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La Chiesa italiana ai tempi di Papa Francesco

 papa Francesco tra Abu Mazen e Peres

Papa Francesco tra Abu Mazen e Peres

 di    Marcello Vigli

«Non possiamo tollerare più a lungo che i mercati finanziari governino le sorti dei popoli piuttosto che servirne i bisogni, o che pochi prosperino ricorrendo alla speculazione finanziaria mentre molti ne subiscono pesantemente le conseguenze».

Queste parole, pronunciate da Papa Francesco in un convegno di Giustizia e pace, nella loro inequivocabile chiarezza sintetizzano la sua inappellabile condanna dell’ordine mondiale costituito. Negli Stati Uniti d’America per attenuare lo scandalo suscitato,  l’arcivescovo di New York card. Timothy Dolan ha dichiarato che in verità «il papa difende il capitalismo virtuoso» e si limita a proclamare che «l’attività sociale ed economica dev’essere fondata sulle virtù della compassione e della generosità».

Questa interpretazione è  tuttavia contraddetta dalla ben più concreta condanna contro i «corrotti economici, corrotti politici o corrotti ecclesiastici», dall’appello «a perseverare nella lotta contro la tratta e le nuove forme di schiavitù» e dal richiamo della maledizione di Dio contro quelli che, hanno «sfruttato gli innocenti, coloro che non possono difendersi e lo hanno fatto con i guanti bianchi, da lontano, senza sporcarsi le mani». La cancella del tutto la previsione, altrettanto inequivocabile e più volte ripetuta, «che un giorno tutto finisce e dovranno rendere conto a Dio»  sia chi «vive nel male, bestemmia Dio, sfrutta gli altri, li tiranneggia, vive soltanto per i soldi, la vanità, il potere» sia quelli che «fabbricano armi per fomentare le guerre» che sono mercanti di morte e fanno mercanzia di morte».

Né si tratta di interventi che possono dare l’immagine di un predicatore fuori della realtà. Francesco ha la stessa ambizione di Giorgio La Pira, Gandhi e Martin Luther King. Dosa le parole e i silenzi con grande abilità, ma soprattutto le sue parole diventano fatti all’interno di un’azione incessante per la giustizia e la pace da lui promossa  ingerendosi, forse più apertamente dei suoi predecessori, nella vita politica.

Non ha esitato ad accettare l’invito di don Ciotti ad incontrare il 21 marzo nella parrocchia romana di Gregorio VII  i parenti delle vittime di mafia dove «agli uomini e alle donne mafiosi» ha lanciato un comando perentorio, «cambiate vita […] per non finire all’inferno», che diventa condanna senza appello quando, sulla piana di Sibari, in occasione della sua visita in Calabria, davanti a 250-000 fedeli raccolti per la messa proclama:  «La Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati».

Né si è lasciato fermare da chi riteneva azzardata la trovata diplomatica d’invitare l’8 giugno Peres e Abu Mazen alla preghiera comune nei Giardini vaticani, alla quale, quasi a fugare ogni intento autoreferenziale e apologetico, ha voluto al suo fianco il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. L’immagine dei due presidenti con in mezzo papa Francesco e accanto il patriarca Bartolomeo, se è un messaggio di indubbio valore politico e un richiamo alla speranza in contrasto con le ambiguità della diplomazia che necessariamente privilegia gli interessi di parte, rappresenta anche una sollecitazione a percorrere nuove vie per promuovere ecumenismo.

Aveva, infatti, già invitato Bartolomeo I – a 50 anni dallo storico abbraccio tra Paolo VI e Atenagora – ad incontrarlo nel suo viaggio a Gerusalemme nel quale si era anche fatto accompagnare da due suoi amici dai tempi di Buenos Aires, il rabbino Abraham Skorka e l’islamico Omar Abboud, riproponendo il dialogo ecumenico come un momento di quello interreligioso. Con loro si è stretto in un abbraccio dopo aver deposto in una fessura del Muro del Pianto un biglietto con il Padre Nostro in spagnolo. Anche ad un altro muro, quello costruito dagli israeliani per restringere la mobilità dei palestinesi, Francesco si è accostato: sceso dalla sua vettura che lo stava costeggiando, l’ha toccato con la fronte e con la mano, pregando per alcuni minuti in silenzio. L’immagine, diffusa in tutto il mondo, ha dato conforto ai palestinesi, ma irritato gli israeliani non certo compensati dalla sua successiva visita al memoriale delle vittime del terrorismo anti-ebraico nel mondo, che gli ha offerto l’occasione per una ferma condanna di ogni atto terroristico.

foto 1Francesco è un Papa che fa politica da Papa non da Capo di stato, non da sovrano fra sovrani, assumendola secondo le parole di Paolo VI, come «la più alta espressione della carità»; fa anche ecumenismo nei fatti non limitandosi ad auspicarlo o a farne argomento di incontri teologico-culturali. Al tempo stesso e con la stessa duttilità e fermezza prosegue nella difficile opera di riformare la Curia romana, i cui organismi gli oppongono tenace resistenza, confermando la sua fiducia nel lavoro del Consiglio di otto Cardinali, scelti fuori della Curia nei diversi continenti, da lui nominato per studiare un progetto di riforma e per ideare nuove strutture e ordinamenti.

Secondo il magistrato Nicola Gratteri, in Vaticano è in corso una «sfida di potere che nulla ha a che vedere con i poveri, col credo, con la religione o con la carezza agli ultimi. È un gioco di potere vero, di potere reale». Con questo impegno a destrutturare il centralismo vaticano non intende sminuire il primato papale, come rivela la solenne canonizzazione dei due papi, Roncalli e Wojtyla, con la presenza di Joseph Ratzinger, un papa dimissionario, ma solo ridimensionarne la sacralità nella prospettiva di valorizzare il principio della collegialità nel governo della Chiesa, per la quale una tappa significativa sarà il Sinodo straordinario sulla famiglia già convocato per l’ottobre del 2014.

Analogo impegno rivela nel contrastare la resistenza dei vescovi italiani al rinnovamento della loro Conferenza e della loro Pastorale, da lui in diverse occasioni vivamente raccomandato. Nel maggio scorso ha tenuto lui stesso la relazione introduttiva nella sessione annuale dell’Assemblea della Conferenza episcopale: è stata la prima volta dalla sua costituzione.  Il suo discorso non è stato un saluto di circostanza, ma ha avuto un carattere programmatico articolandosi su tre punti: il ruolo dei vescovi, l’organizzazione della Cei e gli impegni principali per l’immediato futuro.

I vescovi devono essere impegnati più nella pastorale che nell’organizzazione: «Semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi per poter essere vicini alla gente», evitando gli «interessi mondani, il rodersi della gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione che genera correnti, consorterie e settarismi». Non erano parole nuove, ma questa volta avevano un particolare significato, perché dirette  ad interlocutori che la prolungata gestione ruiniana della Presidenza Cei – il cardinale Ruini ha ricoperto l’incarico per oltre quindici anni essendo stato confermato tre volte da papa Wojtyla – aveva assuefatto alla obbedienza e ad una gestione burocratica della funzione tanto che, ancor oggi, rifiutano di assumere la responsabilità di eleggere il proprio Presidente. La Cei è infatti la sola Conferenza episcopale al mondo il cui Presidente è scelto e nominato dal papa!

Papa Francesco da tempo sollecita i vescovi a modificarne lo Statuto per eliminare tale anomalia, ma neppure in questa sessione l’Assemblea ha accolto tale richiesta, limitandosi a stabilire che in una sessione straordinaria, da svolgersi nel prossimo settembre, approverà una modifica che lascia al papa la nomina del  Presidente, pur se da compiere all’interno di una terna di nomi costituita da quei vescovi più votati dai loro confratelli in una specifica consultazione elettorale. Parimenti è stata rinviata  la riduzione del numero delle Diocesi anch’essa sollecitata dal papa – in Italia sono 226 mentre in  Francia sono 100 e in Spagna 70 – lasciando senza soluzione una questione che già il Concordato del 1929 aveva affrontato, ipotizzando che, in prospettiva, le diocesi fossero coincidenti con le province!

Uguale ossequio formale, ma sostanziale resistenza passiva, la Cei ha rivelato nei confronti della consultazione della base cattolica avviata dal papa alla fine dello scorso anno, con la diffusione di un questionario sui temi che saranno affrontati nel prossimo Sinodo dei vescovi. A tutti i commentatori non è sfuggita la valenza di questa iniziativa, che ha coinvolto per la prima volta il laicato cattolico in una discussione su temi come omosessualità, aborto, eutanasia, status dei cattolici divorziati riservati alla gerarchia.

foto 2Questa scelta di chiamare le parrocchie a pronunciarsi su questioni così delicate ha rappresentato uno strumento molto efficace per promuovere impegno e responsabilità dei laici nella Chiesa, senza essere una concessione a chi pensa che essa possa essere “democratica”. Anche questo coinvolgimento dell’intera comunità ecclesiale rivela l’intento di non limitarsi all’enunciazione di principi, ma di promuoverne l’attuazione creando fatti e opportunità ad essi ispirati.

Dalla Cei, invece, scarso sostegno è stato dato alla diffusione del questionario; neppure è stata accolta la richiesta di molti laici di analizzarne pubblicamente i risultati come è stato fatto in altri Paesi. Ne sarebbe emerso che sui tanto esaltati valori irrinunciabili l’opinione diffusa fra i fedeli non coincide con la vulgata presentata come la frontiera invalicabile fra la concezione cattolica della società e quella “laica”. La base ecclesiale sembra, invece, sensibile a questo coinvolgimento come rivelano la frequenza alle occasioni d’incontro in piazza o nelle parrocchie romane e la vivacità della convegnistica promossa da Gruppi e Associazioni d’ispirazione conciliare. Due convegni in particolare sono da ricordare, perché promossi da comitati costituiti proprio per favorire il confronto fra loro e offrire contributi condivisi.

Un primo incontro si è tenuto a Napoli a marzo – sesto della serie degli incontri nazionali della rete di gruppi Il Vangelo che abbiamo ricevuto – l’altro nel maggio a Roma come terza delle Assemblee promosse dal comitato Chiesa di tutti. Chiesa dei poveri. I due temi prescelti – Il Vangelo è annunciato ai poveri. Con Francesco nelle periferie dell’esistenza e Dio: un nuovo annuncio? e La coscienza umana e le comunità cristiane si interrogano a 50 anni dalla Lumen Gentium testimoniano entrambi una volontà di rinnovamento nella linea proposta dal papa che ha nella Chiesa povera uno dei temi centrali.

Del papa questi Gruppi non hanno però la capacità di produrre fatti per rendere effettivamente povera la Chiesa. Ci si limita a denunce, richieste e proposte, ma si evita di interrogarsi sulla necessità di costruire un soggetto propositivo rappresentativo dei laici convinti che l’evangelizzazione debba seguire vie nuove e che l’Istituzione ecclesiastica debba rinnovarsi. Non si tratta di introdurre pratiche democratiche nella vita della Chiesa, ma di chiamare a raccolta i cattolici fedeli al Concilio per rivendicare il diritto/dovere di avviare collettivamente ed esplicitamente prassi più autenticamente evangeliche e ispirate alla povertà, quali, ad esempio, il rifiuto di accettare il finanziamento pubblico attraverso la devoluzione alla Cei dell’otto per mille del bilancio statale.  Una campagna per promuoverne la destinazione allo Stato, restituendogli il compito di gestire il denaro di tutti i cittadini, sarebbe molto più efficace di tante parole sulla povertà della Chiesa, specie in questi tempi in cui le curie locali, pur senza essere indagate, sono in vario modo chiamate in causa per gli scandali dell’Expo a Milano, del Mose a Venezia e della ricostruzione delle chiese a l’Aquila!

Allo stesso modo si libererebbe la Chiesa da tanti compromessi con il potere se si promuovesse la fine del regime concordatario. In verità alcuni passi avanti nella riduzione dei pesanti condizionamenti della cultura cattolica in materia di diritti civili nella società  e nelle sue leggi sono stati compiuti proprio per il nuovo clima creato dalla presenza di Renzi al governo. Nelle ultime settimane la Camera ha approvato la legge sul “divorzio breve”, la Consulta ha praticamente cancellato la legge 40 sulla procreazione assistita, sembra in dirittura d’arrivo una legge in favore del riconoscimento delle unioni civili omosessuali, mentre è già presentato un progetto di legge che prevede, al sussistere di determinate condizioni, la liceità dell’eutanasia. Su questa perfino sull’Osservatore Romano in un articolo di Lucetta Scaraffia si propone  di affrontare il problema «senza le pressioni di chi della difesa della vita a ogni costo e in qualunque condizione, cioè anche quando è prolungata artificialmente, fa una battaglia, non solo ideologica, ma anche politica».

foto 3Del resto il progetto di legge sul “divorzio breve” è passato quasi all’unanimità, con il limitatissimo dissenso di pochi deputati, mentre solo qualche anno fa, in Parlamento, fu affossata una legge quasi identica. «Può destare qualche sorpresa che sia stato proprio un politico cattolico ad aprire le porte a quei provvedimenti che, nel corso dell’ultimo ventennio, sono stati contrastati da un asse ideologico che andava da Maurizio Gasparri al cardinal Camillo Ruini, dall’attuale arcivescovo di Firenze, il cardinale Giuseppe Betori, a politici come Carlo Giovanardi, Paola Binetti, Alfredo Mantovano, Eugenia Roccella», come scrive Francesco Peloso sul sito www.pagina99.it. È pur vero, c’è da aggiungere, che l’irruzione di Renzi nella sfera di governo è coincisa con l’indebolimento della dirigenza della Cei, che in Parlamento è arrivata una nuova generazione di politici, e che la crisi della destra berlusconiana ha emarginato gli integralisti che si proclamavano paladini dell’ortodossia cattolica, ma è innegabile che a creare questo contesto il maggiore contribuito  l’ha dato la svolta di papa Francesco.

Nel suo insegnamento l’affermazione di quella ortodossia è affidata più alla positiva proclamazione del Vangelo e alla formazione di coscienze e comunità che non alla forza delle leggi: «La Chiesa infatti non è un’istituzione finalizzata a se stessa o un’associazione privata, una Ong, né tanto meno si deve restringere lo sguardo al clero o al Vaticano […], i preti sono parte della Chiesa ma la Chiesa sono tutti, non bisogna restringerla ai sacerdoti, ai vescovi, al Vaticano. Siamo tutti, tutti famiglia della madre. La Chiesa è una realtà molto più ampia e si apre a tutta l’umanità».

In questo intreccio fra le trasformazioni sociali e politiche e l’azione innovativa di papa Francesco è iscritto il futuro della Chiesa italiana che, certo, non sarà più la Chiesa di quei cattolici convinti che i peccatori siano solo i fautori della libertà di abortire, di decidere della propria morte e di usare a piacimento delle cellule staminali, ma, forse, di quelli convinti che sono ancor più peccatori gli  imprenditori, i politici, i cardinali corrotti, che con il malaffare derubano i poveri.

Dialoghi Mediterranei, n. 8, luglio 2014

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Marcello Vigli, partigiano nella guerra di Resistenza, già dirigente dell’Azione Cattolica, fondatore e animatore delle Comunità cristiane di base, è autore di diversi saggi sulla laicità delle istituzioni e i rapporti tra Stato e Chiesa nonché sulla scuola pubblica e l’insegnamento della religione. La sua ultima opera s’intitola: Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (2009).

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