L’italiano, una delle lingue europee più affascinanti per la sua ricchezza storica e culturale, ha trovato negli ultimi decenni un crescente interesse anche nella Repubblica Popolare Cinese. La lingua italiana, infatti, è associata a una ricca tradizione artistica, letteraria, musicale e culinaria, e impararla permette ai cittadini cinesi di accedere direttamente a questa eredità culturale, favorendone maggiore comprensione e apprezzamento.
Oltre al fascino della cultura, l’incremento della diffusione della lingua italiana in Cina può essere attribuito ad altri fattori, tra cui la crescita delle relazioni economiche e culturali tra i due Paesi e la forte mobilità internazionale degli studenti e dei professionisti cinesi: molte aziende italiane che operano in settori come la moda, il design, l’industria automobilistica e il lusso prediligono la conoscenza della lingua e della cultura italiane tra le competenze personali. O, ancora, può rappresentare un indicatore dei cambiamenti nelle dinamiche interne della Cina, nelle preferenze linguistiche e culturali della popolazione, e nell’evoluzione della lingua italiana stessa.
Attraverso questo articolo si vogliono esplorare tali dinamiche, vengono esaminate le radici storiche, culturali e socioeconomiche che hanno contribuito alla crescita dell’interesse per l’italiano in Cina, inclusi gli scambi accademici e la revisione dei programmi educativi e delle iniziative culturali della Cina, tramite le quali si delinea un quadro completo dello stato attuale e delle prospettive future per la diffusione della lingua italiana nel Paese.
Le relazioni tra Italia e Cina hanno radici profonde che risalgono sino al Medioevo, con la figura di Marco Polo [1]: viaggiatore, scrittore, ambasciatore e mercante italiano tra i primi europei a raggiungere la Cina. Nel suo resoconto dei viaggi in Asia, Il Milione, Polo sostiene addirittura di essere stato il governatore della città di Yangui (odierna Yangzhou) e poi di Chinsai (odierna Hangzhou), anche se la veridicità di questa affermazione è molto contestata dagli storici.
Tuttavia, è solo nel XX secolo che si assiste ad una vera e propria formalizzazione e intensificazione delle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Il 5 novembre 1970, infatti, i rappresentanti di Italia e Repubblica Popolare Cinese firmarono a Parigi [2] il comunicato congiunto per stabilire ufficialmente l’inizio delle relazioni diplomatiche. Veniva scritta, così, una nuova pagina nelle relazioni bilaterali, contrassegnata dalla volontà condivisa di promuovere la cooperazione soprattutto in ambito economico e culturale.
Da allora, le relazioni tra Italia e Cina si sono sviluppate in modo tendenzialmente positivo, ad eccezione di alcuni periodi di difficoltà dovuti all’andamento della situazione politica nei due Paesi, come la forte instabilità in Cina negli anni Settanta, o il frequente ricambio dei governi italiani e la lunga crisi in Italia degli anni Novanta, o, ancora, il raffreddamento dei rapporti tra Cina e Occidente a seguito degli eventi della Primavera del 1989 [3], culminati nel cosiddetto massacro di piazza Tienanmen.
Per ciò che concerne le relazioni economiche, queste si sono progressivamente intensificate, creando nel tempo uno squilibrio della bilancia commerciale a favore di Pechino. Secondo dati diplomatici, l’interscambio annuo tra Italia e Cina ha raggiunto nel 2022 i 73,9 miliardi di euro, con esportazioni italiane in Cina del valore record di 16,4 miliardi di euro e importazioni pari a 57,5 miliardi di euro [4]. Alla luce di questi dati, l’obiettivo primario dell’Italia resta quello del riequilibrio della bilancia commerciale con la Cina.
Inoltre, nel marzo 2019 è stato firmato il Memorandum of Understanding (MoU) tra il Governo italiano e quello cinese relativo alla Belt and Road Initiative (BRI) sulla collaborazione nell’ambito della Via della Seta economica e della Iniziativa per una Via della Seta Marittima del XXI secolo. Tale Memorandum, oltre a mirare all’eliminazione degli ostacoli per una maggiore collaborazione in ambito commerciale e finanziario, individuava come principali ambiti di collaborazione la costruzione di un dialogo sulle politiche relative alla connettività, allo sviluppo dei trasporti e delle infrastrutture, all’importanza di ampliare gli scambi interpersonali, sviluppando la rete di città gemellate e valorizzando il Forum Culturale Italia-Cina , istituito nel 2016 dai Ministri della cultura italiano e cinese per la realizzazione di progetti di gemellaggio tra siti italiani e cinesi in ambito di cultura, moda, food e design.
Tuttavia, negli anni successivi alla firma del MoU si sono verificate delle difficoltà che hanno frenato notevolmente la cooperazione sino-italiana. Le preoccupazioni sollevate dagli alleati italiani tradizionali, sia in Europa che negli Stati Uniti, e la percezione della governance cinese a seguito dello scoppio della pandemia da Covid-19 tanto nella comunità̀ internazionale quanto agli occhi dell’opinione pubblica italiana, hanno reso di fatto la presenza dell’Italia nella BRI sempre più precaria. Fino alla decisione del Governo italiano a fine 2023 di non rinnovarne l’adesione.
Nonostante ciò, l’Italia resta oggi uno dei principali partner commerciali europei della Cina, e questa relazione economica ha giocato un ruolo cruciale nella diffusione della lingua italiana. Le aziende italiane presenti in Cina, infatti, spesso richiedono personale locale con competenze linguistiche in italiano, e questo ha portato a una domanda crescente di corsi di italiano. Allo stesso modo, molte aziende cinesi che operano in Italia preferiscono assumere dipendenti con una conoscenza della lingua italiana.
Anche le relazioni culturali e scientifiche sono state in costante crescita negli ultimi decenni. La seconda metà del XX secolo, in particolare, ha visto una serie di accordi di cooperazione culturale ed educativa tra Italia e Cina che hanno gettato le basi per una più ampia diffusione della lingua italiana e facilitato l’apprendimento dell’italiano da parte di studenti cinesi. La Cina vede nella collaborazione accademica lo strumento per promuovere lo sviluppo tecnologico e scientifico, che considera fondamentale per il Paese. Allo stesso tempo, le Istituzioni accademiche italiane vedono nella Cina un partner per rafforzare la cooperazione e per questo motivo ricercano accordi bilaterali con essa. Nel 2021 si possono infatti contare 932 accordi di collaborazione con università cinesi, di cui un terzo circa con università di primo livello. Alcuni di questi accordi sono inoltre sponsorizzati da aziende cinesi che operano nel settore di Information and Communication Technology (ICT) come Huawei e Zte.
A quanto detto finora è necessario aggiungere che la lettura del punto 19 del Comunicato congiunto tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Popolare Cinese sul rafforzamento del partenariato strategico globale del 23 marzo 2019, siglato dai Presidenti Mattarella e Xi, impegna i Governi ad approfondire ulteriormente la cooperazione del settore dell’istruzione, esprimendo l’auspicio di ampliare il numero degli studenti delle rispettive lingue, «incoraggiando e sostenendo il rafforzamento degli scambi e della collaborazione fra le Istituzioni della Formazione Superiore dei due Paesi, nonché collaborazioni di alto livello per la realizzazione di scuole e per la formazione congiunta dei talenti. Le Parti hanno concordato di favorire l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole medie e superiori cinesi, analogamente a quanto avviene per l’insegnamento del cinese nelle scuole secondarie in Italia» [5].
Il fenomeno migratorio tra Italia e Cina
Il fenomeno globale delle migrazioni ha portato Paesi di tradizionale emigrazione, come l’Italia, a diventare aree di transizione migratoria con flussi sia in entrata sia in uscita. Oltre alle già note mete più attrattive [6], di recente sono emerse nuove terre promesse, tra le quali la Repubblica Popolare Cinese e gli Emirati Arabi Uniti. Il progresso dei mezzi di trasporto e di comunicazione ha favorito la crescente mobilità dei soggetti, e la globalizzazione del mercato del lavoro ha reso fascinose queste nuove mete per gli Italiani.
La crescita costante della presenza degli italiani nella Repubblica Popolare Cinese nell’ultimo decennio sembra aprire nuovi interessanti interrogativi sia sul tema della mobilità che dell’immobilità. Di grande rilevanza politica è la recente decisione del governo cinese che permette ai cittadini italiani in possesso di regolare passaporto, che desiderino visitare il Paese per motivi d’affari, turistici, familiari o semplicemente perché in transito, di entrare nella Repubblica popolare cinese senza previo bisogno di un visto [7]. Viste tali condizioni di accesso, volte e facilitare uno sviluppo di alta qualità e un’apertura di alto livello per la Cina [8], è possibile supporre che il movimento coinvolga soggetti con elevati titoli di studio e rilevanti competenze. Si può ipotizzare, inoltre, che tale flusso sia attirato da nuove dinamiche di sviluppo nel campo politico, economico e sociale che interessano questo Paese. Tuttavia, la letteratura sul tema appare ancora un terreno poco battuto e non è possibile trovare sufficienti riferimenti sull’attuale presenza degli italiani in Cina.
Secondo i dati attualmente disponibili, l’andamento della popolazione italiana in Cina dall’inizio del nuovo millennio è stato in continuo aumento. Il Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, tramite le anagrafi consolari, al 31 dicembre 2019 registrava che la popolazione degli emigrati italiani in Cina ammontava a 9.965 persone, cui corrispondevano 6.403 nuclei familiari. Per il 22% dei casi si trattava di seconde generazioni, mentre il 2% era costituito da naturalizzati italiani. La restante parte, 7.239 casi, erano emigrati dall’Italia verso la Cina per via diretta o per trasferimento da un altro Paese estero. I dati AIRE indicavano che nel 2019 la Cina si collocava al 32° posto nella classifica dei Paesi per numero di residenti italiani.
Negli anni più recenti si è, tuttavia, registrato un drastico rallentamento, dovuto alla situazione pandemica di Covid-19, in seguito alla quale si è arrestato qualsiasi tipo di spostamento nazionale e internazionale. Poco dopo il 31 dicembre 2019, infatti, quando la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan segnalò all’Organizzazione Mondiale della Sanità un cluster di casi di polmonite a eziologia ignota nella città, ebbe inizio il primo lockdown di massa della storia. Quanto appena descritto giustifica i dati presenti nelle statistiche più recenti del Ministero dell’Interno, che al 31 dicembre 2022 registrano il numero della comunità italiana a 8.374 persone, di cui 5.580 nuclei familiari [9]. La situazione di emergenza sanitaria venne dichiarata ufficialmente conclusa solo tre anni dopo, il 5 maggio 2023, e da allora i flussi migratori da e verso la Cina sembrano aver avuto una timida ripresa. Tuttavia, non sono ancora disponibili dati ufficiali in merito.
I dati del Ministero degli affari Esteri e della Cooperazione Internazionale distinguono la migrazione italiana in Cina in cinque aree, corrispondenti all’Ambasciata d’Italia con sede a Pechino e ai Consolati Generali di Shanghai, Hong Kong, Canton e, dal 2014 in poi, Chongqing. La regione amministrativa di Hong Kong è stata a lungo la destinazione maggiore per l’emigrazione italiana in Cina. Tuttavia, nel 2019 la metropoli di Shanghai ha effettuato il sorpasso dopo una rapida ascesa arrivando a ospitare 3.923 cittadini italiani, 88 in più di Hong Kong. Shanghai è oggi considerata come la città specchio della globalizzazione: un ambiente cosmopolita dove si sperimenta una sovrapposizione di elementi culturali di diversa provenienza, un luogo fecondo di spazi innovativi, sede di finanza, di industrie manifatturiere e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con un tessuto produttivo dinamico e vivace, capace di attrarre flussi migratori. Quest’ultima accezione la annovera tra le città che si configurano come spazi di flussi, di transito, piuttosto che come insediamenti fisici o statici [10]. Se prendiamo in esame un periodo di dieci anni, dal .2010 al 2019, l’aumento delle presenze italiane a Shanghai appare notevole: +209%, ben superiore rispetto al dato complessivo per la Cina che è di +156%. Alla fine del 2019 a Shanghai risiedono, quindi, 2.574 uomini e 1.349 donne, che corrispondono a più di un terzo dell’intera popolazione italiana in Cina (36%).
Per quanto riguarda l’immigrazione dei cittadini cinesi in Italia, questi rappresentano la quarta comunità di cittadinanza non comunitaria per numero di regolarmente soggiornanti. Secondo le più recenti statistiche ISTAT del 2023, sono 284.495 i cittadini cinesi residenti in Italia. Attraverso l’analisi dei permessi di soggiorno è possibile osservare come il motivo prevalente di ingresso per i cittadini cinesi sia lo studio, quasi il 39% del totale relativo alla comunità: i permessi rilasciati per questa motivazione a cittadini cinesi rappresentano il 16,2% del complesso dei permessi per studio. D’altronde, la comunità risulta prima per numero di ingressi legati a tale motivazione. Seguono, per incidenza, il lavoro, con il 32% circa, e i motivi familiari, 26,5% [11].
In merito a quest’ultimo dato, è interessante osservare come i ricongiungimenti familiari possano essere considerati un indicatore sociostatistico significativo del grado di integrazione di un individuo in una società, in quanto testimoniano il consolidamento della presenza del richiedente sul territorio. Questo perché la capacità di un individuo di raggiungere i requisiti necessari per il ricongiungimento, come la dimostrazione di un adeguato reddito e dell’idoneità alloggiativa, riflette il suo grado di adattamento e stabilità all’interno della società ospitante.
Ad ogni modo, qualsiasi sia il motivo che porta i cittadini cinesi a migrare in Italia, lo studio della lingua italiana prima della partenza, oltre ad essere oggetto di curiosità e interesse, risulta fondamentale.
Al 1579 risalgono i primi tentativi di diffondere la lingua italiana in Cina, grazie al lavoro di Matteo Ripa, uno dei gesuiti allora arrivati in Cina per una impresa missionaria. Il suo obiettivo, che non riuscì a portare a termine per l’ostilità delle autorità locali, era quello di istituire un collegio per l’insegnamento in un primo momento del latino a Pechino e in un secondo momento della lingua italiana. Lo stesso Ripa nel 1732 fondò a Napoli il Collegio de’ Cinesi, oggi Istituto Universitario Orientale di Napoli, con lo scopo appunto di preparare al sacerdozio i giovani cinesi, tramite lo studio del latino.
Solo nel 1872 le autorità cinesi accettarono di aprire la prima scuola di lingue a Pechino, la Beijing Tongwenguan, inizialmente con classi di inglese e francese, oltre che di russo. Proprio da questa scuola, inizia la storia del tentativo di diffusione dell’italiano in Cina. Da allora, la stampa cinese sembra aver scoperto la diversità delle lingue europee e a partire dal 1878 il principale periodico cinese Shenbao pubblicava alcuni articoli sulle lingue europee, fra cui era citata per la prima volta anche la lingua italiana.
Nel 1903 la Beijing Tongwenguan subì un’evoluzione, diventando un vero e proprio collegio per interpreti sotto il nome di Yixueguan, a cui nel 1910 la legazione italiana a Pechino richiese formalmente di inserire nel programma di studio anche la lingua italiana. La risposta fu negativa e fu necessario attendere altri cinquant’anni prima che fossero aperte le prime classi di italiano.
La fine dell’Impero, gli eventi della Prima e Seconda Guerra Mondiale e la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, procrastinarono ulteriormente l’ingresso ufficiale dell’italiano in Cina. Il Paese si trovava in uno stato di isolamento internazionale, dopo che con la guerra di Corea erano venute meno le eventuali aperture al riconoscimento della neonata Repubblica Popolare Cinese e ciò aveva portato alla chiusura dell’ambasciata italiana a Nanchino nel 1950.
Al termine della guerra in Corea, nel 1953, la necessità di ampliare gli scampi commerciali con l’estero e soprattutto con l’Italia, portò il Governo cinese a dare mandato all’attuale Università dell’Economia e del Commercio Jinmao Daxue (prima Waimao Xueyuan) di aprire un corso di italiano, con lo scopo di formare degli specialisti in lingua italiana. La prima classe di lingua italiana fu aperta nel 1956. Gli insegnanti erano due giovani cinesi che avevano avuto una qualche frequentazione con l’Italia: Li Yantang, che aveva condiviso la stanza con un italiano presso l’Università di Yale negli Stati Uniti e aveva poi a lungo viaggiato in Italia apprendendo la lingua, e Lü Xianhan, che aveva sposato un’italiana e aveva a lungo soggiornato a Firenze.
Nello stesso anno venne organizzato un gruppo di studenti destinati a studiare materie scientifiche a Leningrado [12]. Cinque di loro, dopo aver superato tutti gli esami di competenza di lingua russa, vennero dirottati verso lo studio dell’italiano, essendo stata riscontrata l’urgenza di avere insegnanti di lingue. In questo primo nucleo di italianisti cinesi vi era Tang Tingguo, primo traduttore dall’italiano della Divina Commedia.
All’Università di Leningrado lo studio dell’italiano era affrontato in modo veramente accurato, ed aveva una lunga tradizione, che risaliva all’epoca zarista. In particolare si approfondiva molto lo studio della letteratura e si dovevano superare 25 esami di materie di cultura generale prima di sostenere la tesi. A questo si aggiungevano le lezioni di lingua nelle quali gli insegnanti, tutti russi ma parlanti fluentemente italiano, affrontavano quotidianamente grammatica, lettura e traduzione di testi e italiano parlato. Con questo solido impianto di base gli studenti già dal secondo anno erano in grado di scrivere saggi. Al terzo anno il corso di studi si divideva in due indirizzi, quello letterario ancora oggi esistente, scelto dal prof. Lü Tongliu, e quello linguistico, scelto da Tang Tingguo [13].
Negli anni Sessanta altri corsi di italiano furono aperti presso l’Istituto di Radio Pechino Guangbo xueyuan che serviva alle necessità di redattori e speaker di lingua italiana per le trasmissioni di propaganda avviate nel 1960. Dopo pochi anni, nel 1962, gli studenti confluirono nel corso quadriennale di lingua italiana neo istituito presso l’Istituto di Lingue Straniere di Pechino Waiyu xueyuan, ora Waiguoyu daxue.
Purtroppo, a causa delle tensioni del Partito Comunista Cinese con gli altri partiti comunisti nel 1962 molti esperti stranieri lasciarono la Cina e la prima classe di studenti presso questa università non fu attivata alla fine del ciclo di quattro anni, poiché nel giugno del 1966 scoppiava la Rivoluzione Culturale e venivano chiusi tutti i corsi di laurea. Tra il 1970 e il 1972, dopo i difficili anni della Rivoluzione Culturale, le lezioni di lingua italiana ripresero normalmente e si cominciò un lavoro non indifferente per preparare ed aggiornare il materiale didattico. Occorreva soprattutto un dizionario bilingue italiano-cinese, che fino ad allora non esisteva [14]. La prima edizione del volume fu pubblicata nel 1985 ed è ancora oggi considerata un punto di riferimento per lo studio e la traduzione della lingua italiana in cinese.
A partire dagli anni Ottanta i poli di italianistica a Pechino erano tre: l’Università delle Lingue Straniere, con una vocazione più letteraria, l’Università dell’Economia e del Commercio, dove per prima erano nati nel 1956 i corsi di italiano, e l’Università di Lingue e Culture, dove i primi corsi di lingua italiana furono aperti nel 1983 per la formazione linguistica del personale tecnico destinato ad affrontare periodi di studio o formazione in Italia [15]. Oltre a tali corsi nella capitale, altri ne furono autorizzati in altre città, come l’Istituto di Lingue Straniere di Shanghai, omologo di quello di Pechino.
Attualmente sono oltre venti le università cinesi che hanno corsi quadriennali di lingua italiana, di cui cinque con anche un corso magistrale e una con un dottorato in italianistica, per un totale di oltre mille studenti universitari, di cui alcune decine di laurea magistrale e 6 dottorandi. Questi corsi sono spesso parte di programmi di studi internazionali o di lingue straniere, e sono rivolti a studenti che aspirano a lavorare nel campo delle relazioni internazionali, del commercio, della traduzione, o del turismo. Oltre alle università, esistono molte scuole di lingua private che offrono corsi di italiano a vari livelli.
Sul versante dell’educazione per i più piccoli, ad esempio, l’insegnamento dell’italiano può contare dal 2015 sulla Scuola Italiana d’Ambasciata a Pechino, all’interno del compound diplomatico di Sanlitun, l’area più dinamica della capitale cinese. La Scuola Italiana d’Ambasciata nasce da un progetto avviato dalla stessa Ambasciata d’Italia a Pechino, in collaborazione con la Camera di Commercio Italiana in Cina, e ha aperto ufficialmente i battenti in occasione dell’anno scolastico 2015-2016. L’istituto si avvale della collaborazione scientifica di Reggio Children, il centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità delle bambine e dei bambini, nato nel 1994, e conta su una sezione per l’infanzia e su una per i corsi di scuola elementare.
Tra le altre realtà volte alla promozione dell’insegnamento della lingua italiana, vi è la scuola Dante Alighieri, presente a Pechino dal 1983. Le origini di questa scuola sul territorio cinese sono legate ad un lettore presso l’Università di Lingue straniere, Franco Zordan, il quale aveva deciso di offrire gratuitamente lezioni di lingua italiana ad un esiguo gruppo di persone desiderose di apprendere la lingua e conoscere la cultura italiana. La prima aula fu il piccolo soggiorno di casa sua presso l’Albergo dell’Amicizia (Youyi Binguan) [16]. Successivamente venne affittato per molti anni un locale apposito, che poteva ospitare corsi domenicali sia per principianti che per livelli più avanzati. Ogni anno a due o tre dei migliori studenti veniva offerta la possibilità di usufruire di una borsa di studio che consentiva loro di seguire un corso estivo di lingua presso l’Università per stranieri di Siena, avendo così la possibilità di entrare a diretto contatto con lingua e cultura italiane. Oggi, la scuola Dante Alighieri ha una propria sede lungo una delle arterie più trafficate della capitale cinese, la Dongzhimen Wai Da Jie, non lontano dall’Ambasciata d’Italia a Pechino, e un’altra a Hong Kong.
Un’altra lodevole iniziativa, seppur di minore rilievo, che si è distinta per il modo straordinario ed emblematico tipicamente italiano di intraprendere e portare avanti iniziative, è quella di Paolo Berchi. La sua esperienza in Cina cominciò nel 1971, quando iniziò a lavorare presso la COGIS, una società italiana che esportava macchinari. Nel 1980 Berchi si fece raggiungere dalla moglie e dalla figlia, che aveva appena finito la scuola primaria e si accingeva a intraprendere il percorso della scuola secondaria di primo grado in Cina. Negli anni, si instaurano rapporti di conoscenza e stima reciproca sempre più stretti tra la scuola e la famiglia, tanto che, a studi ormai conclusi, nel 1987, la famiglia Berchi invitò preside e vicepreside della scuola a fare una visita in Italia. Nel corso di questo loro breve soggiorno ebbero occasione di visitare diverse scuole e, fra le altre, anche la Dante Alighieri, che offrì anche in questo caso due borse di studio estive se si fosse avviato un corso di insegnamento di italiano per gli studenti di quella scuola secondaria di primo grado. Così, nello stesso anno, la scuola secondaria di primo grado cinese introdusse nel proprio programma di studio un corso di lingua italiana. Vi partecipano ancora oggi studenti di primo e secondo anno. Vengono invece esclusi gli studenti del terzo anno, completamente coinvolti nella preparazione degli esami di accesso all’università.
Nell’anno accademico 1995-96 si è aperto, infine, un centro di italianistica presso l’Università Normale di Nanjing, finanziato da un capitolo di spesa gestito dall’ambasciata, ma voluto dall’università stessa che ha poi ottenuto la necessaria approvazione dalla Commissione Nazionale per l’istruzione. Sono ancora attive tre classi, per un totale di circa 100 studenti, nelle quali sono confluiti rispettivamente studenti del Conservatorio, che si dedicano al melodramma e alla musica barocca italiana, quelli di storia dell’arte e quelli della facoltà di lingue.
Al di fuori delle aule accademiche, gli Istituti Italiani di Cultura, presenti in diverse città cinesi, svolgono un ruolo fondamentale nella promozione della lingua e della cultura italiana. Questi istituti, strettamente collegati con le istituzioni superiori cinesi nel sistema di promozione della lingua, offrono corsi di lingua, organizzano eventi culturali, e fungono da punti di riferimento per la comunità italiana e per i sinofoni interessati all’Italia.
Un’ulteriore realtà è quella dei programmi governativi. Sono oltre 3.000 gli studenti cinesi che partecipano ai programmi Marco Polo e Turandot, le iniziative nate rispettivamente nel 2006 e nel 2009 dalla Crui (Conferenza dei Rettori Italiani) per rafforzare la cooperazione scientifica tra Italia e Asia e aumentare la presenza degli studenti cinesi nelle università italiane. Il Progetto Marco Polo, in particolare, si occupa di assistere gli studenti cinesi nella preiscrizione presso una scuola di lingua italiana e, di conseguenza, presso un’università. In primo luogo, gli studenti che si recano in Italia tramite questo progetto, devono frequentare un corso di lingua di almeno 10 mesi, al termine del quale devono sostenere un esame linguistico di livello B1. Una volta superato il primo step, il passo successivo consiste nel superamento del test di ammissione all’università in cui si sono preiscritti. Solo allora possono completare l’iscrizione ufficiale e iniziare gli studi universitari. Poiché la Crui non si occupa propriamente di Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica (AFAM), ma l’autorevolezza dell’Italia nel campo della musica e delle belle arti attira un gran numero di studenti cinesi, per venire incontro alle esigenze di studio di questi studenti, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (oggi Ministero dell’Istruzione e del Merito) ha sviluppato il Progetto Turandot per la frequenza di scuole d’arte da parte di studenti cinesi, tenendo conto dei punti e dei meccanismi principali del Progetto Marco Polo.
Il dato interessante è la crescita delle persone non strutturate nel sistema scolastico ufficiale che chiedono corsi di lingua italiana, per motivi che non necessariamente sono legati alla loro carriera scolastica o professionale. Si tratta di una richiesta di Italia e di italiano, in costante crescita specialmente in Cina, che appare necessario comprendere e intercettare.
Il turismo è un altro fattore significativo. L’Italia è una delle destinazioni turistiche più popolari per i cinesi, e molti turisti cinesi scelgono di imparare l’italiano proprio per migliorare la loro esperienza di viaggio. Al contempo, il crescente numero di turisti italiani in Cina ha ulteriormente stimolato l’interesse per la lingua italiana tra i cinesi che lavorano nel settore turistico.
L’insegnamento della lingua e le implicazioni culturali
Nel mondo accademico cinese, l’italiano fa parte delle 59 lingue straniere minori, dopo l’inglese, il russo, il tedesco, il francese, lo spagnolo, il giapponese e l’arabo, considerate invece lingue straniere maggiori. Essendo attivi 21 corsi di laurea di italiano, è possibile considerare l’italiano come una lingua “maggiore” tra le lingue minori. I corsi vengono erogati principalmente nelle università e nei centri culturali presenti nelle grandi città, come Pechino, che ospita cinque corsi di laurea, Tianjin e Chongqing che ne ospitano due, Shanghai, Canton, Dalian, Xi’an, o che sono insediate in importanti aree dinamiche.
Per quello che riguarda la didattica dell’italiano e delle lingue straniere in generale, l’approccio più diffuso rimane ancora oggi quello grammatico-traduttivo, legato alla lunga tradizione confuciana che pone enfasi sulla lettura, la memorizzazione e sul ruolo dominante degli esami scritti. Secondo la dottrina morale e sociale elaborata da Confucio [17], che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina in un’epoca di profonda corruzione e di gravi sconvolgimenti politici, l’istruzione doveva essere vista come un processo di accumulo di conoscenze più che di costruzione del sapere, da qui l’importanza data alla forma scritta e alla centralità dei libri di testo come fonte assoluta del sapere. Un modo di dire cinese consolidato nei secoli, infatti, recita: “Leggi un centinaio di volte e il significato apparirà”.
Gli studenti istruiti attraverso questo approccio godono di una conoscenza solida e sistematica della grammatica e di una elevata capacità di lettura e traduzione, ma sono carenti nella capacità di ascolto e di comunicazione orale. Inoltre, i contenuti dei materiali didattici che si utilizzavano in classe, prodotti appositamente dai docenti e stampati a mano dagli studenti con la tecnica del ciclostile [18], erano rigorosamente influenzati dal culto di Mao Zedong. Vi erano dei manuali in cui ogni lezione includeva un passaggio delle citazioni di Mao tradotte in italiano. Ad esempio, la prima lezione, che aveva come argomento le armi, iniziava con la citazione maoista tradotta in italiano, «Le armi sono un fattore importante nella guerra, ma non il fattore decisivo. Sono le persone, non le cose, che decidono l’esito della guerra», poi presentava i testi che mostravano le varie armi con l’uso ripetitivo del pronome dimostrativo questo: “Questa è una pistola”, “Questo è un fucile”, “Questa è una mitragliatrice”.[19] In tal modo, gli studenti riuscivano a imparare la grammatica e il vocabolario italiano senza rischiare di violare l’ideologia comunista della rivoluzione. Tuttavia, a causa dell’eccessiva enfasi data alla politica, la didattica era inevitabilmente priva di sistematicità.
Con il crescere delle relazioni tra Italia e Cina dopo l’avvio della Riforma e apertura, i requisiti che dovevano possedere gli specialisti cinesi di lingua italiana non erano più limitati, come prima, alla sola capacità di saper tradurre nell’ambito degli affari commerciali e diplomatici, ma riguardavano anche il saper comunicare direttamente con gli italiani. Di conseguenza, l’approccio tradizionale grammatico-traduttivo non poteva più soddisfare l’insegnamento dell’italiano. Occorreva introdurre nuove teorie per rinnovare e arricchire gli approcci glottodidattici. Fra questi, l’approccio audio-orale, secondo cui l’apprendimento è il risultato di una serie intensiva e ripetitiva di stimoli e risposte, seguite dalla conferma o dalla correzione, e l’approccio comunicativo, secondo cui la lingua serve per compiere atti sociali e pragmatici, ovvero, serve per comunicare.
Infine, nel XXI secolo si è iniziato a condurre ricerche più specifiche e approfondite, allo scopo di formare studenti con un alto livello di conoscenza della lingua italiana, eccellenti competenze negli studi sull’Italia e elevate capacità di comunicazione interculturale, che hanno portato all’elaborazione del cosiddetto modello integrativo. Tale modello mira ad approfondire non solo la lingua, la letteratura e la linguistica, ma anche gli aspetti economici, politici, giuridici, sociali e culturali del Paese straniero. Lo studio della lingua straniera assume, dunque, un carattere interdisciplinare, in modo da rispondere ai bisogni dello sviluppo sociale, che necessita di laureati specializzati che conoscano bene, oltre alla lingua, anche la cultura e l’assetto sociale italiani.
Tale modello viene espletato attraverso diverse modalità. La prima contempla la suddivisione del corso di laurea in italiano in modo tale che nei primi due anni si insegni lingua e cultura italiana in cinese, mentre, negli ultimi due anni, l’insegnamento viene erogato esclusivamente in lingua italiana. Una seconda modalità è quella del doppio titolo all’interno dell’università, ovverosia oltre ai corsi di laurea di italiano, gli studenti frequentano in modo sistematico i corsi della seconda materia in cinese, ad esempio commercio internazionale, giurisprudenza, comunicazione e altre materie disponibili in università. E ancora, un’altra modalità prevede sempre un doppio titolo ma in collaborazione con una università italiana, per cui lo studente frequenta l’università cinese per i primi tre anni e l’università italiana per l’ultimo anno, conseguendo al termine del percorso due lauree, una in Cina e una in Italia.
Infine, un’ultima modalità prevede la possibilità di conseguire una laurea in lingua e una laurea specialistica in una disciplina. L’Università cinese di Scienze Politiche e Giurisprudenza, ad esempio, offre questa opportunità erogando corsi di laurea specialistica agli studenti che hanno la laurea in una lingua meno diffusa, italiano compreso. Quattro anni di laurea in italiano più una laurea specialistica in legge permette una formazione mista tra la lingua e la disciplina. Questa offerta formativa ha a che fare con i bisogni del mercato: quando gli investitori cinesi investono in Italia o quando gli investitori italiani investono in Cina, hanno bisogno di personale che conosca la lingua e abbia competenze giuridiche [20].
Molti studenti laureati in italiano in Cina, tuttavia, scelgono di continuare gli studi specialistici direttamente in Italia, siano questi in letteratura, linguistica, lingua e cultura italiana, o, cambiando disciplina, frequentano un corso di laurea specialistica in economia, scienze politiche, turismo, comunicazione o relazioni internazionali. Oltre 40.000 sono, invece, gli studenti cinesi che imparano l’italiano solo una volta arrivati in Italia, in vista, spesso, di un percorso accademico che intendono intraprendere nelle università d’eccellenza italiane.
Si stima che gli studenti cinesi che studiano italiano per venire in Italia abbiano un’età compresa tra i 18 e i 25 anni. I più giovani hanno terminato la scuola superiore in Cina e vogliono frequentare l’università in Italia, gli altri hanno invece già completato gli studi universitari di primo livello in Cina e scelgono l’Italia per specializzarsi o studiare un’altra disciplina. Prima di venire in Italia, generalmente, gli studenti si rivolgono a delle agenzie specializzate che svolgono la funzione di intermediari e facilitatori, occupandosi di tutte le fasi preparatorie al viaggio in Italia e fungendo anche da ponte tra studenti e università cinesi e italiane. Dalla promozione dell’Italia al corso di lingua, dalla preparazione della documentazione necessaria alla richiesta del visto fino alla scelta dell’università con successiva iscrizione, queste agenzie seguono ogni tappa degli studenti, avvalendosi sempre di insegnanti madrelingua che possono così abituarli a parlare italiano e raccontargli dell’Italia in maniera diretta [21].
Per quanto riguarda le lezioni di lingua, queste vengono suddivise tra lezioni di grammatica, tenute da insegnanti cinesi, e lezioni di conversazione, tenute da lettori madrelingua italiani. Programmi e materiali vengono discussi e decisi dagli insegnanti cinesi e condivisi con i lettori. Nello specifico, i materiali didattici per l’insegnamento delle lingue straniere sono tutti pubblicati esclusivamente in Cina, alcuni sono redatti da famosi docenti universitari cinesi, mentre altri sono trasposizioni di libri di italiano per stranieri: questi libri di origine straniera, affinché possano essere pubblicati in Cina necessitano di essere sottoposti ad un controllo governativo sui contenuti attuato in genere dalla casa editrice. L’insegnante cinese ha anche il ruolo di tutor, in quanto sarà responsabile in prima persona di monitorare il percorso dai livelli iniziali fino a raggiungere la competenza linguistica richiesta per le certificazioni linguistiche di italiano come lingua straniera. Lungo questo percorso si rinnova un’intensa collaborazione tra insegnante cinese e italiano, pur restando intatta la sostanziale differenza tra i loro ruoli e il loro peso specifico [22].
È possibile identificare, poi, altre due tipologie di studenti: coloro che si inseriscono nei percorsi formativi offerti dalle scuole private e coloro che partecipano ai già citati progetti Marco Polo e Turandot. In entrambi i casi, l’insegnamento dell’italiano utilizza una varietà di metodi didattici, che spaziano dall’approccio comunicativo a quello grammaticale-traduttivo, mescolato al metodo audio-orale: lo studio approfondito e sistematico delle regole grammaticali, dell’uso dell’analisi contrastiva fra la lingua madre e la lingua straniera, la traduzione, la memorizzazione di lessico e di pattern strutturali. Per quanto riguarda il programma didattico, questo viene generalmente svolto seguendo un manuale specifico per studenti sinofoni, accompagnato da materiali supplementari messi a disposizione degli insegnanti madrelingua italiani. Una gestione della didattica di questo tipo comporta, quindi, due attività parallele: l’esigenza di istruire gli apprendenti sull’uso della lingua, fornendo una riflessione metalinguistica, e di insegnare loro la lingua in uso, fornendo competenza pragmatica.
Inoltre, negli ultimi anni, anche a seguito della necessità di vivere a distanza dovuta alla presenza del virus Covid-19, si è assistito a un incremento dell’uso di tecnologie educative, per facilitare l’apprendimento anche autonomo dello studente, come corsi online, piattaforme di e-learning, applicazioni per smartphone, e risorse digitali interattive. Sembra, infatti, che dal 2018 al 2020 più di 8 mila studenti abbiano seguito questa tipologia di corsi.
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
Note
[1] Marco Polo (Venezia, 1254 – Venezia, 9 gennaio 1324) sebbene non sia stato il primo europeo a raggiungere la Cina, fu il primo a redigere un dettagliato resoconto del viaggio, Il Milione, che fu ispirazione per generazioni di viaggiatori europei, come Cristoforo Colombo, e fornì spunti e materiali alla cartografia occidentale, in primis al mappamondo di Fra Mauro.
[2] La scelta della capitale francese non fu casuale: la Francia, infatti, era stata la prima tra le maggiori nazioni europee a spezzare l’isolamento diplomatico di Pechino nei confronti di gran parte del mondo, riconoscendo la Repubblica Popolare Cinese il 27 gennaio 1964.
[3] La Primavera del 1989 si sostanziò di una serie di manifestazioni popolari di massa, che ebbero luogo principalmente in piazza Tienanmen a Pechino, dal 15 aprile al 4 giugno 1989 e che culminarono nel cosiddetto massacro di piazza Tienanmen, quando l’esercito cinese aprì il fuoco contro i dimostranti con fucili d’assalto e carri armati. La protesta diede modo all’estero di conoscere la repressione del governo cinese in tema di diritti umani e libertà di espressione e infervorì ulteriormente gli animi dei manifestanti europei. Si diede così nuovo slancio alle rivolte contro i regimi dell’URSS e degli altri Stati del Blocco orientale che portarono alla caduta del muro di Berlino, quindi anche del Blocco orientale, e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Evento, quest’ultimo, che segna ufficialmente la fine della guerra fredda, avvenuta nel 1991. Ad oggi nel mondo occidentale la protesta viene considerata un evento fondamentale del XX secolo, ma in Cina il solo parlarne è considerato un tabù. Sebbene su internet si possano trovare varie testimonianze, molti documenti di questi e altri generi sono stati occultati dal Partito Comunista Cinese tramite l’utilizzo di censura e disinformazione, permesse dal controllo pressoché totale dei mass media. Ciò diviene evidente anche durante le commemorazioni organizzate per l’anniversario del massacro: ogni anno, in occasione del 4 giugno, si tengono marce o fiaccolate nel silenzio dei mezzi di comunicazione e sotto il controllo delle autorità, che osservano anche i contenuti pubblicati su internet e sulle chat e relegano i dissidenti agli arresti domiciliari. Spesso, per aggirare la censura di Internet in Cina, si sostituisce la data del 4 giugno con quella del 35 maggio, espressione coniata dallo scrittore Yu Hua.
[4] Dal sito dell’Ambasciata d’Italia a Pechino, https://ambpechino.esteri.it/it/italia-e-cina/diplomazia-economica/#:~:text=I%20rapporti%20commerciali%20tra%20Italia,57%2C5%20miliardi%20di%20euro (consultato il 03/07/2024).
[5] Dal sito del Governo italiano, https://www.governo.it/sites/governo.it/files/ComunicatoCongiunto_Italia-Cina_20190323.pdf (consultato il 18/07/2024).
[6] Secondo i dati dell’AIRE e dell’Istat le mete più attrattive risultano essere Regno Unito, Germania, Francia, Svizzera, Brasile, Spagna e Stati Uniti.
[7] L’esenzione non coinvolge solo l’Italia ma è stata prevista anche per i cittadini di Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi e Malesia.
[8] CASANOVA G. A., Cina-Italia: l’impatto del ritiro dal memorandum sui rapporti bilaterali, ISPI, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-italia-limpatto-del-ritiro-dal-memorandum-sui-rapporti-bilaterali-163542, 15 gennaio 2024 (consultato il 09/07/2024).
[9] Dal sito del Ministero dell’Interno italiano, ufficio centrale di statistica,
https://ucs.interno.gov.it/ucs/download.php?f=Spages&s=download.php&id_sito=1263&file=L0ZJTEVTL0FsbGVnYXRpUGFnLzEyNjMvSU5UMDAwNDFfQUlSRV9EQVRJXzIwMjJfZWRfMjAyMy54bHN4&&coming=Y29udGVudXRpL0FuYWdyYWZlX2RlZ2xpX2l0YWxpYW5pX3Jlc2lkZW50aV9hbGxfZXN0ZXJvX2EuaS5yLmUuX2ludF8wMDA0MS04MDY3OTYxLmh0b
Q== (consultato il 09/07/2024).
[10] MOFFA G., La nuova emigrazione italiana a Shangai. Riflessioni ai tempi della pandemia, Milano, Franco Angeli, 2022: 63.
[11] Dal sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, La comunità cinese in Italia. Rapporto annuale sulla presenza dei migranti, 2023, https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita-immigrazione/studi-e-statistiche/rapporto-presenza-migranti-2023-cina (consultato il 09/07/2024).
[12] Il rapporto sino-sovietico risale all’ottobre 1949, ovverosia alla proclamazione della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, quando l’Unione Sovietica fu il primo paese a riconoscerla. Già nel febbraio 1950 veniva firmato tra le due nazioni un Trattato di Amicizia, alleanza e mutua assistenza.
[13] ONETO C., L’insegnamento dell’italiano in Cina, Mondo cinese n. 97, gennaio-aprile 1998, https://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/097/097_onet.htm (consultato il 11/07/2024).
[14] L’unico “dizionario” italiano-cinese di cui si poteva disporre era stato compilato a Hong Kong da un missionario cattolico, Benedetto Valle, e da due suoi collaboratori cinesi, Nicola Chang e Tommaso Tsuy, ma più che un dizionario nel vero senso del termine era un modo per inculcare il pensiero religioso dei missionari.
[15] BAGNA C., RICCI L., Il mondo dell’italiano. L’italiano nel mondo, Pisa, Pacini Editore, 2019: 174-176.
[16] ONETO C., L’insegnamento dell’italiano in Cina, Mondo cinese n. 97, gennaio-aprile 1998, https://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/097/097_onet.htm (consultato il 11/07/2024).
[17] Confucio (551-479 a.C.) fu senza dubbio il filosofo più influente nella storia della Cina le cui opinioni, precetti e idee hanno plasmato la cultura di questo paese per oltre 2000 anni. Il suo confucianesimo viene visto da alcuni come un sistema di valori umanistici e secolari, per altri come una religione e per altri ancora come un codice sociale. In realtà, l’ampio ventaglio di temi trattati si presta bene a tutte e tre queste interpretazioni a seconda degli aspetti che si prendono in considerazione di volta in volta. Il confucianesimo si basa sull’idea che gli esseri umani siano intrinsecamente buoni e che cedano a comportamenti immorali solo per mancanza di un solido modello morale. Inoltre, si crede che l’adesione a un codice etico, e ai suoi rituali, permetta all’individuo di vivere una vita pacifica, tranquilla e produttiva che si traduce nella fondazione di uno Stato etico, prospero e forte.
[18] Il ciclostile è una tecnica di stampa a mano per cui prima si scrive il testo con uno stilo su una carta oleata, chiamata “stencil” o “matrice”, la matrice incisa viene fatta aderire a una retina a nastro, avvolgente una serie di rulli inchiostratori e tamburi cilindrici che, fatti ruotare (a mano), permettono che i singoli fogli siano stampati ricevendo l’inchiostro attraverso le incisioni della matrice.
[19] WANG. J., Insegnare la lingua italiana nella Repubblica Popolare Cinese: case study del Dipartimento di italiano della Beijing Foreign Studies University tra il 1962 e il 2002, 2022, file://senato.intranet/utenti/folders2/34073digiorgi/Desktop/vzenoni-Jinxiao+Wang+Insegnare+la+lingua+italiana+nella+Repubblica+Popolare+Cinese.pdf (consultato il 25/07/2024).
[20] BAGNA C., RICCI L., Il mondo dell’italiano. L’italiano nel mondo, Pisa, Pacini Editore, 2019:179.
[21] CALAMANDREI S., Un’italiana in Cina: intervista a Tatiana Camerota, Monti ed Acque: uno sguardo sulla Cina, News, https://www.biblioteca.montepulciano.si.it/unitaliana-in-cina-intervista-a-tatiana-camerota/, 20 agosto 2013 (consultato il 17/07/2024).
[22] LOI C., Insegnare l’italiano a studenti cinesi: requisiti e sfide, 4 marzo 2021, https://www.nonsolobacchette.com/post/insegnamento-dell-italiano-a-studenti-cinesi-requisiti-e-sfide (consultato il 17/07/2024).
Riferimenti bibliografici e sitografici
BAGNA C., RICCI L., Il mondo dell’italiano. L’italiano nel mondo, Pisa, Pacini Editore, 2019.
CALAMANDREI S., Un’italiana in Cina: intervista a Tatiana Camerota, Monti ed Acque: uno sguardo sulla Cina, News, https://www.biblioteca.montepulciano.si.it/unitaliana-in-cina-intervista-a-tatiana-camerota/, 20 agosto 2013 (consultato il 17/07/2024).
CASANOVA G. A., Cina-Italia: l’impatto del ritiro dal memorandum sui rapporti bilaterali, ISPI, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-italia-limpatto-del-ritiro-dal-memorandum-sui-rapporti-bilaterali-163542, 15 gennaio 2024 (consultato il 09/07/2024).
MOFFA G., La nuova emigrazione italiana a Shangai. Riflessioni ai tempi della pandemia, Milano, Franco Angeli, 2022.
ONETO C., L’insegnamento dell’italiano in Cina, Mondo cinese n. 97, gennaio-aprile 1998, https://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/097/097_onet.htm (consultato il 11/07/2024).
WANG. J., Insegnare la lingua italiana nella Repubblica Popolare Cinese: case study del Dipartimento di italiano della Beijing Foreign Studies University tra il 1962 e il 2002, 2022, file://senato.intranet/utenti/folders2/34073digiorgi/Desktop/vzenoni-Jinxiao+Wang+Insegnare+la+lingua+italiana+nella+Repubblica+Popolare+Cinese.pdf (consultato il 25/07/2024).
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Stefania Di Giorgi, dopo essersi laureata in Mediazione Linguistica e Culturale, ha vissuto tra Marocco ed Egitto, dove ha approfondito le sue conoscenze linguistiche arabe e, contemporaneamente, ha insegnato italiano a stranieri in una scuola privata ad Alessandria d’Egitto. Successivamente, si è laureata al corso di Laurea Magistrale in Diritti dell’Uomo, delle Migrazioni e della Cooperazione Internazionale e nel contempo ha intrapreso la carriera di collaboratrice parlamentare. Attualmente, oltre a proseguire la sua carriera professionale, frequenta un Master di II livello in Economia, Diritto ed Intercultura delle Migrazioni presso l’Università di Roma Tor Vergata.
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