Ci sono dei film che colpiscono in modo particolare la nostra sfera emotiva e la nostra sensibilità al punto che li ricordiamo sempre, rievocandone immagini e battute. E che siano proprio determinati frammenti a renderli indimenticabili: una sola battuta o una sola immagine al di là della riuscita complessiva del film. Si tratta di una percezione che coinvolge la sfera culturale ed emotiva di ciascuno, risultato di una sedimentazione e stratificazione costante nel tempo della cultura e delle esperienze secondo processi del tutto personali. Dunque, una sola immagine che riempie l’intero schermo e rende quel film indimenticabile. È il caso del film Klimt [1] del regista Raúl Ruiz del 2006.
Il film inizia con Egon Schiele [2] che va a trovare all’ospedale l’amico Klimt [3], ormai morente e quasi privo di conoscenza, steso su un lettino da dove rievoca in flashback la sua vita di artista, gli incontri significativi della sua vita. Il regista sceglie deliberatamente di tralasciare la descrizione più accurata e scolastica della vita di Klimt, soffermandosi invece sulle emozioni e sulle angosce del pittore riuscendo a trasformare la coscienza di un uomo in una casa animata da personaggi reali o sognati. Emergono dal film l’erotismo e le ossessioni che trasudano dalle opere dell’artista, attorniato costantemente da figure femminili da cui prese ispirazione per le sue opere. Il flusso di immagini e di ricordi rimanda anche a quando i due artisti si conobbero nel 1906 in un caffè viennese. Per Schiele fu l’incontro che gli cambiò la vita. Klimt, infatti, lo introdusse nell’ambiente artistico, facendogli conoscere ricchi mecenati e procurandogli varie modelle da ritrarre nei suoi dipinti. Klimt diventò suo maestro e mentore, lo aiutò a sviluppare un suo stile personale, lontano dall’accademismo e soprattutto segnato dagli eventi personali e dal contesto sociale, in disaccordo con le istituzioni.
Non si tratta di un film riuscitissimo, nonostante la magistrale interpretazione di John Malkovich che impersona l’eclettico artista. Eppure c’è una scena, un’immagine in movimento talmente suggestiva da rendere indimenticabile il film. Accade tutto, e per pochi secondi, al minuto 56. Dunque, Klimt si trova nel suo laboratorio quando Serena Lederer [4] sbatte violentemente la porta della stanza provocando il sollevamento delle leggerissime foglie d’oro che l’artista stava utilizzando per i suoi dipinti.
Una pioggia d’oro riempie la stanza creando un ambiente onirico e meravigliosamente klimtiano. Klimt e la pioggia d’oro è il titolo che ho pensato per questa breve scena, per darle la dignità che merita. È il capovolgimento del tradizionale schema. È quell’immagine il film stesso e il resto è solo il contenitore creato per darle il giusto spazio. La musica di Jorge Arriagada [5] potenzia l’effetto della scena della pioggia d’oro che scende, quasi magicamente, su Klimt.
L’artista, utilizzò l’oro per un periodo piuttosto lungo, ispirato da una visita ai mosaici di Ravenna e dall’arte bizantina. Nel 1903 visita, infatti, ben due volte Ravenna, rimanendo incantato dall’oro dei mosaici. Cartoline autografe documentano i viaggi in Italia di Klimt, che, oltre a Ravenna, visitò Trieste, Venezia, Firenze e Pisa. Soggiorni che per lui furono importanti per lo sviluppo e l’evoluzione nella caratterizzazione della sua ricerca creativa. D’altra parte, Klimt era figlio di un orafo incisore originario della Boemia, e sicuramente la memoria dell’artigianato paterno esercitò una suggestione ben percepibile sul futuro sviluppo della sua arte. E non solo, perché grazie alla frequenza presso la Scuola d’arti applicate apprese tecniche diverse, come il mosaico o la lavorazione dei metalli, oltre che di un repertorio di motivi decorativi tratti da epoche e culture diverse. E in effetti, con affascinante eclettismo Klimt fonde suggestioni diverse e decide così di esperire fino in fondo le potenzialità del metallo prezioso: è il suo periodo d’oro, che coincide con il pieno rigoglio della sua maturità creativa. La peculiarità del periodo aureo, in cui l’artista fece un massiccio e seducente uso dell’oro puro in foglia e carta dorata, consiste anche nel ruolo strutturale che questo colore assume nella pittura: come nel mosaico bizantino osservato in San Vitale (Teodora e la sua corte), l’oro klimtiano intende trasfigurare la realtà e fissare l’immagine in una eterna sublime trascendenza, congelandola nella distanza e nella perfezione del metallo. Klimt estenderà la metallizzazione dello scenario anche ai ritratti, prevalentemente femminili.
Per comprendere pienamente le figure di Klimt e di Schiele, della loro arte e forme espressive, occorre richiamare il contesto culturale di Vienna, una città che ormai da tempo è una vera miniera per gli storici interdisciplinari, caratterizzata da una concomitanza di geni senza precedenti. In quale altro periodo troviamo attivi tutti insieme personaggi come Sigmund Freud, Ludwig Wittgenstein, Arnold Schönberg? E se l’aver dato i natali alla psicoanalisi, alla moderna filosofia del linguaggio e alla musica atonale non dovesse sembrare abbastanza, si potrebbero aggiungere i nomi di Gustav Mahler e quelli dei due discepoli di Schönberg, Anton Webern e Alban Berg, degli scrittori Hugo von Hofmannsthal, Karl Kraus Robert Musil, degli architetti Otto Wagner, Josef Hoffmann e Adolf Loos…e l’elenco potrebbe continuare.
Contesto e atmosfera, splendidamente riprodotte nel docu-film Klimt & Schiele – Eros e Psiche del 2018, anno delle celebrazioni del centenario della morte dei due artisti. Il grande schermo ha rievocato e narrato con una ricca documentazione e belle immagini un intreccio di storie di personaggi della Vienna dell’epoca che animano i corridoi, i musei come il Leopold Museum [6] o l’Albertina [7], le case private e le strade della città, intersecandosi con ciò che accadeva in Europa, la politica, la guerra e le sue tragiche conseguenze, e con storie di personaggi del tempo meno noti, ma che hanno toccato, in qualche modo, le vite degli altri. Con il docu-film si viene trasportati indietro nel tempo, alle atmosfere di un periodo storico in cui sembra quasi che gli dèi si siano messi d’accordo per far coincidere tutto: pace, ricchezza, stabilità sociale, avanguardie artistiche, menti geniali, scienze in cui speriamo ancora e discipline mediche a cui chiediamo aiuto cent’anni dopo. E poi, gli scandali, le ossessioni, le passioni, il gossip di un’epoca d’oro. Tutto riunito e mescolato in un’alchimia come poche volte accade. La regia è firmata da Michelle Mally [8] mentre i testi sono di Arianna Marelli [9].
Un docu-film in cui si seguono diverse storie, personaggi e migliaia di immagini: Klimt e Schiele sono due punti di partenza, una excusatio narrativa per fare un punto sulla rivoluzione culturale nel primo ventennio del ‘900. La voce narrante di Lorenzo Richelmy, i rimandi di storici dell’arte, musicologi, collezionisti e direttori di museo fanno da guida di un viaggio a passo di danza (potrebbe essere un valzer?). Il regista non ci mostra solo i quadri (bellissimi e terribili), che da soli basterebbero con la loro magia e straordinarietà, a riempire l’intero spazio del film. Ci sono anche le fotografie dell’epoca, le strade e le stanze, i caffè e le case di vacanza a bordo lago.
Egon Schiele che ai suoi soggetti disegna i propri occhi spalancati e Gustav Klimt che si veste di caftani disegnati dalla sua compagna, Emilie Flöge. Gli stessi caftani con cui ama adornare le sue aristocratiche modelle. Intorno a loro ci sono i musicisti che rivoluzionarono la musica e firmarono la colonna sonora di quell’epoca e di quel mondo e di quella Vienna d’oro. Gli architetti che la costruirono e la decorarono. La fotografa Dora Kallmus che la fermò per sempre nei suoi scatti. E ovviamente c’è anche il Dottor Sigmund Freud che le lesse dentro, ascoltò il suo disagio e ne interpretò i sogni. Dopo aver visto, Klimt & Schiele. Eros & Psiche non si può non desiderare di recarsi a Vienna e visitare il Museo Belvedere e il Leopold Museum, il Palazzo della Secessione Viennese dove Klimt ha disegnato, sotto la guglia di foglie dorate, una quinta teatrale che è esoterismo ed erotismo puro. Un viaggio che dovrebbe prevedere la lettura de Il mondo di ieri di Stefan Zweig [10], magari all’interno di un caffè dal sapore retrò. Il libro può considerarsi la più bella guida di Vienna, ma non una guida in senso tradizionale, piuttosto un diario di chi c’era e andava nei caffè, ai musei, negli atelier, nei teatri.
Anche Schiele ha richiamato l’interesse cinematografico. A lui è stato dedicato, nel 2016, un film dal titolo Egon Schiele del regista Diter Berner [11]. E c’è una scena in questo film molto suggestiva, quando il giovane Egon, appena sveglio, scrive a grandi caratteri sulla parete della sua stanza la frase L’opera d’arte è immortale. È evidente l’intento del regista di focalizzare l’attenzione sul potere salvifico dell’arte puntando al messaggio che in fondo sono le nostre stesse passioni a salvarci e a tenerci in vita. Dal film emerge anche il ruolo di Klimt sulla sua vita artistica e il rapporto che ebbe con il suo mentore. Rapporto che non rimase solo a livello stilistico e contenutistico. In uno schizzo di cartolina postale per la Wiener Werkstätte [12], Schiele rivela per la prima volta la sua ammirazione per Klimt. In modo idealizzante, ma non per questo non riconoscibile, egli si raffigura insieme al suo maestro: su un monumentale piedestallo ci rappresenta due figure maschili con nimbo ed abiti monacali, suggerendo così l’idea di un legame quasi sacrale.
A testimonianza del rapporto di reciproca ammirazione, c’è un episodio raccontato da Arthur Roessler [13] in cui
«Klimt andò a trovare Schiele nel suo studio in Grünbergstrasse, vicino a Schönbrunn. L’ormai celebre maestro si fermò a lungo davanti ai grandi quadri del giovane, guardandoli attentamente senza parlare, e al giovane quel tempo sembrò un’eternità. Poi il maestro gli strinse la mano e gli disse: “Invidio l’espressione dei volti che ha dipinto in questi quadri”. Schiele arrossì, si commosse, sorrise e tacque imbarazzato. Anni dopo, spinto da una inalterata venerazione, desiderando possedere uno o più disegni del maestro, gli propose un cambio, dicendogli ingenuamente che gli avrebbe offerto alcuni fogli per averne uno suo. Klimt replicò: “Perché vuole un cambio? Lei disegna meglio di me”. Tuttavia, accettò, anzi volle acquistare alcuni disegni di Schiele» [14].
L’episodio è raccolto nel libro Gustav Klimt. Lettere e testimonianze [15], in cui scopriamo, attraverso lettere da lui scritte (alcune scoperte solo di recente), testimonianze di amici e familiari, l’indole dell’artista, le sue angosce, i suoi tormenti e suoi limiti. Come quando sosteneva: «Non valgo molto con le parole, non sono capace di parlare o di scrivere, soprattutto se devo dire qualcosa di me e del mio lavoro. Anche se devo scrivere una semplice lettera mi prende l’angoscia, come se avessi la nausea». Per questo amava ripetere: «…chi vuole sapere qualcosa di me come artista (che è l’unico che valga la pena di conoscere) deve guardare attentamente i miei quadri. Solo così potrà capire chi sono e cosa voglio» [16].
Successivamente Schiele raffigurerà se stesso e Klimt come due Eremiti, non più con un’aura mistica, ma un labile equilibrio che li unisce. Il più vecchio, Klimt, è raffigurato simile alla morte ed il più giovane, Schiele, con una cupa espressione del volto, alludendo al ruolo dell’artista isolato e condannato dalla società a soffrire. Il suo modo di dipingere è la testimonianza del malessere della sua tormentata anima. Le figure contorte prendono vita in un cozzare di piani senza volume né prospettiva, e hanno le sembianze di esseri umani dai contorni così precari da risultare irreali. Quasi 350 dipinti, 2800 disegni e acquerelli che parlano di un continuo scavo nell’umana fragilità, nei limiti del corpo, negli abissi della sessualità, della malattia, della morte.
Occorre poi richiamare il movimento d’avanguardia, la Secessione, di cui Klimt fu il presidente, oltre che elemento trainante e catalizzatore. Dal movimento emergeva con forza l’esigenza della modernità, espressa pienamente nel motto scelto dai secessionisti, “al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà” [17]. Ciò che la Secessione riuscì a realizzare negli otto anni che fu fondata fu qualcosa di straordinario che influì fortemente sulla visione artistica austriaca e europea e in generale dell’arte. Un’impresa immensa, rievocata sino ai nostri giorni e che sicuramente continuerà nell’arte futura. Con le sue leggendarie mostre, la Secessione ha cambiato radicalmente il mondo di quell’epoca grazie ad un concentrato di idee e di opere che avrebbero scosso il mondo della cultura, del raffinato linguaggio figurativo e in generale di un’arte che avrebbe lasciato un segno infinito.
Dopo l’uscita dalla Secessione, Klimt tornò a dedicarsi intensamente alla propria pittura. In questo periodo, l’artista realizzò alcuni dei suoi capolavori come il ritratto di Adele Bloch-Bauer nel 1907. Ed è proprio il dipinto Adele Bloch-Bauer al centro del film Woman in Gold [18] che merita di essere richiamato. Diretto da Simon Curtis, nel film si racconta la vera storia di Maria Altmann [19], interpretata magistralmente da Helen Mirren, una donna di origini ebraiche fuggita da Vienna proprio durante l’occupazione nazista. Alla morte della sorella, Maria trova delle lettere che certificano una battaglia legale contro il governo austriaco. Oggetto della causa è il recupero dell’opera di Klimt, Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, che ritrae la zia della donna, confiscato dai nazisti appena prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale ed esposto nella Galleria del Belvedere a Vienna. La donna decide di proseguire nella lotta e riprendersi finalmente l’opera come risarcimento simbolico per la sofferenza subita durante le persecuzioni naziste da lei e dalla sua famiglia. Per affrontare questa battaglia chiede aiuto a Randol Schönberg (interpretato da Ryan Reynolds), un giovanissimo avvocato, nipote del più famoso musicista Arnold Schönberg [20], che resterà affascinato dalla storia che si cela dietro il quadro e Maria. Deciderà di portare avanti la sua battaglia per avere giustizia. I due si mettono in viaggio e tornano in Austria, dove riaffiorano tutti i ricordi del passato della donna. Cominciano a mettersi alla ricerca di una copia del testamento della zia, la donna ritratta da Klimt. Sebbene ci siano gli elementi, il governo austriaco non si mostra disponibile alla restituzione dell’opera. Maria, però, non ha alcuna intenzione di arrendersi e lo stesso il giovane avvocato, scosso dal viaggio a Vienna. Riusciranno a vincere e a riprendersi il quadro ed ottenere finalmente un po’ di giustizia che, comunque, non lenirà come sperava le sofferenze patite per la perdita della sua famiglia e della sua vita a Vienna a causa del regime nazista. Attualmente il quadro è esposto, insieme agli altri quadri recuperati, nel museo Neue Galerie di New York di Lauder [21], come richiesto dalla stessa Maria Altmann.
Trasposizioni cinematografiche dell’arte di Klimt si ritrovano anche in altre pellicole come nello Lo schiaccianoci del 2011 del regista russo Andrei Konchalovsky [22]. Anche in questo caso non è l’artista il protagonista della storia ma la sua arte che riempie gli spazi fisici finendo per farci immergere completamente in essi e dimenticare per qualche istante la trama del film stesso e lo svolgimento degli eventi. L’intera opera pittorica di Gustav Klimt decora le pareti della casa della piccola Mary – protagonista indimenticabile del racconto – mentre il dottor Freud, lo “zio Albert” passeggia per le vie di Vienna. L’atmosfera generale del film, ideata e creata dallo scenografo Kevin Phipps, è quella di una Vienna “immaginaria” degli anni 20; il culmine di quel periodo esaltante della Secessione, tra Art Nouveau e Art Déco. Al film va riconosciuto il merito di aver riportato alla luce le sfumature più cupe del racconto originale. Konchalovsky rivisita l’universo inquieto di Ernest Hoffmann [23], autore del racconto, innestandovi un complesso apparato iconografico e simbolico. Passato e presente, atmosfere retrò e richiami allegorici, realtà e dimensione onirica, incanto e meraviglia riflessi negli occhi di Mary.
Un vero e proprio tributo a Klimt, nell’anno in cui si celebravano i 100 anni dalla sua morte, proviene dal percorso multimediale immersivo Klimt Experience [24]. Anche la tecnologia della visualizzazione avanzata si è lasciata, dunque sedurre dal fascino delle opere dell’artista viennese con esiti altamente suggestivi e coinvolgenti. Realizzato nel 2018 in varie città d’Italia [25], l’ambizioso e innovativo progetto contribuisce in un modo affascinante ad approfondire la conoscenza dell’uomo e dell’artista, la comprensione delle sue opere, la lettura stilistica attraverso la messa in scena spettacolare dei dettagli e della sua tecnica pittorica. Klimt Experience è un vero e proprio viaggio onirico, un invito a lasciarsi trasportare dal flusso continuo di emozioni grazie alla forza espressiva della narrazione per immagini e suoni, dal magico caleidoscopio di segni e figure che si susseguono nelle pareti, sul pavimento e sul soffitto. Un format del tutto innovativo, che ha proposto al visitatore un percorso totalmente immersivo, in un mondo simbolico, enigmatico e sensuale, dove si realizza il trionfo di un’arte senza confini. Sarà per questo che «i molti volti che l’artista ci mostra attestano il suo continuo aprirsi a impressioni nuove» [26].
Testimonianze dell’influsso che inevitabilmente l’innovativa e originale arte di Klimt ebbe sugli artisti italiani si possono riscontrare nella mostra attualmente in corso a Roma a Palazzo Braschi dal titolo Klimt. La Secessione e l’Italia [27]. Con l’esposizione l’artista austriaco torna simbolicamente a Roma, dove più di 100 anni fa – in seguito alla sua partecipazione con una sala personale alla Biennale di Venezia del 1910 – fu premiato all’Esposizione Internazionale d’Arte del 1911. La Mostra ripercorre le tappe dell’intera parabola artistica di Gustav Klimt, sottolinea il ruolo nella Secessione viennese e – per la prima volta – indaga sul suo rapporto con l’Italia, narrando dei suoi viaggi e dei suoi successi espositivi.
Klimt, il pittore dell’oro e delle donne/dee e Schiele, quello dei corpi che sembrano bombardati “dall’interno”. Due generazioni diverse e ravvicinate. Come i loro quadri. In mezzo c’è il loro mondo di ieri che per noi si riavvolge e rivive davanti ai nostri occhi. Due artisti, geni dall’animo tormentato, ma, soprattutto, indimenticabili personalità che, con le loro opere, hanno dato vita a nuovi modi di concepire l’arte pittorica e lasciato una traccia che affascina e suggestiona sempre.
E infine la morte, li raggiunge entrambi nel 1918. Mentre un’epoca si chiude con il crollo dell’Impero austroungarico, Klimt è colpito da un ictus il 6 febbraio 1918 all’età di 56 anni. E sei mesi dopo Schiele, a soli 28 anni, si lascia portar via dall’influenza spagnola, tre giorni dopo aver visto morire sua moglie Edith.
Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] Il film Klimt, è stato proiettato al Festival di Berlino del 2006 e, nello stesso anno, è stato presentato fuori concorso al Torino Film Festival.
[2] Egon Leon Adolf Schiele (1890-1918), meglio conosciuto come Egon Schiele, è stato un pittore e incisore austriaco. Pupillo di Gustav Klimt, Schiele è stato uno dei maggiori artisti figurativi del primo Novecento, nonché esponente della Secessione viennese.
[3] Gustav Klimt (1862-1918), pittore e incisore austriaco e fondatore della Secessione viennese.
[4] Serena Pulitzer Lederer (interpretata dall’attrice Sandra Ceccarelli) era la moglie del magnate industriale August Lederer, amico intimo di Gustav Klimt e strumentale alla costituzione della collezione delle sue opere d’arte.
[5] Jorge Arriagada (1943), autore della colonna sonora del film, è un compositore cileno.
[6] Nel Leopold Museum, è presente la più grande collezione al mondo di opere di Egon Schiele.
[7] L’Albertina è un palazzo, in parte fruibile come museo.
[8] Michelle Mally è un regista esperto in film e docu-film d’arte.
[9] Arianna Marielli è una sceneggiatrice. La voce narrante è di Lorenzo Richelmy.
[10] Stefan Zweig (1881-1942), è stato uno scrittore, drammaturgo, giornalista, biografo, storico e poeta austriaco naturalizzato britannico.
[10] Titolo originale del film: Egon Schiele. Tod und Mädchen.
[12] Laboratori fondati da J. Hoffmannn e K. Moser per promuovere l’artigianato.
[13] Arthur Roessler, (1877-1955), è stato editore, scrittore, consulente d’arte, storico dell’arte e critico d’arte viennese.
[14 ] Arthur Roessler, Erinnerungen an Egon Schiele, in Fritz Karpfen, Das Egon Schiele Bauch, Wien 1921: 86.
[15] Gustav Klimt. Lettere e testimonianze, di E. Pontiggia (a cura di), Abscondita, 2005.
[16] Ibidem, cit: 11.
[17] E. Di Stefano, klimt, Art Dossier, Giunti.
[18] Woman in Gold, è un film del 2015 presentato in anteprima alla 65ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino.
[19] Maria Viktoria Altmann (Vienna, 18 febbraio 1916-Los Angeles, 7 febbraio 2011) è stata un’imprenditrice austriaca naturalizzata statunitense. A causa della sua origine ebraica fu costretta a lasciare casa, beni e famiglia, fuggendo dal suo paese. Deve la sua notorietà alla lunga battaglia legale contro la Repubblica d’Austria per ottenere la restituzione di cinque quadri dipinti da Gustav Klimt, trafugati dai nazisti.
[20] Arnold Franz Walther Schönberg (1874-1951) è stato un compositore austriaco naturalizzato statunitense. È stato uno tra i primi, nel XX secolo, a scrivere musica al di fuori dalle regole del sistema tonale, ed è stato, con Josef Matthias Hauer, uno dei teorici del metodo dodecafonico, basato su una sequenza (detta serie, da cui il termine musica seriale) comprendente tutti i dodici suoni della scala musicale cromatica temperata.
[21] Il Neue Galerie New York (tedesco di: “Nuova Galleria”) è un museo d’arte e disegno degli inizi del XX secolo di opere tedesche e austriache, collocato a Manhattan, New York. Fondato nel 2001, è una delle aggiunte più recenti al rinomato miglio dei musei, che va dalla 83ª alla 105ª strada su Fifth Avenue nella Upper East Side di Manhattan.
[22] Andrei Konchalovsky (1937), è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico sovietico, dal 1991 russo.
[23] Ernest Hoffmann, (1776-1822), è stato uno scrittore, compositore, pittore e giurista tedesco, esponente del Romanticismo.
[24] Pensata e realizzata dal regista Stefano Fake, prende vita, nel 2018, ad altissima definizione e a 360°, la summa dell’inimitabile arte klimtiana, evocata dalle opere selezionate dallo storico dell’arte Sergio Risaliti. Una mostra imponente ed evocativa: 700 immagini riprodotte con definizione maggiore del Full Hd dai proiettori laser del sistema Matrix X-Dimension, che si accompagnano alle accuratissime ricostruzioni 3D della Vienna dei primi del Novecento e alla straordinaria potenza della colonna sonora, diffusa da un impianto Dolby Surround di ultima generazione. A completamento di questa eccezionale avventura, sono state create delle postazioni e dei supporti scenografici fisici per vivere un’esperienza di realtà virtuale all’interno di alcune opere di Klimt, percependone tridimensionalmente ogni dettaglio figurativo e cromatico. Prodotto e organizzato da Crossmedia GROUP.
[25] Nel Complesso Monumentale San Giovanni Addolorata a Roma; nella splendida Reggia di Caserta; nel Complesso Santo Stefano al Ponte di Firenze; nel MUDEC – Museo delle Culture di Milano.
[26] AA.VV., Klimt Kokoschka, Schiele. Dall’Art Nouveau all’Espressionismo, Mazzotta, 1999, cit.: 49.
[27] Klimt. La Secessione e l’Italia, è una mostra promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, co-prodotta da Arthemisia che ne cura anche l’organizzazione con Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con il Belvedere Museum e in cooperazione con Klimt Foundation. A seguito del ritrovamento di “Ritratto di Signora” nel dicembre 2019, la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza, rimasta orfana dell’opera per più di 20 anni, ha realizzato un progetto triennale iniziato nel 2020 con l’esposizione del dipinto in una nuova teca, seguita nel 2021 dalla mostra Klimt e i maestri segreti della Ricci Oddi, per approdare alla mostra più complessa, Klimt intimo, che sarà inaugurata il 5 aprile prossimo. Attraverso questo evento, si esplorano le vicende personali dell’artista, fino a opere e documenti che ne rivelano gli aspetti meno noti.
Riferimenti bibliografici
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P. Daverio, Klimt, RCS MediaGroup, 2021.
E. Di Stefano, Klimt, Art Dossier n. 29, Giunti Editore, 1987.
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M. V. Marini Clarelli, (a cura di), Klimt. La Secessione e l’Italia, Catalogo della Mostra Museo di Roma, 27 ottobre 2021-27 marzo 2022, Roma 2021.
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S. Scarpetta, Arte e pittura in Klimt, Laboratorio Montessori.
R. Steiner, Schiele, Taschen, 2005.
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Laura D’Alessandro, ricercatrice, dopo la laurea in Sociologia, presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito il Master in Cittadinanza europea e integrazione euromediterranea: i beni e le attività culturali come fattore di coesione e sviluppo presso l’Università Roma Tre (in collaborazione con il Ministero dei Beni culturali). Ha svolto attività di docenza su tematiche legate all’identità e alla storia del Mediterraneo presso l’Università Roma Tre e su esperienze progettuali finanziate dai fondi europei nel settore dei beni culturali, delle imprese creative e delle politiche sociali presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato il saggio Mediterraneo crocevia di storia e culture. Un caleidoscopio di immagini, sui tipi de L’Harmattan, 2011 (ristampa 2016), con il quale ha vinto il Premio Letteratura, Poesia, Narrativa, Saggistica (XXXII edizione – 2016), dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Collabora con riviste e periodici.
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