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“Kasba Africa è bella”: il caso delle donne tunisine e della Casbah a Mazara del Vallo

Mazara del Vallo (ph. Luigi Giacobbe)

Mazara del Vallo (ph. Luigi Giacobbe)

di Lavinia Giacobbe

Il concetto di “luogo” è sempre stato di grande interesse nell’ambito degli studi sociologici ed antropologici proprio per le sue innumerevoli caratteristiche nonché per le prospettive attraverso le quali indagare le forze e le azioni umane. Come sottolinea la sociologa Monica Musolino, «le forme spaziali, da quelle riferibili a una scala macro (ad esempio, le città o le metropoli) a quelle più puntiformi e singolari (edifici o strutture singole), sono in qualche modo una testimonianza viva, frutto di stadi di negoziazione o di esiti vittoriosi, dell’azione di differenti forze sociali sovente in conflitto» (Musolino, 2014).

La ricerca da me svolta a Mazara del Vallo tra il 2020 e il 2021 ha considerato prima di tutto il campo di studi riguardanti le migrazioni e gli aspetti intersezionali della vita delle donne tunisine della città, cercando di studiare, oltre che gli aspetti pratici legati alle loro vite, anche i loro modi pensare e di vivere lo spazio abitato.

Dal punto di vista metodologico, il lavoro sul campo è stato svolto in più fasi (da ottobre a novembre del 2020 e successivamente nei mesi di luglio, agosto e settembre 2021, in modalità mista in presenza ed attraverso delle interviste online), a causa della pandemia di Covid-19 che ha notevolmente condizionato la “normalità” non solo delle pratiche interpersonali, ma anche relativamente alla frequentazione degli spazi, elementi che ovviamente sono stati considerati nel corso della ricerca.

Questo contributo beneficia anche di interviste discorsive raccolte tra le donne tunisine incontrate a Mazara, alcune nate nella città siciliana, altre in Tunisia ed arrivate in momenti diversi, come schematizzato nella Tabella.

Amani, 60 anni Arrivata a Mazara nel 1982
 Farah, 40 anni Arrivata in Italia nel 2003 e aMazara nel 2014
Halima, 43 anni Arrivata a Mazara nel 2002
Hasna, 44 anni Arrivata a Mazara nel 2003
Kamila, 28 anni Nata a Mazara
Aicha, 24 anni Nata a Mazara
Mània, 25 anni Arrivata a Mazara nel 2008
Zahira, 35 anni Arrivata a Mazara nel 1999

Da queste, come si vedrà, emergeranno le modalità con cui le donne osservano, considerano e vivono (o evitano) determinati luoghi e le loro motivazioni, che sono da inserire in un quadro più ampio che riguarda anche le caratteristiche intrinseche degli spazi in questione (le suggestive similitudini con le medine tunisine e del mondo arabo, la storia delle vite e il susseguirsi di nuovi insediati provenienti da altre parti del mondo). Di grande interesse è ovviamente anche l’intervento degli attori locali, amministrazioni comunali e soggetti della società civile nel loro rapporto con la comunità tunisina.

La Casbah o il centro storico: una lunga storia

«La mia prima volta dentro la Casbah fu in una tarda serata autunnale di ottobre. Le vie strette, costellate di ceramiche e maioliche narranti le più diverse storie non si riuscivano ad apprezzare a pieno, come accadde poi nei giorni successivi. La notte nella Casbah era silenziosa, come del resto lo era in tutte le città del mondo, vista l’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19. Immaginavo tempi diversi, in cui le viuzze erano animate e addobbate a festa durante i festival eno-gastronomici e culturali su cui mi ero documentata prima della mia partenza. Il buio ed il silenzio sembravano quasi essere un velo, che in quel tempo diventava coperta, non permettendo a nessuno di vedere cosa ci fosse nascosto sotto» [1].

Il 6 dicembre 2013 gli spazi stretti e solitamente vuoti delle stradine della Casbah di Mazara del Vallo si riempirono di persone in abiti eleganti che si radunavano in via Bagno, davanti ad un immobile di recente ristrutturazione che recava nell’insegna le parole in arabo ed in italiano “Daar Tunis – Casa Tunisia”.

«Casa Tunisia è un motivo di grande orgoglio per la nostra amministrazione. Siamo riusciti a dare una sede a questa comunità tunisina, che è qui non solo per lavorare ma anche per partecipare alla vita sociale della nostra comunità. I tunisini sono un popolo fiero, di grande tradizione, di grande storia, adesso hanno un piccolo grande manufatto nel quale poter mostrare che cosa è l’appartenenza a quelle tradizioni e a quella storia. La nostra ambizione è di vedere tunisini che organizzano conferenze, creando le condizioni per un dialogo non solo sui temi della cultura ma anche su quelli dell’economia. Casa Tunisia sarà anche un luogo in cui i siciliani potranno partecipare alla vita quotidiana della Medina e della Casbah» (Nicola Cristaldi in un’intervista per TeleIBS – L’opinione, in data 6 dicembre, 2013) [2].
Mazara del Vallo, Casa Tunisia (ph. Futura d'Aprile, 2022)

Mazara del Vallo, Casa Tunisia (ph. Futura d’Aprile, 2022)

Le parole dell’allora sindaco Cristaldi, ascoltate da Ilaria Giglioli, e riportate nel suo testo del 2014, From a Frontier Land to a Piece of North Africa in Italy: The Changing Politics of ’Tunisianness’ in Mazara del Vallo, Sicily, manifestavano un grande orgoglio e una grande visione organizzativa di quello che sarebbe diventata non solo la sede del Consolato tunisino di Palermo ma anche e soprattutto un centro culturale in cui l’obbiettivo era di ospitare mostre, convegni, corsi di formazione professionale e master per studenti tunisini ..[3]. “Casa Tunisia” nasce infatti attraverso una stretta collaborazione tra governo locale siciliano e governo tunisino, rappresentato in quell’occasione dall’Ambasciatore tunisino in Italia Naceur Mestiri e dal Console Generale di Tunisia a Palermo Farhat Ben Souissi.

Giglioli (2014:750) ci restituisce però un’esperienza che risulta distante da queste parole di speranza: la docente infatti riporta ciò che è accaduto nel momento in cui il sindaco e le altre presenze istituzionali stavano per tagliare il nastro inaugurale di Casa Tunisia. Un’attivista tunisina di mezz’età del movimento “La voce dei migrati tunisini”, si è fatta largo oltre il cordone della polizia, e si è interfacciata direttamente con i dignitari tunisini ed italiani, chiedendo perché non la facessero passare e sottolineando che stavano inaugurando un centro per tunisini senza che la comunità tunisina ne fosse a conoscenza. Dopo essere stata zittita dal sindaco e allontanata dalle forze dell’ordine e dopo essere riuscita a raggiungere la delegazione all’interno dell’edificio, la donna ha continuato a manifestare il suo dissenso dicendo che nessun tunisino era stato invitato, nonostante la comunità tunisina di Mazara del Vallo contasse più di tremila individui e considerando la scena dell’inaugurazione come un’offesa per tutti i tunisini.

Ciò che appariva dunque come un momento di condivisione e di volontà di mettere in campo risorse (da parte della municipalità mazarese) per una feconda convivenza, rivelava invece l’esistenza di un conflitto tra il comune e alcuni tunisini della comunità. Il sindaco concluse la sua intervista con la speranza parlando di un «segnale di partenza e di rilancio ulteriore per il nostro centro storico della vecchia antica città di Mazara del Vallo».

Mazara del Vallo, Casba (ph. Fausta Ferruzza)

Mazara del Vallo, Casba (ph. Fausta Ferruzza)

Le ragioni investigate da Giglioli riguardano anche il concetto di ethnic packaging, utilizzato da Hackwork e Rekers per descrivere quello specifico fenomeno di gentrificazione che mette al centro la popolazione migrante di un luogo nell’ottica di dare un “brand” multiculturale alla città. Questo porterebbe ad attrarre non solo turisti ma anche investimenti da privati con un background migratorio che contribuirebbero al rilancio della città o del quartiere in questione (Giglioli 2014: 750) rendendo di fatto commercializzabile ed economicamente interessante ciò che era, usando le parole di Antonino Cusumano in un’intervista condotta da Laura Parrivecchio nell’ambito della sua tesi di dottorato (Parrivecchio, 2018) “l’abitare etnico” trasformato «in stazione esotica, d’interesse turistico». 

La Casbah o il centro storico: una storia lunga

«Secondo Tucidide Mazara del Vallo sorge sulla riva sinistra del fiume Mazaro, come colonia fenicia. La città diventa una capitale durante la dominazione araba, quando raggiunge il massimo splendore. Del periodo arabo rimangono il tracciato urbano ed alcuni esempi di architettura integrata dalla successiva presenza normanna. L’intersecarsi di stradine tortuose serviva a difendersi dal sole e dal vento ma anche da possibili attacchi nemici» (Iscrizione su ceramica, in una via della Casbah)

La storia della Casbah è lo specchio della storia di Mazara: è stata invasa, persa, abbandonata, ripresa, non solo come luogo fisico ma anche nell’immaginario collettivo di chi la attraversa. La Casbah riprende lo stile delle medine dei Paesi del Maghreb, ha una pianta quadrata irregolare i cui lati toccano a nord Corso Vittorio Veneto (in cui il punto di riferimento principale è piazza Porta Palermo), dall’altro lato Corso Umberto I, una via pedonale che è il cuore commerciale della città.

Mazara del Vallo, Molo pescherecci (ph. Futura d'Aprile, 2022)

Mazara del Vallo, Molo pescherecci (ph. Futura d’Aprile, 2022)

Durante la seconda metà degli anni ’70 l’area della Casbah, che conservava la sua struttura originale del Nono secolo, era abitata principalmente da operai siciliani in età avanzata a cui apparteneva la maggior parte delle modeste abitazioni. Si tratta di una conformazione labirintica per cui le strade strette si interrompono o passano attraverso piccoli cortili che erano il centro della socializzazione nella prima metà del Novecento, usati sia come luogo di ritrovo che come spazio per le faccende domestiche come il lavaggio dei panni. Vale la pena aggiungere una riflessione in merito alla versatilità di questi cortili (che sono di fatto luoghi pubblici e potenzialmente accessibili a tutti), e alle esperienze di “ri-significazione” di cui sono stati protagonisti.

La vita dei Mazaresi nella Casbah era una vita tranquilla, sostenuta da una piccola economia di agricoltura e di pesca ancora lontana dalla massiccia crescita della flotta peschereccia della città. Con il graduale sviluppo dell’economia legata al mare, che dopo gli anni ’60-’70 divenne il motore trainante dell’intera città, si ebbero i primi riscontri positivi sull’incremento della ricchezza pro-capite degli abitanti mazaresi e dell’innalzamento dello standard della loro vita. Nello stesso periodo alcuni migranti tunisini cominciarono a stabilirsi, senza particolari problemi, nel centro storico. La loro presenza passò quasi del tutto inosservata fino alla fine degli anni ’70. Man mano che la ricchezza della popolazione autoctona aumentava, si profilava la possibilità per loro di acquistare case nuove in immobili costruiti al di fuori del centro storico.

Nei primi anni ’80, la migrazione tunisina si fece più numerosa e composita. Associando la Casbah alla loro presenza, questa diventava per gli abitanti originari uno spazio di “arretratezza”, di pericolo e di differenza col resto della città (Giglioli 2014: 755). Il terremoto del giugno 1981 che colpì in particolare Mazara ebbe il ruolo di acceleratore nell’abbandono della Casbah da parte dei Mazaresi. Il governo locale stanziò diversi fondi per aiutare coloro che avevano perso la casa a ristrutturarla o, seguendo già il percorso tracciato qualche anno prima, di scambiare l’abitazione ormai distrutta nel centro storico con una al di fuori di esso, così le case non messe a nuovo ma comunque abitabili furono affittate e affidate ai migranti tunisini.

È in questo periodo che il termine ‘Casbah’, prima usato sporadicamente per indicare il quartiere costruito nel Nono secolo durante la prima storica occupazione araba, comincia ad entrare nel lessico degli abitanti di Mazara, assumendo però una connotazione dispregiativa. La tendenza ad usare questo toponimo andava di pari passo con l’arrivo sempre più costante di altri immigrati tunisini. Sono gli stessi anni in cui la flotta peschereccia mazarese raggiunge il suo apice grazie soprattutto ad investimenti nazionali (Ben-Yehoyada 2019: 54) attraendo un numero sempre crescente di tunisini che, vista la stabilità economica cominciarono a portare a Mazara anche le loro famiglie. La ricchezza accumulata dai mazaresi, d’altro canto, li spinse ad abbandonare la zona della Casbah in cerca di una sistemazione migliore nelle nuove zone residenziali sorte ad ovest del fiume Mazaro, ad est della piazza della Cattedrale e a nord, a seguito dell’edificazione del complesso Mazara 2.

Mazara del Vallo (ph. Fausta Ferruzza)

Mazara del Vallo (ph. Fausta Ferruzza)

Nell’area quadrata della Casbah si sviluppa un dedalo di strade strette, vicoli e cortili interni. È impossibile percorrere queste piccole vie in auto. La Casbah sembra divisa irregolarmente in due: strade in cui i palazzi sono abbandonati e fatiscenti, addirittura completamente distrutti dal terremoto del 1981, ed altre vie, tangenti alle arterie principali della città che sono state abbellite tramite un’operazione di riqualificazione con mattonelle e pannelli in ceramica, vasi, piante ornamentali. Vi sono poche attività commerciali, qualche ristorante e alcuni alloggi (appartenenti a mazaresi) utilizzati per l’ospitalità di turisti. Con i due lati rimanenti la Casbah diventa la linea di confine che parte dalla Piazza della Repubblica, sede della Cattedrale, e arriva fino alla zona della Marina. Da qui passa via Garibaldi, la parte un tempo più ricca del centro storico, qui si trovano infatti piccoli locali, il Collegio dei Gesuiti, vicino al Museo del Satiro Danzante e numerosi palazzi comunali. In questa specifica zona le viuzze si allargano per poter permettere di ammirare questi monumenti e fare spazio a strade più larghe che portano al lungomare e al porto-canale.

Lo studio di Ilaria Giglioli nel 2014 descrive una Casbah (soprattutto nelle vicinanze di Porta Palermo) con diverse attività commerciali e un gran via vai di persone. Purtroppo la mia esperienza è stata segnata dalla pandemia di Covid-19, in un periodo in cui era concesso che i negozi restassero aperti ma pochi lo erano davvero. In circa un mese di permanenza ho visto raddoppiare i cartelli “affittasi, vendesi o cedesi attività” lungo la tangente di corso Vittorio Veneto ed in generale nella Casbah. Al mio arrivo, ho chiesto alle donne tunisine conosciute e ai coordinatori delle attività della Fondazione San Vito dove potessi trovare un ristorante, una trattoria, una bottega dove si cucinasse il couscous, più precisamente ho chiesto se ci fosse un luogo del genere nella Casbah. Mi risposero che purtroppo non era rimasto nessuno. L’unica che aveva tenuto testa alla crisi economica era un’anziana donna tunisina che venne a mancare qualche mese prima del mio arrivo.

Mazara del Vallo (ph. Luigi Giacobbe)

Mazara del Vallo, saracinesca dipinta (ph. Luigi Giacobbe)

La Casbah assume un doppio volto anche in conseguenza al momento della giornata in cui la si percorre ed osserva: di giorno è improbabile incrociare molta gente per strada, gli unici agglomerati di persone sono dentro e davanti il circolo tunisino e capita di incontrare qualche passante. Di notte invece, soprattutto nella stagione estiva (almeno prima della pandemia), i cortili interni ed esterni diventano luoghi di ritrovo e condivisione di famiglie tunisine e mazaresi o teatro di manifestazioni culturali e gastronomiche. Adiacente all’estremità a monte della Casbah si può riscontrare una particolarità che ha promosso il “brand” di Mazara come città “più araba d’Europa”: a pochi passi dalla chiesa di San Francesco di origine normanna ma ricostruita in età barocca, si trova la moschea

“Ettakwa”. Per spiegare questo singolare elemento prenderò in prestito le parole di Simona, con cui è iniziato un solido rapporto di collaborazione per il corso di lingua araba che ha tenuto a utenti italiani:

«A Mazara puoi sentire il suono delle campane e subito dopo il richiamo alla preghiera islamica o viceversa, noi mazaresi ci siamo abituati, ma è una cosa particolare, che ho sentito di dover citare nella mia tesi di laurea, proprio per rappresentare questa unione nello spazio e nel suono» (Simona, 26 anni).

Mazara, detta in passato la “città delle 100 chiese” apre uno spazio sonoro alla moschea, è infatti l’unica città d’Europa in cui è possibile ascoltare tutti i giorni l’adhan, il richiamo sonoro alla preghiera islamica. Giglioli ha evidenziato il punto di vista di negozianti mazaresi non più in attività, che attribuiscono la causa del decadimento del centro storico al terremoto dell’81 ma anche alla presenza dei tunisini:

«A parte il decadimento fisico, l’immigrazione ha avuto un effetto enorme perché le case sono finite in mano ai tunisini. Io vivevo lì vicino ma è diventato inabitabile. Era davvero una terra di frontiera, così ce ne siamo andati».

E ancora, un altro gestore di un negozio vicino:

«L’arrivo dei tunisini non è stata una buona cosa perché loro si sono presi le case abbandonate. A poco a poco hanno cominciato ad occupare le strade, che sono diventate luoghi di degrado. Le persone hanno paura di visitare questa zona, anche le droghe hanno contribuito alla rovina del quartiere».

Emblematico in questo senso un commento di Aicha, 24 anni, tunisina nata a Mazara con cittadinanza italiana, che approfondisce la questione “prima e dopo” relativa alla Casbah:

«Mia mamma andava sempre in via Garibaldi, poi passava in tutti quei vicoletti via Bagno, via Giotto, anche perché allora, ti parlo degli anni ’90, c’erano un sacco di gioiellieri che erano aperti lì. Via Garibaldi è famosa perché c’erano un sacco di gioiellieri. Questo per farti capire la sicurezza che c’era in quelle vie. Negozi con tutti i gioielli esposti e le donne passeggiavano lì, guardavano le vetrine, compravano i gioielli. Ma non perché non ci fossero ancora i tunisini… i tunisini c’erano, quelle vie sono sempre state abitate da tunisini. Ma se ci vai oggi in quelle vie non ci sono più i tunisini, adesso ci sono gli zingari» (Aicha, 23 anni).

Man mano che i vecchi abitanti mazaresi e i negozianti lasciavano il centro storico per altre zone, a detta loro ‘più vivibili’, nella Casbah veniva operata una segregazione nella segregazione (Sbraccia e Saitta, 2003, 12). I tunisini incontravano costi degli affitti molto bassi, che potevano sostenere anche con un’occupazione precaria e condizioni economiche non favorevoli. Alla sedentarizzazione e stabilizzazione dei tunisini, corrispondeva l’arrivo di un’altra comunità: quella Rom, soprattutto provenienti dal Kosovo. Questa doppia segregazione si snoda attraverso le abitazioni e soprattutto le loro condizioni: se i tunisini erano riusciti ad entrare in delle case non restaurate ma comunque abitabili, la comunità rom dovette arrangiarsi stabilendosi in quelle più fatiscenti e diroccate. Accade così che gli slavi occupanti lo strato inferiore della piramide sociale hanno indirettamente ‘elevato’ i tunisini al rango immediatamente superiore, come riportato da un’intervista con una ragazza tunisina di seconda generazione ottenuta da Sbraccia e Saitta, che afferma: «I tunisini non sono più gli ultimi, sono stati sostituiti e ne sono contenti. Adesso quelli sporchi, che non si lavano, che vanno a rubare sono più facilmente i rom» (Ibidem).

Mazara del Vallo, Casa di Alì nella Casba (ph. Futura d'Aprile)

Mazara del Vallo, Casa di Alì nella Casba (ph. Futura d’Aprile)

Attualmente la Casbah rimane un luogo “proibito” alle donne tunisine. Non passano volentieri all’interno del centro storico perché hanno paura. Inoltre, per raccontare della Casbah fanno riferimento al “prima” e al “dopo” che coincide con la riqualificazione operata dall’ex sindaco Cristaldi negli ultimi anni. La ripresa del centro storico si è articolata attraverso una maggior pulizia delle strade e l’installazione di opere soprattutto di ceramica, tipiche e condivise dalla tradizione siciliana e tunisina, vasi ed anfore e decorazioni, alcune delle quali portano la firma proprio dell’ex sindaco, la cui attività all’esterno del municipio riguarda appunto l’arte e la manifattura di ceramiche.

Le parole del sindaco Cristaldi sulla riqualificazione del centro storico lo rappresentano al fianco degli immigrati a Mazara, infatti in un’intervista dice:

«Riqualificare il centro storico non è stato solo un modo per far tornare la vita in quello che era divenuto un luogo di abbandono e di degrado per oltre trent’anni, ma è stato, soprattutto, un atto di rispetto nei confronti dei numerosi immigrati che avevano scelto di abitare nel centro storico, nonostante il degrado, occupando le case abbandonate dai mazaresi» [4].

Tuttavia, come si accennava prima, la percezione delle donne da me intervistate riconosce due periodi differenti per la vivibilità della Casbah, ma evidentemente le opere di riqualificazione non sono bastate a farle sentire sufficientemente sicure. Zahira, 35 anni risponde alla mia domanda “cosa ne pensi della Casbah” così:

«Ci sono quelli [tunisini] che non ci abitano più, prima c’era un casino, un macello… La Casbah… ora la vedi sistemata, da due anni, tre anni l’hanno sistemata, hanno messo le ceramiche belle, hanno puliziato bene, però prima… uno non poteva passare… sempre c’è paura».

Le chiedo dunque di cosa ha paura:

«Perché in strada c’è buio, non è che era sistemata, gente che abita lì, tunisini, mazaresi, come dire: mischiati. E senti sempre brutte cose venire da queste zone, però ora no. La verità, io non passo di là, però quelli che abitavano là prima e ora [e abitano lì tutt’ora], dicono che c’è differenza: non è come prima, ora quella zona è sistemata, metà delle case hanno le telecamere» (Zahira, 35 anni).

Lo chiedo anche a Kamila, 28 anni, che mi spiega:

«Da quando ero piccola mia madre mi dice che non ci devo andare, per lei quel posto è sporco. Tunisini trovi solo quelli…sporchi, tipo quelli che si drogano, fumano, quelli che dicono parolacce… infatti quando ci passi è così, e quindi siamo rimasti fino ad ora che quel posto è…non ci devo neanche passare» (Kamila, 28 anni).

Hasna, 44 anni, invece, mantiene una posizione meno certa delle altre, ma è tra le poche che mi hanno raccontato una brutta esperienza vissuta nella Casbah. Anche per lei la situazione non è confortevole e anche lei riconosce due periodi differenti, cristallizzando maggiormente questa sensazione di “prima e dopo”

«Si, dicono che c’è droga, ci sono rapine… dicono, io non lo so. Per dirti la verità quando passo, passo la mattina mai di sera. Forse prima, ora le cose sono cambiate mi sembra. Mi ricordo che prima, quando abitavo vicino alla Casbah, dove c’è Porta Palermo, quindici anni fa, era pericoloso, c’era sempre la droga, c’erano sempre rapine, tante cose. Ora è più calma, più sistemata. Partecipo ad un progetto della Fondazione con dei turisti americani e spesso chiedo: cosa vi piace? E loro mi rispondono: la Casbah, le decorazioni che ci sono dentro…è bella la Casbah, forse prima no, adesso hanno messo tante ceramiche, tante decorazioni, hanno fatto tanta bellezza alla Casbah e adesso mi sembra più pulita e anche calma, non è come prima che era pericolosa, ora ci puoi camminare tranquillamente». 

Le chiedo come fosse abitare lì vicino, e lei risponde:

«Mi ricordo che c’era una casa dietro la mia in cui stava uno zingaro e insieme ad altre persone una sera ha fatto qualcosa, non so cosa [o non vuole dirlo, non parla volentieri], ma è arrivata tanta polizia, ambulanza, la finanza, tutti, la strada era piena perché avevano sentito che c’era un giro di droga, e quella sera, mi ricordo, alle 3 di mattina… non voglio ricordare quella sera, perché hanno sbagliato casa e sono venuti nella mia [la polizia], dopo mi hanno chiesto se volevo far intervenire un avvocato, ‘se ti piace far venire un avvocato, fai’, però poi hanno chiesto scusa e basta. Da quella sera io ‘ da domani sono trasferita, non abito più lì» (Hasna, 44 anni).
Borj Erras, 2019 (ph. Amani Alaya)

Borj Erras, 2019 (ph. Amani Alaya)

Il processo di sostituzione che, dapprima progressivo con la scelta dei mazaresi di ristrutturare la casa in decadenza e rimanere all’interno del centro storico, si è accentuato intorno agli anni ’90. Sbraccia e Saitta parlano di una vera e propria “sindrome di accerchiamento” (Sbraccia e Saitta 2003: 13), a cui si aggiunge una percezione di insicurezza ambientale.

Ciò ha incentivato l’abbandono da parte degli autoctoni sia in termini abitativi che commerciali. Tuttavia, la sostituzione dei negozi di mazaresi in negozi gestiti da tunisini è stata operata solo in minima parte.  Aicha, infatti, mi racconta che

«Mia mamma mi raccontava che quando è arrivata a Mazara, prima della mia nascita, la passeggiata in questi vicoli chiamati ‘centro storico’, soprattutto nella zona di via Garibaldi, si faceva tranquillamente» (Aicha, 24 anni).

Anche come semplice luogo di passaggio la Casbah non è considerata dalle donne tunisine di facile attraversamento. Ci sono delle occasioni in cui, per mostrare la città agli ospiti che non la conoscono, un piccolo tour viene fatto volentieri, come racconta Mània: 

«Non frequento molto la Casbah, ci faccio qualche passeggiata o ci vado per farla vedere agli amici che non sono di Mazara. Quando vengono, mi piace portarli al centro storico, non in corso Umberto. Come se fossi nella mia città, io vado a Borj Erras, non vado al centro. Perché quando vedo quelle stradine mi prende, non so, l’emozione. Mi manca la vita in Tunisia, le porte della Tunisia, per questo quando vado al centro storico a Mazara mi vengono un po’ di ricordi. Mi manca il mio paese. Anche quando guardo un bar, dove sono tutti uomini, e non li conosco tutti, dico ‘buongiorno’, sento la radio tunisina, il telegiornale tunisino, il caffè, loro giocano a carte, c’è anche un nuovo negozio di ceramiche tunisine, a Porta Nuova, che ha lo stesso nome del negozio di ceramiche in Tunisia» (Mània, 25 anni). 

Tuttavia, per alcune delle intervistate, la prudenza è da privilegiare così la regola non scritta e generale è di non passeggiare o attraversarla mai da sola o con altre donne e sempre mantenendo delle accortezze, come racconta Kamila: 

«Prima era troppo… per esempio adesso io sono grande, ci passo, non mi interessa, sono sicura di me stessa, come cammino e come mi vesto, perché è così, se ti vesti ‘male’ è come se tu li chiami [parlando dei tunisini che spesso sostano al circolo tunisino nella Casbah]. E io sono vestita bene, cammino bene, occhi abbassati, velocemente… loro non ti parlano, però vedo che non è come prima…è pulita, e adesso invece dei tunisini ci sono gli zingari. Però è rimasta così, è rimasto il pensiero che in città è il posto più pericoloso, più brutto di tutta Mazara» (Kamila, 28 anni). 

O ancora Aicha che spiega:

«La sera non ci puoi passare, la mattina un giretto te lo puoi fare accompagnata da qualcuno ed evitando certe zone, perché ci sono vicoli nei vicoli»

Parlando poi della Posta centrale che si trova proprio all’interno della Casbah, aggiunge:

«Quando vado alla Posta per prelevare, evito sempre di andare alla Posta centrale perché per arrivarci devi entrare nei vicoli. Io ho paura: metti caso io prelevo, mi vedono e qualcuno inizia a seguirmi? Si mettono davanti alla posta, capiscono che hai fatto qualche operazione lì… e per uscire dalla Posta devi per forza passare dei vicoli perché la circondano, e nel momento in cui entri nei vicoli rischi di essere scippata. Se devo fare pagamenti vado tranquillamente, tanto a loro non interessa chi arriva ma chi se ne va, ma se devo prelevare ci vado con qualcuno tipo mio zio, con qualcuno intendo un uomo, ma da sola o sola con mia mamma assolutamente no» (Aicha, 24 anni). 

La percezione del pericolo è sostenuta e diffusa attraverso racconti di esperienze che caratterizzano la Casbah, e più nello specifico alcune zone tangenti o all’interno di questa; sempre Aicha, infatti, mi racconta la sua personale esperienza in un parcheggio pubblico che si trova tra il centro storico e il lungomare: 

«Io ho avuto quest’esperienza: al centro storico c’è piazzale Quinci in cui c’è il parcheggio comunale gratuito, però ogni tanto si mettono i parcheggiatori abusivi, che possono essere mazaresi, tunisini, zingari… io ho avuto due episodi: uno con un tunisino e uno con uno zingaro. Il tunisino mi ha segnato il posto in cui parcheggiare, io ho parcheggiato, prendo un euro perché mi sento obbligata a darglielo. Lui mi guarda e non aveva capito che anche io fossi tunisina, e mi disse una parolaccia molto grave in tunisino perché gli avevo dato solo un euro. Ma disse la parolaccia e finì li. Un altro episodio, sempre di sera, perché comunque loro di giorno non si vedono. perché la sera magari si mettono un po’ più nascosti, così nel caso dovessero arrivare polizia, finanza e quant’altro loro sono nascosti. Comunque una sera vado a parcheggiare la macchina, la parcheggio, lui non mi dice niente, non mi indica niente, stava seduto, era uno zingaro, rumeno, zingaro, non so. Comunque io avevo solo banconote, raccogliendo gli spiccioli arrivavo a sessanta, settanta centesimi, glieli diedi. Lui mi disse ‘ io non accetto questi centesimi, mi devi dare due euro’ gli risposi che non li avevo in quel momento, gli dissi che li avrei scambiati per darglieli dopo, e lui mi disse ‘io vedi che sono qui, ti aspetto, se non mi porti i soldi ti rompo lo specchietto’. Quindi io queste cose le ho vissute qualche anno fa, e sono in un parcheggio comunale non in una via stretta, posso urlare e chiedere aiuto. Ma metti caso succedesse qualcosa del genere nelle vie del centro storico, chi mi vede? Chi mi sente? Nessuno. Io ho paura di andare alla Casbah, di passarci e di girarci». 

Secondo Aicha, inoltre, anche a seguito della riqualificazione, il degrado non ha mai abbandonato quei luoghi: 

«Il centro storico è bellissimo, è fantastico, fatto benissimo: tutto decorato, con le anfore, le ceramiche, oggi però sono tutti spaccate, non ce n’è una sana. Sono ancora alla ricerca di questo o questi individui che le hanno vandalizzate. Lì…come allo Zen di Palermo… la Casbah è malavita, non ai livelli dello Zen ovviamente» (Aicha, 24 anni). 

Per Kamila, invece, la responsabilità è collettiva, infatti: 

«Noi l’abbiamo fatta diventare pericolosa, perché se tutti pensiamo di pulire, di lasciarla pulita, ma anche mentalmente, diventa la più bella di tutto il mondo» (Kamila, 28 anni). 
Borj Erras, 2019 (ph. Amani  Alaya)

Borj Erras, 2019 (ph. Amani Alaya)

Ciò su cui tutti condividono un pensiero comune è la notabile svalutazione economica delle abitazioni. I costi delle case sono spropositatamente più bassi nel centro storico che, paradossalmente, nelle adiacenze o addirittura nelle periferie.

Inoltre non si tratta solo delle abitazioni diroccate o che necessitano di grandi lavori di ristrutturazione, ma anche case in buone condizioni che ne hanno beneficiato in precedenza.

Quasi tutte le donne intervistate fanno cenno alla questione dei costi e delle compravendite di case, come per esempio Zahira: 

«Lì prima le case le vendevano anche a diecimila euro, ora il costo è arrivato a circa sessantamila euro, di più, il valore della zona è arrivato più alto, anzi è diventata una zona turistica: se qualcuno arriva da fuori va a fare subito un giro nella Casbah, ora quasi tutti i tunisini che non stanno più alla Casbah si sono trasferiti in zone sempre vicino alla Marina, dove c’è il mercato del pesce, via Salemi, in queste zone». 

Le ho chiesto poi se conoscesse qualche tunisino che avesse fatto un investimento di questo tipo nella Casbah per approfittare della sua connotazione turistica, la sua risposta: 

«Sì, conosco una tunisina che ha comprato casa alla Casbah, poi l’ha venduta a qualcuno per fare come hai detto… b&b. Lei ha comprato non so a 15.000 e poi ha rivenduto a 50.000. Però c’è differenza tra gli anni in cui l’ha comprata lei e adesso. Mio zio ha comprato una casa là dieci dodici anni fa… dodicimila euro, il costo di una macchina. Mio zio ora può vendere la casa a 60.000-70.000 euro. Ma ora c’è troppa, troppa differenza. Per esempio davanti casa di mio zio, quando l’ha comprata prima c’erano tutte le case rovinate, ora ci sono i giardini, le cose di ceramica, decorazioni sui muri» (Zahira, 35 anni). 

Non tutti però si sentono coraggiosi a tal punto da investire in un’abitazione nella Casbah, se i costi fisici possono apparire molto bassi, infatti, non lo sono quelli in termini di sicurezza, come per esempio per la famiglia di Aicha: 

«Qui [al di fuori della Casbah], hai la sicurezza che esci di casa, ti tiri la porta dietro e sei tranquilla, lì invece sai che esci ma non sai mai se troverai la porta aperta al tuo ritorno. È totalmente diverso. Nel mio caso i miei genitori si sono accontentati di comprare una casa molto più costosa ma in una zona sicura. Ma ci sono persone che magari non hanno la possibilità perché la banca non concede il mutuo perché non hanno un lavoro stabile o hanno precedenti, non possono comprarsi una casa costosa ed è chiaro che si buttano lì perché le case costano poco. Si buttano lì e poi i figli crescono all’interno della malavita. Molti ragazzi che vengono da noi in Fondazione abitano alla Casbah, lo vedi come sono, un po’ esuberanti, perché crescono in un ambiente così» (Aicha, 24 anni). 

Un altro aspetto su cui molte di loro condividono la stessa opinione riguarda la somiglianza tra il centro storico di Mazara e la Casbah di Madhia, fino ad arrivare ad una sorta di fusione, motivato dalla forza degli intrecci che «legano la comunità della diaspora a quella rimasta in patria» (Sbraccia e Saitta 2003: 29). Alla mia domanda “come ti fa sentire la Casbah?” la maggior parte delle rispose è di questo genere:

«Si faccio un giro, tante volte ci passo e basta… Per esempio ci vado se c’è qualche amico dal nord che viene a trovarmi. La prima cosa che faccio e portarlo nella Casbah! Mi ricorda Madhia, sento che sono più vicina al mio paese, le decorazioni, i vasi sono tutte cose che mi ricordano la Tunisia, non so se hai sentito ma adesso hanno aperto un ristorante tunisino lì» (Hasna, 44 anni). 
«Tipo c’è una ragazza, mia vicina di casa in Tunisia, che si è sposata con un mazarese, è venuta qua, ha chiamato la mamma e le ha detto ‘mamma non c’è differenza tra la nostra via e qua. Senti l’odore del couscous da tutte le parti’ [era a casa della suocera che abitava nella Casbah]. Infatti Madhia, perché quasi tutti noi stiamo sulla costa in Tunisia, è riconosciuta come Mazara 2 e viceversa, Mazara è Madhia 2, sono gemellate. Ma infatti in Tunisia c’è un posto che si chiama Piazza Venezia, c’è un posto che si chiama Piazza Mazara, è il gemellaggio» (Kamila, 28 anni). 
«Anche a Madhia abbiamo la Casbah, per questo non sembra di non essere in Tunisia. Si sente che tu sei in Tunisia non a Mazara. Il nome è uguale, il posto è uguale. Mi piace perché ti senti nel tuo paese, come se non fossi mai uscita dal tuo paese»  (Farah, 38 anni). 
«Quando capita di passeggiare lì mi sento in Tunisia, per l’odore di cibo tunisino e l’odore del narghilè (shisha)» (Mània,25 anni).
Il mercatino settimanale a Mazara del Vallo

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Il mercato del mercoledì

Molto diverso invece è il contesto del mercato del mercoledì in Piazza Macello. Il mercato si svolge lontano dalle stradine strette della Casbah e può essere considerato fisicamente come il suo opposto: le bancarelle sono disposte in un vasto piazzale dove non vi è il minimo rischio di perdersi o confondersi. Sono tutte perfettamente distanziate per concedere a più persone di osservarne la merce esposta. Si tratta di un mercato prettamente di vestiario, oggetti per la casa, stoffe, biancheria, generi alimentari. Ci sono poche bancarelle dedicate al cibo e perlopiù si tratta di stand con esposta frutta secca, spezie e, a volte, baccalà sotto sale.

Se nella Casbah sembra pressocché impossibile incontrare delle donne tunisine per strada, questo non avviene al mercato, che può considerarsi il reale luogo di ritrovo delle donne, che spesso si incontrano al mattino presto, fanno colazione insieme per poi avviarsi in cerca di buoni affari per sé stesse, la casa o i figli. Non è raro incontrarle negli angoli delle strade adiacenti a Piazza Macello, intente a scambiarsi consigli sui figli e la scuola o più semplicemente chiacchiere. Da quel che ho potuto comprendere l’idea è quella di andare al mercato come spazio di socialità, di relazioni tra amiche o con un’amica, dal momento che non appena arrivate è inevitabile incontrare altre donne ed altre amiche. Solitamente si incontrano nelle varie bancarelle, per scambiarsi qualche commento su un vestito, o un oggetto per la casa, per poi salutarsi e proseguire.

Il mercatino settimanale a Mazara del Vallo

Il mercatino settimanale a Mazara del Vallo

Nella giornata tipo di una donna tunisina a Mazara non può mancare la spesa: solitamente frequentano le grandi catene di supermercati e, per comprare la carne halal, le uniche possibilità sono una bottega gestita da un uomo marocchino, vicina al centro storico, e una macelleria siciliana che ha ottenuto il certificato halal e ha inoltre importato una grande quantità di prodotti dalla Tunisia. In generale, al ritorno dalle vacanze in Tunisia, le donne portano sempre con sé a Mazara diversi prodotti di difficile reperibilità come i fogli di brik (sottilissimi cerchi fatti di semola ed acqua), o la salsa piccante harissa, sebbene sia possibile acquistarli nella macelleria mazarese. Farah mi spiega che le donne non acquistano mai del pesce, proprio perché i mariti, attraverso il sistema delle parti, riescono, dopo ogni battuta di pesca, a portare a casa del pesce fresco che viene conservato e consumato durante le settimane.

femmedina_logosMazara del Vallo si è modellata sulla presenza, lo stile di vita e i consumi della comunità tunisina. Per questo motivo le donne non osservano difficoltà particolari che impediscano loro di conservare abitudini “importate” dalla Tunisia, come il cibo. Tuttavia, risulta evidente come ci siano luoghi che sembrino più “sicuri” da frequentare ed altri meno. Da questo punto di vista, ad esempio, occorrerebbe che il centro storico, denominato Casbah, si apra realmente ad essere un luogo di condivisione ed apertura anche per le donne tunisine. Un suggerimento nonché spunto interessante può trovarsi in progetti a carattere intersezionale riguardanti l’empowerment femminile nel mondo dell’artigianato e della piccola imprenditoria, come l’iniziativa “Femmedina”, portata avanti tra il 2023 e il 2024 proprio nella città di Mahdia da parte della Direzione per lo sviluppo e la cooperazione della Confederazione Svizzera.

È stato costituito un report con le caratteristiche e le principali sfide del souk “Skifa Elkahla” della città. Attraverso studi qualitativi e quantitativi, comprendenti anche interviste alle attrici prese come soggetti di studio, sono state raccolte suggestioni importanti sulle quali basare delle policies d’intervento considerando le sinergie tra donne imprenditrici ed artigiane, associazioni, organi di governo locale e società civile. Lo stesso sarebbe auspicabile nelle simili stradine mazaresi, sostituendo o meglio accompagnando i bei murales e disegni delle saracinesche chiuse alla condivisione e sviluppo di questi spazi, senza scadere in quella sopracitata questione della “brandizzazione” di un luogo a fini turistici e così condividendo non solo luoghi ma anche pratiche, attività, relazioni e sentimenti. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
Note
[1] Dal mio diario etnografico
[2] https://www.youtube.com/watch?v=Slz9M-xZY7c&ab_channel=TeleIBS-L%27Opinione
[3] Tratto da https://trapani.gds.it/articoli/archivio/2013/12/07/mazara-del-vallo-porte-aperte-a-casatunisiae-
il-simbolo-dellintegrazione-306869-f5483a14-8b3c-49c8-bef6-0d2acb94ded6/#.VRmiAzret0.
facebook
[4] https://inchiestasicilia.com/2017/10/04/mazara-del-vallo-rivive/  
Riferimenti bibliografici
Ben-Yehoyada, Pizzolato Nicola. Incorporare il Mediterraneo. Formazione regionale tra Sicilia e Tunisia nel Secondo Dopoguerra, Milano: Meltemi, 2019.
Giglioli I., The Production of an “Arab” Urban Heritage: Mazara del Vallo’s Casbah, Traditional Dwellings and Settlements Review 26.1, 42, 2014
Parrivecchio, L. “Abitare i luoghi dell’integrazione”, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Palermo, 265, 2018.
Sbraccia, A., and Saitta, P., Lavoro, identità e segregazione dei Tunisini a Mazara Del Vallo, Occasional Papers No. 9, Cespi, Roma, 2003
Musolino, Monica, Tra lo spazio e il luogo: come abitare gli immaginari moderni sulla soglia dell’estraneità, Im@ go. A Journal of the Social Imaginary 3, 7-25, 2014

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Lavinia Giacobbe, nata a Messina, ha frequentato l’Università di Torino, laureandosi alla magistrale in Studi Internazionali con una tesi sull’identità delle donne tunisine a Mazara del Vallo. Attualmente è tornata in Sicilia dove si occupa di vari progetti, tra cui un archivio filmico tra Messina e Ortigia insieme alla Cineteca Dello Stretto.

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