di Rosa Salvia
«A Catania la quaresima vien senza carnevale; ma in compenso c’è la festa di Sant’Agata, – gran veglione di cui tutta la città è il teatro – nel quale le signore, hanno il diritto di mascherarsi, sotto il pretesto d’intrigare amici e conoscenti, e d’andar attorno, dove vogliono, come vogliono, con chi vogliono, senza che il marito abbia diritto di metterci la punta del naso. Questo si chiama il diritto di ‘ntuppatedda, diritto il quale dovette esserci lasciato dai Saraceni». Così Giovanni Verga nel racconto La coda del diavolo.
‘Ntuppatedda è un termine dialettale che vuol dire nascosta, occultata. Nei giorni della festa della Santuzza le ‘ntuppatedde le incontri tra strade e viuzze intente a volteggiare in una danza urbana, tra i colori brillanti delle enormi candelore e i suoni delle bande che si aggirano per la città.
Comunicano un senso di armoniosa fusione tra i loro corpi fluttuanti e l’ambiente circostante, grazie ad un progetto performativo, ideato dall’artista Elena Rosa, che si ripete ogni anno dal 2013.
La loro presenza si ispira ad una tradizione perduta che risale a fine ‘800, in cui queste donne con il volto nascosto, la tuppa, reclamavano la propria libertà d’espressione, la loro volontà di essere.
Non sono più vestite di nero, ma hanno il viso coperto da un velo bianco e tengono in mano un fiore rosso che spicca come un gioiello, una gemma, qualcosa di più di un prezioso ornamento, simbolo di un desiderio, di un sentimento di irresistibile solidarietà femminile: il nostro fiore rosso ci guida, il nostro velo di luce ci conduce.
Nel loro volteggiare la danza è la visione simbolica di un abbraccio universale, l’espressione dell’affermazione di sé che si svela dietro un velo, un diaframma fine e delicato, quell’intra-vedere in cui si mostra e si nasconde mentre si custodisce la grazia e il mistero femminile in migrazione verso nuovi orizzonti, verso una nuova fioritura.
L’esperienza del velo è l’esperienza della soglia, della transizione impalpabile tra l’ombra occultante e la manifestazione di un bisogno ancestrale, rivendica la libertà di essere donne, rifiuta di accettare le offese del mondo.
Come guerriere combattono contro un sistema patriarcale tenendo in mano un garofano rosso simbolicamente legato all’amore, all’orgoglio e all’ammirazione per la nostra Agata, uccisa perché non si piegò al volere di un uomo, testimonianza mitica e storica di una donna libera da ogni imposizione.
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
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Rosa Salvia, laureata a Palermo nel 2004 in Scienze della Comunicazione ha sempre avuto una passione per le immagini, ma inizia ad interessarsi alla fotografia solo da pochi anni. Inizialmente predilige foto di paesaggio, ma dopo aver preso parte a dei workshop condotti da Carmelo Bongiorno, Letizia Battaglia e Antonio Manta, il suo approccio con la fotografia è in una fase di sperimentazione alla ricerca di un percorso più intimo che le consenta di esprimere sé stessa utilizzando le immagini quale mezzo di esplorazione del suo mondo emozionale. Ha collaborato alla realizzazione dei libri Simeto il luogo che non c’è (2019) e Sicilia, l’isola plurale (2022), Mito e sicilitudine (2023) e nel corso degli anni ha partecipato a varie mostre collettive. Il suo progetto fotografico “La terza immagine” è stato selezionato per l’edizione zero del Castiglion Fiorentino Photo Fest (2022), dal Fondo Malerba per la Fotografia per il FALL SHOW 2022 e per “Scatti Mediterranei” (2023).
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