande tradizione culturale legata all’arte, alla pittura, alla poesia ed alla filosofia. Già la rassegna d’arte Phoenix Art Exhibition che si è tenuta nel settembre 2017 nei musei di Feng Huang, che ha visto insieme in un dialogo-confronto dodici dei maggiori artisti cinesi e sei importanti artisti europei, esprimeva la necessità e la volontà di un confronto fra espressioni artistiche Cinesi e Occidentali.
Ora, la mostra che si aprirà a Pechino il 15 settembre 2018, presso la sede dell’Accademia Nazionale Cinese di Pittura, puntualizzando una scelta relativa agli specifici linguaggi della pittura contemporanea, vede invitati ad esporre due fra i più significativi autori della scena artistica italiana, Ruggero Savinio e Giuseppe Modica, insieme a due famosi pittori cinesi, Tang Yongli e Zhang Yidan, nel segno di uno scambio culturale e della creazione di una circolarità fra Oriente ed Occidente.
La cura della mostra è stata affidata a Giorgio Agamben, filosofo italiano di fama internazionale il cui pensiero ha in Cina una particolare accoglienza ed è studiato attraverso un’ampia diffusione editoriale, e a Zhang Xiaoling vice Presidente dell’Accademia stessa, critico d’arte e fine studioso della cultura artistica internazionale, promotore di iniziative tese a valorizzare l’identità e la comunicazione tra diversi Paesi e culture. L’Istituto italiano di Cultura, diretto da Franco Amadei, in collaborazione con l’Ambasciatore italiano a Pechino, Ettore Sequi, organizzerà una giornata di studi alla quale interverranno gli artisti e i curatori.
Il testo di Giorgio Agamben La luce ricorda, che dà il titolo alla mostra, ne suggerisce anche il filo conduttore nel concetto della luce come elemento primigenio, originario della creazione: dalla luce proviene la forma e la sua percezione; la luce trascina con sé la materia, si fa materia e si identifica con la materia cui dà forma. «Se la luce è, in questo senso, ciò in cui forma e materia coincidono in un corpo, allora si comprende perché la luce sia per eccellenza il luogo e il medio della pittura». E Agamben ritrova nei quattro autori questo comune denominatore: il ricordarsi, ciascuno a suo modo, della capacità della luce di farsi corpo.
In Ruggero Savinio «la luce è tutta raggrumata sui corpi, che non sono essi stessi altro che il risultato di un assillante e ripetuto picchettare della luce, tanto che non sapresti dire se il martellìo provenga da fuori o da dentro, quasi fossero lavorati a sbalzo dal colore che li forma».
A proposito della pittura di Giuseppe Modica, Agamben puntualizza l’aspetto della rifrazione e lo affianca a quello della riflessione, già indagato da molti studiosi. La rifrazione è intesa come sottile slittamento dei piani e cambiamento dell’angolo dello sguardo. Essa crea in Modica una sorta di straniante metafisica divisione, che cristallizza la visione su un piano altro, oltre la retina, più profondo e remoto, nell’area dell’umor glacialis.
Savinio e Modica sono due autori diversi fra loro, non assimilabili a gruppi di corrente, ma sono entrambi dentro il linguaggio della pittura come compenetrazione di forma-colore-luce. Una pittura che rimanda alle antiche ragioni originarie di autori come Giotto e Masaccio (Savinio), Piero della Francesca e Antonello da Messina (Modica) e che, attraversate e raccolte le sollecitazioni del Novecento, si rinnova nel Duemila alla luce delle inquietudini del contemporaneo. Un’antica accezione e ragione dell’arte che si interroga sul tempo e si reinventa senza uscire dalla natura stessa della pittura e dall’immanenza fisica e concreta dell’opera. Due autori, Savinio e Modica, tenacemente legati all’avventura della ricerca e della pittura; una pittura lenta e densa di sedimentazioni, di addizioni e sottrazioni e di memoria, in cui il tempo, la luce e l’immaginazione giocano un ruolo preponderante e fondamentale.
Questo intenso legame con il fare della pittura, con radici lontane e profonde è ciò che crea il rapporto con gli altri due artisti esposti in mostra. Tang Yongli è un autore che coniuga antica religiosità e laicità moderna, l’antica pittura ad affresco e la moderna indagine analitica di ascendenza europea. Questo rende plastici e minuziosamente descritti nei particolari i personaggi rappresentati. Oltre le figure il vuoto, l’assenza, la sospensione e parallelamente un ritmo segnico gestuale verticale di scrittura, che intreccia un dialogo armonico e sinergico con la figura e la sua plasticità. La forma verticale del supporto rafforza la verticalità dei personaggi che sono racchiusi in uno spazio definito solo dalla scrittura: un margine che rende ieratiche e solenni le immagini rendendole corporee. E questo accade anche nelle composizioni con molte figure, nelle quali la mancanza di margini accentua l’orizzontalità e la fisicità.
Zhang Yidan ha osservato con profondo interesse la pittura di paesaggio dell’antica Cina ed ha pubblicato studi su Zhu Da (1626-1705), pittore e calligrafo, cercando di comprenderne la struttura e la forma espresse anche come studio del paesaggio. In parallelo Zhang Yidan ha indagato la decorazione dei tessuti nella tradizione popolare cinese. Da questo percorso nasce l’amore per il paesaggio e la figura, raccontati con grande capacità descrittiva e accuratezza di esecuzione nei suoi lavori, per i quali ha vinto importanti premi.
Giorgio Agamben osserva che «la luce nella pittura cinese non è mai tema, si è completamente smemorata di sé e forse per questo non produce mai ombre», e forse è nella bruma sottile che pervade i quadri di Zhang Yidan e nel cielo alto che fa da contrappunto al paesaggio, che va cercata l’atmosfera sospesa. «Sembra continuare la tradizione della pittura di paesaggio, quasi che i suoi inchiostri fossero frammenti di un rotolo delle Cinque Dinastie o dell’epoca Song» – scrive Agamben – e trova riscontro nel trattato sulla pittura di Shitao (1642-1707) dove tutti gli elementi descritti da Zhang Yidan nelle sue opere sono considerati costituenti essenziali della pittura: «l’acqua che scorre e trabocca in tutte le sue forme, la montagna che si trattiene e nasconde e con la successione delle sue cime e delle sue pareti “veicola un ritmo”, gli alberi, isolati e in piccoli gruppi…»,
La mostra sarà aperta al pubblico fino a metà ottobre 2018.