di Amelio Pezzetta
Introduzione
Per cultura dell’acqua s’intende l’insieme delle credenze, tradizioni, simboli, valori, creazioni artistico-letterarie, proverbi, termini linguistici, conoscenze tecnologico-produttive e oggetti materiali legati all’acqua e al suo uso. Tenendo conto di tale definizione, nel presente saggio si analizzano e descrivono i tratti tipici della cultura a Lama dei Peligni, un Comune della Provincia di Chieti alle falde della Majella. A tale scopo si utilizzano i dati di un’inedita ricerca archivistica e bibliografica dello scrivente, altre conoscenze personali derivanti dal vissuto nel luogo e le fonti orali della popolazione locale che si è negli ultimi anni drasticamente ridotta (Pezzetta 1994, 2015, 2019). È appena il caso di precisare che il paese è stato sottoposto a profonde trasformazioni del tessuto socio-economico che hanno portato all’abbandono di molti tratti della cultura agro-pastorale, mentre altri sono stati recuperati e rifunzionalizzati. La consapevolezza di tali cambiamenti è stato l’input che ha spinto a fare la ricerca.
L’acqua, civiltà e miti
È noto che l’acqua è una sostanza essenziale per la vita di ogni organismo vivente. Nell’uomo costituisce circa il 70% dei tessuti e favorisce varie funzioni fisiologiche. La Terra è coperta per il 71% di acqua di cui oltre il 97% è salata, il 2% circa è trattenuto nei ghiacciai e solo l’1% del totale è disponibile per gli organismi viventi. Tuttavia la disponibilità idrica non è sempre costante poiché può essere limitata da vari fattori.
L’acqua si usa per dissetarsi, entra nella composizione del cibo e ha reso commestibili prodotti altrimenti immangiabili (Teti 2003). Alle sue funzioni di risorsa vitale, aggiunge diversi valori economici e culturali. Infatti: è un’importante fonte energetica; è un bene oggetto di trattazione giuridica; favorisce le attività ludico-ricreative; è un elemento a cui tutte le religioni assegnano simboli sacri ambivalenti di vita e di morte, la capacità di purificare e rigenerare; in molti riti, miti e leggende è il principio della creazione e/o la sede di creature divine. Ad avviso di Profeta «L’acqua ha tre caratteristiche principali: la quantità superiore a ogni altro elemento, la forza aggressiva e invasiva della liquidità che porta alla mescolanza… e il privilegio che potremmo chiamare dell’eterno ritorno» [1]. Secondo Cusumano l’acqua: «È un bene eminentemente simbolico, è uno degli elementi vitali di fondazione mitica, fonte biologica della vita, ha a che fare con epifanie e cosmogonie, con religioni, riti e culti che attraversano e connotano le culture più lontane e diverse» [2]. Teti ha evidenziato che «Nel tempo e nello spazio l’acqua ha agito come fattore di configurazione identitaria, elemento aggregante, materiale e simbolico d’intere civiltà e marcatore decisivo della realtà e della rappresentazione dei diversi mondi in cui gli uomini si trovano a vivere» [3]. A causa dell’impossibilità di poterla controllare e per la sua natura ambivalente di vita e di morte, Satta ha fatto presente che «Le diverse culture hanno elaborato sistemi per esorcizzare il negativo che la sottende; l’acqua viene inglobata sotto la protezione divina. Nascono in questo modo divinità e riti preposti al suo culto» [4].
Nella mitologia greca, gli dèi e gli esseri umani si originarono da Oceano e Teti; Afrodite nacque dalla schiuma del mare, Poseidone presiede le acque del mare; le ninfe erano poste a guardia delle acque. L’acqua era una via da percorrere per accedere al regno dei morti e simboleggia i misteri della vita dove nascita e morte, passato, presente e futuro s’intrecciano. I Romani accolsero vari modelli mitologici greci, costruirono ingegnose opere idrauliche e associarono all’acqua altre funzioni, simbolismi e divinità. Per i Celti le sorgenti, gli stagni, le paludi e le confluenze di fiumi erano luoghi sacri, carichi di valenze spirituali ove si deponevano gli ex voto e facevano sacrifici [5].
Nella religione cristiana, l’acqua purifica, rigenera e contribuisce a far rinascere come uomini nuovi, liberi dal peccato e dalla schiavitù. Nei Vangeli, l’acqua è anche simbolo di conoscenza e di saggezza. Infatti, secondo il Vangelo di Giovanni, Gesù Cristo promise l’acqua della conoscenza spirituale che disseta per l’eternità. Con l’acqua santa si benedicono cose e persone a fini propiziatori. San Francesco nel Cantico delle Creature umanizza l’acqua, la definisce “sora acqua” e dice che è “umile preziosa e casta”.
All’acqua sono legate: una nuova nascita simbolica, la capacità di guarire molti mali, ritornare in vita dopo la morte e varie virtù terapeutiche, magiche e miracolistiche. Per questi motivi ancora oggi ci sono persone che frequentano fontane, sorgenti, grotte e altri luoghi con acque che si ritiene possiedano tali requisiti. Le tradizioni passate e recenti assegnano all’acqua anche pregiudizi e valori negativi. Infatti, nelle acque si può trovare la morte; hanno origine malattie infettive e febbri violente; nascono o risiedono organismi patogeni, animali pericolosi e mostri terribili e orripilanti.
Le acque sono fonte d’ispirazione e occupano un ruolo importante anche nella toponomastica in cui sono presenti denominazioni che non riguardano solo gli idronimi quali fiumi, laghi, ruscelli, sorgenti, stagni e torrenti, ma tutto ciò che direttamente o indirettamente fa riferimento all’elemento in esame. In generale si può dire che i toponimi hanno una notevole importanza antropologica poiché: sono elementi fondamentali che contribuiscono alla connotazione identitaria dell’ambiente fisico; forniscono indicazioni su vari aspetti riguardanti l’economia, il paesaggio, la storia, la geografia e le sovrapposizioni linguistiche derivanti dalle parlate dei popoli che nel corso dei tempi si sono avvicendati nei luoghi a cui fanno riferimento. Scorrano a sua volta ha sottolineato che «I toponimi assumono un valore culturale di particolare rilievo tanto più che rappresentano una componente significativa della memoria storica del territorio» [6].
Nel mondo contemporaneo l’acqua assume un valore diverso in base alle condizioni sociali, ambientali e culturali delle persone. Essa è un’importante risorsa per la vita individuale, il cibo, la cultura, la salute, le attività ricreative, lo sport, l’istruzione, l’economia, l’integrità ambientale, la produzione alimentare, industriale ed energetica. Per focalizzare l’attenzione sull’importanza di questo bene e richiamare alla necessità che sia utilizzato in modo responsabile, le Nazioni Unite hanno istituito per il 22 marzo di ogni anno, la celebrazione della Giornata Mondiale dell’Acqua. In vista di questa data si discute di risorse idriche, dell’importanza dell’irrigazione, dell’inquinamento e di esempi virtuosi sull’uso delle acque.
Lama dei Peligni: il territorio fisico, le precipitazioni e l’agricoltura locale
Il territorio comunale di Lama dei Peligni copre una superficie di circa 31 kmq, è disposto nel versante orientale della Majella e conta circa 1.100 abitanti. In modo schematico si può dire che è costituito da vari tipi di rocce sedimentarie che risalgono a diverse ere geologiche (Pezzetta 1991). La fascia montana posta oltre 750 metri d’altitudine è costituita da formazioni rocciose di natura calcarea ove l’acqua s’infiltra tra le fessure, raggiunge il sottosuolo ed esercita un’azione corrosiva provocando la creazione di grotte e anfratti fino a riaffiorare nelle zone di contatto con i terreni impermeabili o tra gli strati rocciosi.
La fascia inferiore è costituita da terreni argillosi, suoli a scheletro calcareo, marne, sabbia, depositi alluvionali e strati alternati di varie formazioni rocciose. In varie parti i suoli calcarei di natura permeabile coprono i terreni argillosi che a loro volta sono impermeabili. Durante le precipitazioni, le acque meteoriche s’infiltrano nei terreni calcarei e scorrono sopra gli strati argillosi. Negli ambiti in cui gli strati d’argilla riaffiorano, si rinvengono sorgenti varie che hanno rivestito una notevole importanza per l’economia locale del passato. Nel fondovalle, a circa 3 Km dal colle in cui sorge il paese, scorre il fiume Aventino, un affluente del Sangro lungo circa 40 Km che in diversi tratti segna i confini comunali.
Il clima del luogo, definibile submediterraneo di transizione, presenta le seguenti caratteristiche pluviometriche: precipitazioni medie annue di circa 800 mm poste in un intervallo compreso tra 400 e 1000 mm; massimo di precipitazioni a novembre con circa 94 mm seguito da un massimo secondario a marzo con circa 71 mm; precipitazioni minime ad agosto con circa 39 mm; stagione con precipitazioni più abbondanti l’autunno con circa 244 mm; stagione con precipitazioni minime l’estate con circa 133 mm (Pezzetta 1994). Nel periodo invernale sono frequenti le nevicate che salvo casi eccezionali non sono mai superiori al metro.
L’andamento annuale delle precipitazioni mostra che l’approvvigionamento idrico dovuto all’apporto meteorico, nel corso delle stagioni è variabile e, salvo le annate eccezionali, si può considerare sufficientemente adeguato. Tuttavia le fluttuazioni stagionali e mensili di piovosità spesso si ripercuotevano negativamente sulla produzione agricola generando tra la popolazione ansie e preoccupazioni esistenziali a cui seguivano particolari pratiche rituali utili a lenirne gli effetti dannosi, a invocarla o farla smettere.
Sino alla prima metà degli anni 60 del secolo scorso, nel luogo prevaleva l’economia agro-pastorale. In seguito il numero di addetti all’agricoltura e alla pastorizia è iniziato a ridursi. Nei luoghi in cui c’era una grande disponibilità idrica prevaleva l’orticultura specializzata, nel resto delle aree coltivate la coltura mista che generalmente associava foraggio e/o cereali agli alberi da frutto. Ora non ci sono più contadini e pastori e solo poche persone si dedicano all’agricoltura hobbistica curando qualche oliveto o orto.
L’acqua e la toponomastica lamese
Nel complesso i toponimi lamesi che fanno riferimento all’acqua sono oltre cinquanta. Essi, in coerenza con Pascetta (2011), sono stati raggruppati nelle seguenti categorie:
- toponimi puntiformi che comprendono le sorgenti e le opere con cui l’uomo ha utilizzato l’acqua quali cisterne, fontane, abbeveratoi, serbatoi e centrali idroelettriche;
- toponimi lineari che comprendono i nomi delle acque correnti, degli acquedotti, dei fossi, etc.;
A tali categorie sono stati aggiunti i nomi di strade, quartieri, località, borgate che hanno riferimento alle acque, al loro uso o a qualche loro elemento.
Ai toponimi puntiformi delle fontane e sorgenti appartengono: Fonte Cannella, da Capo, da Piedi, di “Canzotte”, dei Pulcini, del Callaralo (ramaio), del Tirasegno, dell’Acqua del Forno, dell’Acqua Torbida, del Lupo, della Piana di Renzo, della Pianetta, della Piazza, della Ripa, della Spogna, della Valle Adriana, delle Casette, di Ciaffone, di Don Gianpietro, di “mbrione” (dell’imbroglione), di Sant’Agata, di Sant’Antonio Abate, Martino, Pila, Tarí, Tetta e i Fontanili. A tali toponimi si aggiungono altri riguardanti le seguenti sorgenti che secondo il Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici sono presenti nel territorio di Lama dei Peligni: le fonti dell’Arciprete, di Decontra, di Lami e di Vaccarde.
Ai toponimi puntiformi costituiti dai pozzi, i serbatoi e le centrali idroelettriche appartengono: centrale Verlengia, centrale del fiume Aventino, serbatoio del Tirasegno e quello di numerosi pozzi a cui di solito si assegnava il nome dei loro proprietari.
Ai toponimi lineari appartengono: Acquedotto di Taranta, Aventino, Fosso della Pila, “le Fussuate” (il fossato), fosso Davico, fosso dell’Acqua Torbida, fosso di Sant’Anzino e il Vallone [7].
Ai raggruppamenti di cui sopra si aggiungono i seguenti toponimi inquadrabili in altre categorie:
- Contrada della Fonte, Fonte Nuova, Fonterossi, Lama, Lami, Lami Cupi, Pianimarini, Purgatoio e Valle dei Fontanili che sono indicativi di località e borgate [8].
- Via Aventino, Via Fonte Cannella e Via Pozzo che sono indicative di strade comunali;
- Grotte dell’Acqua e della bottiglia che denotano cavità presenti sul massiccio della Majella.
I toponimi di alcune sorgenti e fontane fanno riferimento a: proprietari dei terreni vicini (Fonte di Don Gianpietro, di Canzotte, dell’arciprete, di Ciaffone, del Callaralo e di “mbrione”); l’aspetto del territorio circostante (Fonte di Decontra e della Pianetta); animali ed uccelli (Fonte dei Pulcini e Fonte del Lupo); la posizione nel centro abitato (Fonte da Capo e da Piedi); l’ambito in cui sono ubicate (Fonte del Colle Sant’Agata, della Valle Adriana e della Valle dei Fontanili e del Monte Tari); i rioni e borgate che sorgono nelle loro vicinanze (Fonte delle Casette, della Piazza, di Corpi Santi, di Fonte Rossi, Lami, Pianimarini, Vaccarde, Sant’Antonio Abate, della Piana di Renzo e della Ripa) [9].
Anche il toponimo “Lama”, il più importante del luogo e il principale elemento identitario per tutti gli abitanti, è legato all’acqua. Infatti, Gasca Queirazza e altri sostengono che il termine si utilizza per designare una «depressione del terreno, avvallamento, stagno ed anche frana, smottamento lungo un pendio causato da acque piovane» [10]. Altri studiosi (Alessio1965, Caprara 1986) hanno evidenziato che il termine “Lama” è di origine prelatina, appartiene al sostrato balcanico e indica un luogo in cui l’acqua ristagna.
Anche il termine Aventino ha antiche origini. Infatti, Cianfarani (1978) sostiene che è un idronimo con radici indoeuropee e deriverebbe da “ava” che trova riscontro nell’attuale termine lettone “avuots” dal significato di fonte. Dalla sua alterazione hanno avuto origini i termini di varie lingue slave tra cui “voda” e “vodka” dal significato rispettivo di acqua e acquetta. Ad avviso di Alessio (1965), Aventino deriverebbe da “avens entis” che è un relitto del sostrato italico.
Il culto, le leggende e le credenze sull’acqua
Anche a Lama dei Peligni da un lontano passato, l’acqua è stata oggetto di culto poiché elemento ambivalente purificatore, rigeneratore e apportatore di vita, distruzione e morte. Un documento che riporta notizie riguardanti la presumibile esistenza del culto delle acque nel territorio in esame durante l’antichità, è un volume sulle memorie storiche delle parrocchie della diocesi di Chieti conservato presso l’Archivio della Curia arcivescovile. Esso contiene una dichiarazione resa nel 1840 dal sacerdote don Luigi Cianfarra in cui afferma che un tempo nelle vicinanze del fiume Aventino c’erano tre templi pagani sui quali furono fondate tre chiese cristiane intitolate a San Salvatore (un epiteto del figlio di Dio), San Clemente e Sant’Anzino. Poiché nell’iconografia le tre figure sono legate all’acqua, è da supporre che si sovrapposero ad antichi culti di divinità locali sconosciute delle acque. Forse il fiume stesso poteva essere oggetto di culto.
La seconda testimonianza la fornisce una statuetta dedicata a Ercole che risale al IV secolo e fu rinvenuta da Verlengia (1929). Il culto del mitico eroe greco si sviluppò nell’area minoica attorno al II millennio a. C. In seguito si diffuse nella Magna Grecia e tra le popolazioni italiche che lo veneravano poiché proteggeva i pastori con le loro greggi e favoriva l’abbondanza delle acque. A tal proposito Mastrocinque ha fatto presente che Ercole ammansiva le divinità e i demoni sotterranei affinché non facessero mancare l’acqua sorgiva [12]. Con l’avvento del cristianesimo il culto di Ercole fu incorporato in vari santi cristiani tra cui San Michele Arcangelo. Come rileva Scorrano (2020) tra l’Ercole pagano e l’Arcangelo cristiano esiste un’analogia iconografica poiché entrambi sono considerati guerrieri che impugnano un’arma. Infatti, San Michele è raffigurato con la spada ed Ercole con una clava. La sovrapposizione tra i due personaggi fu favorita anche dalle affinità mitologiche (Ercole uccide i mostri e l’Arcangelo abbatte il drago, simbolo del demonio).
Nel territorio lamese, all’Arcangelo è dedicato un eremo ricavato in una grotta posta sul massiccio della Majella, all’altitudine di circa 1300 metri. L’epoca n cui fu fondato è sconosciuta, ma il rinvenimento nelle sue vicinanze di reperti preistorici del Neolitico documenta che era frequentato da tempi antichissimi e probabilmente l’anfratto era considerato un luogo sacro nell’antichità. Con l’avvento del cristianesimo la sua sacralità non si dissolse e al culto di un’antica divinità che come ipotizzato poteva essere Ercole, si sostituì quello per l’Arcangelo. Un ruscello perenne presente al suo interno assicurò l’acqua e la vita a chi lo frequentò e forse fu anche oggetto di culto.
Con l’avvento del cristianesimo, il culto delle acque si trasferì anche ad altri santi tra i quali il citato San Clemente a cui si aggiunge Sant’Agata. In un passato non molto lontano, l’immaginario popolare locale assegnava proprietà galattogene alle acque che sgorgono dalla fonte di Sant’Agata che a Lama dei Peligni si trova a qualche centinaio di metri dall’ingresso in paese. Le donne vi bagnavano il seno nella speranza di avere latte più abbondante. Nel rito è insito il simbolismo dell’acqua fonte di vita e di fecondità e di conseguenza il suo contatto dona fertilità e latte.
Nell’antica Roma la ninfa Egeria era considerata un’ausiliatrice delle donne partorienti. Forse nell’area in esame, nell’antichità esisteva il culto di una figura simile a Egeria che poi fu sostituito da quello di Sant’Agata. Nel XVII secolo fu costruita una piccola chiesa dedicata alla Madonna dell’Arco a qualche decina di metri dalla fonte di Sant’Agata a conferma della sacralità del luogo.
Le acque di Sant’Agata non erano le uniche con virtù terapeutiche presenti a Lama. Infatti, in un manoscritto di storia locale, Macario (1899) scrisse che nella contrada di Lami Cupi esisteva una sorgente da cui scaturiva acqua sottoposta nel 1842 ad analisi chimiche che certificarono la loro utilità nella cura delle affezioni reumatiche e urinarie, del sistema linfatico e dell’apparato digerente.
Un altro luogo è il Vallone, in cui sono presenti pozze d’acqua sulfuree con temperatura più alta delle acque del fiume. Sino a circa sessanta anni fa il torrente era frequentato dagli abitanti locali per rinfrescarsi e nuotare. Il sacerdote lamese, Tancredi Madonna, in un suo testo autobiografico pubblicato postumo, scrisse che negli anni 20 del secolo scorso, si attribuivano alle acque del Vallone, generiche virtù terapeutiche e se ne parlava come se fosse un importante stabilimento balneare [11].
Altre prove che documentano il culto delle acque e le credenze locali in particolari loro poteri magici, le forniscono altre tradizioni del luogo. Secondo l’immaginario popolare locale, durante la notte tra il 23 e 24 giugno, vigilia della festa di San Giovanni Battista, l’universo si riempiva di eventi magici, l’acqua acquisiva particolari virtù e produceva effetti benefici su coloro che la usavano. Per questo motivo, la sera della vigilia della festa, le donne nubili mettevano in un bicchiere l’acqua e l’uovo di una gallina nera per prevedere il loro futuro matrimoniale. Dopo il risveglio mattutino, dall’interpretazione dei segni che si osservavano nell’acqua, esse riuscivano a trarre le indicazioni desiderate. All’alba del 24 giugno, invece le ragazze compivano un rito di purificazione simbolica e si recavano nei campi per bagnarsi i capelli con la rugiada caduta sui canneti poiché erano convinte che essi si rafforzassero (Pezzetta 2019).
L’acqua si utilizzava anche in un rituale magico-religioso per accertare se un individuo era colpito da malocchio, ossia l’influsso maligno esercitato attraverso lo sguardo che in base alle credenze popolari provocava dolori in varie parti del corpo e aveva origine nell’invidia, il sentimento di astio che si prova per non poter partecipare alle fortune altrui. Il rituale lamese anti-malocchio era diviso in più parti. Durante la prima parte si facevano cadere alcune gocce d’olio dentro un piatto colmo d’acqua. Se esse si raccoglievano formando un nucleo centrale simile a una pupilla circondata da un piccolo alone, allora significava che i disturbi fisici erano provocati dal malocchio. Durante la seconda parte si recitava una formula di scongiuro nella speranza di far cessare i sintomi dell’influenza malefica.
In passato anche a Fonte Cannella e alle sue acque si attribuivano particolari virtù, poteri magici e significati simbolici. Esse scorrendo nel sottosuolo, hanno la temperatura generalmente costante che non risente in modo significativo delle variazioni termiche stagionali. Poiché durante la stagione invernale sembrano calde e in quell’estiva fredde, per l’immaginario popolare ciò si traduceva in qualcosa di magico e misterioso. Inoltre la popolazione locale del passato attribuiva a Fonte Cannella anche le seguenti credenze: nelle notti di luna piena i lupi mannari si lavavano nelle sue vasche; le bare dei defunti che si trasportavano in cimitero quando passavano nelle sue vicinanze si appesantivano poiché le anime vaganti vi si posavano sopra; il piccolo ruscello che formano le sue acque simboleggiava il fiume che le anime errabonde dovevano attraversare per raggiungere la pace nell’aldilà. In passato, durante i funerali degli artigiani e dei contadini poveri, a Fonte Cannella cessava l’accompagnamento del sacerdote e la bara del defunto era portata in cimitero con un seguito formato solo dai parenti, gli amici intimi e il becchino.
In un aneddoto che qualche soggetto anziano ricorda ancora oggi, si narra che un uomo mentre tornava nella propria abitazione, incontrò una persona che lo accompagnò sino alla fontana e poi si allontanò dicendo che non poteva entrare in paese. Quando arrivò a casa, egli riferì il fatto ai suoi famigliari e venne a sapere che il misterioso accompagnatore era morto da poco tempo. I fatti citati dimostrano che per l’immaginario popolare Fonte Cannella e le sue acque erano: simboli di vita e purificazione; il confine simbolico tra il mondo abitato e il regno del non umano era popolato dai lupi mannari e dalle anime errabonde; un elemento dello spazio urbano che attraverso i funerali rispecchiava le distanze sociali e di status esistenti nel paese.
Secondo antiche credenze, nei fossati, nel fango e nelle acque melmose trasmettitrici di malattie e odori nauseabondi potevano vivere i draghi, particolari animali orripilanti simili a grossi rettili che lanciavano grida terrificanti ed emettevano fuoco dalle fauci. Essi erano considerati i simboli del demonio e degli spiriti sotterranei delle acque che popolavano il mondo non umano inviolato o inviolabile. In molte leggende il drago è il custode acquatico e funerario che accosta alla morte la vita che nasce dalle acque, un tema tipico di molte tradizioni popolari lamesi. Mia nonna raccontava che San Giorgio uccideva i draghi e quindi era convinta dell’esistenza di questi mostri e anche di un guerriero cristiano che lottava contro di loro e altre forze del male.
Anche nella religione cristiana l’acqua si utilizza in vari riti a dimostrazione che continua a essere oggetto di culto e simbolo di purificazione, rinascita spirituale e vita. La prima importante manifestazione in tal senso è fornita dal rito del battesimo in cui il sacerdote versa l’acqua santa sulla testa del bambino al fine di purificazione dal peccato originale, di morte e rinascita in una nuova vita.
Durante il Sabato Santo ancora oggi nello spiazzo antistante alla chiesa parrocchiale si benedicono il fuoco acceso e l’acqua. In passato i fedeli riportavano nelle proprie abitazioni un po’di cenere del fuoco benedetto e qualche decilitro d’acqua a fini propiziatori e purificatori. Alcune massaie mettevano le gocce d’acqua benedetta in vari piatti e pietanze tipiche del periodo pasquale contribuendo ad accentuare la loro importanza e sacralità.
Un fatto accaduto nel 1893 a Lama dei Peligni dimostra alcune credenze all’epoca esistenti che erano legate alla pioggia. Durante alcuni lavori in piazza si rinvennero ossa umane che non furono portate in cimitero ma buttate con il terriccio in una discarica pubblica. Per questo motivo un sacerdote accusò gli amministratori comunali di profanazione di sepolcri e sentenziò che lo sfregio arrecato alle ossa degli antenati avrebbe comportato il castigo divino e l’assenza di pioggia. Le autorità ritennero che le esternazioni del sacerdote fossero gravi e sobillatrici poiché un lungo periodo di siccità stava danneggiando il raccolto e i contadini invocavano la pioggia con pubbliche preghiere. L’acqua santa ancora oggi è utilizzata nei riti purificatori di benedizione delle abitazioni e durante l’ingresso in chiesa. Nell’anteguerra si adoperava anche durante le rogazioni per benedire i campi.
L’acqua è una delle sostanze che insieme al pane si usava a fini punitivi e si consumava durante i digiuni spirituali purificatori. Un manoscritto conservato nell’archivio privato della famiglia Tabassi dimostra che nel 1716, si praticava il digiuno per onorare la Madre di Dio e si fa presente quanto segue: «Il 17 del mese d’agosto di ciascun anno per sempre sinché si conserverà dal Signore questa famiglia Carosi, vi è il digiuno pane et acqua at honore dell’Immacolata Concettione di Maria Vergine». Spesso le carestie del passato obbligavano a digiuni forzati e l’alimentazione con pane e acqua anziché purificare ed elevare spiritualmente, era l’unico mezzo per assicurare la sopravvivenza.
In base ad antiche credenze locali, il fiume Giordano separava il mondo dei vivi da quello dei morti e rappresentava l’ultimo ostacolo da superare nel viaggio senza ritorno verso l’oltretomba. Esso si attraversava con una barca guidata da un traghettatore di nome Caronte a cui bisognava pagare il pedaggio. Di conseguenza sino a pochi anni fa, nelle tasche degli abiti dei defunti si metteva qualche moneta da utilizzare per pagare l’attraversamento del fiume. Una tradizione locale sui defunti che continua a persistere è quella di porre un’acquasantiera con cui benedire la salma a fini purificatori e propiziatori di una buona vita nell’aldilà.
L’acqua nella storia economica e sociale lamese
L’acqua ha sempre avuto un importantissimo ruolo nella storia economica di Lama dei Peligni, come hanno dimostrato i fatti sinora citati. Al fine di comprenderne altri risvolti e significati, si riportano vari fatti esponendoli in ordine cronologico. Alcuni reperti archeologici risalenti al lungo periodo compreso tra la preistoria e la fine dell’Impero Romano provengono da aree caratterizzate dalla presenza di sorgenti, ruscelli e ottimi terreni per l’agricoltura, a dimostrazione che l’acqua ebbe un importantissimo ruolo nella scelta dei luoghi in cui insediarsi e vivere. D’altra parte, gli influssi negativi causati dal fatto che ristagnano e provocano dissesti territoriali, furono le principali motivazioni che spinsero le popolazioni antiche a spostarsi dalle vicinanze del fiume ad altre zone più sicure e stabili, tra cui il colle ove sorge il centro abitato attuale.
Una pergamena del 1362 fa presente che una nobildonna donò a un monastero celestino del paese un terreno sito in una contrada denominata “La Balcatura” [13]. Il toponimo “balcatura” o “valcatura”, indica un’area con le valchiere, particolari edifici con impianti in cui si lavoravano i panni di lana che di solito si costruivano ove esisteva una notevole disponibilità idrica. L’esistenza nel XIV secolo di una contrada con tale denominazione dimostra che nel luogo era praticata la lavorazione della lana, un’attività manifatturiera che si protrasse sino ai primi decenni dell’Unità d’Italia. Un rogito del 1650 dimostra che il monastero celestino possedeva un mulino con due macine e una valchiera lungo il fiume Aventino. In base al Catasto Onciario del 1753 il monastero aveva un vecchio mulino rovinato e un altro con valchiera presso il fiume; l’Università della Lama arricchiva le sue entrate con l’affitto di una valchiera [14].
Un rogito del 1761 attesta un’importante consuetudine legata alle acque dell’Aventino. Il documento riferisce che i rappresentanti dell’Università della Lama autorizzarono quelli di Torricella a costruire un mulino e una valchiera nel territorio di Lama con l’obbligo del pagamento di venticinque ducati l’anno per l’uso del suolo e di otto ducati da versare al principe di Caramanico, il feudatario del luogo che autorizzò la concessione delle acque del fiume poiché considerate di diritto feudale (Pezzetta 1991). Il rogito dimostra che esisteva una concezione patrimoniale dell’acqua che consentiva ai feudatari di vantare diritti di possesso su quella dei fiumi e obbligava i vassalli alla corresponsione di tributi qualora la utilizzassero. Forte di queste prerogative, nel 1780 il principe di Caramanico mise in discussione anche il possesso della valchiera e del mulino del monastero celestino.
A tal proposito, il barone feudale nel “relevio” presentato alla Regia Camera della Sommaria di Napoli dichiarò:
«Essendosi avvertito che nel relevio precedente erasi costato che il balcaturo e molino erano communi al Monastero della Misericordia de’ P.P. Celestini di detta terra di Lama, e che essendo stati rovinati dalla piena del fiume, e riedificati dal medesimo monastero, il quale si possedeva senzacche la Baronal Corte n’avesse parte alcuna, con tuttocchè si servisse dell’acqua del fiume Aventino, chè del barone; e che nella discussione del relevio precedente erasi ordinata la spedizione del mandato alli Padri Celestini, acciò dichiarato avessero con qual titolo possedevano detto valcaturo e molino, quale mandato si vedeva spedito, fu perciò con detta ultima discussione ordinata la rinnovazione del mandato il quale dovrà spedirsi non solamente per la dimostrazione del titolo, ma ben del possesso» [15].
Nel “relevio” del 1795, il principe di Caramanico rinunciò alle sue pretese, accettò che le acque del fiume fossero usate dai monaci celestini senza la corresponsione di tributi feudali e dichiarò quanto segue: «Per lo notamento fatto nel relevio, che si denuncia il valcaturo e molino di detta terra, attesto che questi possedevasi dal venerabile Monistero della Misericordia de’ P.P. Celestini di detta terra di Lama, e speditosi contro il medesimo mandato ad istanza del Regio Fisco affinchè dimostrano il titolo del possesso, e pagamento de’ Relevi, dopo più e diversi atti presso don Tommaso Scotti attinante [sic!] del Regio Cedolario, è stato con decreto del 26 giugno 1789 ordinato di non molestarsi detto venerabile Monistero per la causa suddetta» [16].
Anche l’Università della Lama fu costretta a subire gli abusi feudali e di conseguenza era tenuta a corrispondere al principe di Caramanico un tributo di venti ducati napoletani per l’uso delle acque dell’Aventino e il purgo dei panni. Nel 1806 con la promulgazione della legge eversiva della feudalità nel Regno di Napoli si affermò il concetto che l’acqua è un bene demaniale che non poteva essere oggetto di privative. Di conseguenza gli amministratori lamesi fecero ricorso contro tutte le prestazioni feudali a cui erano sottoposti, ivi compreso il pagamento dell’uso del purgo dei panni e dell’acqua del fiume e, nel 1810 ottennero il loro annullamento [17].
Al periodo compreso tra il XVII e il XVIII secolo risalgono molti rogiti notarili dimostrativi che la presenza di risorgive contribuì a destinare i terreni circostanti ad uso d’orto e ad alimentare la produzione ortofrutticola. Dallo Stato di Sezione di Lama del 1815 risulta che nel complesso gli orti irrigui occupavano la superfice di 16.502 mq [18]. Da essi è derivata una produzione ortofrutticola che sino a circa cinquanta anni fa si esportava anche nei Comuni vicini.
Allo stesso periodo risalgono vari atti notarili che citano l’esistenza di una fontana denominata “Fonte da Piedi” e una contrada denominata “Pozzo”. Ora la contrada Pozzo non esiste più nella toponomastica locale ed è da presumere che si trovava lungo l’attuale “Via Pozzo”. Secondo Macario (1899) la Fonte Da Piedi era l’unica fontana del paese a cui sino al XVIII secolo la popolazione locale attingeva l’acqua. A essa, verso la fine del secolo si aggiunse Fonte Cannella che tra il 1830 e il 1840 fu gravemente danneggiata durante la costruzione di una strada e poi fu ricostruita.
Le altre fontane pubbliche tuttora esistenti sono di datazione incerta ma si può presumere che la loro costruzione avvenne tra il XIX e la prima metà del XX secolo. Sino a quando tutte le abitazioni non furono allacciate all’acquedotto pubblico, a esse e ai pozzi privati si ricorreva per attingere l’acqua. Le fontane del paese favorivano le relazioni sociali, gli scambi d’opinione ed erano anche importanti luoghi d’incontro in cui si potevano fare anche le dichiarazioni d’amore e le promesse di matrimonio. Alcune donne che lavavano il bucato, talvolta si recavano in fontane meno frequentate che erano poste lontane dai centri abitati o anche al fiume Aventino.
I pozzi erano di proprietà privata e si realizzavano presso le abitazioni e i terreni coltivati. La loro costruzione prevedeva l’apertura di un profondo buco che raggiungeva la falda acquifera e la copertura con tavole di legno circondate da grosse pietre o con una semplice costruzione in muratura circolare o quadrata al cui interno c’era l’apertura per attingere l’acqua.
Ad avviso di Macario (1899), alla seconda metà del XIX secolo risale la costruzione di Fonte Tari che si trova sul massiccio della Majella a circa 6 Km dal paese, ha la capacità di circa 2000 ettolitri e un abbeveratoio per gli animali al pascolo. Poiché i pastori frequentavano il luogo da molti secoli, è possibile che ove furono costruiti la fontana e l’abbeveratoio, in precedenza c’era un’altra fonte di approvvigionamento idrico. Da alcuni anni, un vecchio rifugio per pastori, presente nelle vicinanze di Fonte Tarì è stato ristrutturato e ora è diventato un importante luogo di frequentazione turistica.
Tra il 1880 e il 1890 fu realizzata una centrale idroelettrica sul fiume Aventino, chiamata “Centrale Verlengia” dal nome del proprietario. In un aneddoto si narra che uno dei suoi progettisti andava dicendo che voleva essere il primo a portare la lampadina elettrica nella pubblica piazza e nella propria abitazione. Nel 1944 la centrale fu minata dall’esercito nazista in ritirata e non fu ricostruita. Attorno agli anni 30 del secolo scorso lungo il fiume fu costruito il secondo impianto idroelettrico del luogo che è tuttora attivo.
L’acqua era indispensabile per le risorse agricole. L’uso di varie sorgenti era condiviso tra più contadini ed era regolato da accordi verbali e informali. In certi casi, nel rispetto degli accordi e delle precedenze, l’irrigazione degli orti si svolgeva durante le ore notturne illuminate dalla luna. In caso di mancanza o eccesso d’acqua, nel periodo antecedente il secondo conflitto mondiale, si portava in processione la statua di San Rocco per invocare la pioggia o farla smettere. Invece, quando imperversavano furiosi temporali che rischiavano di rovinare il raccolto, si suonavano le campane della chiesa parrocchiale.
Nel primo decennio del XX secolo iniziò la costruzione dell’acquedotto pubblico, ma solo durante gli anni 50 fu completato l’allacciamento a tutte le abitazioni. In seguito l’approvvigionamento idrico presso le fontane iniziò a legarsi solo ai casi d’interruzione della fornitura di acqua potabile. Attorno agli anni 20 del secolo scorso per attraversare il fiume Aventino fu costruito un ponte di ferro che possiede un certo pregio architettonico e ora è considerato un tipico emblema locale. Inizialmente i suoi costruttori facevano pagare il pedaggio ai contadini che l’attraversavano. Dagli anni 60, in seguito alla diffusione delle lavatrici elettriche è venuto lentamente a cessare anche l’uso delle fontane pubbliche per il lavaggio dei panni.
Tra gli anni 70 e ottanta del secolo scorso nacque una controversia giudiziaria portata in pretura che riguardava il diritto d’uso delle acque di una risorgiva. La sua origine era dovuta al fatto che un contadino era convinto di poter esercitare il legittimo possesso di una sorgente che affiorava in un terreno di sua proprietà. In questo modo impediva che i proprietari dei terreni posti a valle potessero utilizzarne le acque. Questi ultimi fecero ricorso in pretura al fine di avere il riconoscimento al libero uso dell’acqua sorgiva poiché “bene comune” da condividere e non oggetto di possessi e privative.
Gli oggetti per l’uso e trasporto dell’acqua
L’acqua prelevata dalle fontane e dai pozzi si portava nelle abitazioni utilizzando particolari recipienti. Tra essi, il più importante e diffuso che di solito si impiegava per il trasporto e conservazione dell’acqua per l’uso domestico era la conca di rame, un oggetto considerato un emblema delle tradizioni abruzzesi. La sua forma poteva essere cilindrica o a due tronchi di cono saldati nell’area di minor circonferenza. Ai lati superiori c’erano due manici e le pareti esterne potevano contenere decorazioni con funzioni estetiche, rituali e propiziatorie. Ad avviso di Profeta (2016, 2020) la forma delle conche richiama le donne abruzzesi con le larghe gonne tradizionali e nell’atto di poggiare le mani ai fianchi. Le donne dopo averle riempite, le appoggiavano in testa sopra un tovagliolo arrotolato detto in dialetto “la spare”. Talvolta quelle impazienti che aspettavano di riempirle alle fontane pubbliche, si azzuffavano per tentare di scavalcare le ragazze più giovani. Altre più pazienti, immaginando di fare la fila, quando uscivano da casa si portavano frutta da consumare durante l’attesa oppure si sedevano sopra le conche capovolte.
Altri oggetti locali per il trasporto e l’uso dell’acqua sono i seguenti: semplici bottiglie di vetro; secchi di stagno, detti “lu truagne”; “lu maniere”, un oggetto di rame simile a un grosso mestolo con un lungo manico attaccato a un contenitore cilindrico con cui si prelevava l’acqua; “le trufele”, un’anfora in terracotta dalla capacità massima di 2 litri che usavano i contadini per conservare l’acqua durante la permanenza nei campi;“lu vuaccile”, un oggetto simile a una grossa bacinella molto larga in cui si metteva l’acqua per l’igiene personale; “lu cutture”, un grosso pentolone di rame che si poneva sul focolare per riscaldare l’acqua in cui cuocere i pasti; “la callare” un calderone più grande di “lu cutture”; “lu vuccuale” (il boccale), un recipiente cilindrico metallico o in terracotta simile a un grosso bicchiere,;“lu cuppuine” (il mestolo), un recipiente in alluminio o rame usato per prelevare l’acqua dalla conca; “la pignate” (la pentola), un recipiente cilindrico in terracotta o alluminio con due manici laterali; “le tinuacce” un recipiente di legno e con forma più o meno cilindrica che si usava per lavare il bucato; “la ciarlotte”, una piccola fiasca di rame in cui si metteva l’acqua calda per scaldare il letto; “lu cècene”, una piccola giara in terracotta dalla capacità tra 3 e 5 litri; “lu truochele” (il trogolo), una piccola vasca di pietra con forma cilindrica o di parallelepipedo in cui si raccoglieva l’acqua o si metteva il cibo per il maiale; “la sprisciatore”, un asse in legno con scanalature trasversali curve per strofinare i panni da lavare.
I detti e i proverbi con l’acqua
All’acqua, le sorgenti, le fontane, la neve, etc., si accenna in vari motti, detti e proverbi. Quelli diffusi a Lama dei Peligni con riferimenti agli oggetti indicati possono essere distinti in tre categorie comprendenti: 1) regole pratiche da seguire, comportamenti da tenere o evitare, metafore e altre figure retoriche riguardanti l’uomo e le sue caratteristiche; 2) elementi utili per prevedere l’evoluzione del tempo atmosferico e l’andamento del raccolto; 3) detti con la neve. Alla prima categoria appartengono i seguenti proverbi:
- “l’acque che n’ha calate ‘ngiele sta” (la pioggia che non è scesa sta ancora in cielo) [19]; a voler dire che i problemi non ancora avuti possono arrivare in qualsiasi momento;
- “acque e fuoche ne trove luoghe” (l’acqua e il fuoco sono dappertutto) [20]; una metafora affermativa che le vicende belle e brutte sono inseparabili;
- “l’acqùe se mette a le spalle e le vine fa cantà” (l’acqua va alle spalle e il vino fa cantare) a voler significare che l’acqua è fonte di malanni mentre il vino dà allegria;
- “chi arrive a la porte dell’acqua sante trove le ciucce che le campe” (chi arriva alla porta dell’acqua santa, entra in chiesa per sposarsi, trova l’asino cioè il marito che la mantiene);
- “solde e ceppe secche appicce le fuoche mmiezze all’acque” (il denaro e la legna secca accendono il fuoco nell’acqua) per dire che con il denaro e la legna secca si può far tutto.
- “acque e vine fa bona schine” [20]; (acqua e vino fanno buona schiena, danno forza);
- “chi s’accatte la casa fatte ne paghe manche l’acque” (chi compra la casa costruita non paga l’acqua) [21]; in senso metaforico serve a dire che la costruzione di una nuova abitazione richiede molto impegno e sacrifici;
- “fa acque da tutte le parte” (fa acqua dappertutto) per dire che è pieno di difetti;
- “sembrene come lu diavele e l’acqua sande” (sembrano il diavolo e l’acqua santa), un’espressione che si usa per dire che due soggetti non vanno d’accordo;
- “acqua passate” (acqua passata) per indicare che le vicende passate e le cose spiacevoli è meglio dimenticarle.
Alla seconda categoria appartengono i seguenti detti:
- “sotte a la neve le pane, sotte all’acque la fame” (sotto la neve il pane, sotto l’acqua la fame), per dire che con la neve invernale il raccolto è più abbondante;
- “a la Cannelore o ce nenghe o ce piove / se ce fère le soletièlle / semme arrevete a mmiezze mmierne / se ce fere le soletone/ dalle mmierne semme fore” (Alla Candelora o nevica o piove. Se c’è un piccolo sole siamo a metà inverno. Se c’è un forte sole dall’inverno siamo fuori);
- “palma m’busse/ manuoppjje assutte” (palma bagnata covoni asciutti). Secondo l’immaginario popolare locale se pioveva durante la Domenica delle Palme, il raccolto di grano sarebbe stato buono;
- “ad aprile ogne gocce nu barile” (ad aprile ogni goccia un barile) per dire che nel mese di aprile piove molto;
- “vale cchiù l’acque de maggie che nu carre d’ore a chi le tire” (è più importante l’acqua nel mese di maggio che un carro d’oro e chi lo tira) [22]; un’espressione che si usava per dire che la pioggia nel mese di maggio assicurava un raccolto abbondante;
- “l’acque de giugne arruvuine le munne” (l’acqua di giugno rovina il mondo, provoca un cattivo raccolto) [23];
- “a Sant’Anne l’acque devente manne” (a Sant’Anna l’acqua diventa manna), un’espressione che si usava per dire che la pioggia durante la festa di Sant’Anna aveva un’influenza benefica sui raccolti futuri;
- “acque d’auste, uoje larde e muste” (acqua d’agosto, olio, lardo e mosto) [24]; la pioggia agostana favorisce la vendemmia, il raccolto di olive e la crescita del maiale;
- “acque d’auste armittete le buste” (con l’acqua in agosto mettiti il busto), per dire che se piove ad agosto, inizia a coprirti poiché arrivano i primi freddi;
- “a Sande Martine la neve pe le spine” (a San Martino la neve sui rovi), inizia ad abbassarsi la temperatura con le nevicate che attecchiscono quasi al livello del suolo;
Alla terza categoria appartengono i seguenti detti:
- “nenghe nuce e cherecine” (nevicano noci e fichi secchi), è in corso una nevicata molto abbondante;
- “quande nenghe a cengiune triste a che la case addò ne ce sta nisciune” (se nevica a grossi cenci, e cioè molto abbondantemente, è triste la casa dove non c’è nessuno);
- “Quande nenghe a ciciarielle na’ casa mè ce sta le cielle” (quando nevica a piccoli cenci a casa mia vengono gli uccelli poiché non trovano il cibo all’esterno), un’espressione d’orgoglio che si usa per dire ce anche quando nevica in modo incessante, il cibo in casa non manca;
- “Quande nenghe a pile de gatte le garzone ride e lu padrone schiatte” (quando nevica a peli di gatto il garzone ride e il padrone schiatta), un’espressione che si usa per dire che quando nevica incessantemente s’interrompono i lavori;
- “la neve marzarole dure come la lite tra la socere e la nore” (la neve di marzo dure come una lite ta nuora e suocera) e “la neve marzoline dure dalla sere a la matine” (la neve di marzo dura dalla sera alla mattina) due espressioni che si usano per dire che la neve di marzo si scioglie presto e in senso metaforico che certi comportamenti e atteggiamenti sono di breve durata;
- “Quande nengue e tira lu viente intre dendre a lu cunviente” (Quando nevica e tira vento, entra dentro al convento, cerca di riparati poiché il tempo è molto brutto).
Canti, filastrocche, preghiere e testi poetici con l’acqua e i suoi elementi
Anche a Lama dei Peligni, l’acqua è stata fonte d’ispirazione e riferimento esplicito per canti, preghiere e filastrocche espressi in dialetto. La maggior parte di essi è desueta ed è ricordata solo da poche persone. Di conseguenza è fondamentale trascriverli al fine di non disperderli.
Il poeta Giulio D’Eramo ha dedicato alla Fonte da Piedi una sua composizione in rima di cui si riportano le seguenti strofe iniziali: «A la memoria nostre, troppa corte / arvè nna mende cose dritte e storte / le storie de la fonde tramannate / da le tetune e nonne trapassate» [25]. Anche Antonio del Pizzo, un altro poeta locale si è ispirato alle acque in generale e alle fontane del paese (Fonte Tari e l’onnipresente Fonte Cannella) per alcune composizioni. Alcune strofe del testo poetico dedicato a Fonte Cannella sono le seguenti: «Fonde Cannella mè, Fonde Cannelle / Apprime attorne a te quand’allegrie! / De genda serie de genda pazzarielle / nen’de mangheve maà la cumbagnije» [26];
Alcune filastrocche con riferimenti all’acqua che accompagnavano il gioco dei bambini e favorivano l’apprendimento sono le seguenti:
- «ce steve na giovane bbelle che jeve pe l’acque ‘nche la tenelle» [27];
- «piove e fere lu sole / tutte le vacche vanne n’amore» [28];
- «piove piove / la Madonne coije le fiore / le coije pe Gesù / dumuane ne piove cchiù» [29];
Un canto d’amore locale in cui l’acqua simboleggia la mano che tocca quella della propria donna amata è la seguente: «Vulesse devendà l’acque che passe / L’acque che passe sotte a lu uallone / Cuscì, quande tu strusce lu sapone / Ijj sa manuccia belle te tuccuesse» [30].
Una preghiera locale con riferimenti all’acqua santa è la seguente: «Acqua sante e benedette /nche tè m’arrave / nche tè me nette / m’arrave le peccate / sine da l’ore che so’ nate» [31].
All’acqua si fa riferimento nel seguente canto carnevalesco che fu utilizzato durante una sfilata di carri allegorici organizzata nel 1935 e denominata Bacco in Abruzzo: «Oh gran Dio dell’Olimpo / discendete in mezzo a noi /per il nostro buon umore /ogni fonte d’acqua pura / in spumante tramutate» [32].
L’acqua nella vita contemporanea
Fonte Cannella e le altre fontane pubbliche del paese e delle sue frazioni hanno perso gli usi del passato, hanno acquisito funzioni artistiche, di arredo urbano e si possono considerare le testimonianze architettoniche che ricordano antichi usi delle acque a Lama dei Peligni. Le acque di Fonte Tari ora non ristorano i pastori e le loro greggi ma gli escursionisti della Majella.
Molti proverbi, detti, filastrocche, oggetti e termini legati alle acque sono desueti poiché si è ridotto l’uso del dialetto locale nelle conversazioni quotidiane che, insieme ai suoi detti e proverbi relativi anche all’acqua, continua a essere utilizzato soprattutto dalle persone anziane. Di conseguenza, in analogia a quanto rilevato da Colonna (2018) per il Salento, anche a Lama dei Peligni si registra una distanza culturale tra le generazioni che si riflette a livello lessicale e nella conoscenza di oggetti e termini dialettali non più in voga.
Alle figure soprannaturali riportate in precedenza ora non crede più nessuno. Il fatto che esse siano esistite nell’immaginario popolare locale, è documentato anche dalle seguenti espressioni dialettali tuttora in voga: “strille gnè nu draghe” (urla come un drago) che si usa per indicare una persona che urla in modo spropositato; “jette lampe de fuoche” (getta lampi di fuoco) per indicare una persona molto agitata.
Il fiume Aventino è stato abbandonato dalle lavandaie e dagli appassionati di bagni rinfrescanti. Ora è praticato da pescatori dilettanti, appassionati di kajak, escursionisti, persone in cerca di località amene ove rilassarsi e ricercatori interessati a conoscere e approfondire i suoi risvolti naturalistici. Per soddisfare parte delle moderne esigenze, nelle vicinanze del ponte di ferro è stata realizzata un’area picnic con un tavolo, posti a sedere e una costruzione ove preparare grigliate. Molte risorgive sparse sul territorio, non essendo sottoposte a lavori costanti di manutenzione e pulizia, si sono interrate e non forniscono acqua.
La conca e gli altri recipienti destinati al trasporto dell’acqua, ora non sono utilizzati per gli scopi originari ma come oggetti d’arredo casalingo. Alcuni di essi insieme a proverbi, antiche filastrocche e canti sono immessi in rete tramite Instagram, You Tube e vari siti facebook e, in questo modo, diventano i simboli di una memoria condivisa e di una comune appartenenza. Essi si riscoprono anche durante alcune ricorrenze festive locali al fine di accentuare gli effetti spettacolari e il richiamo turistico.
Un evento che prevede il recupero e la valorizzazione di antiche tradizioni è “l’Adventus”, una rievocazione storica organizzata con scadenza biennale che commemora l’arrivo in paese di una statuetta di Gesù Bambino portata nel 1760 da Fra Pietro Silvestri, un frate francescano di ritorno dalla Palestina (Pezzetta 2017). Nel corso dell’evento si allestiscono scene che rappresentano le tappe del viaggio di Fra Pietro da Gerusalemme a Lama e diversi aspetti della vita popolare del passato con ricorso a strumenti da lavoro, utensili, arnesi, oggetti domestici e abiti d’epoca. In questi scenari non mancano mai conche, “cutture”, “maniere” e altri oggetti che avevano a che fare con l’acqua.
Una festa locale inventata di recente in cui sono state riscoperte antiche tradizioni si organizza il 23 giugno, vigilia della festa di San Giovanni Battista (Pezzetta 2019). Nel 2018, in uno spiazzo del paese si è acceso un grande falò, si sono allestiti stand gastronomici e tavoli ove si sono consumate specialità abruzzesi e alcune ragazze dette “le streghette” hanno letto proverbi vari tra cui alcuni sull’acqua.
Il terzo evento in cui si recuperano antiche tradizioni locali sull’uso dell’acqua è denominato “La Festa degli Orti” e si organizza nella frazione di Pianimarini, il mese di agosto di ogni anno. La manifestazione è generalmente caratterizzata da stand in cui i produttori vendono il ricavato dai loro terreni e si consumano cibi tradizionali; dall’esibizione serale di un’orchestrina e da mostre espositive delle varietà agronomiche locali, degli attrezzi agricoli del passato e di foto che documentano le tecniche di coltura e d’irrigazione tradizionale degli orti.
Alle rifunzionalizzazioni e ai recuperi delineati si accompagna la persistenza di tradizioni che ai significati originari hanno aggiunto altri innovativi. A questa categoria appartiene l’antico paesaggio agropastorale locale con i pastori, le pecore, le donne che lavano i panni, i pozzi, i ruscelli, i fiumi, le fontane, i ponti e i mulini che nell’epoca attuale entrano nella composizione dei presepi. In questo modo esso si proietta nel mondo del sacro diventando qualcosa da ricordare con venerazione e assumendo una funzione decorativo-celebrativa.
Ancora oggi nelle borgate Fonterossi, Pianimarini e Purgatoio che sono caratterizzate dalla presenza di acque sorgive opportunamente canalizzate e utilizzate per l’irrigazione, alcune persone continuano a praticare l’orticoltura per uso famigliare. Un’importante consuetudine locale che continua a persistere è costituita da un accordo verbale e informale tra gli abitanti di Fonterossi, sull’uso dell’acqua di una risorgiva che circola per gravità sfruttando le differenze di pendenza, non prevede il ricorso a dispositivi artificiali ed è captata e canalizzata per essere indirizzata verso gli orti da irrigare. Di solito si dà la precedenza a chi è più vicino alla sorgente e si attende che finisca di irrigare. Chi usa l’acqua ha anche l’obbligo della manutenzione e pulizia della risorgiva e del suo complesso idraulico. Il soggetto che ha riferito le norme dell’uso, ha scritto nel documento informativo che l’opera idraulica è «a impatto zero sull’ambiente» a dimostrazione di aver acquisito e interiorizzato valori recenti sulla conservazione dell’ambiente e l’acqua.
Oggi ai crescenti consumi d’acqua prelevata dai rubinetti per l’alimentazione, si sono affiancati quelli dell’acqua minerale acquistata nei centri commerciali e dell’acqua filtrata o gassata che si preleva a pagamento da una fontana pubblica costruita attorno al 2010 presso la principale piazza del paese. La popolazione locale subisce l’influenza dei mass media che contribuiscono a diffondere nuovi modelli culturali, informano sui disastri causati nel mondo da carenza o eccesso d’acqua e nello stesso tempo ripropongono antichi miti, invitando a fare bagni rilassanti, frequentare centri termali e usare acque a cui si assegnano particolari virtù. Per aumentare i consumi d’acqua minerale, la pubblicità ha inventato una simbologia e una ritualità che: porta a credere che l’acqua imbottigliata sia di miglior qualità di quella degli acquedotti; associa all’acqua figure maschili e femminili di personaggi famosi, slogan di grande effetto e definizioni altisonanti che enfatizzano le caratteristiche dei prodotti commercializzati [33].
Alla diffusione degli usi recenti dell’acqua contribuisce anche una piscina comunale costruita da pochi decenni che di solito è aperta durante la stagione estiva e consente di praticare il nuoto. Durante gli anni della recente pandemia si è riaffermato che l’acqua è vita e salute e si è invitata la popolazione a frequenti lavaggi delle mani per limitare i rischi di contagio da Covid 19. Alle proposte dei mass media e del mondo scientifico sull’uso dell’acqua si affiancano le credenze dell’universo religioso che portano diverse persone del paese a partecipare ai pellegrinaggi presso i centri ove si ritiene ci sia la presenza di acque con virtù terapeutico-miracolistiche e a riportare nelle abitazioni bottigliette del prezioso liquido da conservare come souvenir o a fini propiziatori.
Alla nuova cultura dell’acqua appartengono le vacanze al mare che si sono diffuse a partire dagli anni 60 del secolo scorso, ha portato alcuni abitanti del luogo ad acquistare abitazioni secondarie nelle località litoranee abruzzesi e ora sono generalmente considerate una meta irrinunciabile.
Alla moderna cultura appartiene anche il concetto di educazione ambientale il cui fine è di sensibilizzare le persone al rispetto per l’ambiente e all’uso consapevole delle sue risorse. L’educazione ambientale diffusa dal Parco della Majella, i mass media e i plessi scolastici ha portato a diffondere modelli culturali riguardanti l’uso parsimonioso dell’acqua limitando gli sprechi, la necessità di ridurre l’inquinamento idrico e il recupero di antichi valori e tradizioni.
L’acqua, il suo ciclo naturale, la sua disponibilità, l’inquinamento, etc. sono ampiamente trattati nei testi di geografia e scienze in uso presso la scuola media del paese e quindi appartengono all’insegnamento curricolare. Alla normale prassi si affiancano le attività didattiche attivate dall’iniziativa personale dei singoli insegnanti. Una di esse realizzata qualche anno fa con gli alunni della IV classe della scuola elementare, è stata una ricerca per riscoprire le fontane e le sorgenti del luogo e far conoscere l’importanza che hanno avuto per la vita comunitaria e l’attività agricola. I ragazzi hanno intervistato i nonni e altre persone anziane per farsi riferire le antiche consuetudini locali legate all’uso dell’acqua. Inoltre, i loro insegnanti li hanno accompagnati nelle visite di alcune fontane e li hanno guidati alla loro riproduzione manuale in scala con l’utilizzo dell’argilla.
Un altro fatto dimostrativo sull’esistenza a Lama di nuovi valori riguardanti l’acqua è fornito anche dall’opposizione che una parte della popolazione ha maturato nei confronti di un progetto di costruzione di una nuova centrale idroelettrica sul fiume Aventino. Il progetto presentato agli inizi del 2000 fu accolto favorevolmente dall’amministrazione comunale dell’epoca, prevedeva uno sbarramento sul fiume e la formazione di un invaso artificiale. Alcune associazioni e semplici persone, forti della loro sensibilità ambientale, dei nuovi valori acquisiti sull’acqua e l’energia e, della consapevolezza che lo sbarramento del fiume avrebbe ostacolato alcune pratiche sportive e accentuato i rischi di frane e di smottamenti del terreno, si opposero riuscendo a impedire in modo definitivo che il progetto fosse reso esecutivo.
Conclusioni
L’insieme dei fatti riportati dimostra che l’acqua ha avuto un ruolo importantissimo nelle vicende storiche e socio-culturali di Lama dei Peligni. L’acqua ha influenzato la toponomastica locale, il valore attribuibile alle varie parti del paesaggio e la loro connotazione identitaria. Inoltre ha accompagnato l’esperienza umana in tutte le sue manifestazioni influenzando la produzione agricola, il tipo di alimentazione, il linguaggio, le credenze religiose, la formazione delle immagini simboliche e la cultura materiale costituita dagli oggetti con cui si trasporta e utilizza. Con Satta si può dire che anche nel contesto in esame «le acque fluviali, le fontane, le sorgenti, i pozzi hanno costituito, per secoli, la base per l’invenzione di leggende e credenze» [34].
L’esistenza di credenze, proverbi, detti, metafore, filastrocche, canti e composizioni poetiche con riferimenti all’acqua dimostra innanzitutto che la cultura immateriale lamese è intrisa di connotati naturalistici. A essa appartengono anche le figure leggendarie e soprannaturali dei draghi e dei lupi mannari, l’esistenza di confini simbolici a Fonte Cannella, l’immagine dell’aldilà con il fiume Giordano e il traghettatore Caronte e, la presenza nel mondo inanimato delle anime errabonde che si posano sulle bare. Queste particolari credenze inoltre dimostrano che sino a circa settanta anni fa, nella cultura locale persistevano antichi miti religiosi d’origine pagana.
La presenza della grotta di Sant’Angelo e la credenza nelle virtù galattogene della fonte di Sant’Agata dimostrano che anche la cultura religiosa è intrisa di naturalismo e che in tempi antichi le fonti e gli anfratti erano luoghi sacri ierofanici in cui si poteva manifestare la divinità. Marucci e Di Renzo sostengono che la grotta è una «spaccatura reale e simbolica […], costituisce il passaggio fra il profano e il sacro, fra la Natura e la Cultura, fra vari gradi di sacralità» [35].
I rituali per prevedere il futuro matrimoniale, del malocchio e del bagno tonificante dei capelli con la rugiada dimostrano che all’acqua si assegnavano poteri magici e virtù terapeutiche. A favorirne lo sviluppo contribuirono le scarse competenze della scienza medica e l’impossibilità di potersene avvalere. A ciò seguiva la ricerca di palliativi che anche nei casi di scarsa efficacia, avevano il vantaggio di creare talvolta effetti placebo, allentare l’angoscia e la tensione esistenziale.
I proverbi esaminati nel complesso fissano regole comuni di comportamento, hanno carattere di sentenzialità e dimostrano che l’acqua: è associabile a vizi, virtù, fatti e vicende umane; è utilizzabile per prevedere l’evoluzione del tempo atmosferico e la bontà o meno dei futuri raccolti. L’acqua compare in vari detti che esprimono una filosofia di vita (l’acque fa male, le vine fa cantà), le difficoltà esistenziali (acque e fuoche ne trove luoghe); l’apprensione per l’andamento del raccolto (l’acque de giugne arruvuine le munne).
La diffusione delle conoscenze mediche ed ecologico-scientifiche sull’acqua dimostra che anche a Lama dei Peligni la scienza in generale ha contribuito a far acquisire maggior consapevolezza sul funzionamento della natura, a diffondere nuovi valori e modelli di comportamento stabilendo cosa fare o non fare per limitare l’inquinamento e lo spreco delle risorse, conservare intatto l’ambiente, favorire il riciclo dei rifiuti e migliorare il proprio benessere fisico e spirituale.
La pubblicità sulle qualità terapeutiche di certe acque minerali e delle fonti termali spesso richiama antiche mitologie, un esempio dimostrativo che nel mondo contemporaneo il culto delle acque continua a essere praticato. Ad avviso di Teti le industrie che le commercializzano hanno inventato una simbologia sganciata dalla natura e dalla realtà che occulta un’espropriazione di saperi e di luoghi a cui segue l’affermazione della cultura dello spreco e dell’illusione che l’acqua sia un bene scontato e illimitato [36].
La riscoperta e l’uso a Lama di antichi proverbi dialettali, tradizioni e oggetti legati all’acqua durante le moderne feste locali dimostra che è avvenuto un processo di rifunzionalizzazione che ha due importanti finalità: la valorizzazione delle tipicità linguistiche e delle tradizioni passate che riaffermano l’appartenenza comunitaria; la trasformazione della propria memoria storica in un fattore di sviluppo e promozione territoriale.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
Ringraziamenti
Per le informazioni fornite si ringraziano: Amorosi Mario, Annecchini Giustino, Del Pizzo Giuseppe, Di Fabrizio Elisa, D’Ulisse Angelo, Laudadio Teresa, Madonna Saverio, Marrone Alfredo e Rosato Rita.
Note
[1] Profeta G., L’acqua e il vaso nella vascolarità universale, Ed. Menabò. Ortona (Ch). 2020: 18.
[2]Cusumano A., Lo stupore dell’acqua, ”Dialoghi Mediterranei”, n. 5, 2014, https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/lo-stupore-dellacqua.
[3] Teti V., Il mondo e i mondi di acque, Doppiozero, 2018, https://www.doppiozero.com/materiali/il-mondo-e-i-mondi di-acque.
[4] Satta M. M., Il simbolismo ambivalente dell’acqua, fonte di vita e strumento di morte, Sacer, n.13, 2006: 9.
[5] Tranquilla Neri A., Il culto delle acque. Riti popolari tra sacro e profano, Abruzzo è Appennino, n. 14, 2011: 32.
[6] Scorrano S., Le acque sacre in Abruzzo, Ed. Menabò, Ortona, (Ch), 2020: 167.
[7] Il termine “Vallone” indica un affluente destro del fiume Aventino.
[8] Il toponimo “Contrada della Fonte”, ora desueto, è riportato in alcuni rogiti del XVII e XVIII secolo.
[9] “Ciaffone, Callaralo e mbrione” sono i soprannomi che avevano i proprietari dei terreni posti nelle vicinanze delle sorgenti omonimi.
[10] Gasca Queirazza G., Marcato C., Pellegrini G. B., Petracco Sicardi G., Rossebastiano A., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Utet, Torino,1990: 341.
[11] Madonna T., Lungo le nostre valli, Tipografia Mario Ianieri, Casoli (Ch),1993: 42.
[12] Mastrocinque A., Ercole e le miracolose acque d’Abruzzo, Archeologia Viva, n. 58, 1996: 35.
[13] Balducci A., Regesto delle pergamene e codici del Capitolo metropolitano teatino, vol. I: 1060-1400. Tip. N. De Arcangelis, Casalbordino (CH), 1929: 71. Ora una contrada è denominata Purgatoio ossia luogo di purgo e forse potrebbe coincidere con la contrada medioevale detta “Balcatura”.
[14] L’Università della Lama era il nome ufficiale che aveva il comune di Lama dei Peligni sino al 1806.
[15] Archivio di Stato di Napoli, Regia Camera della Sommaria, cedolario 54, anno 1780, foglio 304.
[16] Archivio di Stato di Napoli, Regia Camera della Sommaria, cedolario 155, anno 1791, foglio 190.
[17] Pezzetta A., Lama dei Peligni, il suo ambiente e la sua storia feudale e comunale, Tommaso Bucci & C. s.a.s, Chieti, 1991: 125.
[18] Di Menna G.D., e Manzi 2006 A., Gli orti storici nella Provincia di Chieti, Abetifolia Mediterranea Note scientifiche del CISDAM, n.7, Talea Ed., Atessa (Ch), 2006: 181.
[19] Del Pizzo G., Lama dei Peligni. Microcosmo a misura d’uomo nel Parco della Majella tra passato e presente, Arte grafica Ianieri, Casoli (Ch). 1999: 123.
[20] ivi: 124.
[21] ibidem.
[22] ivi: 119.
[23] ivi: 129.
[24] ibidem.
[25] Traduzione: Alla memoria nostra troppo corta / ritornano in mente cose diritte e storte / la storia della fontana tramandata / dai nonni e le nonne del passato.
[26] Traduzione: Fonte Cannella mia, Fonte Cannella /un tempo attorno a te tanta allegria. / Con le persone serie e con le persone allegre / non ti mancava mai la compagnia, in Giuseppe del Pizzo (a cura): Antonio del Pizzo il poeta calzolaio, Arti Grafiche Cantagallo, Penne (Pe), 2012: 40.
[27] Traduzione: c’era una bella ragazza che andava a prendere l’acqua con il tinello.
[28] Traduzione: Piove e splende il sole / tutta le mucche s’innamorano.
[29] Traduzione: Piove, piove, / la Madonna raccoglie il fiore / lo raccoglie per Gesù / domani non piove più.
[30] Traduzione: Vorrei diventare come l’acqua che passa / l’acqua che passa sotto il vallone /cos’ quando strofini il sapone / io questa piccola mano potrò toccare.
[31] Traduzione: Acqua santa e benedetta / con te mi lavo / con te mi netto (pulisco) / mi lavo dai peccati / sin da quando sono nato.
[32] Caprara P., Origini. Litografia Ianieri, Casoli (Ch) 1994: 59.
[33] Alcuni esempi di slogan pubblicitari sulle acque minerali sono i seguenti: belli dentro e puliti, fuori; l’acqua minerale per chi ha sete di conquista; acqua di. rituale di bellezza; acqua d… ricchezza della natura. Inoltre le acque minerali pubblicizzate sono definite fresche, limpide, genuine, curative depurative, ad azione digestiva e con pochi sali, etc.
[34] Satta M. M., op. cit. 2006: 9.
[35] Marucci G. e Di Renzo E., Fratelli in grotta. Un rituale maschile di solidarietà, Andromeda Editrice, Roma, 1999: 81.
[36] Teti V., op. cit., 2018
Riferimenti bibliografici
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Archivio Comunale di Lama dei Peligni:
- Catasto Onciario di Lama del 1753.
Archivio della Curia Arcivescovile di Chieti
- Memorie storiche delle parrocchie della diocesi, busta 877, fasc. 8272: 235-236.
Archivio di Stato di Napoli
- Regia Camera della Sommaria, anno 1780, cedolario n. 54, fogli n. 300-305.
- Regia Camera della Sommaria, anno 1797, cedolario n. 159, fogli n. 188-192.
Biblioteca Tommasiana de L’Aquila:
Macario G. L. Memorie storiche di Lama dei Peligni, 1899.
Testi a stampa e articoli di riviste
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Amelio Pezzetta, laureato in filosofia all’Università di Trieste, è insegnante di Scuola Media in quiescenza. I suoi interessi principali sono la storia locale e le tradizioni popolari dei Comuni della Valle dell’Aventino (Prov. di Chieti, Abruzzo). Ha collaborato e collabora tuttora con varie riviste del settore tra cui: Aequa, Dada, L’Universo, Palaver, Rivista di Etnografia, Rivista Abruzzese e Utriculus e Valle del Sagittario.
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