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La diffusione dell’italiano negli Stati Uniti: problemi e prospettive

corsilinguaitalianamarchedi Benedetto Coccia, Karolina Peric e Franco Pittau 

USA, il Paese di maggiore sbocco dell’emigrazione italiana 

L’arrivo degli italiani negli Usa iniziò sommessamente prima dell’Unità d’Italia, per diventar poco dopo di massa, arrivando anche ai 300 mila sbarchi l’anno. Anche nel periodo tra le due guerre non si fermarono gli arrivi (mezzo milione complessivamente, nonostante le norme restrittive sull’ingresso approvate tra il 1921 e 1924, che colpivano i nostri meridionali, meno istruiti) per riprendere con intensità nel periodo postbellico e attenuarsi negli anni ‘60 quando venne soppressa la normativa delle quote in ingresso assegnate secondo la confidenza della comunità già residente.  Infine, dagli anni ‘70 del secolo scorso gli arrivi continuarono come sbocco privilegiato per i protagonisti delle migrazioni qualificate (circa 100 mila negli anni ‘2000).

Dal 1820 al 2019 sono emigrati negli Stati Uniti circa 6 milioni di italiani, di cui più di 5 milioni prima della Seconda guerra mondiale. La loro massima concentrazione si riscontra a New York, nel New Jersey e nel Connecticut, zone d’insediamento più agevoli per chi arriva e anche in grado di facilitare i frequenti ritorni in patria.

Ai tempi della grande emigrazione, i protagonisti appartennero, nella grande maggioranza dei casi, alla classe popolare ed erano in prevalenza senza istruzione e dialettofoni. Poco abituati a parlare l’italiano, che un po’ impararono per comprendersi tra italiani dai dialetti così differenti, erano altrettanto in difficoltà con la lingua inglese, di cui imparano i termini più indispensabili per condurre la vita fuori casa, inframezzandolo con termini desunti dal proprio dialetto e dall’italiano.

Gli Italiani, anche se il loro lavoro era funzionale alle esigenze dello sviluppo locale, non furono inizialmente ben accetti. Il processo di integrazione iniziò con le seconde generazioni nel periodo tra le due guerre e si sviluppò più ampiamente dopo la Seconda guerra mondiale, nonostante la persistenza di diversi pregiudizi.

Ancora oggi un pregiudizio duro a morire è quello dell’italiano mafioso o quanto meno simpatizzante della mafia, salvo restando che l’emigrazione italiana ha lasciato negli Stati Uniti la pesante eredità della presenza mafiosa. Questo pregiudizio sembrerebbe giustificare l’enorme attenzione dedicata al romanzo Il padrino dello scrittore italoamericano Mario Puzo (1920-1999) e ai diversi film che ne hanno ripreso la trama. Lo stesso è avvenuto per la fortunata serie televisiva “I Soprano”, durata ininterrottamente dal 1989 al 2006 per effetto non solo di una magistrale regia ma anche di una morbosa attenzione “all’italiano mafioso”.

71azcflrpxl-_ac_uf10001000_ql80_Un forte impulso alla riconsiderazione della comunità italo-americana, favorendone l’apprezzamento rispetto all’inquadramento negativo del passato, fu dato dai grandi protagonisti nel mondo della cultura e della scienza venuti dall’Italia a partire dal periodo fascista. Ermenegildo Schiavo, per porre in evidenza l’apporto qualitativo dato da molti membri della comunità italiana, ha pubblicato diverse monografie su singoli personaggi, poi ripresi nel volume del 1992, intitolato Four centuries of Italian-American history.

È, però, tutt’altro che infondato ritenere che all’origine di questa integrazione vi sia stata anche la base: quei contadini analfabeti e poveri che furono tenaci nel lavoro e saldamente attaccati alla famiglia, alle tradizioni (dalla cucina alla religione) e alla solidarietà etnica, e che investirono sull’educazione dei loro figli, fiduciosi che essi avrebbero superato la condizione di emarginazione e di inferiorità [1].

Nel periodo del secondo dopoguerra, grazie al protagonismo delle terze generazioni sul posto e, in Italia, al vivace dinamismo politico (di cui rimane espressione la Costituzione repubblicana), economico (per cui si coniò l’espressione “miracolo italiano”) e culturale (basti pensare ai registi del neorealismo italiano e ai loro indimenticabili film), l’Italia, la sua cultura e la sua lingua attirarono un’attenzione privilegiata.

La situazione col tempo è andata modificandosi e risulta più difficoltoso richiamare l’attenzione sulla lingua italiana. Negli Stati Uniti hanno assunto una grande rilevanza le dimensioni asiatiche e verso l’Asia tendono a volgere maggiormente lo sguardo i politici statunitensi, sempre più presi dal confronto col colosso economico cinese e attenti a quel continente dove si trova la quota maggioritaria della popolazione mondiale e diversi nuovi e agguerriti Paesi protagonisti nello scenario mondiale.

Le seguenti riflessioni dedicate alle sorti dell’italiano negli Stati Uniti, tengono conto di questa problematica di fondo e auspicano che questo Paese, che dal lavoro italiano ha ricevuto un forte impulso al suo straordinario sviluppo, riesca a ricomporre il suo futuro con il suo passato (e a tal fine la strada maestra consiste nell’attenzione alla lingua italiana, con le positive conseguenze che ne derivano).

Ma all’interno di questo popoloso Paese vi sono anche gli oriundi, gli italoamericani, quelli che per discendenza sono legati all’Italia. Pensiamo che nessun altro Paese, tra i principali sbocchi della nostra emigrazione, possa essere preso come il caso più emblematico dei problemi legati alla persistenza del nucleo culturale di un popolo, persistenza che trova nella lingua un perno privilegiato. La lingua, infatti, completa l’apporto lavorativo dato al Paese di accoglienza sul piano culturale e aiuta a conoscere meglio il Paese da cui la comunità immigrata ha avuto origine. La lingua è, inoltre, la base che consente alle stesse comunità di acquisire una maggiore consapevolezza delle proprie radici. In tal modo il fenomeno migratorio, anziché configurarsi come una dispersione, diventa fonte di un molteplice arricchimento, sul quale torna opportuno citare qualche esempio, sia lontano nel tempo che recente.

Già il toscano Carlo Bellini (1735-1804) divenne cittadino americano e insegnò lingue moderne, dal 1779 al 1803, presso il College of William and Mary a Williamsburg, in Virginia. Ottenne il suo incarico universitario come insegnante di italiano, francese e spagnolo su indicazione di Jefferson, il futuro presidente degli Usa che era legato da stretti rapporti a Filippo Mazzei (1730-1816), una complessa personalità che riuscì a svolgere diverse mansioni (agricoltore, commerciante, saggista, diplomatico), e ispirò l’articolò della Costituzione statunitense secondo cui tutte le persone nascono per natura uguali.

81ulinbr82l-_ac_uf10001000_ql80_Lorenzo Da Ponte (1749-1838) fu un intraprendente personaggio, irrequieto, di buona istruzione, di famiglia ebrea ma battezzato e diventato un sacerdote cattolico dai costumi troppo liberi e poi, da laico, famoso autore dei libretti per le opere (ad esempio Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte per Mozart).  Ossessionato dai creditori (con il contorno di usurai, sbirri e avvocati) pose fine alle sue diverse peregrinazioni in Europa, trasferendosi nel 1806 a New York, dove si adoperò per favorire la diffusione delle opere liriche. Nel 1825 egli diventò professore di lingua e letteratura italiana presso il Columbia College (oggi Columbia University).

Facendo il salto di un secolo arriviamo a un altro toscano, Giuseppe Prezzolini (1882-1982).  Riconosciuto animatore del dibattito politico e culturale tramite la rivista La Voce, non trovandosi a suo agio nel contesto del governo fascista, pur senza essere perseguitato. A New York insegnò a lungo come titolare della cattedra d’italianistica presso la Columbia University, sia durante tutto il periodo del fascismo sia nel primo periodo del dopoguerra, diventando poi professore emerito. Ritornato in Italia, scrisse le sue riflessioni sui connazionali, sradicati dall’Italia per andare a lavorare in quel Paese. Sensibile alle implicazioni culturali, egli affermò che questo popolo di analfabeti trapiantati in un’altra cultura non lasciò come eredità culturale altro che la fiducia nel valore dei vegetali come zucchine e carciofi prima ancora che venisse scoperto il valore delle vitamine (e su questo aspetto già abbiamo espresso il nostro diverso convincimento) e che vicino a  questi trapiantati, anche sotto l’aspetto sociale e culturale (incluso quindi anche l’insegnamento della lingua) fu, più delle istituzioni, la Chiesa cattolica che inviava sacerdoti a loro sostegno.

cover_9788833570310__id2702_w492_t1537782069__1xSu questo tema veniamo a un evento dei nostri giorni, che riguarda un immigrato trasferitosi dall’Italia negli Stati Uniti e che si è impegnato nell’insegnamento della lingua italiana. Amara Lakhous è un testimone d’eccezione perché ha imparato molto bene l’italiano e attraverso di esso ha voluto esprimere la sua creatività di scrittore. Egli ha fatto propria la lingua della terra che lo ha accolto e ne è diventato docente negli Stati Uniti, dove si è trasferito, prima presso la New York University e poi presso l’Università di Yale, che gli ha conferito l’incarico, apprezzando il carattere creativo dei suoi romanzi. 

Amara rimane impresso nel ricordo di una schiera di mediatori culturali e operatori sociali, che a Roma tanto si sono adoperati per far considerare gli immigrati portatori di cultura. ​La sua singolare esperienza è stata così da lui riassunta: «Ho imparato l’italiano a 25 anni, 10 anni dopo ho pubblicato un romanzo in italiano. Adesso sono professore di italiano a Yale!  Sono molto fiero e contento di servire la lingua italiana nel mondo. È un modo per pagare il debito nei confronti di un Paese che mi ha accolto come rifugiato quando scappai dall’Algeria nel 1995».  

L’iniziale diffusione dell’italiano [2] 

Negli Stati Uniti la diffusione dell’italiano, inizialmente incentivato da una consistente presenza di italo-americani, col tempo ha conosciuto un andamento in qualche modo problematico, o quanto meno non del tutto soddisfacente, rispetto alla rilevante consistenza della comunità italiana nel Paese. Certamente la drastica riduzione dei flussi in arrivo non è stata d’aiuto, sia perché è venuto a mancare lo stimolo per alimentare la pratica linguistica tra immigrati di vecchia data e i new comers, sia perché già di per sè il persistente aumento degli italofoni avrebbe richiamato una maggiore attenzione alla loro lingua. Questo condizionamento negativo iniziò negli anni ‘20 del XX secolo, quando la normativa statunitense, sottoponendo l’autorizzazione degli ingressi a un minimo grado di istruzione scolastica, chiuse praticamente le porte all’immigrazione dai meridioni d’Italia. 

imageIl panorama linguistico statunitense 

Gli Stati Uniti sono un Paese nel quale si riversarono dei flussi di massa durante il periodo della grande emigrazione e dove si stima che quelli di origine italiana siano stati almeno 15 milioni (e secondo alcune associazioni di italiani addirittura il doppio). Verrebbe da pensare che ne sia derivato un grande impulso all’uso della lingua italiana, continuando la pratica invalsa nei primi tempi della loro permanenza, ma le cose non stanno così e quelli che parlano italiano sono diminuiti sempre più e quei pochi che lo fanno raramente sono dei giovani.

Gli italofoni esercitarono la massima incidenza sulla popolazione residente negli Stati Uniti nel 1940, quando erano 3.755.820, il 3.8% sui 132.164.569 residenti. Rispetto al periodo antecedente la Prima guerra mondiale la loro incidenza risultò quasi raddoppiata: infatti, nel 1910 gli italofoni erano 1.365.110 su una popolazione di 83.228.496 (incidenza dell’1,5%).

Sulla base dei dati censuari, negli ultimi decenni del XX secolo, nel 1980 l’incidenza degli italofoni è scesa (1.618.344 italofoni con una incidenza dello 0,7% su 226.245.805 residenti), con questi successivi valori negativi: nel 2000 residenti 281.421.907, italofoni 1.008.370, incidenza 0,4%, e nel 2010 residenti 398.745.5338, italofoni 723.632, incidenza 0,2% [3]. Sono stati anche indicati gli Stati dove, nel 2000, risultava più alta l’incidenza dei parlanti italiano: 12% New York e New Jersey, 8% California, 7% Pennsylvania, 6% Florida e Massachusetts, 5% Illinois e Connecticut. Attualmente tali valori sono pesantemente ridimensionati.

Si tratta di due dinamismi che vanno in direzioni opposte: in continua crescita i residenti e in continua decrescita gli italofoni. Non possono non insorgere degli interrogativi sulle strategie da perseguire, sia per stimolare un ruolo più dinamico della comunità Italo-statunitense, sia per intervenire su altri livelli della diplomazia culturale italiana.

Non si è mancato di affermare che l’italiano è la lingua che negli Stati Uniti sta scomparendo più rapidamente [4]. Dal 2001 al 2017 i residenti che parlano italiano in casa sono scesi da 900 mila persone a 550 mila; un’incredibile riduzione del 38%. In nessuna delle lingue parlate da più di 100 mila persone, è stata evidenziata una riduzione così drastica; francese -12% (scesa a 1.185.000 parlanti) e il tedesco -5% (sceso a 905mila parlanti).

Le ragioni, come potete immaginare, sono due. Prima di tutto, ci sono molti meno residenti negli Stati Uniti nati in Italia (circa 400 mila, mezzo milione in meno rispetto all’inizio del secolo). Un’altra causa della diminuzione dei parlanti italiano è collegata all’integrazione che, arrivata a piena realizzazione con la terza generazione, lega unicamente all’inglese, dopo la fase intermedia della seconda generazione ancora un po’ legata all’italiano. Questa brusca discesa non è riscontrabile nella curva verso il basso conosciuta dal francese e dal tedesco e sta a indicare che all’interno della comunità italo-statunitense si risconta qualcosa di specifico (e ciò si registra anche in altre comunità italiane del mondo), che da un lato sembra indicare una maggiore propensione camaleontica da parte dei suoi membri e, dall’altra, che l’Italia nei loro confronti esercita un potere meno attrattivo.

Lo stesso discorso potrebbe valere anche per i francofoni e i tedescofoni, anche perché il loro insediamento è di più vecchia data, ma così non è stato. Nel frattempo, a fronte dell’arrivo di nuovi immigrati specialmente dall’Asia, tra i residenti negli Stati Uniti è aumentato il numero di quelli che, oltre all’inglese, parlano anche un’altra lingua straniera, passato dall’11% del 1980 al 22% del 2016.

Vediamo ora l’effetto prodotto da questo incredibile mutamento in un visitatore andato a curiosare nel tradizionale tempio dell’italianità: la Little Italy di New York [5]. C’è ancora qualche anziano, ma gli altri ormai sono sparsi ovunque – visto il buon tasso di integrazione – e comunque concentrati altrove, per esempio in New Jersy.

Un discorso a parte riguarda la categoria dei proprietari dei ristoranti: è italiano chi possiede i vari alimentari e negozi di prodotti tipici, ma pochissimi di loro erano ancora residenti nel quartiere. Quella visita a Little Italy è ormai solo ed esclusivamente una trappola per turisti ed è stata abbastanza triste, soprattutto se messa a confronto con l’incredibile vitalità e genuinità della confinante China Town. La cosa che mette più tristezza (almeno a chi è cresciuto con i film di Scorsese e De Palma) è vedere come Little Italy si sia trasformato in una pacchiana e patetica riproduzione di ciò che un quartiere italo-americano era decine di anni fa. 

img_1447L’insegnamento dell’italiano nelle scuole americane, tardivo e in parte incompiuto 

Filomena Fidulli Sorrentina, una calabrese con una passione quarantennale dell’insegnamento dell’italiano sia nelle scuole che in diverse università, in un suo articolo, ricco di dati, ha offerto una sintetica quanto precisa storia della nostra lingua nelle scuole e nelle università degli Stati Uniti [6].

L’insegnamento dell’italiano non ha una presenza di lunga data nelle scuole americane. I protagonisti dei consistenti flussi della grande emigrazione, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, per lo più parlavano i loro dialetti e non l’italiano. L’altra consistente ondata migratoria dal Meridione avvenne negli anni ‘60 e anche in questo caso la preoccupazione dei nostri emigrati non consisteva nell’imparare l’italiano (a casa si parlava il dialetto, e così peraltro avveniva anche in Italia) bensì nell’apprendere l’inglese per poter riuscire a trovare presto un lavoro e sistemarsi. I figli, poi, più che dai loro genitori, impararono l’inglese a scuola, ascoltando i programmi televisivi, a contatto con altre persone che parlavano inglese.

Fino agli anni ‘80 i minori della comunità italiana non potevano imparare l’italiano a scuola perché erano poche le scuole nelle quali si insegnava. Quindi i figli degli emigrati, che nel periodo della loro formazione avevano studiato solo l’inglese e non l’italiano, sentirono il bisogno di valorizzare la lingua e la cultura alla base della loro identità e lottarono per decenni per far inserire nelle scuole l’insegnamento della lingua italiana. Fu e continua a essere un impegno corale, sostenuto dall’AATI (American Association of Teachers of Italian) e dall’AIAE (Association of Italian American Educators), come da altre organizzazioni degli italo-americani, naturalmente in collaborazione con le autorità diplomatiche e consolari.

gettyimages-677580074-1547820096Attualmente, negli Stati Uniti l’italiano si studia nei licei e nelle università, ma da oltre un decennio la sua richiesta è in aumento anche alle scuole elementari e medie. Le scuole elementari che offrono la possibilità di studiare l’italiano sono ancora poche. Nel mese di settembre 2018, su richiesta dei genitori con bambini piccoli e del Consolato italiano, le autorità pubbliche nel settore dell’istruzione di New York hanno autorizzato il primo esperimento d’insegnamento bilingue, in inglese e in italiano, in una scuola pubblica di Manhattan. L’interesse a fare imparare l’italiano già da piccoli non viene solitamente preso in considerazione per la mancanza dei requisiti, dei fondi e dei docenti qualificati.

Generalmente si inizia a studiare la lingua straniera a partire dalla a seconda media e si continua nei licei. Per essere ammesso all’università uno studente deve aver conseguito un diploma liceale di livello avanzato con tre crediti in lingua straniera (per le università private quattro crediti), il che equivale ad altrettanti anni di studio della lingua prescelta.

Dopo questi brevi cenni storico-normativi vediamo come l’insegnamento dell’italiano si è sviluppato nei primi due decenni degli anni Duemila. 

07518a0f-6827-4553-8148-c51d12330e44La scuola italiana di New York “Guglielmo Marconi” 

La Scuola d’Italia Guglielmo Marconi di New York è un’istituzione educativa di rilievo che si distingue per essere l’unico liceo legalmente riconosciuto dal governo italiano in tutto il Nord America. Fondata nel 1977, la scuola offre un ambiente accademico e culturale unico che unisce l’eccellenza dell’istruzione italiana con le opportunità offerte dal contesto internazionale di New York City.

Uno dei principali punti di forza della Scuola d’Italia è la sua offerta educativa completa che copre tutti i livelli, dalla scuola materna al liceo. Gli studenti hanno l’opportunità di seguire un curriculum che integra la rigorosa tradizione italiana con le esigenze e le sfide del mondo moderno, preparandoli efficacemente per il successo sia a livello nazionale che internazionale. Inoltre, la Scuola d’Italia si impegna a preservare e diffondere la lingua, la cultura e le tradizioni italiane attraverso una vasta gamma di programmi extracurriculari, eventi culturali e partnership con istituzioni italiane ed in stretta collaborazione con l’Ufficio Scolastico presso il Consolato generale di New York. Questo permette agli studenti di mantenere un legame stretto con le loro radici italiane, mentre si aprono alle opportunità globali che la città di New York offre.

La Scuola d’Italia Guglielmo Marconi si distingue anche per il suo corpo docente altamente qualificato e impegnato, che lavora per garantire un ambiente di apprendimento stimolante e inclusivo. Gli insegnanti sono in grado di offrire un’istruzione di alta qualità che soddisfa gli standard accademici italiani, preparando gli studenti per gli esami IB (International Baccalaureate) e di maturità italiani e per l’ammissione alle università italiane e internazionali.

e208aa25-d7d3-489f-8e2c-6643b4ffe208Due di questi docenti, altamente specializzati, sono stati inviati in missione dal MAECI per diffondere la cultura italiana nel mondo: Karen Fellini, che insegna nella scuola primaria, e Francesco D’Anna che insegna Matematica e Fisica nelle classi del Liceo Scientifico. Sotto la guida del nuovo capo di Istituto, Dr. Michael Cascianelli, la Scuola d’Italia ‘Guglielmo Marconi’ di New York svolge attualmente un ruolo importante nel promuovere la comprensione interculturale e la diversità, accogliendo studenti di diverse nazionalità e background. Questo ambiente multiculturale arricchisce l’esperienza educativa degli studenti, offrendo loro l’opportunità di imparare e crescere insieme. 

La situazione dell’italiano nella prima decade degli anni Duemila 

Premettiamo che degli Istituti Italiani di Cultura operanti negli Stati Uniti, quello di New York, è competente per diversi Stati dell’Unione e rileva la sua importanza per il fatto di operare in un’area ad elevato insediamento di italo-statunitensi. Questo Istituto svolge un’attività molto intensa, non tanto nell’organizzazione di corsi di lingua quanto nell’animazione di eventi per proporre la cultura italiana[7]. Fondato nel 1960, l’edificio, di grande pregio architettonico, si trova a fianco del Consolato Generale d’Italia a Manhattan, vicino al Park Avenue. Alla pari di altri I.I.C. operanti in grandi città, la direzione dell’Istituto di New York è affidata a personalità di chiara fama, avvicendatisi nel tempo: giornalisti, professori universitari, architetti, critici d’arte e altre figure di prestigio. 

Istituto Italiano di cultura a NY

Istituto Italiano di cultura a NY

L’Istituto è dotato di una biblioteca, accessibile al pubblico, con trentamila libri e una ricca collezione di videocassette e DVD. Diventando soci dell’Istituto con una quota annuale, si può avere questo materiale in prestito e fruire di sconti per partecipare alle diverse manifestazioni, per le quali ricevono un invito (mentre gli altri ne vengono a conoscenza, in italiano e in inglese, navigando sul sito dell’Istituto). La Galleria, di cui l’Istituto è parimenti dotato, rimane a disposizione degli artisti interessati a esporre le loro opere. Come immaginabile, sono stati innumerevoli gli eventi promossi.

Verso la metà del primo decennio degli anni ‘2000 si è verificato negli Stati Uniti un ufficiale riconoscimento nei confronti della lingua italiana, che ha permesso di sperare in un potenziamento della sua diffusione. Vedremo poi quali sono state le reazioni al riguardo, sia in loco che in Italia, ma prima è opportuno spiegare gli esatti termini di questo riconoscimento. Va premesso che il sistema formativo statunitense è quanto mai complesso e privo di uniformità tra le diverse università, ma quanto mai esigente in tema di certificazioni.

I più prestigiosi atenei, per ammettere uno studente a completare nei propri dipartimenti lo studio della lingua da lui scelta, accertano previamente le competenze acquisite attraverso una serie di test, messi a punto da strutture specializzate nella certificazione. Questi test sono denominati Advanced Placement.  Il loro superamento consente agli studenti di diminuire i crediti da acquisire, accorciare i tempi e abbassare i costi della loro già costosissima frequenza universitaria. L’inserimento in questa procedura di certificazione del francese e del tedesco (grazie alla pressione esercitata dalle autorità e dalle strutture che promuovono queste lingue) è avvenuto da tempo, acquisendo così un maggiore prestigio nel contesto universitario e una maggiore capacità attrattiva sugli studenti. Mentre, lo spagnolo è andato affermandosi con grande forza, efficacemente sostenuto dalla continua crescita della presenza latinoamericana, e hanno anche iniziato a far sentire la loro carica competitiva il giapponese e il cinese.

La persistente esclusione dell’italiano dall’Advanced Placement rischiava di confinarlo in un’area residuale rispetto alle altre lingue europee. Seppure tardivamente, questo ambito traguardo è stato raggiunto nel 2005. Si poteva ottenere prima questo riconoscimento, ma l’importante è esseri arrivati.

Solitamente il superamento delle situazioni stagnanti avviene per l’impegno di persone particolarmente competenti e preparate. Al fine di inserire l’italiano nel sistema dell’Advanced Placement si adoperò per tempo Giancarlo Macchiarella, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York dal 1988 al 2001, per poi collaborare con lo stesso istituto. Il suo prezioso apporto è stato posto in evidenza da un esperto della certificazione, che con lui cercò di venire a capo delle difficoltà che impedivano l’auspicabile sinergia tra le strutture pubbliche interessate alla diffusione dell’italiano, come anche tra le università competenti per le certificazioni, sensibilizzando inoltre le associazioni degli italo-americani [8].

Quanto alle ricadute operative della maggiore attenzione prestata all’italiano in ambito universitario va detto che, in quel periodo, i dati statistici, resi pubblici dal Consolato di New York, hanno attestato un fortissimo aumento di interesse alla storia, alla cultura e allo stile di vita italiana e, congiuntamente, anche alla lingua italiana, che in effetti ha conosciuto un forte quanto inaspettato aumento di studenti nei college e nelle high school. Le stime di quel periodo parlano di 60 mila studenti americani impegnati nello studio dell’italiano, dei quali 30 mila nei soli Stati di New York e Connecticut.

images-1Veniamo ora ad alcune reazioni causate dall’inserimento dell’italiano nell’AP. Il pertinente commento dell’Ufficio scolastico del Consolato di New York ha sottolineato che è stato fatto un grande passo in avanti con l’accordo di settembre 2005, per cui l’italiano non è più una semplice lingua straniera, bensì una lingua inserita nel rango di quelle che contano (accomunata allo spagnolo, al francese e al latino), ammessa ai benefici che conseguono dall’Advanced Placement Program. Pertanto, gli studenti iscritti all’ultimo anno di un liceo e frequentanti i corsi d’italiano, qualora si iscrivano a una università in cui l’italiano figura tra gli insegnamenti curriculari, saranno ammessi ai livelli avanzati e, inoltre, fruiranno di benefici economici, vedendosi riconosciuti fin dall’ingresso 5 crediti (all’epoca il costo por l’acquisizione di un singolo credito comportava una spesa di circa 1.500 dollari).

La soddisfazione della testata editoriale degli italiani America Oggi è stata entusiastica. “Negli USA l’italiano è di moda”: questo l’articolo apparso a firma di Domenico Semeraro il 14 marzo 2006. Vi si afferma addirittura che la lingua italiana ha iniziato a fare una certa concorrenza allo spagnolo. Le considerazioni dell’articolo sono improntate a un grande ottimismo e alla speranza nel superamento del poco gradito stereotipo a lungo utilizzato nei confronti degli italiani (seppure con benevola simpatia) “Mafia, pizza e mandolino”  [9].

america_oggiIn questo contesto di fiduciosa apertura, il direttore di America oggi (il primo quotidiano in lingua italiana stampato negli Stati Uniti e collegato con il quotidiano italiano La Repubblica), ha deciso di mettere gratuitamente a disposizione il giornale. Questa iniziativa, realizzata in collaborazione con l’IACE (Italian American Committeee on Education), ha permesso di distribuire il quotidiano in circa settanta licei dove si studia l’italiano, sia per incentivare lo studio della lingua e della cultura italiana, sia per offrire, agli insegnanti e agli studenti, materiale per collegarsi con quanto avviene in Italia e nella comunità italofona americana, con la possibilità per tutti di migliorare le proprie conoscenze linguistiche attraverso l’esame degli articoli e per quelli più portati al giornalismo di iniziare già a scrivere su America Oggi. I benefici a livello di diffusione si sono fatti sentire. L’American Council on the Teaching of Foreign Languages (ACTFL) ha segnalato l’aumento di quanti nei licei studiano l’italiano, e questo andamento corrisponde ai dati raccolti da parte italiana. Secondo la Modern Language Association, gli studenti di italiano nelle università americane sono cresciuti nel corso del primo decennio degli anni ‘2000 da 49 mila ad oltre 80 mila. 

Il secondo decennio degli anni Duemila 

Nel secondo decennio, il livello dello studio dell’italiano, specialmente in ambito universitario, non è stato del tutto favorevole, ma neppure sono mancati gli aspetti positivi, dai quali partiamo per analizzare questo periodo. Con un lancio del 27 gennaio 2015 alcune agenzie di stampa italiane hanno informato su un ulteriore riconoscimento a favore di chi intende studiare l’italiano nelle università [10].

Nel 2012 è stato perfezionato l’inserimento dell’italiano nel programma Advanced Placement a seguito del forte impegno (anche finanziario) del Governo italiano e delle principali organizzazioni italo-americane. I risultati sono stati positivi, come rilevato dall’immediato aumento dei candidati: 806 candidati nel 2012, 1.980 nel 2013 e 2.130 nel 2014.

Nel 2015 il consolidamento della lingua italiana ha ricevuto un nuovo significativo sostegno. Infatti, il College board, l’organizzazione senza scopo di lucro che ogni anno aiuta più di sette milioni di studenti a prepararsi per essere ammessi nei college universitari, si è impegnato finanziariamente a mantenere l’italiano tra le materie d’esame del Programma dell’Advanced Placement. Secondo l’Ambasciatore italiano a Washington, Claudio Bisogniero, «si tratta di un risultato dal rilievo strategico, che mette al sicuro la promozione dell’italiano nel quadro del programma AP e costituisce un autorevole riconoscimento dell’incisività della protratta azione corale della Farnesina, di questa ambasciata e della rete consolare in favore della diffusione della nostra lingua negli USA».

scuola-italiana-new-yorkDal 2012, nel corso di cinque anni, come riferisce nel suo articolo Filomena Fidulli Sorrentino, gli studenti di italiano al liceo sono passati da 50 mila a 78 mila. Passiamo, quindi, ai nuovi dati relativi allo studio della nostra lingua negli Stati Uniti, che accreditano una situazione notevolmente migliorata, come hanno sottolineato due articoli, il primo apparso su La voce di New York e l’altro del sito Italofonia. In questi articoli sono stati commentati i dati forniti dall’Ambasciata d’Italia in occasione di un importante convegno svoltosi nella capitale statunitense all’inizio del 2022 [11].

La comunicazione dei dati è avvenuta nell’ambito di una sessione di lavoro dell’Osservatorio nazionale della Lingua italiana, che si basa sulla raccolta ed elaborazione dei dati che sistematicamente il MAECI cura e che periodicamente rende pubblici. All’incontro hanno partecipato rappresentanti dell’ambasciata, dei Consolati, degli Istituti italiani di cultura, dei funzionari che si occupano del settore culturale, del Consiglio Generale degli Italiani all’estero (CGIE), dei 14 enti gestori dei corsi e di una delegazione dei docenti dell’Università per stranieri di Perugia.

Nell’approvare il piano strategico, che definisce le linee di azione e di promozione della lingua italiana per il 2022, l’Osservatorio ha indicato le principali sfide su cui dovrà concentrarsi la politica di sostegno alla diffusione dell’Italiano: la formazione dei docenti, l’adozione di metodologie didattiche che integrino anche l’insegnamento a distanza, l’appoggio alle università dove sono presenti major e minor di italiano e l’aggiornamento delle collaborazioni con le università statunitensi e le aziende italiane.

A questo punto, dopo aver riferito sulla cornice di più ampia portata tracciata nei lavori, è opportuno concentrare l’attenzione sui dati forniti dall’Ambasciata italiana, secondo i quali, nell’anno 2020/2021, l’incremento degli studenti è stato del 14,6%, arrivando a un totale di 214.175 studenti rispetto ai 186.894 nella precedente rilevazione, per cui gli Stati Uniti si confermano il quarto Paese nella graduatoria mondiale per il numero di studenti della lingua italiana. Non si è, poi, mancato di valorizzare da parte dei convenuti il miglioramento qualitativo delle performance degli studenti di italiano, con l’aumento della percentuale degli allievi che hanno superato a pieni voti l’esame Advanced Placement.

Anche un altro dato comunicato in quell’occasione merita attenzione, non essendo la lingua slegata dagli altri aspetti socio-culturali. L’Italia è risultata la seconda destinazione all’estero per gli studenti americani perché tra di essi l’hanno scelta in 39.043, praticamente un numero di scelte pari a quelle riguardanti il Regno Unito che ne ha avuti solo 15 in più, per cui si può parlare di un primo posto ex equo. Fin qui le notizie positive, alle quali si aggiungono elementi di problematicità che impediscono di essere pienamente soddisfatti. Ci riferiamo alle indagini della prestigiosa Modern Language Association (MLA).

602243149548e081317828È comprensibile la non piena concordanza tra i dati raccolti dalla MLA e quelli rilevati dal MMAECI, perché l’indagine italiana riporta non solo i dati da fonti in parte diverse, facendo ad esempio riferimento anche ai corsi d’italiano degli Istituti Italiani di cultura e degli enti gestori collegati. Ciò precisato, bisogna non sottostimare l’attendibilità dei dati pubblicati dall’associazione americana, che monitorizza l’andamento nel Paese non solo dell’italiano ma anche delle altre lingue estere e ha il pregio di offrire la base per effettuare dei confronti.

La MLA, nel rapporto del 2009, che ha rilevato le variazioni intervenute, ha sottolineato che la lingua italiana si è collocata al quarto posto tra le lingue più studiate negli Stati Uniti (dopo francese, spagnolo e tedesco) ma con una consistente diminuzione di circa il 10%, andamento negativo non conosciuto in questi termini dalle lingue prima citate e specialmente dal giapponese, in forte crescita e molto vicino a raggiungere il numero degli studenti d’italiano. La MLA, nella successiva indagine del 2016, ha riscontrato una ulteriore diminuzione degli studenti dell’italiano del 20,1%, passati da 70.892 a 56.743. La nostra lingua è scesa al quinto posto, preceduta dal giapponese.

Questa diminuzione è stata più che doppia rispetto alla media, pari al 9,3%, con un’incidenza negativa sia sul numero dei corsi che quello degli studenti, meno numerosi rispetto, come accennato, a quelli che hanno scelto il giapponese e quasi raggiunti da quelli le cui preferenze sono andate al cinese.

Un siffatto contesto evidenzia la forte resilienza attiva del francese, tradizionalmente apprezzata come grande lingua di cultura, l’incommensurabile sostegno garantito allo spagnolo dalla crescente presenza di latino americani, la solida organizzazione della Germania nel sostenere il tedesco, il crescente dinamismo del giapponese (in comune con altre lingue orientali come il coreano). È poi ben conosciuto il saldo attaccamento dei cinesi alla loro lingua e, inoltre, non sono trascurabili i consistenti investimenti finanziari di certi Paesi sulla diffusione linguistica, che l’Italia non è stata in grado di eguagliare. La differenza, comunque, non si è collocata unicamente sul piano finanziario. Tra i residenti di origine italiana si è riscontrato un minore attaccamento sia a parlare l’italiano, come ampiamento hanno evidenziato i dati censuari, sia a studiarlo: ovviamente questi aspetti problematici meritano una grande attenzione senza perdere la speranza di venirne a capo.

Anche Enza Anemonmes, scrivendo proprio a chiusura del decennio (19 dicembre 2019) si è mostrata preoccupata sull’andamento dello studio dell’italiano e, citando una ricerca del Center for Immigration Studies, ha fondato il suo pessimismo sia sul preoccupante andamento degli italofoni negli USA, sia sulla diminuzione degli studenti rilevata dalla Modern Language Association, e questo nonostante gli statunitensi continuino a essere affascinati dall’Italia per il vino, il cibo, la cultura e il Made in Italy, e nonostante  i discendenti  di origine italiana siano moltissimi (senz’altro 15 milioni ma, secondo certe stime di associazioni italiane, addirittura 25 milioni) [12]. Nel frattempo è stato pubblicato dalla MLA anche il nuovo rapporto del 2021 sugli studenti di lingue straniere negli Stati Uniti e di esso riportiamo una sintesi, sottolineando le riflessioni problematiche che suscita.

Nel contesto statunitense le lingue europee, che storicamente sono state quelle più studiate, da tempo stanno conoscendo un andamento negativo: è vero che nel 2021 (ricordiamo le conseguenze sociali della pandemia da Covid 19) per nessuna lingua è intervenuto un aumento degli studenti, e, però, per le lingue occidentali la diminuzione è stata più rilevante. Nell’ultima rilevazione della Modern Language Association che ha confrontato i dati sulle iscrizioni del 2016 con quelli del 2021, il tedesco è ulteriormente diminuito, il giapponese si è classificato al quarto posto, il cinese/mandarino si è collocato davanti all’italiano e il coreano ha sopravanzato il russo. 

L’italiano ha registrato una continua diminuzione nelle tre indagini più recenti e, al riguardo, è di scarsa consolazione che ciò sia avvenuto anche per diverse altre lingue europee e non solo per loro (greco antico, arabo, francese, tedesco, latino, ebraico moderno, russo, spagnolo e anche arabo)[13]. Tra il 1958 e il 202l le lingue soggette a un maggiore aumento sono state l’arabo, il cinese/mandarino, il giapponese e portoghese e, in misura eccezionale, il coreano, passato da 25 a 19.270 iscrizioni (+74.015,4%). Nel 2021, rispetto al 2016, le iscrizioni per lo studio dell’italiano sono diminuite mediamente del 20,4%, con queste differenze a seconda dei livelli di frequenza: -1,8% nel primo biennio, -16,7%, nel successivo quadriennio e 46,4% nella frequenza per la laurea. andata peggio per il francese con una diminuzione del 23,1% e meglio per il russo con una diminuzione del 13,5%.

Di fronte a questo dinamismo diversificato ci si può chiedere se tende ad assumere una connotazione strutturale il fatto che, in un Paese così importante come gli Stati Uniti, il fascino culturale europeo sia meno sentito rispetto a quello delle lingue asiatiche nonostante le raffinate strategie e le copiose risorse investite da alcuni Paesi. 

page_1Le prospettive operative ipotizzabili 

Il caso degli Stat Uniti, non solo un Paese con una popolazione elevata ma anche sotto diversi aspetti leader nel mondo, induce a riflettere sull’aggiornamento qualitativo delle strategie nella diffusione dell’italiano. I residenti, essendo anglofoni, non hanno avuto e non hanno bisogno di imparare una lingua veicolare e sono più propensi a fare la scelta di una lingua straniera sulla base di ragioni culturali o esistenziali (funzionali cioè ai loro interessi personali). Di ciò bisogna tener conto, senza trascurare i fattori tradizionali di diffusione (ragioni storico-culturali e presenza italiana in loco) in un contesto di competizione globale delle lingue. Nell’impegno per incrementare la diffusione dell’italiano è senz’altro d’aiuto una individuazione esaustiva dei possibili studenti. Una interessante classificazione è stata fatta a partire dalle università, con indicazioni che vanno anche oltre quell’ambito.

La prof.ssa Valeria Coccia, in un suo approfondimento, prima si è soffermata sulla storia dello studio dell’Italiano negli USA e sui corsi dei Dipartimenti di Italianistica delle dieci migliori università della East Coast americana, rifacendosi alla classifica stilata dalla rivista di New York U.S. News & World Report. Queste notizie sono state completate dalla docente con l’esposizione dell’offerta formativa della sua università: organizzazione dei corsi di italiano, materiale didattico, modalità degli esami e attività extrascolastiche di supporto, tra le quali anche scambi linguistici on line con chi in Italia sta apprendendo l’inglese. Il saggio chiude con un approfondimento delle motivazioni che portano gli studenti allo studio dell’italiano [14].

 Molti, pur avendo un cognome italiano, non sanno niente dell’Italia e non parlano italiano, perché a casa non lo si pratica da molto tempo: iscrivendosi al Dipartimento di italianistica essi hanno voluto porre rimedio a questa lacuna, recuperando la lingua dei loro avi. Questo desiderio di riscoprire la propria italianità insorge negli studenti dopo essere stati in vacanza in Italia con la famiglia, trovando forti motivazioni in un Paese così diverso ma anche così ricco di stimoli peculiari, legati anche a una grande storia.

Quelli che non sono di origine italiana scelgono di studiare la nostra lingua perché interessati a trascorrere un semestre di studio all’estero. Questa è una tradizione molto diffusa negli Stati Uniti e i Paesi maggiormente prescelti per questa trasferta sono l’Italia insieme al Regno Unito, come evidenziato dai dati statistici prima riportati. Tra questi studenti vi sono quelli che non vogliono accontentarsi di stare in Italia, godere del clima, del cibo, delle bellezze artistiche del Paese, ma ritengono di dovere imparare previamente la lingua per entrare in contatto con gli italiani, mostrando così di avere un’adeguata sensibilità culturale. Altri hanno amici di famiglia che sono italiani e di essi hanno apprezzato alcune caratteristiche della personalità (della loro “italianità” si potrebbe dire). In questo modo essi sono stati invogliati a conoscere le origini di questi amici, recandosi in Italia.

Chi ha parlato spagnolo, o lo ha studiato a scuola, pensa di conoscerlo già molto bene da poter riportare i pieni voti anche all’università, per cui può curiosamente scegliere un’altra lingua come l’italiano. Osserviamo che un comportamento simile si riscontra tra i giovani italofoni in Germania, molti dei quali sono portati a scegliere lo spagnolo all’università. Un’altra categoria include gli studenti che scelgono l’italiano come un minor, perché comporta l’acquisizione di un numero minore di crediti. La propensione allo studio dell’italiano può essere rinforzata, o motivata ex toto, quando si intende spendere la propria opera in un comparto per il quale l’Italia si presenta come un’eccellenza: arte, archeologia, materie letterarie e così via.

Per alcuni aspetti il saggio qui menzionato vale specificamente per gli studenti ma, per molti altri, trova applicazione nei confronti della generalità dei residenti. Nel passato la concorrenza delle altre lingue era meno impegnativa e forse anche il fascino dell’Italia era maggiormente percepito. Ora si richiede più sforzo, ma le prospettive di diffusione non sono scomparse e, sotto molti aspetti, richiedono, oltre agli investimenti, anche innovazioni strategiche: non che non lo si stia facendo, sarebbe ingeneroso affermarlo, ma si tratta di un impegno continuamente bisognoso di aggiornamenti.

mla-logo-4cDa quanto detto, appare chiarissimo che la disponibilità dei dati e una loro rigorosa interpretazione sono indispensabili per riflettere sul passato e, sulla sua base, progettare il futuro. Sono stati espressi sentiti riconoscimenti al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per aver avviato nel 2014 un’indagine statistica strutturale sulla diffusione dell’italiano, riuscendo ad apportare continui miglioramenti al metodo di raccolta dei dati, come riconosciuto agli Stati Generali della diffusione dell’Italiano nel mondo del 2019 (i dati presentati in quell’occasione hanno riguardato l’anno 2017-2018). Da allora, fatta eccezione per gli scarni dati riassuntivi presentati agli Stati Generali del 2021, non si dispone più di statistiche disaggregate che, pur nella loro imperfezione, costituivano un’importante base di riflessione per la comparazione e per le proiezioni operative. Da un quinquennio tutto questo manca e se ne sente la carenza.     

Bisogna aggiungere che, oltre al vasto campo della scuola, vi è quello ancora più vasto della società americana, sulla quale il MAECI, a complemento dei dati forniti dal sistema scolastico e universitario, conosce solo il numero degli iscritti ai corsi promossi dagli Istituti Italiani di Cultura, dai Comitati Dante Alighieri e dagli altri enti gestori. Vi sono, invece, anche numerose organizzazioni private che se ne occupano e che, nonostante le difficoltà, bisognerà in qualche modo riuscire a monitorare, perché hanno un grande bacino d’utenza e possono costruire la base per migliorare le strategie d’intervento anche al di fuori della scuola.

Chiudendo questo focus sugli Stati Uniti non è infondato dire che, per un Paese che ha accolto il maggior numero di emigrati italiani e dove gli oriundi italiani sono tra i più numerosi nel mondo, se si tiene inoltre conto che i residenti degli USA sono 300 milioni, non ci si può accontentare di constatare che questo Paese è al quarto posto per numero di studenti d’italiano superati di gran lunga dall’Australia. La soddisfazione per i passi in avanti compiuti non può essere disgiunta da quelli che si possono e si dovrebbero fare ulteriormente. Va aggiunto, come già abbiamo visto, che gli USA sono un Paese di vecchia immigrazione ma, per quanto riguarda la diffusione dell’italiano, di recente esperienza, e questo lascia ben sperare.

305917897_465297698955600_4241332460729505584_nNegli Stati Uniti sono purtroppo numerose le scuole (in modo particolare lo sono nel sistema scolastico del New York City), che ancora non offrono la possibilità di studiare l’italiano. Il numero degli studenti a New York, secondo Filomena Fidulli Sorrentino, potrebbe raddoppiare o triplicare, tenuto conto che lo studio di una lingua straniera, nel nostro caso l’italiano, non solo è un requisito per conseguire il diploma al liceo, ma è anche importante, come in precedenza spiegato, per essere accettati nelle università. Paradossalmente queste carenze inducono a confidare in un futuro promettente per la diffusione della nostra lingua: e ciò non sarebbe un bene solo  per l’Italia perché, come ha avuto modo di affermare l’American Council for the Teaching of Foreign Language (ACTFL), gli Stati Uniti dovrebbero configurarsi come «una nazione in cui la diversità culturale e linguistica è considerata un bene prezioso che arricchisce la vita di tutti», superando una situazione che vede solo un quarto dei residenti asserire di parlare una lingua straniera [15].

Un’ultima considerazione riguarda noi italiani residenti in Italia, noi “Sistema Paese” che, in questa fase di più accentuata concorrenza nel mercato mondiale delle lingue, oltre a essere orgogliosi del passato dovremmo convincerci che siamo chiamati a fare di più del presente per essere di supporto alla diplomazia linguistico-culturale del MAECI nei diversi settori della vita sociale, da quello del volontariato a quello dei media. A quest’ultimo riguardo ricordiamo che già che nel 2010 il grande Andrea Palladio Palladio (1508-1580) è stato proclamato dal Congresso americano “Padre dell’architettura americana”. Questo ha incentivato l’interesse per l’architettura palladiana con conseguente incremento dello studio della lingua italiana da parte degli studenti di architettura negli USA e delle loro visite nel vicentino per studiare sul posto le ville palladiane. II fatto che di questo fatto, e di altri simili, poco o per niente si sia parlato o si parli nel mercato italiano delle notizie a considerazioni meno superficiali e “fideistici”, ci convince della necessità di maggiore attenzione e maggiore dinamismo per riuscire a diffondere in maniera più adeguata la nostra lingua e la nostra cultura. 

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024 
Note
[1] In Canada, invece, l’orientamento ideale è stato diverso e, mentre prima si insisteva sui personaggi di spicco per sottolineare l’apporto assicurato al paese dalla comunità italiana, poi gli studi storici hanno insistito sul valore fondamentale degli umili lavori svolti dalla maggior parte dei membri della collettività, che è stato anche il supporto dei personaggi più in vista.
[2] Pittau F., “Due secoli di emigrazione negli Stati Uniti. Storie di italiani”, in Dialoghi Mediterranei, n. 42, https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/due-secoli-di-emigrazione-negli-stati-uniti-storie-di-italiani/ gennaio 2020, Cfr., ad esempio, i riferimenti riportati nella voce “Lingua italiana negli Stati Uniti d’America”, sulle fonti  https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_italiana_negli_Stati_Uniti_d%27America. 
[4] Kopf D., “Italian is the fastest dying language in the US”, àhttps://qz.com/1476819/italian-is-the-fastest-dying-language-in-the us?fbclid=IwAR3SibWhvZkvcnyunKAxsrMNtlVmxk4erO6uEXVIrTDsBP88j4qY1KFWRzc 
[5] Signorelli A.D., “La lingua italiana dagli Stati Uniti di Little Italy non rimane più nulla”, Esquire, 18 gennaio 2019: https://www.esquire.com/it/lifestyle/viaggi/a25945871/usa-lingua-italiana/ 
[6] Fidulli Sorrentino F., “Lo studio italiano a New York si diffonde ma mancano i fondi”, https://lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2018/08/06/lo-studio-dellitaliano-a-new-york-si-diffonde-ma-mancano-i-fondi/
[7] Cfr. Italiano Lingua Due, n.  2.  2011. 
2E.  Fumagalli, intervista a il Prof. Riccardo Viale, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York”:
https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/1923/2176
[8] Epstein M., “Giovancarlo Macchiarella e l’italiano negli Stati Uniti”, chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/ https://edizionicafoscari.unive.it/media/pdf/books/978-88-6969-086-0/978-88-6969-086-0-ch-11.pdf. Cfr. dello stesso autore: «Certificazione e lingua italiana negli USA». Educazione comparata, 7 (21),1995: 35-43.
[9] Ceragnoli D., Negli Stati Uniti la lingua italiana va di moda: nel 2021 registra il 14,6% di studenti”, da Voce di New York, 2 marzo 2022: https://lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2022/03/02/negli-stati-uniti-la-lingua-italiana-va-di-moda-il-2021-registra-146-di-studenti/
[10]https://www.agi.it/rubriche/pei-news/news/2015-01-27/italia-usa_importante_riconoscimento_per_la_lingua_italiana-212146/
[11] Agnoli D., Negli Stati Uniti la lingua italiana va di moda: enl 2021 registra il 14,6% di studenti”, ça Vpce do Ne CYork, 2 marzo 2022: https://lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2022/03/02/negli-stati-uniti-la-lingua-italiana-va-di-moda-il-2021-registra-146-di-studenti/
 Italofonia, “Negli Stati Uniti gli studenti d’italiano sono in aumento”, 29 aprile 2022 https://italofonia.info/negli-stati-uniti-gli-studenti-di-italiano-sono-aumentati-
[12] “Addio alla nostra bella lingua: in America si parla sempre di meno l’italiano”:  https://lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2018/12/09/addio-alla-nostra-bella-lingua-in-america-si-parla-sempre-di-meno-l-italiano https://www.mla.org/content/download/191324/file/Enrollments-in-Languages-Other-Than-English-in-US-Institutions-of-Higher-Education-Fall-2021.pdf
[13] Comunque, se non ci si limita alle ultime tre indagini della MLA e si torna ancora più indietro, il numero degli studenti risulta aumentato per l’italiano, il russo e lo spagnolo, mentre ciò non è avvenuto per francese e il tedesco che mostrano un declino.
[14] Coccia, V, “L’italiano lingua straniera nelle università della East coast americana. studio di un caso: il dipartimento di Italian studies della Kennesaw State University, Gorgia”, 23 marzo 2014 https://riviste.unimi.it/index.php/promoitals/article/view/4696
[15] Antenos E., “L’eredità linguistica e culturale dell’italiano negli USA “Come sta l’italiano? The Present and Future of Italian Language and Culture”, https://lavocedinewyork.com/homepage/2016/11/27/eredita-linguistica-culturale-italiano-usa/ 
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Benedetto Coccia, primo ricercatore dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” presso il quale è Coordinatore scientifico dell’Area Sociale, Umanistica e Linguistica, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia Contemporanea presso l’Università “Sapienza” di Roma, è autore di numerosi saggi, articoli e recensioni. È presidente dell’Associazione di stuti umanistici Leusso e direttore responsabile della rivista Leussein. 
Karolina Peric, dottoressa in Lettere, dopo la laurea inizia la collaborazione con il Forum per l’intercultura della Caritas di Roma dove ricopre diversi ruoli, da mediatore linguistico culturale a coordinatrice di percorsi didattici interculturali nelle scuole. Ha collaborato con diversi Enti pubblici e privati lavorando nei progetti socio-educativi con una forte impronta interculturale. Dal 2001 è vice presidente dell’associazione culturale SUAMOX, autrice di progetti artistici e culturali improntati sulla conoscenza delle diverse espressioni culturali del mondo. Attualmente coordina il Gruppo Welcome, uno spazio interculturale con la scuola di Italiano per stranieri presso la Parrocchia San Pio X alla Balduina a Roma. 
Franco Pittau, dottorato in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni ‘70, quando condusse un’esperienza sul campo, in Belgio e in Germania, impegnandosi nella tutela giuridica degli emigrati italiani. È stato l’ideatore del Dossier Statistico Immigrazione, il primo annuario del genere realizzato in Italia. Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), continua la sua collaborazione come Presidente onorario. È membro del Comitato organizzatore del Master in Economia Diritto Interculture Migrazioni (MEDIM) presso l’università di Roma Tor Vergata e scrive su riviste specialistiche sui temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.

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