di Francesca M. Corrao
1. Perché i bambini devono morire per vivere? Storia di un altro tipo di accoglienza che ha fatto sbocciare il genio di Khalīl Jubrān
Questo studio nasce da una domanda che mi sono posta all’indomani dell’ennesimo eccidio di bambini in mare in fuga da guerre, terrorismo, emergenza climatica o per il semplice desiderio di vivere una vita dignitosa. Essendo una studiosa di mestiere e partendo dal convincimento di Daisaku Ikeda che l’arte e la cultura danno forma al desiderio puro che spinge l’artista a creare opere che diano gioia e felicità, mi sono chiesta cosa ha permesso a Jubrān, un povero giovane immigrante, di diventare un famoso pittore e poeta in un tempo relativamente breve.
Sino a qualche decennio fa gli Stati Uniti erano noti per essere un Paese dove a chiunque era data la possibilità, avendone le capacità, di fare fortuna. Ciò adesso è diventato molto difficile. Ma già alla fine del XIX secolo era meno facile per gli artisti; Jubrān ha una storia speciale perché è riuscito ad affermarsi sia come pittore sia come poeta. Quali condizioni sociali e culturali hanno favorito il suo ingresso nell’elitario ambiente artistico di Boston, prima e poi, di New York? Sicuramente era un genio, ma cosa ha permesso a questo giovane di creare un immenso valore per sé e per gli altri? La sua opera ha infatti consentito ad altri artisti di esprimersi, ha aiutato tanti giovani a incontrare gli altri, ha invitato a dialogare persone appartenenti a culture differenti, dando così l’opportunità a diverse generazioni di incontrarsi, comunicare e conoscersi.
L’opera di Jubrān è un viaggio tra le culture, essa conferma quanto sostiene Goethe sull’arte, che è un viaggio verso l’altro, non un concentrarsi su sé stessi, perché occorre mettere da parte la propria identità per poter esplorare quella dell’altro. Questo incontro tra culture diverse è stato possibile grazie alle persone che hanno permesso a Jubrān di studiare e manifestare le sue qualità.
Nel 2023 molte mostre hanno celebrato Jubrān, in occasione dei 100 anni dalla prima pubblicazione del suo best-seller Il Profeta. Il mio interesse è partito da una considerazione: l’Organizzazione mondiale delle migrazioni dichiara che al mondo si sono mosse oltre 169 milioni di persone (2019), in gran parte rifugiati di guerra o climatici; tuttavia soltanto il 4% della popolazione mondiale vive lontano da dove è nata. In risposta all’emergenza molti stati hanno organizzato barriere di ogni tipo per impedire l’arrivo delle ondate migratorie. Lo storia dell’umanità racconta di tragici scontri ma anche di importanti cambiamenti positivi, rinascite culturali. Il rapido diffondersi di guerre non facilita una visione ottimista ma la mia ricerca vuole indagare sui casi positivi per scoprire le ragioni del successo e ritrovare nella nostra cultura le chiavi per trasformare un evento che si annuncia catastrofico in una straordinaria opportunità.
In merito alla circolazione delle idee e delle espressioni artistiche si osserva che l’ottimismo iniziale – favorito dalla diffusione mediatica e dall’inesauribile potenziale di scambio e di arricchimento – è stato seguito da nuove e più rigide chiusure. La letteratura mondiale si trova oggi ad affrontare differenti sfide quando si tratta di adottare approcci critici che difficilmente si adattano a realtà diverse, come osservano Orsini e Zecchini (JWL 4, 2019: 1-12). La “cancel culture”, inoltre, rischia di distruggere importanti documenti della nostra memoria passata, mentre l’affermarsi di letterature emergenti e l’accettazione di prospettive altre, come nel caso della letteratura africana, porta a contrapposizioni tra scrittori locali e diasporici.
Queste considerazioni sollecitano nuove domande: come mai Jubrān è riuscito a superare il muro dell’ostilità dell’accademia araba e della Chiesa? Ad un certo punto della sua vita fu anche scomunicato per aver denunciato l’arretratezza della Chiesa orientale. L’aver scritto in inglese e composto poemi in versi liberi, lo ha reso inviso agli amanti della poesia classica caratterizzata dalla rima baciata. Tuttora non tutti gli intellettuali arabi apprezzano la sua opera, sia per la forma della sua poetica sia per i suoi contenuti.
E ancora, cosa ha reso possibile la sua fortuna tra il pubblico occidentale? Nonostante la diffusa indifferenza verso la produzione artistica mediorientale, ad eccezione di prodotti dal gusto orientalistico (Said, Orientalism). Il poeta che – in gioventù non disdegnava di indossare costumi del suo Paese per compiacere un pubblico curioso – alla fine della sua carriera affascinava con le sue perle di saggezza orientale, ma pativa l’uscita dal suo eremo dove trovava l’ispirazione per le sue composizioni profetiche.
E infine, quale tipo di formazione lo ha portato a scrivere un’opera dai contenuti universali, condivisibili a Oriente come a Occidente, tali da toccare il cuore e la mente di molte generazioni e in aree culturali tanto diverse?
Per trovare delle risposte a tali questioni ho indagato in campi anche lontani dalle mie competenze di arabista. I numerosi studi esistenti sul poeta analizzano la formazione culturale del poeta arabo e cristiano; per poter dare delle risposte alle mie domande ho deciso di studiare meglio il contesto in cui si è formato Jubrān a Boston. Per ricostruire un quadro d’insieme dell’ambiente culturale occidentale sono tornata a leggere le corrispondenze e le testimonianze di una fase meno studiata della sua vita.
Ho ritenuto necessario rispondere adesso a queste domande per ricordare a noi un esempio importante di dialogo e di conoscenza, e di trasmetterlo rinnovando questa esperienza oggi che l’utopia di trasformare questa terra in un mondo migliore ha bisogno del contributo di ognuno di noi.
2 L’eredità del trascendentalismo nella Boston di fine Ottocento
“All things unfix, dispart, flee” [1]
(Emerson EL 3:200)
Nel 1895 Jubrān arriva da un Medio Oriente assediato da una grave crisi economica [2]; la famiglia è accolta da una Boston fiera del proprio ruolo nella guerra di liberazione americana, partecipe dello sviluppo finanziario del Paese e anticipatrice nella riforma dell’educazione. Queste qualità erano espresse dall’élite illuminata bostoniana, detta brahminica perché animata da un forte spirito religioso e un buon senso per gli affari. Una comunità che manteneva vivi i costumi britannici e si distingueva nelle attività lavorative e caritatevoli, per un impegno fondato su un sentimento radicato di responsabilità personale. Tra i nomi più illustri vi sono alcuni padri fondatori degli Stati Uniti quali Samuel (m. 1803) e John Adams (m. 1826), Rev. William Emerson (m. 1811) e Robert Treat Payne (m. 1814). Lo spirito liberale e il senso di solidarietà di questa generazione sarebbero a lungo sopravvissuti nelle successive, dove si distinguevano uomini d’affari e grandi filantropi, come George Peabody (m.1869), finanziatore di un gran numero di scuole, biblioteche pubbliche e musei; e Robert Treat Payne (pronipote del precedente, m. 1910), eminente uomo d’affari e valente umanista, finanziatore di un’operazione sperimentale di edilizia a favore delle persone di basso e medio reddito.
Tra loro spiccava un gruppo di idealisti, insoddisfatti dal diffondersi di un clima conformista, e che guardavano all’Europa di Kant e di Goethe e ai giovani rivoluzionari che contestavano la politica e la cultura conservatrice. Erano giovani educati nei valori della Chiesa unitaria da cui presero le distanze per aderire al trascendentalismo, ispirati dagli insegnamenti di Ralph Waldo Emerson (m. 1882) [3]: il poeta filosofo che, come vedremo più avanti, ha contribuito attivamente alla elaborazione di un nuovo modo di pensare e lo ha diffuso sia con l’insegnamento a Harvard, sia con le conferenze, i libri e gli articoli pubblicati sul “Dial”. Alla rivista collaboravano gli spiriti più creativi di quella generazione che, a loro volta, avrebbero influenzato quelle successive.
La carica innovativa del pensiero di Emerson, attraverso le pagine del “Dial” (edito sino al 1929), e l’opera dei suoi allievi avrebbero continuato a seminare nuove idee per oltre mezzo secolo. Alla pubblicazione collaboravano donne impegnate come Margaret Fuller (1810-1850), l’autrice del primo libro femminista Women in the Nineteenth Century (1845), Elisabeth Peabody (m. 1894), Henry Thoreau e più tardi lo stesso Jubrān. Le donne di quell’ambiente avevano un forte senso civico e, oltre a dedicarsi alle istanze dei diritti civili, si adoperavano per l’emancipazione delle donne, attraverso gli scritti e l’educazione [4].
Il secolo XIX non fu privo di momenti drammatici e l’energica creatività dei giovani intellettuali si dovette confrontare con momenti di grave crisi politiche e sociali. Tra i maggiori eventi del XIX secolo che hanno avuto un particolare impatto sulla società bostoniana, vanno ricordati l’ingente afflusso degli immigrati irlandesi, a seguito della grande carestia (1840-1845), la guerra di secessione (1861-1865), e il grande incendio che distrusse il centro finanziario della città (1872) nonché la crisi economica (1873).
Il Massachusetts aveva svolto un ruolo cruciale nel conflitto civile. Il forte spirito religioso che animava la comunità bostoniana aveva favorito la nascita e la successiva evoluzione del primo movimento per l’abolizionismo; qui il neonato partito repubblicano aveva promosso politiche severe nei riguardi dei proprietari di schiavi. Durante la guerra civile a Boston si era formato il 54mo reggimento di volontari di fanteria composto integralmente da soldati afroamericani guidato da ufficiali bianchi.
L’incendio, l’immigrazione e i sopravvissuti al conflitto, avevano originato un ingente numero di sfollati in serie difficoltà economiche e una grave emergenza abitativa. In questo contesto proliferavano le associazioni caritatevoli. Paine era alla guida della potente Associated Charities, e si distingueva nel promuovere e sostenere iniziative a favore dei diseredati. La regione, che aveva prodotto il maggior numero di armi, aveva anche sostenuto le organizzazioni di soccorso; tra queste il servizio infermieristico femminile (1861), fortemente voluto e organizzato da Dorothea Dix (1802-1887) durante la guerra di secessione [5].
2.1 La società brahminica bostoniana
Nel XIX secolo si formano le scuole per educare i giovani delle famiglie meno abbienti e molte donne della Boston brahminica organizzano le prime classi per bambini ispirate ai modelli innovativi europei; tra queste si distingue Elisabeth Peabody, ideatrice di un moderno sistema educativo e sostenitrice della causa dei nativi americani [6]. La difesa della libertà, la diffusione dell’educazione e l’emancipazione dai vincoli di una cultura oscurantista, sono ideali comuni a molti giovani donne e uomini del periodo. Molti di loro, come la Peabody, mostrano interesse verso le innovazioni in corso in Europa, dove si recano per completare la propria formazione intellettuale. Il poeta Henry Wadsworth Longfellow (1807-1882) è tra i primi a tradurre opere dalle lingue neolatine e la Divina Commedia. Per tutto il secolo viaggiatori e collezionisti portano opere europee nelle case e nei Musei di Boston, tra questi il Memory Palace che raccoglie la ricca collezione di Isabella Stewart Gardener: il nome di tale fine intellettuale figura accanto a Emerson, nel viaggio in Egitto dopo il gran tour europeo [7]. La curiosità di Emerson per l’Oriente emerge dalle sue carte e dalle note sui libri, da cui si evince la sincera passione per la mistica islamica e la letteratura persiana – conosce le opere di Firdūsī (XI sec.), ‘Umar Khayyām (XII sec.), Sa‘adī e Rūmī (XIII sec.), Ḥāfeẓ (XIV sec.) e Jāmī (XV sec.), – e l’interesse per il Firdūsī (XI sec.), ‘Umar Khayyām (XII sec.), Sa‘adī e Rūmī (XIII sec.), Ḥāfeẓ (XIV sec.) e Jāmī (XV sec.) e l’interesse per il Bhagavadgītā e il Sutra del Loto [8].
Nella casa di famiglia a Concorde spicca, tra gli altri libri, una copia delle Arabian Night del 1824. Tra gli intellettuali affascinati dall’Europa vi è anche Margaret Fuller, attiva testimone del percorso della Repubblica romana con i suoi reportage per il New York Tribune [9].
In quei decenni una diffusa attività editoriale porta alla conoscenza dei capolavori europei, e anche orientali. Ad arricchire il vivace dibattito intellettuale contribuiscono la pubblicazione di giornali e riviste, come il già menzionato “Dial” dove nel 1844 Elisabeth Peabody pubblica la prima versione inglese del Sutra del Loto. A fine secolo, nell’editoria di avanguardia si distingueva Fred Holland Day (1864-1933), che assieme a Copland pubblicava Salomè di Oscar Wilde e altre opere europee. A Harvard si formava una classe dirigente e imprenditoriale colta, con uno vivo senso della carità e un forte spirito di missione: l’America, che si era battuta contro il colonialismo e il segregazionismo, nella difesa della libertà individuale, la dignità delle donne, dei neri, dei nativi, e della democrazia.
2.2 Dalla miseria dell’immigrazione alla acculturazione
All’arrivo a Boston la famiglia di Jubrān, riceve il sostegno della rete di fraternità dei maroniti attivi nella città e delle associazioni caritatevoli. Vive in una zona povera, il quartiere cinese, sebbene limitrofo a quello benestante del Back Bay; qui si trova la sede dell’influente Associated Charities fondata nel 1879 e fortemente sostenuta dal ministro episcopale Phillips Brooks. Nel 1890 l’Associazione è guidata dal riformatore Robert Treate Paine, che si riconosceva nelle idee di Emerson espresse nell’opera Self reliance (1841), «miscellaneous popular charities… men do what is called a good action, as some piece of courage of charity, much as they would pay a fine in expiation of daily non-appearance on parade. Their virtues are penances» [10].
Per Paine la carità era basata sul principio di “reconstructive”, ossia dare agli immigrati la possibilità di ricostruire una vita migliore nel quartiere a partire dalle proprie capacità risvegliate all’innata riserva di vitalità dell’essere umano. L’Associazione chiedeva a chi era intenzionato a fare la carità di attivarsi per creare un’amicizia personale, collaborare con i poveri per aiutarli a superare le difficoltà contingenti e andare avanti. In sostanza Paine metteva in pratica gli insegnamenti di Emerson laddove afferma:
«Prayer is the contemplation of the facts of life from the highest point of view. It is the soliloquy of a beholding and jubilant soul. It is the spirit of God pronouncing his works good. But prayer as a means to effect a private end is a meanness and theft. It supposes dualism and not unity in nature and consciousness» [11].
Molti anni dopo il giovane Jubrān avrebbe scritto ne Il Profeta:
«For what is prayer but the expansion of yourself into the living ether? (…)
For if you should enter the temple for no other purpose than asking you shall not receive» [12].
Il giovane Khalīl ha la fortuna di beneficiare di questa rete di solidarietà e strutture create dai filantropi: case, scuole e anche la Biblioteca pubblica. Tra il 1881 e il 1882 erano state costruite delle case nel South End e delle scuole dal College Settlement Association; questa era amministrata da un gruppo di distinte signore educate al College, che si dedicavano ad un tipo di carità pratica e positiva. La Denison house, dove ha studiato Jubrān, era un modello, i bambini andavano a giocare, i genitori acquisivano fiducia e si avvicinavano a chi si adoperava per togliere i loro figli dalla strada. Anche le studentesse del Wellesley College contribuivano organizzando attività ricreative per i bambini; i ragazzi recitavano opere di Shakespeare e tra il nuovo pubblico trovavano i giovani che poi avrebbero partecipato alle recite [13]. L’istituzione, concepita per gli immigrati cattolici irlandesi, con il tempo aveva accolto altri immigrati provenienti anche dal Medio Oriente e dalla Cina. Per favorire la conoscenza della cultura e dell’arte, fu costruita la Boston Public Library, nata per facilitare la cultura e l’arte americana, «un palazzo per tutte le persone», secondo la definizione dell’architetto Charles Follen Mc Kim che coinvolse nella decorazione dell’edificio i più grandi artisti dell’epoca tra cui Puvis de Chavannes, Edwin Austin Abbey, John Singer Sargent e Frederick MacMonnies [14].
Molti anni dopo Jubrān scriverà alla sua benefattrice Maria Haskell (m. 1964) della grandezza artistica di Puvis de Chavannes. Ancora oggi, visitando la biblioteca si rimane ammirati nel vedere quanto questo artista abbia influenzato l’opera di Jubrān. Nel 1887 un’operatrice sociale della Children’s Aid Society, Jessie Fremont Beale, per stimolare la passione per la lettura aveva organizzato le “home libraries”. I volontari si recavano settimanalmente negli alloggi del ‘Settlement’, a leggere libri e discuterne insieme ai bambini; poi lasciavano il libro in prestito responsabilizzandoli. In queste attività la signora Beale coinvolgeva artisti, benestanti, e quanti più ne poteva per aiutare gli allievi. Qui Jubrān studiò per due anni disegno con Florence Peirce [15], e conobbe il fotografo Fred Holland Day (1864-1933) che insegnava l’arte da volontario. La Beale, alla fine del corso di studi affidava Jubrān a Day affinché lo seguisse nel percorso artistico in modo da coltivarne il talento, e non si perdesse [16].
Dalle lezioni di Holland Day, l’adolescente Jubrān aveva appreso l’importanza dell’arte nella fase della sua formazione; e questa passione era cresciuta di pari passo con la sua educazione spirituale nell’ambiente familiare. Day credeva che nell’arte vi fosse una stretta connessione tra la devozione religiosa e l’esperienza estetica. Il fotografo, inoltre, era vicino al movimento dell’Art and craft, e intendeva trasfondere la spiritualità nel vivere quotidiano attraverso la bellezza degli oggetti [17]. Il fotografo, una figura di spicco nell’ambiente artistico bostoniano di fine secolo, era un artista controverso per le sue riproduzioni dissacranti di alcuni episodi religiosi e per i nudi; sin da giovane aveva nutrito una passione per le culture cinese e orientali, alimentate anche dall’avvicinamento alla società teosofica a cui aderiva William Butler Yeats (1860-1939)[18].
Grazie a Day Jubrān conosce i “visionisti” e Maurice Maeterlinck (1862- 1949) [19] che aveva mutuato da Emerson una concezione spirituale della fede e del senso di Dio, come altri neo simbolisti tra cui Carman [20]; egli inoltre annoverava tra i suoi autori di riferimento Edgar Allan Poe (1809-1849) e Walt Whitman (1819-1892) [21] e l’inglese Edward Carpenter.
Questi poeti, che avevano aderito al movimento del “blank verse”, avrebbero ispirato Jubrān a scrivere con più ampia libertà nell’uso delle tecniche poetiche e nella flessibilità e naturalezza del verso libero. La ricca raccolta di fotografie di Day ha molto contribuito a completare la formazione artistica di Jubrān; immagini che lo avevano introdotto alla conoscenza dell’arte europea, dei pittori preraffaelliti e dell’antichità mediterranea, influenzandone il gusto artistico [22].
Alla fine del percorso di studi a Boston, grazie all’amicizia con la poetessa Josephine Preston Peabody (m. 1922) e con Day, Jubrān espone due volte, una prima mostra prima del viaggio di studio a Beirut (1899) e l’altra al ritorno negli Stati Uniti (1904), entrando così nel mondo dell’arte bostoniana.
3. L’arte, la poesia e l’educazione nell’esperienza di JKJ
Dalla grande sofferenza patita nella lontananza dal Paese di origine e dai dolorosi lutti familiari, grazie alla solidarietà e all’affetto della comunità che lo ha accolto, Jubrān ha sviluppato una tenace determinazione a rinascere e a dare un contributo al suo Paese di provenienza e a quello di adozione. Un forte senso di gratitudine ricorre nelle sue lettere, per tutto quello che ha ricevuto; sia nei confronti della Josephine Preston Peabody, a cui ripetutamente si riferisce come sua “Consolazione”, sia della Mary Haskell della quale arriva a dire che la sua fortuna non sarebbe stata possibile senza di lei. Dai suoi rapporti epistolari con le donne, dalla Peabody alla Mayy Ziayadah, si rivela la sensibilità del poeta, ma soprattutto la particolarità delle sue interlocutrici; si tratta sempre di donne emancipate che dialogano con lui su un piano di parità, cosa da non dare per scontata nella cultura dell’epoca sia nell’ambiente conservatore di Boston che nella comunità orientale. Ecco cosa dice Jubrān dell’amica Mary Haskell:
«In all my life I’ve known only one woman with whom I am free intellectually and spiritually – with whom I am absolutely myself. That woman is you. I find in you all I ask from a woman – a spirit with whom I find my best self, with whom things receive a new light and new doors open – a place where my head rest» [23].
A questa gratitudine verso il Paese che lo ha accolto unisce l’orgoglio delle sue origini e la volontà di celebrare la sua cultura di appartenenza. Ciò si evince da molti scritti e, dato il suo senso di missione nella trasmissione dei valori e pertanto di educatore, dall’appello rivolto da Jubrān ai giovani americani di origine siriana, in cui li esorta a «rispondere a Emerson, Whitman e James», rendendo onore al proprio passato:
«in my veins run the blood of the poets and wise men of old, and it is my desire to come to you and receive, but I shall not come with empty hands» [24].
Il poeta intende dire che nell’accettare gli insegnamenti americani non si deve dimenticare la propria cultura; i giovani devono imparare a rispettare i diritti e a rivendicarli, e li esorta ad ammirare ciò che gli altri hanno fatto con fede e amore, e li sollecita a loro volta a creare dalle proprie mani l’utile e il bello. In lui tale consapevolezza nasce da un percorso di sacrifici e impegno che sin da giovane lo hanno portato a ostinarsi con costanza nello studio, grazie al sostegno di molti. Nelle sue lettere ritorna spesso il tema della gratitudine per avere ricevuto tanto, come scrive l’8 novembre 1929: «It was in my heart to help a little because I was helped much» [25]. Il tema del dono è presente anche nel Profeta, dove scrive a proposito del dare:
«You give but little when you give of your possessions.
It is when you give of yourself that you truly give».
Sull’idea del dono nella società informata dal pensiero di Emerson si è già detto, e qui si ritrova il segno lasciato nella visione di Jubrān [26]. Quel seme maturato si è trasformato in gratitudine e senso di missione, scrive che vuole insegnare, e più avanti negli anni si impegna in conferenze e scritti per incoraggiare la sua comunità a ribellarsi contro l’oppressore ottomano, e infine sente di dover trasmettere il suo messaggio profetico [27]. Per Jubrān lo scopo dell’educazione è di mettere ciascuno nelle condizioni di sviluppare le proprie capacità innate, come aveva potuto fare lui grazie agli studi e alle stimolanti frequentazioni [28].
Sin da giovane Jubrān aveva maturato il desiderio di scrivere dei suoi luoghi, stimolato dall’incanto per la bellezza del Medio Oriente espresso nel Songs of Vagabondia di Hovey e Bliss Carman [29]: il fascino per l’Oriente che è un sogno americano, ma anche ricordo nostalgico degli emigrati e desiderio di evocare i luoghi d’origine. L’educazione dei giovani immigrati aveva creato scrittori abili nel descrivere – meglio dei viaggiatori stranieri – la loro terra, e generazioni di lettori appassionati delle antiche memorie. Amīn al-Rihānī (1876-1940) avrebbe risposto per primo con Il libro di Khālid [30] a questo bisogno di conoscenza.
Jubrān era stato educato da Day ad ascoltare la musica, e a questa passione, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita, dedicava il suo primo scritto in arabo [31]. Il giovane Jubrān sente di avere una missione più grande da trasmettere, come scrive in una lettera del 10 maggio 1911 in cui il poeta, già autore di disegni e numerosi scritti in arabo, rivelava all’amica/mecenate Mary Haskell, il suo desiderio di rivelarsi al mondo:
«I would open my heart and carry it in my hand so that others may know also; for there is no deeper desire than the desire of being revealed. We all want the little light in us to be taken from under the bushel. (…)».
Nel voler fare conoscere la sua creatività agli altri Jubrān ha un intento pratico, diverso dai sostenitori dell’Art pour l’art, ossia del culto del bello fine a sé stesso diffuso alla fine del XIX secolo; egli asseriva che:
«is nobler to open the eyes of the blind so that they may share the silent joy of your days and night (…) True art should be made practical by revealing its beauty to people – I said practical because anything that adds to our world of visions is practical» [32].
Una conoscenza e un’arte che ispiri il gran pubblico americano e arabo, attraverso la stampa e i modelli educativi innovativi implementati dalle sue amiche educatrici [33]; il poeta ritiene che vivere sia la più grande delle arti, ed essere artista vuol dire cogliere aspetti di vita vera «la vita è Dio e Dio è ovunque» [34]. L’arte pertanto non deve imitare; l’artista coglie l’essenza delle cose, «perché l’arte è un passo verso l’infinito, dal noto verso l’ignoto» [35]. È possibile che, come si è già detto, abbia mutuato tale idea da Maeterlik, che a sua volta l’aveva appresa da Emerson; il filosofo sollecitava infatti l’esperienza di fede in prima persona nella vita quotidiana, attraverso una vita risvegliata alla spiritualità, non attraverso una lettura di seconda mano, perché il divino si manifesta nell’umano, la natura divina è presente in tutte le persone, non deve essere mediata dagli uomini della Chiesa [36].
Il fotografo Holland Day interpretava invece a suo modo tale assunto e, nell’intento di risvegliare una fede viva, fotografava se stesso seminudo in croce circondato dalle due Marie, Giuseppe e Pietro, o negli abiti di Lazzaro che esce dal sepolcro [37]. Da questo esasperato realismo Jubrān prende le distanze e, come si evince da gran parte della sua opera, le sue creature sono angelicate e asessuate, e sembrano piuttosto ispirate a Pierre Puvis de Chavannes e ai preraffaelliti.
La formazione tradizionale in Medio Oriente [38] si completa con un lungo soggiorno a Parigi, dove studia l’arte e approfondisce la conoscenza della cultura e della filosofia dei primi del ‘900. A Boston continua a frequentare i circoli intellettuali, e nel 1912 si trasferisce a New York dove frequenta sia gli intellettuali arabi che l’élite americana e internazionale. A metterlo in contatto con quest’ultima non deve essere state estranee le sue conoscenze e i suoi rapporti con i teosofi e i massoni [39]. Da allora la sua attenzione si concentra nel trasmettere il meglio dei valori occidentali in Oriente e la spiritualità orientale ad un Occidente in preda ad una disumanizzante industrializzazione.
4. Verso il compimento della sua missione
Analizzare l’opera di Jubrān non è semplice sia per i diversi contesti in cui si è formato, a partire dal quartiere cinese ai circoli elitari di Boston, poi lo studio al collegio al-Kalima di Beirut e quello a Parigi e infine a New York tra le attività della Rabīta al-qalamiyya e l’ambiente internazionale [40]. Molti studiosi, tra cui Khalīl Hāwī (m. 1982) e il cugino del poeta Hahlil con la moglie Jean Gibran, si sono concentrati per lo più sull’influenza del contesto politico e culturale arabo del tempo, ricostruendo un quadro esaustivo sia dal punto linguistico, che da quello contenutistico e formale. Con loro molti ritengono che l’opera del poeta rappresenti la summa e il superamento della grande tradizione poetica araba.
La fama del poeta è stata sostenuta da chi nella sua opera ha letto un messaggio di speranza per la coesistenza pacifica delle comunità cristiane e musulmane in Libano. E su questo non vi sono dubbi, anche se la grandezza dell’autore è il risultato di un insieme di riflessioni filosofiche e conoscenze culturali più vaste [41]. L’opera del poeta va oltre l’angusto spazio del nazionalismo, e come ogni grande poeta ha una pluralità di letture che lo rendono universale.
La sua visione supera anche la lettura spirituale cristiana e musulmana per arrivare al cuore dell’induismo e del buddismo, ben frequentati, come abbiamo visto, negli ambienti da lui frequentati [42]. Butrūs Habīb estende le ricerche alle influenze occidentali dell’autore e si sofferma su William Butler Yeats; tale poeta, Premio Nobel, aderiva al teosofismo, che aveva una visione sincretica dei tre grandi monoteismi e la estendeva all’induismo e al buddhismo. Day aveva introdotto Yeats al giovane Jubrān che lo incontrava nuovamente a New York in età adulta [43]. Renè Guenon, nel parlare della massoneria americana afferma che in America converge con le idee del teosofismo. A completare il quadro interviene Kafūrī Khalīl sostenendo che sia Jubrān sia Nu‘aymah fossero massoni [44].
Per Jubrān la speranza della rinascita della propria terra, si lega all’idea che l’essenza vera della fede sia spirituale e quindi unisce, non genera divisioni; il poeta nell’affermare tale convinzione ricorda quanto già recitava Blake nel poema All Religions are one (1788) [45]. Inoltre, Jubrān credeva nel ‘religious pourpose’ della poesia di cui parlava Whitman, ispirandosi a Emerson, e riteneva tale funzione necessaria in una società che diventava sempre più materialista, come scriveva all’amico Nu‘aymah [46]:
«This false civilization has tightened the strings of our spirits to the breaking point. We must leave before they break. But we must remain patient until the day of departure. We must be tolerant»,
Jubrān aveva rafforzato questa sua intuizione del ruolo del profeta poeta negli anni del soggiorno parigino, ma queste riflessioni le troviamo già nelle lettere rivolte a Mary Haskell dove ricorda pensieri giovanili. Il poeta cita poco Day, tuttavia nel manifesto della rivista “The knight errant”, anche Day aveva affermato che di fronte ai falsi ideali di questa civiltà è necessario un nuovo rinascimento letterario [47] .
Jubrān, nonostante le riflessioni amare e talvolta pessimiste, si anima di speranza quando risponde alla missione di annunciare un nuovo messaggio, come scrive a Mayy Ziyāda:
«I believe, my friend, that there is enough resolution in this translucent element for an atom of it to move a mountain; and I believe, indeed, I know, that we can extend that element like a wire between country, as a means by which we shall come to know all that we desire to know and achieve all that we yearn and wish for. I have much to say about that translucent element and about the other elements as well. But I must remain silent about those others. And I shall remain silent until the mist dissolves, the gates of time open wide, and the angel of Lord tells me: ‘Speak, for the time of silence is over; go forward, for your stay in the shadows of confusion has been long’.
When will the gates of time open? Do you know? Do you know when the gates of time will open and the mist dissolve» [48].
Non parla di profezia ma afferma che per divulgare il suo messaggio deve attendere l’ordine degli angeli di Dio per parlare al momento opportuno. Jubrān in una lettera indirizzata a Mayy Ziyāda scrive che il “Profeta” non è l’espressione del suo io, ma quello che ha sentito dire e visto nel corso di tanti anni [49]. In questa concezione “plurale”, o meglio “corale” dell’opera poetica si possono riconoscere sia il pensiero di Goethe sia quello di Emerson. Il poeta tedesco afferma che «ciascuno dei miei scritti mi è stato fornito da un migliaio di persone diverse, un migliaio di cose diverse» [50]. Parole che Emerson rielabora come segue:
«Every word we speak is million-faced or convertible to an indefinite number of applications. If it is were not so we could read no book. Your remark would only fit your case, not mine»[51].
Il 3 dicembre 1923 Jubrān spiega a Mayy Ziyāda cosa lo ha ispirato nella stesura del Profeta:
«This book is only a small part of what I have seen and what I see every day, a small part only of the many things yearning for expression in the silent hearts of men and in their souls.
There has never been anyone on the face of this earth with the ability to achieve anything by himself, as an individual completely cut off from other human company. Nor is there anyone among us today who is able to do more than record what people say inadvertently. The Prophet, May, is only the first letter of a single word. In the past I was under the impression that this word was mine, in me and derived from me; for that reason I was unable to pronounce the first letter of that word. My inability to do so was the cause of my illness, indeed the cause of my soul’s pain and suffering.
After that God willed that my eyes be opened so that I could see the light, and God willed that my ears be opened so that I could hear other people pronounce the first letter (…) for the first time I recognize that other people are everything and that I with my separate self am nothing» [52].
Questa affermazione del poeta si spiega con le parole del filosofo Daiskau Ikeda
«lo spirito poetico fa parte di ogni impresa umana e permette di percepire con l’intuito l’intimo legame che lega il singolo essere umano a tutti gli altri e all’intero universo» [53].
Il tema dell’interdipendenza è comune a Induismo e Buddismo, religioni che era tornate nell’orizzonte americano a più riprese nel XIX secolo. Si è detto della traduzione del Sutra del Loto, dei primi dell’800, e in seguito alla fine del secolo scorso della diffusione del teosofismo, noto per i forti riferimenti alle due fedi orientali. Jubrān menziona il buddismo ed è anche probabile che sia stato argomento trattato nell’incontro con il poeta Tagore o con il leader del movimento Baha’i, il noto ‘Abdu ‘Llāh [54]. Ma questo aspetto del pensiero del poeta sarà l’oggetto di un prossimo approfondimento, al momento vale la pena di ricordare con riferimento a quanto sopradetto questi due versi tratti dal Profeta
«For self is a sea boundless and measureless.
(…) The soul unfolds itself, like a lotus of countless petals» [55].
Il riferimento al Sutra del Loto aggiunge un ulteriore elemento alla concezione della fede di Jubrān, una visione spirituale universale in cui i valori delle grandi religioni si incontrano e su cui convergono anche le filosofie razionali, aprendo così una prospettiva globale dove Oriente e Occidente si incontrano e non confliggono perché sono permeate dalla stessa forza spirituale divina.
Per riprendere lo spunto iniziale e concludere, non dovremmo vedere morire i bambini senza pensare che la loro morte ci riguardi. Risvegliarci a questa consapevolezza potrebbe avviare un fondamentale cambiamento nella nostra vita, e questo inciderebbe positivamente nella società.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Note
[1] Stephen Ed. Whicher E., Spiller Robert E., Wallace E. Williams (Eds.), The Early Lectures of Ralph Waldo Emerson, Harvard University Press, Cambridge, 1959-1972, vol. 3: 200; Richardson Robert, Emerson. The mind on fire, University of California Press, Berkeley, 1995: 336.
[2] Il giovane dodicenne arriva con la madre, le sorelle Rossana e Mariana e il fratello Buthrūs. Esiste una ricca produzione di ricerche sulla vita di Jubrān in arabo e in inglese, in italiano, per ordine cronologico e completezza indico Medici Francesco, Il profeta, edizioni San Paolo 2005 e 2006; Castelli Ferdinando, Kahlil Jubran. Gesù figlio dell’uomo, ed. Paoline 1996. In inglese si vedano Gibran, K., & Bushrui, S. B. (2012). The prophet (New annotated ed. / annotated by Suheil Bushrui), Oneworld; Waterfield Robin, Prophet. The life and times of Kahlil Gibran, St. Martin Press New York, 1998; Gibran Kahlil e Jean Gibran, Kahlil Gibran. His life and World, Interlink Books, New York, 1991; Nuʻaymah, M., Jubrān Khalīl Jubrān. Hayātuh, mawtuh, adabuh, fannuh, Mu’assas nūfil, Beirut 1974; Nuʻaymah, M., & Wolf, M. L. (1950). Kahlil Gibran: a biography. Philosophical Library; Oueijan, N. B. et alii, Kahlil Gibran & Ameen Rihani: prophets of Lebanese-American literature. Notre Dame University Press 1999.
[3] Richardson Robert, Emerson, op. cit.: 247-9.
[4] Marshall Megan, Margaret Fuller. A new American Life, Hougton Mifflin Harcourt, Boston 2013:132, 144-148.
[5] In quegli anni nella regione operavano circa 47 Associazioni caritatevoli. La Dix già nel 1821 aveva creato una scuola per bambini poveri con i fondi di famiglie benestanti. Dopo la guerra si era dedicata all’insegnamento continuando a sostenere la necessita dell’impegno del governo a svolgere un ruolo attivo nel sociale in particolare verso la cura dei malati e anche dei malati di mente.
[6] Marshall Megan, The Peabody Sisters. Three Women Who Ignited American Romanticism, Mariner Books, Boston 2006.
[7] Emerson dedica un poema alla Sfinge e nel 1873 compie il viaggio in Egitto per capire il mistero di Iside, della morte e della rinascita (ancora ossessionato dalla morte della prima moglie e del figlio), con lui la collezionista Isabella Stewart Gardener e altre persone tra cui chi aveva iniziato a studiare l’arabo e il Corano a Harvard; cfr. Richardson, Emerson, 1995, op. cit.: 568-571; Patricia Vigderman, The Memory palace of Isabella Stewart Gardner, Sarabande Books, Louisville, 2007: 14-15, 22.
[8] Il padre, il reverendo William Emerson, aveva pubblicato una prima traduzione del testo induista. In seguito, nel corso di un soggiorno in Francia il filosofo aveva seguito i corsi di storia della filosofia di Victor Cousin, convinto assertore dell’importanza delle filosofie induiste e buddhista. Al ritorno Emerson pubblicava la traduzione del Baghādagita e del Sutra del Loto sul Dial; anche nei lavori di Thoureau si trovano riferimenti ad aspetti specifici dell’induismo e del buddhismo. Anita Patterson precisa che “Emerson’s first mention of Buddhist occurs in an 1841 letter to Margaret Fuller, he first learned about East Asian Buddhism as early as 1831. In a letter written on 24 May 1831 to his brother William, Emerson says that he has been reading the first seven or eight lectures in the first volume of Victor Cousin’s “Cours de l’histoire de la philosophie”, which was published in Paris in 1829 (L 1:322). Emerson’s reading of Cousin came at a moment of transition and crisis, a time when he was raising fundamental questions about his faith and vocation, culminating in his resignation from the pulpit at the Second Church of Boston on September 9th, 1832”, cfr. A. Patterson. 2021. “Emerson, Buddhism, and Modernist Poetics” Emerson Society Papers, Volume 32, Issue 2: 10 – 13 (4) Boston University, open access article. Quanto alla “White Lotus of the Good Law” (Sic, tradotta dal francese da M. Burnouf, si veda “The Preaching of Buddha” in The Dial, vol. IV, Published by James Munroe & Co., Boston, 1844: 391-401. Emerson studiava il pensiero mistico islamico in “The practical of Mohammedan People” di Thomas W.F. (1839), si veda Richardson, Emerson, op. cit.: 423-428. Inoltre, aveva comprato dalla libreria della Peabody la traduzione di Joseph von Hammer del Dīwān di Hafez, cfr. Richardson, Emerson, op. cit.: 406-7, 424.Si veda anche The Essays of Henry D. Thoureau, selected and edited by Lewis Hyde, New York, North Point Press, 2002. dove nel saggio contro lo schiavismo prende a prestito la metafora del fiore di loto che nasce nello stagno per dire che da quella tremenda situazione emergerà un cambiamento positivo: 50.
[9] La Fuller è appassionata dei classici greci, legge autori persiani e hindu, traduce Tasso, conosce Mazzini, Garibaldi e altri rivoluzionari italiani, sposa Giovanni Angelo Ossoli cfr. Marshall Megan, Margaret Fuller. A New American Life, Houghton Mufflin Harcourt, Boston 2013: 86, 107, 164-7, 288-95, 359-60 [10] (tr. Nelle varie carità popolari gli uomini fanno ciò che è chiamato una buona azione, come un atto di coraggio di carità, così come pagherebbero una multa per espiare la loro mancata presenza quotidiana in processione. Le loro virtù sono penitenze), cfr, “Self reliance”, ultima apertura 25.4.2024
in https://archive.vcu.edu/english/engweb/transcendentalism/authors/emerson/essays/selfreliance.html.
[10] Nel 1981 un gruppo di uomini aveva dato vita alla costruzione di un primo isolato al n. 20 di Union Park e fondava la South End House. A partire dal 1890 l’Associazione più che soldi chiedeva ai volontari di alleviare le difficoltà umane; cfr. Jean Gibran and Kahlil Gibran, Kahlil Gibran. His life and World, Interlink Books, New York, 1991 (1971, 1981): 30-33, dove cita R. T. Paine, The twentieth annual report, 2.
[11] Poi segue: “As soon as the man is at one with God, he will not beg. He will then see prayer in all action. The prayer of the farmer kneeling in his field to weed it, the prayer of the rower kneeling with the stroke of his oar, are true prayers heard throughout nature, though for cheap ends”, cfr, “ Self reliance”, in
https://archive.vcu.edu/english/engweb/transcendentalism/authors/emerson/essays/selfreliance.html, ultima apertura 25.4.2024
[12] Kahlil Gibran, The Prophet, trad. Sarwat Okasha, Dar al-Maaref, Cairo 1959: 77
[13] Jean Gibran & Kahlil Gibran, Kahlil Gibran. His life and World, Interlink Books, New York, 1991 (1971,1981): 34.
[14] Il primo progetto risale al 1848, e dopo diverse sedi nel 1887 trova l’attuale collocazione; costruita con finanziamenti in gran parte privati per offrire un servizio gratuito al pubblico; a partire dal 1895, diviene il quartiere generale di riferimento per le altre succursali diffuse nel territorio. Secondo Gibran, biografo e cugino del poeta, il giovane avrebbe disegnato la scultura al centro della corte della Biblioteca, la “Baccante” di MacMonnies (scultura del 1894); l’opera raffigurante una donna nuda con un bimbo e un grappolo di uva fece scandalo. Il ritratto (andato perduto) avrebbe contribuito al diffondersi delle polemiche ma anche alla rivelazione delle doti artistiche di JKJ che la signora Beale avrebbe valorizzato. Lo scandalo portò molte persone a visitare la biblioteca e alla fine l’opera fu portata al Metropolitan di New York; cfr. Gibran 1991: 35.
[15] Nel 1896 c’erano ben 67 biblioteche diffuse nelle case per rassicurare i genitori e conquistare i giovani lettori. Nu‘aymah riporta che il poeta raccontava alla madre, ansiosa per le sue nuove amicizie, di aver ricevuto libri in prestito dalla professoressa. Il poeta ricordava anche che un pittore era venuto a visitare la classe, e visti i suoi disegni lo aveva invitato ad una mostra, cfr. Nuʻaymah, M., Jubrān : 40. In una lettera alla Peabody del 1903 scrive che la Pierce ha visitato la mostra all College Wellesley e gli aveva chiesto di acquistare un suo disegno il 30 aprile. Peabody, J. P., Gibran, K., & Sherman, F. F. (1896). Josephine Preston Peabody papers, 1896-1924. Houghton Library Harvard Univ.: 72.
[16] Il libro di Gibran riporta la lettera della Beale a Day, e lo descrive come un artista benestante, e poco convenzionale, che avrebbe guidato negli studi il giovane negli anni successivi, introducendolo alla cultura e all’ambiente artistico americano ed europeo; la sua formazione artistica con Day è ricordata dalla Peabody alla quale scrive di andare ad ascoltare musica o a leggere da lui, lettere del 21 gennaio, 31 marzo ecc., cfr. Peabody, Josephine Preston Peabody papers: 28-29 Si veda nel paragrafo successivo, per un approfondimento Fanning, P. J., & Day, F. H. (2008). Through an uncommon lens: the life and photography of F. Holland Day, University of Massachusetts Press: 70-72; Estelle Jussim, Slave to Beauty. The Eccentric Life and Controversial Career of F. Holland Day, Photographer, Publisher and Aesthete, Boston, David R. Godine 1981.
[17] Dal 1890 Day, di ritorno da un viaggio in Europa, si associa al programma “Home library” della Boston’s Children Aid Society, cfr. Fanning, Through an uncommon lens: 68-71.
[18] In una lettera del 1922 scrive che da giovane aveva cercato di imparare il cinese per poter tradurre dai testi originali, cfr. Rollins, H. E., & Parrish, S. M. (1951). Keats and the Bostonians: Amy Lowell, Louise Imogen Guiney, Louis Arthur Holman [and] Fred Holland Day: [Letters and papers, 1889-1931]. Harvard University Press: 121-122. Yeats era interessato alla mistica e all’induismo, inoltre aveva anche tradotto The Ten Principal Upanishads. Su Day si veda anche Estelle Jussim, Slave to Beauty.
[19] Hilu, The Love Lettersof Kahlil Gibran and Mary Haskell and her private journal, Knopf, New York 1972: 48, 93-4; Fanning, Through an uncommon lens, op. cit.: 68-71; Hovey R., Songs From Vagabondia, Peabody, J. P., Gibran, K., & Sherman, F. F. (1896). Josephine Preston Peabody papers, 1896-1924, Houghton Library Harvard University: 178, 202, 206. Kahlil Gibran and Jean Gibran, Kahlil Gibran. His life and World, Interlink Books, New York, 1991 (1971, 1981; Boston: New York Graphic Society, 1979):. 36; Fred Holland Day papers, 1793-2010 (bulk 1883-1933), Library of Congress. Maeterlinck, M., On treasure of the Humble, New York, Dodd: Mead; London G. Allen, 1897. Nel capitolo “The awakening of the soul” parla della necessita di disvelare l’aspetto spirituale nella vita, come fa Racine fa quando afferma che tale innata natura sia connaturata nell’aspetto presente, cfr. 30-32, 37, 62; cfr. cfr. Robin Waterfield, Prophet, op. cit.: 59-60. Il nipote Gibran Kahlil Gibran è convinto che l’influenza intellettuale dell’ambiente frequentato in gioventù a Boston abbia inciso in modo determinante nella formazione del poeta anche se nelle lettere vi sono omissioni e ricordi poco realistici del passato, cfr. Gibran J. e K. Gibran: 56-62. Luise Guiney, amica di Day afferma che Jubrān era stato influenzato molto da “The Treasure of the Humble” del poeta belga che lui gli aveva donato, cfr. Jussim, Slave to Beauty, op. cit: 176-8.
[20] I loro libri sono ancora presenti nella biblioteca della casa di Day a Norwood.
[21] Maeterlinck, M., & Moses, M. J. (1912). On Emerson, and other essays. Dodd, Mead and Company: 32- 33. Waterfield afferma che Jubrān abbia fatto un ritratto del poeta, e questo fosse poi utilizzato come copertina per la pubblicazione della raccolta del poeta grazie a una lettera di presentazione di Day all’editore di New York poco prima della partenza di Jubrān per il Medio oriente nel 1898; cfr. Waterfield, Prophet, Ibid.
[22] cfr. Waterfild, Prophet, op. cit.: 59-61 e Fanning, Through an uncommon lens, op. cit.:22-29, 36-38, 47-50.
[23] Dal “Journal di Mary Haskell”, 26-28 dicembre 1922, Hilu, The Love Letters, op. cit.: 400.
[24] https://americanhistory.si.edu/collections/nmah_335039. In merito a cosa l’immigrato debba prendere dall’America e all’importante ruolo delle istituzioni cfr. Hilu, The Love Letters, op. cit., lettera del 14-6-1912: 88-89.
[25] Ibid.: 440
[26] Cfr. Supra paragrafo 2.
[27] Hilu, The Love Letters, op. cit., 18 dicembre 1920: 54.
[28] Ghougassian, Kahlil Gibran: Wings of Thought. The People’s Philosopher, Philosophical Library, 1973: 119. Jafarov, V. A. and S. Ibrahimova. (2013). “Literary Societies that Played an Important Role in the Development of Arabic Mahjar Literature”, International Journal of Humanities and Social Science, V. 3 No. 14: 200 – 206.
[29] Jubrān apprezzava i giovani ribelli che mettevano in discussione i valori vittoriani, cfr. Waterfield, Prophet: 60.
[30] Rihani Ameen Fares (al-Rihānī), The Book of Khalid, [Abridged ed.]. Beirut, Rihani House, 1973]. Rihani Ameen, Il libro di Khalid, trad. Francesco Medici, intr. Paolo Branca, postfazione Khaled Fouad Allam, Mesogea, Messina, 2011.
[31] Nubdhah fī fann al–mūsīqā, New York, Al-Muhajir ed., 1905; in italiano Medici Francesco, Maya El Hajj, Nadine Najem, La Musica, introd. Paolo Branca, Mesogea, Messina 2023. In molte lettere alla Haskell menzionava di essere stato alla Sinfonica di Boston e poi di New York; cfr. Hilu, The Love Letters op. cit.: 24, 25, 68. Alla Peabody scriveva inoltre che la musica era il solo conforto nella fase di lutto per la morte dei suoi familiari, 16 febbraio 1903, cfr. Mujais Salim, Letters of Kahlil Gibran to Josephine Peabody, ed. Kutub, Beirut 2009;
[32] Hilu, The Love Letters: 48.
[33] Qui mi riferisco alla Haskell, influenzata a sua volta sia da Emerson che dalla Peabody, si vedano: 3, 4, 5. Gli scritti del filosofo, assieme alle idee dei trascendentalisti erano divulgati da conferenze e dalla stampa. Come già ricordato nel Dial, Margaret Fuller promuoveva una filosofia pratica per richiamare i lettori alle loro responsabilità. Con la collaborazione al New York Tribune diffondeva il pensiero di Emerson presso un vasto pubblico; mentre, come attivista, rivolgeva la sua cura alle donne immigrate e alle carcerate; cfr. Marshall Megan, Margaret Fuller: 218, 236-40. Questa attenzione verso le donne immigrate in difficoltà sarà trasmessa alle nuove generazioni, tra loro la Haskell che aiuterà Jubrān a raccogliere soldi per le vittime della guerra e delle donne siriane in particolare cfr. Hilu, The Love Letters, op. cit.: 82 e 100.
[34] Hilu, The Love Letters, op. cit., 26 novembre 1911: 49.
[35] Ghougassian, Kahlil Gibran: Wings of Thought., op. cit.: 75-76.
[36] Richardson, Emerson, op. cit.: 288-289; questo pensiero potrebbe aver influenzato in qualche modo la ribellione del poeta alla chiesa orientale, in “Spiriti ribelli” che gli valse la scomunica, cfr. Young, This man from Lebanon: 18-19.
[37] Cfr. La foto pubblicata da Fanning, Through an uncommon lens, op. cit.: 86, figura 31. Si tratta di alcune delle foto di soggetto religioso di Day (1898), in cui è raffigurata la crocefissione di Cristo, prese sulle colline di Nordwood in prossimità della casa di Day, cfr. Library of Congress, Prints and Photographs Division, Louise Imogen Guiney Collection. È possibile che Jubrān, nel tempo abbia preso le distanze dal fotografo per certe audaci foto di nudi, non si spiegherebbe altrimenti il disappunto della poetessa Guiney verso Jubrān, per non aver mai citato Day una volta raggiunto il successo con il Profeta, cfr. Jussim Estelle, Slave to Beauty. The Eccentric Life and Controversial Career of F. Holland Day, Photographer, Publisher, Aesthete, David R. Godine Publisher, Boston, 1981: 176-8.
[38] Khalīl Ḥāwī, Khalīl Jubrān, his background, character and work, Beirut 1972: 37-46.
[39] Kafūrī Khalīl, Jubrān wa Nu‘aymah al-māsūniyān, Dār al-Maktabah al-Ahlīyya, Beirut, 2000.
[40] Diversi biografi si sono chiesti dove JKJ abbia letto queste opere, in mancanza di prove (anche nella biblioteca del poeta) Nu’aymah e Khalīl Hawī, come altri, hanno creduto nell’esclusiva originalità del pensiero del poeta ispirata solo, se non esclusivamente, dalla cultura araba e islamica, tuttavia dalla raccolta dei libri del poeta esposta nel museo della città natale si trovano gran parte delle sue molteplici letture. Le pubblicazioni, posteriori, delle lettere dell’amica/mecenate MH, dell’amica poetessa Josephine Preston Peabody, e May Ziyadah, e i numerosi studi sull’autore, aiutano oggi a comporre meglio il contesto, anche se ancora parziale. Poco si sa di quali fossero le letture proposte dalle volontarie della Boston Children Society, o su cosa vertessero le lezioni di arte, e la frequentazione di Day. Il fotografo pare avesse una raccolta di oltre cinquemila libri e fotografie bruciate nell’incendio ricordato dalla Fanning e documentato da una foto e da una lettera della Peabody del novembre del 1904), cfr. Fanning, P. J., & Day, F. H. (2008). Through an uncommon lens: the life and photography of F. Holland Day. University of Massachusetts Press: XIX-XXI, 134. Dei visionisti fanno parte Hovey R. e Carman, B. (1900). Last Songs From Vagabondia: Bliss Carman [And] Richard Hovey. Small, Maynard and Company. Nijland, C. (1993). Per gli arabi di New York si veda Al-Râbita al-Qalamiyya. An Arabic Literary Circle in New York. Bibliotheca Orientalis, 50(3): 329–341. Capezio Oriana, “La letteratura della migrazione dal Mahjar a oggi, in Corrao F.M. e Ruocco M., Storia della letteratura araba. Dalla Nahda alle rivoluzioni e oltre, Mondadori Educational Hoepli, 2024: 2019-224. Le lettere del e al poeta sono tradotte e pubblicate nel 1999 da: Gibran, K., & Baydass, I. K. (1999). Rasāʾil ḥubb: min waḥy Jubrān Khalīl Jubrān : al-majmūʻah al-kāmilah (al-Ṭabʻah 1.). Dār al-Āfāq al-Jadīdah, Beirut; Khalīl Ḥāwī, Khalīl Jubrān, his background, character and work, Beirut 1972.
[41] Ghougassian, Kahlil Gibran: Wings, op. cit.
[42] Jihad Hatem, La mystique de Gibran et le supra-confessionalisme religieux des chretiens d’Orient, Les Deux Océans, Paris 1998.
[43] Ḥabīb Butrūs, Jadaliyyat al-ḥubb wa-l-mawt fi mu‘allifāt Jubrān Khalīl Jibrān al-‘arabiyyah. Dirāsah naṣṣiyah, Shirkat al-Maṭbu‘āt li-l-Tawzī‘ wa-l-Nashr, Beirut 1975: 193-199. Per l’incontro con Yeats si veda Hilu, Prophet, op. cit.: 176 lettera dell’8-3-1914; sul rapporto tra Day e Jibran si veda Jean e Kahlil Gibran, Kahlil Gibran, op. cit.: 103.
[44] Kafūrī Khalīl, Jubrān wa Nu‘aymah al-māsūniyān, Dār al-Maktabah al-Ahlīyya, Beirut, 2000: 23-40.
[45] https://blake.lib.asu.edu/html/all_religions_are_one.html
[46] Robin Waterfield, Prophet, op. cit.:. 227; la riflessione si trova in una lettera scritta da Boston nel 1922 cfr. Kahlil Gibran. A self-portrait, tr. Ed. Anthony R. Ferris, The Citadel Press New York, 1959: 70
[47] Waterfield, Prophet, op. cit.: 60.
[48] The love letters of Kahlil Gibran to May Ziadah, ed. Transl. by Suhail Bushrui and Salma Kuzbari, Longman house, Arlow (Essex): 23-4. Jubrān, da quanto scrive a Mary Haskell pare fosse sempre più convinto di avere una missione Hilu, The love letters of, op. cit.: 228.
[49] Bushrui Kuzbari, The love letters of Kahlil Gibran to May Ziadah, op. cit.: 72-3.
[50] Nel testo su Emerson si legge: “Every one of my writings has been furnished to me by a thousand different persons, a thousand different things” in Richardson, Emerson, op. cit.: 100; Stephen Ed. Whicher E., Spiller Robert E., Wallace E. Williams (Eds.), The Early Lectures of Ralph Waldo Emerson, Harvard, Cambridge 1959-1972, vol. 3: 97.
[50] Emerson, Self reliance, in https://archive.vcu.edu/english/engweb/transcendentalism/authors/emerson/essays/selfreliance.html ultima apertura 17/6/2024.
[51] Richardson, Emerson, op. cit.: 100; Stephen Ed. Whicher E., Spiller Robert E., Wallace E. Williams (Eds.), The Early Lectures of Ralph Waldo Emerson, Harvard, Cambridge 1959-1972, vol. 3: 97.
[52] Bushrui Kuzbari, The love letters of Kahlil Gibran to May Ziadah, op. cit.: 72-3.
[53] Daisaku Ikeda, “Ristabilire le nostre connessioni”, in SGI Quarterly, gennaio 2008,
anche online, aperto il 18/6/2024 https://www.sgi-italia.org/ristabilire-connessioni/#:~:text=Lo%20spirito%20poetico%20fa%20parte,poeti%2C%20per%20salvare%20il%20mondo.
[54] Sul tema dell’influenza del pensiero buddhista in Jubrān sto preparando un articolo che sarà pubblicato prossimamente su Studi Maghrebini. Il Buddismo e l’Induismo tornano in auge alla fine del XIX secolo grazie a traduzioni e immigrazioni di religiosi e studiosi, si veda Carl Jackson, The Oriental Religions and American Thought nineteenth Century Explorations, Greenwood Press 1981, Chap. 7 and 8. Il 19 aprile 1912 scrive a Mary Haskell che ha ritratto il leader dei Baha’i, ‘Abdul Bahā’ (1844-1921), il quale era molto felice del lavoro di Jubrān e gli dice “Those who work with the spirit work well. You have the power of Allah in you”, e poi citando il profeta Muhammad aggiunse “Prophets and poets see with the light of God”, cfr. Hilu, The love letters, op. cit.: 74.
[55] Jubrān, “On self-knowledge, in The Porphet, ed. Knopf New York, 1923: 60-63.
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Francesca Maria Corrao, ordinario di Lingua e Letteratura Araba, alla Luiss Guido Carli Roma, ha studiato in Italia e al Cairo la cultura del mondo arabo e islamico. Tra le sue pubblicazioni numerosi articoli in sedi internazionali e nazionali e gli approfondimenti su: La rinascita islamica (ed. Laboratorio antropologico, Università di Palermo 1985); Poeti arabi di Sicilia (Mondadori 1987, Mesogea 2001) Le storie di Giufà (Mondadori 1989, Sellerio 2002), Adonis. Ecco il mio nome (Donzelli 2010), Le rivoluzioni arabe. La transizione mediterranea (Mondadori università 2011). Assieme a Luciano Violante ha recentemente curato il volume edito per i tipi de Il Mulino L’Islam non è terrorismo e con Monica Ruocco i due volumi della Storia della letteratura araba, presso Le Monnier/Mondadori.
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