il centro in periferia
di Flavio Lorenzoni e Francesca R. Uccella [*]
Dicini ch’è in Còrsica, ci stani tanti tisori, piatti bé bé, è ognunu sogna à scatulì li.
(Marielli, 2015:74)
L’antropologia ha forse, nel ‘900, contribuito a innescare questi processi e ora che sono attivi deve darsi nuove missioni […]. In queste nuove pratiche dell’antropologia ci deve essere il senso del mondo cambiato, dei diritti ottenuti con le lotte che sono entrati nelle grandi convenzioni internazionali, e del nuovo modo di rapportarsi alla propria professionalità, accentuando in essa la componente maieutica e di servizio (Clemente, 2017: 253).
Il presente articolo è il frutto della collaborazione dei due autori che, con Selene Conti e Bianka Myftari [1], al momento del viaggio in Corsica, erano studenti della Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici della Sapienza. L’esperienza etnografica del gruppo era inserita in una ricerca avviata nel 2016 da Alessandra Broccolini – di cui al suo articolo “Ripensare l’umanità dalla Corsica. Confraternite, patrimoni immateriali, piccoli paesi” anch’esso pubblicato in questo numero – ha costituito un’importante esperienza di campo che ha permesso ai partecipanti di osservare, seppur per un periodo di tempo circoscritto, alcuni interessanti processi di patrimonializzazione che, iniziati nei primi anni ’90, sono tutt’ora in atto continuando a fornire importanti spunti di riflessione.
Vivere il patrimonio: antiche risorse per una nuova consapevolezza
Pianellu, piccolo paese di montagna dell’Haute-Corse, situato nell’entroterra dell’isola a un centinaio di chilometri da Bastia, ci si è presentato, dopo un gran numero di curve, adagiato fra le montagne a circa ottocento metri d’altezza: all’entrata del paese, nell’unica piazza, ci troviamo subito fra la Chiesa di Santa Cecilia e un edificio in cui pacificamente convivono il Foyer Rural, con la sua sede, e il Gite d’etape, un rifugio, luogo di ristoro e di partenza per gli escursionisti. L’abitato appare organizzato in modo da lasciare spazio fra una casa e l’altra, gli edifici sono di pietra, apparentemente monofamiliari, alcuni di essi sono disabitati.
La nostra esperienza si è sviluppata su temi legati al paese e ad altri luoghi distribuiti nel territorio ad esso circostante, ma anche più distanti da esso, corrispondenti a quelli di competenza della pieve de A Serra (che comprende anche i paesi di Ampriani, Matra, Moïta, Zulana e Zuani, per un totale di dieci parrocchie) Novallonga, Aleria e alla zona costiera di Mare Stagno. Nel passato, l’attività principale di Pianellu era la pastorizia transumante, e per questo il paese possedeva terreni intorno al paese e in pianura, vicino al mare, dove ci si spostava periodicamente per il pascolo. Ora i pastori rimasti sono due; si pratica prevalentemente l’agricoltura e l’allevamento. Il paese è afflitto da un problema comune a molti piccoli centri in Francia, in Italia, e sicuramente in altre zone, soprattutto interne e montagnose, dell’Europa: il problema del graduale spopolamento e la conseguente dissoluzione delle comunità. Come in altri luoghi che tentano di resistere a tale processo, anche a Pianellu si sono attuate differenti strategie quali quelle legate al turismo rurale e di montagna; si sono organizzati eventi relativi al patrimonio culturale e naturale; le feste patronali – fin quando è stato possibile celebrarle in epoca prepandemica – sono divenute occasione di incontro e condivisione; si è sviluppato un associazionismo di resistenza. A Pianellu gran parte della popolazione è impegnata in molteplici attività volte soprattutto a rendere gli abitanti coscienti del loro patrimonio culturale, legato alla memoria – personale e storica –, ma anche a natura e risorse agricole, affinché questi beni comuni siano alla base di una forma di vita che permetta alla comunità di sopravvivere in quanto tale.
La piazza principale di Pianellu, con i suoi due edifici più importanti, quello sacro – la chiesa – e quello civile – l’edificio sede dell’associazione locale –, è il luogo dove queste attività si svolgono principalmente, rendendole fisicamente localizzabili. Fondamentale per la nostra breve esperienza di ricerca è stato uno degli attori sociali più rilevanti della scena locale, Jean Charles Adami, cinquantenne professore di letteratura còrsa, membro della confraternita del Santissimo Crocifisso e vicepresidente del Foyer Rural. Egli ha inevitabilmente influenzato il nostro approccio al terreno e la nostra visione, ma ha reso anche possibile un’entratura rapida e intensa, che altrimenti sarebbe stata molto differente. Jean Charles Adami divide il suo tempo fra Pianellu e Bastia, dove insegna e dove la sua famiglia principalmente risiede in inverno.
La confraternita è legata alla Arciconfraternita del Santissimo Crocefisso in Urbe, che fa capo alla Chiesa di San Marcello al Corso, a Roma. In questa chiesa si verificò, il 23 maggio del 1519, un terribile incendio che la distrusse quasi completamente; l’unica cosa che rimase intatta fu un crocifisso del 1300 di scuola senese, che da quel momento in poi iniziò ad essere venerato come miracoloso. Lì si fondò la prima confraternita che poi fu di ispirazione per tutte le altre, fra cui quella di Pianellu.
La confraternita di Pianellu è stata rifondata, dopo anni di inattività, nel 1992 quando i confratelli, fra cui Jean Charles Adami, si sono resi conto che essa sarebbe stata utile per mantenere viva la comunità, i suoi usi religiosi e che avrebbe permesso il mantenimento della tradizione legata ai canti liturgici polifonici. Scomparsi gli anziani, che all’epoca erano ancora in grado di cantare e di insegnare il canto polifonico a paghjella, sarebbe stato molto complicato conoscere e tramandare il ricco repertorio che caratterizzava i riti religiosi a Pianello e nell’ambito della pieve. Inoltre, la confraternita nasceva anche come reazione a un periodo di estrema violenza vissuto in prima persona da molti dei membri della comunità, come risposta pacifica ad anni di terrorismo in cui era stato sparso molto sangue, in cui la lotta politica dei còrsi contro la Francia si era trasformata in una guerra fratricida.
Jean Charles Adami nell’intervista fattagli il 22 agosto nella sua tenuta di Novallonga, ci spiega che, dopo aver vissuto sulla propria pelle la violenza, era arrivato il momento di cambiare e dare un nuovo impulso positivo alla comunità. A Pianellu, dunque, hanno iniziato con il lavoro religioso, attenendosi al senso etimologico: religere, unire e creare legami, ad esso poi sarebbe seguito un lavoro religioso laico. In quel periodo storico era forte la necessità di partire dal basso, da un lavoro locale e quotidiano per ricostruire un tessuto sociale pesantemente danneggiato e indebolito. Al problema generato dai conflitti politici, si univa anche quello economico che causava lo spopolamento delle zone interne. A partire dal ’92, dunque, l’attività della confraternita è stata continua e il gruppo di confratelli si è dedicato all’accompagnamento della vita religiosa nella pieve, organizzandosi per assicurare assistenza e presenza ai fedeli. Con il tempo inoltre il numero dei parroci presenti sul territorio si stava riducendo sempre di più, lasciando un vuoto percepito negativamente dalla comunità. Attualmente, la confraternita opera sul territorio di dieci parrocchie, tutte affidate ad un unico prete che non riesce a soddisfare le esigenze dei fedeli. I confratelli accompagnano con il loro canto le messe ordinarie e quelle celebrate per ricorrenze speciali e lo fanno cercando di distribuirsi su tutto il territorio. Oltre all’accompagnamento liturgico, i membri della confraternita offrono assistenza, anche economica in alcuni casi, alle famiglie in difficoltà, ascoltando i loro problemi e facendole sentire parte di una comunità pronta a sostenere tutti, accogliendo anche coloro che non sono religiosi. In questo ambito, altro impegno è organizzare e gestire le feste patronali come quella di San Vincente, che si celebra il 20 agosto e quelle delle altre parrocchie, fra cui San Marcello ad Aleria, dove la festa si celebra in gennaio, con la benedizione di semi, cavalli ed altri animali.
Il Foyer Rural a Teghja, di più recente fondazione, è, come riporta la sua pagina di Facebook, una struttura di educazione popolare, permanente e di promozione sociale del paese di Pianellu. È nata come un’associazione fortemente radicata sul territorio, per costituire un punto di riferimento per i pochi abitanti stabili del paese (66 nel censimento ufficiale del 2014, ma che in realtà si riducono, in inverno, a 25) e per quelli che vi ritornano in estate. La sua forte relazione con la terra è espressa anche attraverso il suo nome: a teghja è l’ardesia, pietra molto presente nel paesaggio tutto intorno all’abitato e al suo interno, sui tetti di molte case. Il logo dell’associazione è un albero, l’albero della pace, un castagno dal valore simbolico molto forte, legato a un progetto di cui si parlerà più avanti; la sua chioma è composta da molte mani, una a fianco all’altra, probabilmente a significare la partecipazione e il mutuo aiuto dei suoi membri. Il Foyer organizza molte attività sociali e la sua sede è l’unico spazio di incontro del paese. All’interno della sua sede e nello spazio all’aperto ad essa adiacente si organizzano feste e incontri: attività per i bambini, compleanni, assemblee e riunioni, festival, come ad esempio il “Festivale d’autunnu di a ruralità” del 24 ottobre 2017; nel suo programma esso prevedeva animazione, conferenze, condivisione e scambio di saperi, lingua còrsa viva, canti e musiche del mondo e della Còrsica e scoperta del territorio. Il Foyer è uno spazio laico aperto a tutti e parte dei suoi membri sono anche confratelli. Le attività della confraternita e dell’associazione sono intese come complementari fra loro e hanno come obiettivo quello di mantenere coesa e viva la comunità paesana: per farlo mettono in atto delle strategie patrimoniali che, comprese e appoggiate dai partecipanti, tendono a creare membri più coscienti della valorizzazione del territorio, delle sue risorse naturali e culturali, della possibilità di innestare dei processi economici vantaggiosi, promuovendo l’aiuto mutuo, l’ascolto e valori tanto importanti come la pace. La valorizzazione del patrimonio culturale va di pari passo con quella del patrimonio legato alla natura e alle risorse agricole locali.
Un esempio di questo tipo di valorizzazione è legato al recupero di una varietà alimentare autoctona, ovvero della cipolla di Moïta, paese a pochi chilometri da Pianellu. Nell’area geografica che comprende questi due centri, in passato veniva prodotto e commercializzato un tipo di cipolla rossa e dolce la cui coltura non era più praticata. Comprendendo il valore materiale, ma anche immateriale della possibile ripresa della coltivazione della cipolla e dei saperi ad essa connessi, i confratelli, nel 2012, hanno riavviato la sua coltivazione, con l’aiuto di chi nella zona aveva conservato le sementi. Con un lavoro collettivo, la confraternita ha recuperato l’ortaggio e nel 2015 aveva a disposizione un chilo e mezzo di sementi, ottenuto molto laboriosamente. Nel 2020 i confratelli sono arrivati a commercializzare la cipolla di Moïta avvalendosi della collaborazione di una nota catena di negozi, passando quindi da una distribuzione prettamente locale ad una su scala sensibilmente più ampia. Il giornalista sul Corse Matin dell’11 febbraio 2017 parla di questa operazione di recupero agricolo paragonandola a quella condotta sul canto religioso creando un nesso chiaro fra le due: «Une oeuvre de sauvegarde semblable à celle menée en faveur du chante sacré». Riporta inoltre le parole di Jean Charles Adami che ne chiariscono il senso: «Mais ça va beacoup plus loin puisqu’il s’agit, en parallèle, d’effectuer un vrai travail de revalorization de cet oignon et de permettre d’en assurer una production importante et pérenne, pas industrielle certes, mais dont l’impact pourrait aussi être economique, autour de notions d’écologie, d’autonomie alimentaire et de revitalisation du monde rural»[2]. Una patrimonializzazione dal basso che potrebbe contribuire alla sussistenza e all’esistenza stessa della comunità. Il senso simbolico della ripresa della coltivazione della cipolla di Moïta si può comprendere meglio anche ricordando la fila di trattori che si dirigevano verso il Pian Grande di Castelluccio di Norcia per salvare la prima fioritura delle lenticchie dopo il terremoto [3]. Il senso della valorizzazione del patrimonio naturale in rapporto alla salvaguardia delle comunità appare evidente nelle parole di Alessandra Broccolini:
«Le esperienze degli ultimi anni mostrano, infatti, che non è stato solo – a suo tempo – il riconoscimento di un patrimonio naturalistico, con la nascita del turismo ambientale, a trasformare o a dare forma alla voce dei piccoli centri e della montagna dopo la riconversione in terziario di molte attività produttive tradizionali, ma una cornice patrimoniale più ampia di riconoscimento e valorizzazione dei luoghi e dei loro “nessi fondamentali” di civiltà, di pratiche locali, di memorie e storie, che negli ultimi anni sta alimentando molte esperienze di risignificazione dei luoghi e nei luoghi più marginali e sofferenti di progettualità. Luoghi e piccoli paesi non da intendersi come entità metafisiche o astoriche, ma come luoghi storici, collocati entro uno spazio geografico e umano, quindi luoghi da trasformare, da ripensare, da riprogettare, luoghi (e senso dei luoghi) come “costruzioni antropologiche” (Teti, 2004: 4)» (Broccolini, 2017).
A Pianellu e nella sua pieve, altre azioni simili sono state quelle di recupero di un castagneto abbandonato e quello di un solo castagno, quasi unico e molto particolare. I due “salvataggi” sono stati possibili grazie alla collaborazione con i Muvrini, gruppo di musica còrsa con cui Jean Charles Adami canta in alcune occasioni. Il gruppo, il cui nome è mutuato da quello dei piccoli mufloni autoctoni dell’isola, è nato nel 1979, fondato dai fratelli Jean-François e Alain Bernardini, è molto conosciuto in Francia e famoso anche in altri Paesi europei. Ha ottenuto notorietà grazie alla sua musica ma anche al messaggio pacifista trasmesso attraverso i testi contro il razzismo, la prevaricazione e la discriminazione.
Nel 2002 i Muvrini danno vita ad “Umani. Fundazione di Còrsica”, che attualmente ha circa 4.200 membri distribuiti in molti Paesi del mondo, e che promuove cinque programmi attraverso i quali porta avanti iniziative ed azioni di promozione del patrimonio naturale, culturale ed umano, nello scambio di esperienze, per contribuire alla risoluzione di problemi legati all’ecologia e a diverse tematiche sociali [4]. Uno dei cinque programmi, denominato Terranea, è quello attraverso il quale Pianellu è stato aiutato a recuperare l’uso del castagneto che ha riacquistato anche il suo valore economico, nel rispetto dell’ambiente naturale [5]. Il progetto relativo al singolo castagno invece riguarda una storia molto intensa: nel 2010, durante un viaggio ad Amsterdam, i Muvrini hanno modo di avere una talea del castagno che da più di cento anni si trovava nel giardino della casa al numero 263 di Prinsengracht, in cui Anna Frank e la sua famiglia si nascosero prima della loro cattura. La talea dell’albero, di cui si narra in molte pagine del suo tristemente noto Diario, è stata ripiantata a Pianellu, in un piccolo triangolo di terra sulla strada che va verso cimitero, e ogni anno il Foyer Rural organizza delle attività in cui esso è il protagonista, come simbolo di pace e fratellanza, a perenne ricordo di eventi che non si devono dimenticare [6] .
Nel corso di un incontro avvenuto a Roma il 24 maggio 2018 nella sede dell’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia (ICPI), i confratelli di Pianellu avevano parlato della confraternita e del Foyer come di un terzo spazio intermedio fra il primo, costituito dalla società civile ed il secondo che è quello ecclesiastico. Il terzo spazio si trova fra questi due e non è né ecclesiastico, né laico, ma accoglie persone che provengono da entrambi; con le attività che si svolgono al suo interno, come i progetti sopracitati, si cerca di coprire le esigenze di chi si sente parte del primo e del secondo spazio, con l’intenzione di evitare sovrapposizioni scomode fra i due ambiti, ma favorendo il dialogo e la cooperazione.
In questo spazio intermedio si può collocare Jean Charles Adami, figura fondamentale per la nostra ricerca, che ci ha facilitato la conoscenza del territorio e delle persone coinvolte nella vita confraternale e associazionistica. Oltre a lui, nel terzo spazio si collocano anche le attività a cui abbiamo potuto partecipare: l’assemblea del Foyer Rural, una proiezione di fotografie – ambedue il 18 agosto – e la festa di San Vincente, celebrata il 20.
Già nel corso dell’incontro all’ICPI avvenuto a maggio 2018, Jean Charles Adami si era implicitamente presentato all’auditorio come figura guida delle due componenti del terzo spazio, e nel corso dei giorni trascorsi in Còrsica, si è potuto constatare il ruolo di riferimento che la comunità gli riconosce. È probabile che dagli anni ’90 Jean Charles Adami abbia cominciato a strutturare il proprio pensiero relativo al suo ideale modello di vita, da praticare e da diffondere fra le persone a lui più o meno vicine.
In paese Jean Charles Adami divide il suo tempo fra il lavoro agricolo intenso che gli impone la cura dei bovini, dei cavalli e della sua tenuta, le attività della confraternita e dell’associazione. Come diacono non ordinato e responsabile della confraternita per Pianellu, si trova spesso a dover supplire al lavoro del parroco con quelle persone che hanno nei confratelli un saldo punto di riferimento. Le sue azioni sono volte a creare una rete efficace ed utile all’interno della comunità. Per rendersi credibile in tale contesto, egli vive secondo le regole che rimandano, come lui stesso afferma, ad un cristianesimo arcaico, primitivo, radicato alla terra, che riconosce valori quali il silenzio e la riflessione solitaria, non tanto esponendo esplicitamente le sue idee ma praticandole, nella speranza che altri possano seguire il suo esempio. Così, nel corso dell’intervista concessaci, ha esposto il suo pensiero dicendo più volte che è necessario fare, non parlare: «Ho parlato per tutti quelli che sono cattolici o no. Non ho spiegato tanto. Tu devi essere chiaro se hai un progetto in testa, anche senza doverne parlare tanto. Quello che spiego a voi non lo spiego in Pianello, lo faccio senza dirlo»[7].
Jean Charles Adami si rifà, nel pensiero e nell’azione, all’agire e al sentire delle persone che vivono e che hanno vissuto legate al lavoro della terra, che si muovono in un contesto locale, ma non ristretto: si deve partire dal lavoro della terra perché è quello che ti permette di essere autonomo economicamente e spiritualmente, comprendendo, per mezzo di un lavoro gratificante ma difficile e faticoso, quali siano gli elementi essenziali per poter vivere serenamente. Al lavoro solitario è però indispensabile affiancare la condivisione, espressa con azioni portate avanti coralmente, per recuperare e riempire di senso la vita comunitaria.
In diverse occasioni, è apparso in modo molto chiaro il suo alto livello di coscienza antropologica, soprattutto rispetto alle questioni patrimoniali e alle problematiche sociali, locali e globali, e alla propria funzione nel sistema comunitario. In questo complesso contesto, Jean Charles Adami si colloca come un “arcaico”, indicandoci chiaramente le coordinate che lo definiscono come persona e personaggio: ribadisce in più occasioni che la vita da contadino la si può fare se si è paesani, altrimenti non resisti alla solitudine imposta dal lavoro; bisogna essere coscienti dello spazio che si vuole occupare e del lavoro indispensabile per poterlo fare. Il suo forte legame con la terra, con i suoi spazi, ci fa comprendere quanto per lui essi siano «luoghi che mostrano i “nessi fondamentali” delle relazioni, luoghi risorsa fondanti una nuova idea di civiltà complessiva che si sta facendo avanti» (Broccolini, 2017) [8].
Il suo arcaismo, che fa sentire Jean Charles Adami più vicino ai pigmei incontrati in Camerun [9] piuttosto che ai francesi del continente, si ritrova in altri confratelli, nella loro passione per il canto polifonico, nel nome dei Muvrini che, attraverso le piccole capre autoctone li lega alla terra, nel nome del Foyer Rural, ma anche in un libro di favole còrse. Nell’introduzione al libro E fole di ziu Antonu, l’autore Antonu Marielli scrive:
«Ci so dinò i ricordi di tutti issi foli letti da mè è di ciò ch’aghiu intesu cuntà in la me vita da i più anziani. sta manera di pinsà da Corsu, di ritruvà l’imaginariu nustrali cù st’antùculi, st’anima paisana, sti finzioni, stù lessico arcanu, vularia chì a nòscia ghjenti è dinò quiddi chi voni capìscia u nòsciu campà lighjìssini ciò chi li voddu cuntà» (Marielli 2015: 1)
In queste poche righe ritroviamo la cultura orale tramandata dagli anziani, la maniera di pensare còrsa, l’immaginario nostrano, l’anima paesana, il lessico arcaico: tutti temi cari a Jean Charles Adami. Egli, nonostante il suo pensiero laico rispetto a temi come il divorzio, l’aborto o l’omosessualità, dichiara di rifarsi alla dottrina cattolica e afferma di aver trovato un utilissimo punto di riferimento nell’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco (2015). Probabilmente è in passi come questo che Jean Charles Adami trova conferma della legittimità del cammino intrapreso:
«L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio i modelli di sviluppo, produzione e consumo. […] Come i diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di conoscere e comprendere. […] È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e l’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura» (Francesco, 2015: 106-7).
«Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più diretto, chiede di prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano questioni legate all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio tecnico-scientifico con il linguaggio popolare. È la cultura non solo intesa come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la relazione dell’essere umano con l’ambiente» (Francesco, 2015: 111).
Alla luce di quanto è stato possibile osservare ed assimilare nei giorni passati in Còrsica, alla luce di quanto affermato nel secondo articolo della Convenzione di Faro (2005), possiamo considerare che sia la Confraternita del Santissimo Crocifisso, sia il Foyer Rural, grazie al lavoro che svolgono, ricadano nella definizione, da Alessandra Broccolini definita “virale”, di comunità di eredità «costituita da un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici dell’eredità culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future»[10].
Pur avendo il canto una centralità indiscussa nel lavoro della confraternita, per la risignificazione degli spazi e del loro uso, concorrono alla definizione di comunità di eredità molti altri fattori legati al Foyer Rural al fine della riqualificazione del territorio e alla valorizzazione delle risorse umane, unitamente ai loro saperi e alla loro trasmissione. Come è stato evidenziato da Alessandra Broccolini nel suo articolo “Le “comunità di eredità” come democrazie del fare”, ci siamo trovati di fronte ad uno scenario che ha messo i soggetti in posizione più centrale rispetto a quello che avveniva in passato, spostando quindi la definizione di patrimonio immateriale alla forma di vita e alle sue pratiche. La retorica dell’attore sociale principale ha spostato l’asse verso le pratiche patrimoniali locali, con l’intenzione di coinvolgere quanti più abitanti possibile, oltre le definizioni religiose o le appartenenze territoriali. La consapevolezza degli attori localmente coinvolti, la coscienza dell’importanza delle loro azioni nel “prendersi cura” del canto, della memoria comune, del castagneto, della cipolla di Moïta, del meleto antico nei pressi della cappella di San Vincente, l’osservazione di azioni di empowerment delle attività locali (Clemente, 2017: 251) hanno reso possibili considerazioni su diversi temi relativi alle azioni patrimoniali poderosamente messe in atto, anche alla luce di quanto successo a livello planetario e nazionale negli ultimi due anni.
La valenza e le molteplici implicazioni del discorso portato avanti dalla comunità di eredità di Pianellu continuano a “risuonare” negli anni successivi all’esperienza còrsa, nella quotidianità di chi scrive come in quella degli attori sociali citati in queste pagine, nelle pubblicazioni che numerose si sono succedute in questo breve, ma intenso, lasso di tempo portando a conoscenza dei molti lettori la filosofia e gli argomenti cari a Jean-Charles Adami e ai suoi confratelli e compagni. Esemplare in questo senso è il libro di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che cura la pubblicazione di alcuni suoi scambi con Papa Francesco, dialoghi sull’ecologia integrale, uno dei temi affrontati anche nell’Enciclica del 2015. Nel dialogo del 30 maggio 2018, Carlo Petrini esprime la sua preoccupazione rispetto alla separazione fra mondo laico e mondo credente che, a suo parere, potrebbe ostacolare la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità:
«Ho tuttavia l’impressione che questi due mondi, quello credente e quello laico, continuino a marciare paralleli e facciano una gran fatica a contaminarsi e a dialogare seriamente. Non c’è l’abitudine al confronto e all’azione comune tra credenti e non credenti, anche in un momento in cui le grandi sfide sociali e ambientali che abbiamo dinnanzi richiederebbero un impegno e uno sforzo condivisi da parte di tutti gli uomini di buona volontà» (Petrini, 2020: 25).
L’esperienza di Pianellu, con il suo terzo spazio, appare quindi come possibile risposta alle preoccupazioni di chi, come Carlo Petrini, riflette sulla necessità impellente di creare nuove sinergie per mitigare gli effetti dell’azione globale della popolazione sulla Madre Terra, in un’epoca definita Antropocene, parola sempre più presente nel linguaggio comune e che indica l’era in cui la presenza umana determina pericolosamente il destino di tutti gli esseri viventi e della loro grande casa comune.
Tra ecologia e religione, tra antico e futuro, tra natura e cultura. Un terzo spazio possibile
Riflettere oggi sull’esperienza di campo vissuta in Còrsica nel 2018 significa osservare quell’esperienza con occhi nuovi, rinnovati dalla distanza temporale che normalmente contribuisce a mondare lo sguardo dalle impressioni dirette dell’esperienza. Uno sguardo rinnovato anche dagli sconvolgimenti globali accaduti in questi anni, dal punto di vista ecologico ambientale. Dal viaggio in Còrsica il mondo ha conosciuto tre anni in cui le catastrofi naturali di entità e frequenza impressionanti si sono susseguite a ritmi serratissimi. Di queste, sicuramente sono rimaste impresse nella memoria collettiva le immagini degli incendi che hanno devastato parte dell’Australia sud-occidentale nel 2019, nello stesso anno parte della foresta amazzonica e quest’anno vastissime zone del Nordamerica, del Canada e in Italia, in Sardegna e non solo. Nel tempo trascorso dall’esperienza in Còrsica il mondo ha conosciuto Greta Thumberg, e i Fridays for Future che hanno mobilitato i giovani di tutto il mondo per le strade delle loro città, con la richiesta che il problema del climate change divenisse una priorità per i governi. Ad inizio 2020 poi, è comparso Sars Cov-2 e infine l’epidemia da Covid-19 che ha sconvolto le vite di tutti. Quanto accaduto ha contribuito a rendere particolarmente attuali determinate tematiche, che sono diventate una lente attraverso la quale leggere la quotidianità, spostando lo sguardo e la riflessione sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente in cui vive. Su tale rapporto e sulle conseguenze a medio-lungo termine e sulle possibilità di cambiarlo si interrogano da tempo studiosi appartenenti ad ogni ramo delle scienze, dure o umanistiche che siano. La comprensione di questo rapporto, da dove provenga, dove ci porti e come modificarlo, è una sfida prioritaria nell’attualità.
Lo scorso febbraio, grazie a Corradino Seddaiu e alla comunità di Realtà Virtuose [11] si è presentata la possibilità di un nuovo incontro (virtuale, secondo le modalità post pandemiche), con alcuni membri della comunità còrsa incontrati in quell’estate del 2018. Ed è stato estremamente interessante riflettere nuovamente con loro a seguito di quanto sopra scritto. Tramite ciò è stato possibile rileggere alcune esperienze vissute in Còrsica ormai tre anni fa. Sicuramente la durata dell’esperienza di campo non consente di giungere a conclusioni che sarebbero affrettate, è possibile tuttavia impostare qualche riflessione, e certamente porre qualche quesito per il prosieguo della ricerca.
In primo luogo è stato interessante notare, quanto alcune delle riflessioni sollevate durante la permanenza dagli amici della Confraternita del SS. Crocifisso, siano di stretta attualità nel dibattito antropologico internazionale. Sul concetto di ‘attualità’, si intende qui l’utilizzo che ne fa Michel Foucault quando parla di ‘ontologia dell’attualità’. Semplificando, per Foucault, «l’ontologia dell’attualità si configura, in primo luogo, come storia delle condizioni di possibilità della nostra esperienza attuale»[12]. ‘Attuale’ e ‘presente’ sono inoltre per il filosofo francese concetti molto diversi, «L’attuale non è ciò che noi siamo, ma piuttosto ciò che diveniamo, ciò che stiamo diventando, ossia l’Altro, il nostro divenir-altro. Il presente, al contrario, è ciò che siamo e, proprio per questo, ciò che già non siamo più. L’attuale è [...] l’adesso del nostro divenire»[13].
Cercando di ricondurre all’esperienza etnografica in questione simili concetti filosofici, si sono verificate determinate ‘condizioni di possibilità’ che hanno consentito alla Confraternita del SS. Crocefisso di impostare il progetto ‘attuale’. Approfondire l’importanza di tali condizioni potrebbe essere un interrogativo interessante per futuri sviluppi della ricerca. Riflettendo nel merito sono state importanti le esperienze vissute insieme a Jean-Charles Adami. È difficile anche parlare della confraternita assimilabile ad un blocco granitico di convinzioni, egli stesso ha più volte ripetuto che ognuno si approccia ai progetti della confraternita con la propria sensibilità; nonostante questo, dalle sue riflessioni emerge l’influenza della già citata enciclica “Laudato si’”, scritta da Papa Francesco il 24 maggio 2015 e resa pubblica il 18 giugno. Quest’enciclica, oltre che per la confraternita, è centrale anche nel dibattito ecologista internazionale, poiché costituisce una chiara presa di posizione del Vaticano in merito al tema del rapporto tra l’uomo e l’ambiente in merito alla questione del cambiamento climatico.
Il lavoro più evidente dei membri della Confraternita, ispirato dall’enciclica di Papa Francesco si concentra sulla proprietà delle sementi e sul recupero di varietà vegetali antiche, attraverso il progetto “Custodi di u creatu”. Jean-Charles Adami ha impostato sui princìpi contenuti nell’enciclica anche la modalità di allevamento e selezione dei capi di bestiame che possiede.
Durante la permanenza in Còrsica è stato possibile visitare la sua proprietà, un terreno di pochi ettari a Novallonga, una porzione di territorio tra il comune di Aleria, sulla costa, e quello di Pianellu, in montagna, nel quale Jean-Charles Adami tiene alcuni capi di bestiame, bovini di razza còrsa da lui selezionati perché capaci di adattarsi meglio al territorio e al tipo di allevamento allo stato brado da lui utilizzato.
È stato possibile inoltre assistere alla distribuzione del fieno. La visita alla proprietà è avvenuta in estate, con un terreno secco e brullo, e per questo motivo in quel periodo i bovini venivano aiutati con il fieno una volta al giorno. Tuttavia, qualora fossero rimasti senza per una giornata, gli animali non avrebbero risentito di tale mancanza, vista l’elevato grado di adattabilità alle condizioni avverse della razza selezionata. Per quanto riguarda l’approvvigionamento di acqua gli animali avevano possibilità di abbeverarsi in un piccolo torrente. Jean-Charles Adami non possiede stalle o altri ricoveri nei quali tenere i bovini al chiuso e racconta che ciò è dovuto sia al tipo di allevamento utilizzato, sia al fatto che la razza di bovino che alleva è una razza da carne, non necessita quindi di stazioni di mungitura. È una razza tanto nevrile che nemmeno il parto deve essere assistito o avvenire al chiuso. Le vacche gravide, infatti, nel momento del parto si allontanano dalla mandria anche per due settimane, per poi tornare con il vitello al seguito. Il fieno viene lasciato in uno stazzo.
Per richiamare la mandria allo stazzo per la distribuzione del fieno, viene utilizzato un particolare richiamo. Jean-Charles Adami si dirige verso lo stazzo caricando le balle sul suo fuoristrada e nel tragitto si sporge dal finestrino per chiamare gli animali. Più volte durante la strada che conduce allo stazzo ferma la macchina, scende ed emette dei versi molto particolari. La trascrizione può essere qualcosa di simile a “TEAH”, ma il modo in cui questo verso viene prodotto è sequenziale, due volte in maniera molto rapida e contratta, una volta in maniera più lunga, e un’ultima molto più estesa delle altre, con la “E” molto allungata. Tutte eseguite a voce altissima. Il richiamo risuona nella vallata sottostante e presto, dalla vegetazione lungo il torrente, arrivano i versi degli animali in risposta. Mentre continua a chiamarle, spostandosi verso lo stazzo, gli animali emergono dal sottobosco, in fila ordinata. Secondo lui le vacche vanno chiamate, e probabilmente, se un altro imparasse la stessa sequenza di versi, non avrebbe possibilità di trovarle, se non una volta che loro si siano abituate alla voce. “Le vacche hanno bisogno del suono per fare il gruppo” ha detto in italiano “Come i cristiani” ha concluso.
Anche dopo aver visto i suoi animali Jean-Charles Adami ha continuato a chiamarli mentre si avvicinava allo stazzo, facendo da guida ai suoi capi. L’utilizzo della voce per lui ha una valenza particolare di cui avremo modo di parlare in seguito, sia nel suo rapporto con le persone che con gli animali. Anche dopo averle nutrite. Dalla casa all’interno della proprietà, ogni tanto ha interrotto la conversazione per affacciarsi dalla porta e farsi sentire dai suoi animali: “devono sapere che ci sono” ci ha spiegato.
Simili esperienze favoriscono una riflessione sul rapporto dell’uomo con l’ambiente che lo circonda. Azioni volte al recupero delle sementi e alla catalogazione di quelle fra di esse più antiche sono inoltre da intendere come azioni con una valenza politica. Il progetto nel quale la confraternita è coinvolta è stato infatti presentato come il tentativo assolutamente non violento e propositivo di cercare l’indipendenza attraverso la proprietà delle sementi e l’autosufficienza alimentare. Il passato tragico che quest’isola ha vissuto sino a pochi decenni fa in tema di indipendentismo può essere evidenziata come un’altra ‘condizione di possibilità’. Anche in questo caso con esperienze e sensibilità diverse, i membri della confraternita sono stati toccati in prima persona, in quanto còrsi, dalle conseguenze della violenza dei movimenti indipendentisti. Osservare in che modo le idee ecologiste e quelle indipendentiste si connettono e interagiscono all’interno dell’operato della confraternita è un altro possibile spunto di approfondimento futuro. Questo tema infatti, non è emerso solo durante l’intervista che Jean-Charles Adami ha concesso, è stato un tema ricorrente che ha caratterizzato numerose delle conversazioni avute con i membri della confraternita e non solo. Di particolare rilevanza in merito è stata l’ultima sera della nostra permanenza nell’isola. Jean-Charles Adami e l’amico e confratello Jean-Marc Pellegri ci hanno portato ad ascoltare un concerto del già citato gruppo dei Muvrini. È interessante notare l’affinità di idee con questo gruppo musicale, che non ha mai mancato di prendere posizione in merito all’indipendentismo còrso.
«Jean François Bernardini ha usato la sua fama e i suoi mezzi per parlare in parecchie occasioni. Nel maggio 2003, ha pubblicato “una lettera aperta alla signora Erignac” (la vedova del prefetto còrso, assassinato nel 1998) in cui ha analizzato pubblicamente i motivi dietro la violenza sull’isola che, secondo lui, era il risultato degli anni di condizione continua di minoranza della Còrsica e di ingiustizia. La lettera ha suscitato polemiche e Jean François Bernardini per giustificare i suoi punti di vista ha pubblicato “il carnet di Sarah”, una collezione di testi letterari scritti per riscattare l’immagine della Còrsica sul continente francese» [14].
Il tipo di impegno profuso tanto dal gruppo musicale, e dalla fondazione da loro creata, quanto dalla confraternita, nelle persone di Jean-Charles Adami e Jean-Marc Pellegri, è di tipo certamente politico, ma assolutamente non violento (prerogativa imprescindibile in entrambi i casi) e volto ad ottenere gli obbiettivi politici attraverso la promozione del patrimonio naturale, materiale e immateriale dell’isola, coniugando spinte culturali ed ecologiste in un progetto organico.
A questo tipo di impegno si aggiunge quello religioso. Come già specificato, la confraternita si pone come componente della vita religiosa della Pieve (il territorio nel quale la confraternita opera, che comprende Aleria, sulla costa e Pianellu, in montagna), coadiuvando l’operato delle autorità religiose in un territorio difficile e spesso composto di comunità sempre meno popolose. In quest’ambito la confraternita non si limita al repertorio di canti religiosi insieme ai quali vengono celebrate cerimonie e processioni, bensì fornisce un aiuto pratico anche nella gestione dei beni materiali legati alla chiesa, nel supporto ai fedeli delle comunità della Pieve e nell’organizzazione e nella gestione delle festività ricorrenti, di cui abbiamo avuto un meraviglioso esempio con la Festa di San Vincente.
Questa confraternita, con i suoi canti religiosi e profani, si pone come fulcro e forza motrice di una serie di spinte apparentemente molto lontane se non addirittura contrastanti. Ponendosi, sì, come terzo spazio tra una dimensione religiosa e una laica, ma coniuga al suo interno l’attenzione ai temi dell’ecologia e della progettazione e costruzione di un rapporto diverso con il “creato”, un progetto politico e non violento che porti la Còrsica ad essere proprietaria delle proprie sementi, la volontà di mantenere vive festività religiose importanti in un territorio afflitto dall’abbandono e dal deperimento del patrimonio materiale e immateriale.
Emerge il progetto di far convivere un contesto umano da preservare, in un ambiente naturale di cui riappropriarsi. In questo senso, la confraternita si pone come terzo spazio non solo tra sacro e profano, ma anche tra natura e cultura, un dualismo con il quale l’antropologia da tempo si confronta in maniera critica.
«L’oggettivazione sociale di quanto chiamiamo natura non piò essere dissociata dal modo in cui gli umani si oggettivano a loro volta. Entrambi i processi si basano su quella configurazione delle idee, delle pratiche e dei valori che, in seno a ogni società, definisce la concezione del sè e dell’altro; entrambi i processi implicano la definizione di frontiere, l’attribuzione di identità, l’elaborazione di mediazioni culturali» [15].
È stato illuminante ascoltare Jean-Charles Adami e Jean-Marc Pellegri, nella conversazione on line di febbraio, parlare proprio di ridiscussione del concetto di frontiera e di identità, di necessità di riprogettare il rapporto dell’uomo con ciò che lo circonda, di quanto sia importante prendersi cura di ciò che Jean-Charles Adami chiama “Patrimonio Vivo”. Questa definizione mi sembra proponga il definitivo superamento del dualismo ontologico natura-cultura, basandosi proprio su ciò che accomuna l’uomo, le sue pratiche, il suo patrimonio, con l’ambiente circostante: la necessità di cambiamento. Vivo non è solo ciò che respira, è tale l’insieme di pratiche e di feste religiose che la confraternita si sforza di mantenere, adattandole al contesto attuale senza snaturarle; vivo è il vastissimo repertorio di canti che la Confraternita utilizza, così come le sonorità còrse che I Muvrini fondono con la musica pop generando quel timbro inconfondibile; vivo è l’insieme di piante, semi e animali, di sentieri e pascoli, di spiagge e campi che la confraternita si sforza di tutelare, conservare, utilizzare. Nella percezione di arcaismo che Jean-Charles Adami ha di sé, nella sua vicinanza ai pigmei che ha incontrato, riecheggia il monito di Philippe Descola:
«L’analisi delle interazioni tra gli abitanti del mondo non può più limitarsi all’ambito delle istituzioni che reggono la vita degli uomini, come se ciò che abbiamo decretato essere esterno a loro fosse solo un conglomerato anomico di oggetti in attesa di un senso e di un’utilità. Molte cosiddette società “primitive” ci invitano a superare tale barriera: esse non hanno mai pensato che le frontiere dell’umanità si arrestassero alle porte della specie umana […]. Oggi l’antropologia è dunque confrontata con una formidabile sfida: scomparire insieme a una forma di umanesimo ormai superata, oppure trasformarsi ripensando il proprio ambito e i propri strumenti in modo da includere nel suo oggetto di studio molto più dell’anthropos» [16].
Conclusioni
A conclusione di quanto scritto sin qui, del percorso dei protagonisti del nostro contributo, ci è sembrato significativo concludere con le vive parole di Jean-Marc Pellegri che riassumono con l’efficacia, la lucidità e la semplicità di chi vive queste tematiche dall’interno, nel proprio quotidiano, il pensiero in merito agli argomenti trattati, collegandosi con tematiche ben più grandi dell’iniziativa della confraternita, ma che lasciano intendere l’orizzonte nel quale questi attori sociali si muovono.
«Noi siamo figli di una terra – e quando dico questo per me è tutto il Mediterraneo – che ha sempre accolto la gente. Ora non vuole più, e la risposta di tanti per dire “io non voglio migranti, non voglio immigrati”, è una risposta di tipo identitario. ‘Identità’, per tanta gente in Europa è un modo per ricusare l’altro. Noi diciamo che non è questo. L’identità è aperta, e quando si lavora con l’identità, l’abbiamo fatto con la Confraternita […] Quando si legge nell’enciclica ‘Laudato Si’’ che il papa parla e spiega benissimo la parola ‘ecologia integrale’. È questa la strada dell’identità, ecologia integrale che fa posto agli altri. È sempre stato questo il lavoro della confraternita. Quando siamo andati a cercare il canto…il canto non è niente, è una maniera di incontrare l’altro, questo è il canto. Abbiamo lavorato su questo e ci siamo accorti che la biodiversità è un legame tra l’uomo e la terra e il canto è il mezzo per comunicare» [17].
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
[*] Flavio Lorenzoni è autore del paragrafo Tra ecologia e religione, tra antico e futuro, tra natura e cultura. Un terzo spazio possibile, mentre Francesca R. Uccella è autrice di quello intitolato Vivere il patrimonio: antiche risorse per una nuova consapevolezza.
Note
[1] Ambedue autrici di altri due contributi nel presente numero di Dialoghi Mediterranei.
[2] “A cunfraterna di A Serra hà salvatu a cipolla di Moïta”, Corse Matin, 11 febbraio 2017:.23.
[3] “Una carovana di trattori per le lenticchie: così Castelluccio prova a rialzare la testa”, Il Messaggero, 4 aprile 2017
https://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/lenticchie_castelluccio_trattori_carovana-2359588.html
[Ultima data di consultazione: 10 novembre 2018].
[4] http://www.afcumani.org/lafc.html [Ultima consultazione: 10 novembre 2018].
[5] Gli obiettivi principali del programma Terranea sono la sovranità alimentare, la ricostruzione dei legami sociali e di quello – considerato di primaria importanza – fra uomo e territorio, e la salvaguardia del patrimonio e della ricchezza degli spazi naturali. http://www.afcumani.org/terranea.html [Ultima consultazione: 10 novembre 2018].
[6] Quest’anno, domenica 5 agosto, è stato organizzato In giru à l’arburu, lettura del Diario di Anna Frank e discussione di temi legati all’identità, all’esilio e all’esodo.
[7] Intervista a Jean Charles Adami. Novallonga, 22 agosto 2018.
[8] Alcune delle frasi che Jean Charles Adami pronuncia nel corso dell’intervista del 20 agosto, ci possono aiutare a comprendere il suo discorso: «Se non sei paesano, diventi scemo/ Non basta tornare alla terra, c’è un modo per tornare alla terra/ Non c’è molto da spiegare, c’è da fare/ La terra è il primo scalino per salire in paradiso/Noi siamo il sale della terra. Il pane senza sale si può mangiare, ma non è più lo stesso».
[9] Nel corso dell’intervista del 22 agosto 2018, Jean Charles Adami parla di un’esperienza di viaggio in Camerun durante la quale ha avuto modo di conoscere una comunità di Pigmei e di scambiare con loro esperienze relative alla coltivazione delle rispettive varietà autoctone; egli racconta di una grande intesa reciproca.
[10] Convenzione Quadro del Consiglio d’Europa sul Valore dell’Eredità culturale per la società (2005): 5.
[11] Realtà virtuose | Facebook [Ultima Consultazione: Agosto 2021]
[12] Domenicali F., Foucault e l’ontologia dell’attualità, in Vignola P. (a cura di), Il clamore della filosofia. Sulla filosofia francese contemporanea, Mimesis, coll. “Filosofie”, Milano 2010: 141-154.
[13] Deleuze G., Guattari F., Che cos’è la filosofia?, Torino, Einaudi, 1996: 106.
[14] Muvrini info | I Muvrini e la Còrsica (wordpress.com) [Ultima consultazione: Agosto 2021]
[15] Descola P. (2021), Oltre natura e cultura, Raffaello Cortina Editore, Milano: X
[16] Ibidem:10
[17] Estratto dell’intervento di Jean-Marc Pellegri all’incontro tenuto in diretta su Facebook nella pagina “Realtà Virtuose”, Febbraio 2021.
Riferimenti bibliografici
A cunfraterna di A Serra hà salvatu a cipolla di Moïta, Corse Matin, 11 febbraio 2017.
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Clemente, P. (2017), Patrimonio culturale a antropologia applicata. Bilanci, in Bonetti, R. e A. Simonicca (a cura di), Etnografia e processi di patrimonializzazione, Cisu, Roma: 251-270.
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Sitografia
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Pagina Facebook di “Realtà Virtuose”
Realtà virtuose | Facebook
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Flavio Lorenzoni, antropologo culturale laureato in Discipline Etnoantropologiche presso l’Università di Roma La Sapienza, dove ha conseguito anche il Diploma della Scuola di Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici. Tra i suoi interessi di ricerca: etnografia nei contesti legati al tifo calcistico, processi di costruzione del sé, e di patrimonializzazione, antropologia ambientale e rapporto tra essere umano e ambiente. Attualmente è ricercatore a progetto presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche dell’Università di Roma La Sapienza e fa parte della redazione della rivista AM Antropologia Museale.
Francesca R. Uccella, laureata in Lettere e Filosofia con una tesi in Etnologia delle Culture Mediterranee, dopo un Master in antropologia sociale e culturale conseguito presso l’Universitat de Barcelona, inizia un dottorato su temi legati alla patrimonializzazione letteraria dei luoghi, studiando le modalità di patrimonializzazione fra Catalogna e Italia. Consegue la Specializzazione in Beni Demoetnoantropologici presso La Sapienza. Trai i suoi interessi lavorativi e di ricerca anche la creazione di itinerari letterari. Attualmente è ricercatrice a progetto presso il Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Facoltà di Sociologia dell’Università La Sapienza di Roma.
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