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La Divina parla anche in siciliano…

20210622_172852di Mario Sarica

Senza scomodare l’esoterica e misterica cabala ebraica, affidata anche alla numerologia simbolica e alle congiunzioni astrali, in un gioco seducente che lega l’uomo indissolubilmente al cosmo – prima ovviamente che mettesse mani, lo stesso uomo, per procurare danni irreversibili o quasi al delicato equilibrio della vitale e vulnerabile biosfera – la ricorrenza di anniversari epocali, come quella del Settimo Centenario della morte del sommo poeta Dante Alighieri, s’intreccia, come annotato nei miei appunti di primo mano sul tema apparsi nel numero precedente di Dialoghi Mediterranei, con la Trinacria dantesca, dunque con la Sicilia e la sua koinè culturale storica, fino all’ondata  romantico- demologica, e in particolare con ‘numeri simbolo’, quasi epifanici, corrispondenze calendariali, forse casuali, ma certamente intriganti.

D’altra parte tutti gli anniversari, declinati a fatti e persone, di cui si avverte oggi più che mai di fare memoria, per evitare di essere trascinati dalla corrente impetuosa di un eterno presente, uniscono da sempre il passato e il presente, replicando in forme contemporanee le azioni rituali delle culture antiche, necessarie per rigenerare il mito e la conoscenza di sé e del mondo, con l’illusione che l’uomo impari dai suoi errori…

Ora, tornando ai numeri che legano Dante alla Sicilia, ed in particolare a Tommaso Cannizzaro, primo insuperabile traduttore in siciliano messinese delle tre cantiche ultraterrene – con tutto il rispetto per quelle epigone successive, integrali o parziali – e dunque alle tante ‘corrispondenze’ fra il sommo poeta e la Sicilia, e, in particolare, con la città dello Stretto, non possiamo sottrarci dal fare, come si dice prosaicamente, quattro conti.

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Tommaso Cannizzaro

Qualcuno potrebbe parlare di semplici e casuali ricorrenze e coincidenze calendariali, ma in fondo l’attrazione per la cabala e la sua vocazione profetica, vi assicuro, è forte. E allora è tempo di estrarre dal bussolotto più di un numero, cari certamente agli amanti della casistica, – oggi sacerdoti nei monumentali templi dei big date base, dove regna sovrana la fede nella machinelearning (intelligenza artificiale) – rivelatori di legami invisibili, fra uomini e fatti e incontri ravvicinati inaspettati, lungo l’ineffabile freccia del tempo e dello spazio della storia, che va sedimentandosi vorticosamente.

Partiamo, dunque, dal 1921, l’anno che lega la morte di Tommaso Cannizzaro al Sesto Centenario di quello di Dante Alighieri. A questa prima congiunzione anagrafico-storica si lega, quella di oggi. Il 2021 celebra, infatti, com’è noto, il Settimo anniversario della morte di Dante, ma anche il centenario della morte di Tommaso Cannizzaro. Figura di intellettuale a tutto tondo, Cannizzaro è certamente figlio prediletto della variegata temperie culturale fra Otto e Novecento: glottologo, filologo, traduttore, apprezzato in tutta Europa, e non solo, dal Portogallo alla Persia, passando per la Francia di Victor Hugo. Schivo e riservato, ma determinato nelle scelte di studio e di ricerca, con sguardo cosmopolita, Cannizzaro è ricordato meritatamente dalla città dello Stretto con una delle principali arterie urbane del centro, con un istituto scolastico, e con la Biblioteca ed Archivio storico comunale, a lui, appunto, intitolati. Dissonante è invece la modesta sepoltura al cimitero monumentale, ‘Al sacro silenzio della tomba – scrive Nino Falcone – abbiamo chiesto quasi nulla: essa è modesta, solo il nome è grande…”.

20210622_173726Ma a queste coincidenze, se ne aggiunge un’altra, il 1921 è infatti l’anno di nascita di Nino Falcone, storico ed appassionato e rigoroso studioso di tradizioni popolari, fondatore negli anni settanta della benemerita casa editrice Pungitopo di Patti Marina. L’indimenticato professore, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, ha avuto il merito di far uscire dall’oblio, negli anni ottanta del Novecento, la figura nobilissima di raffinato letterato di Tommaso Cannizzaro, troppo in fretta dimenticato. E l’ha fatto, non solo con la ristampa della Divina Commedia del 1904, con un esemplare apparato di note lessicali, ma anche con una memorabile opera a sua firma delle nobili imprese letterarie e delle dolorose vicissitudini familiari, di cui è stato protagonista il Cannizzaro fra Otto e Novecento, dando conto, dunque della prolifica e cosmopolita produzione letteraria di traduttore dell’autore messinese, intrecciate alla sua riservata e discreta intimità familiare.

20210622_172733E sempre per restare sul terreno dei numerosi numeri che danzano e si abbracciano festosi, la Pungitopo editrice, di cui è erede, ormai da più di un quarto di secolo, quale autentico figlio d’arte, Lucio Falcone, fedele agli insegnamenti del padre Nino, in questi giorni, a ricordo del centenario di nascita del papà e della contestuale ricorrenza della morte di Cannizzaro, aggiungendo un titolo alla esponenziale produzione di studi danteschi per la ricorrenza del più volte ricordato Settimo centenario della morte del divino poeta, dopo quella degli anni Ottanta, dà alle stampe una seconda edizione della Divina Commedia di Cannizzaro, per i titoli di Pungitopo, preannunciando, nel contempo, finalmente aggiungo io, anche la pubblicazione delle inedite e splendide ottave d’amore, e non solo, della tradizione messinese, raccolte certosinamente, fior da fior, da Cannizzaro, secondo lo spirito contagioso demologico del tempo.

20210622_172524Testi quest’ultimi della tradizione orale dei casali messinesi, che Nino Falcone, fece battere a macchina, immagino una lettera 22, dai figli Lucio e Giuseppe, dai manoscritti di Cannizzaro conservati nell’Archivio storico comunale, da lui diretto in quegli anni. Mi pare che ce ne sia abbastanza per celebrare questi felici incontri calendariali e di produzioni culturali nel segno dell’eterno Dante. Un giacimento di saperi e conoscenze, quello dell’opera dantesca, dentro le cornici allegoriche, cosmologiche, ideologiche, religiose, alla ricerca dell’energia vitale dell’amore che ‘tutto muove’, che emerge più luminoso che mai dalla “Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante”, con in testa appunto la Divina Commedia. Si aggiunge fra l’altro un prezioso ed imperdibile Dizionario a cura di Enrico Malato, che dischiude «una rappresentazione estesa quanto possibile della tematica e della problematica dantesca, quale strumento di integrazione dell’apparato di chiose essenziali che accompagna la nuova edizione».

Rivolgendo ancora una volta l’attenzione a Cannizzaro, singolare mi pare, sempre in chiave di cabala alla buona, annotare che con la pubblicazione della sua Commedia nel 1904, che avrebbe dovuto suggellare lo straordinario impegno di traduttore, sua innata vocazione, inizia per Cannizzaro, paradossalmente, una lenta discesa agli inferi, quasi da contrappasso…

divina-commedia-nuovo-jipegIl Nostro, dopo la pubblicazione nel 1904 per i tipi di Principato editore messinese della Divina Commedia in siciliano, invece di cogliere, come meritava un successo di pubblico e di critica, come si usa dire, deve rassegnarsi ad una graduale e dolorosa uscita di scena. Non mancano comunque gli apprezzamenti all’originale trascrizione dantesca, come quella, di Ludovico Perroni Grande che, nel 1904, sull’Archivio Storico Messinese, con tempestività sospettosa riconosce la qualità dell’opera del Cannizzaro, rimproverandogli alla fine, con una stilettata, che avrebbe fatto meglio «se in luogo di seguire il testo e il commento di Bruno e Bianchi del 1857, avesse seguito ad esempio – rammento solo opere comunissime – il Moore, pel testo, o il Casini o lo Scartazzani»(!).

Sopravvissuto al disastroso terremoto del 1908, Cannizzaro è profondamente colpito sul versante esistenziale e familiare dalla perdita, prima dell’amata figlia Elisa, sotto le macerie della tragica alba del 1908, e poi, a distanza solo di qualche anno, di quella del figlio prediletto Arturo per un morbo letale. Al pari di tanti altri profughi messinesi, Cannizzaro, lascia con la famiglia la sua città in macerie, per riparare a Catania, dove trova le energie per continuare a scrivere, per poi rientrare nella sua amata ma irriconoscibile Messina, nel nuovo quartiere lombardo del ponte americano, in via Milano – lontano dall’originaria residenza di Villa Landi di Boccetta – nuovi toponimi urbani, ad attestare la gara di solidarietà della giovane Italia e del mondo intero, per rimettere in piedi la nobile e perduta città di Messina.

20210622_172447Ad accompagnare Tommaso Cannizzaro, ormai estraneo alla sua stessa città, profugo fra i profughi, negli ultimi anni di vita, gravato dalla fatica dell’anima e del corpo, le amorevoli cure della figlia Irene, dentro la riservata intimità domestica, confortato dall’abbraccio dei suoi libri, vecchi e nuovi, un alimento per lui necessario ed irrinunciabile fino alla fine, che giunge, come ricordato, nel 1921. Anni non silenziosi e inattivi, infatti, come scrive Nino Falcone, «il 6 gennaio del 1912 apponeva alla sua traduzione de I sonetti di Camões che venivano pubblicati nel 1813 a Bari dall’editore Laterza. In essa si rivela profondo, critico, impegnato, buon conoscitore dello spirito del poeta portoghese (…) Dopo l’imponente lavoro di traduzione del Victor Hugo è questo certamente il più importante nelle traduzioni; ne è conferma la diffusa edizione in campo nazionale ed estero».

A dischiudere questo vasto orizzonte su Tommaso Cannizzaro è stata la singolare e preziosa mostra bibliografica allestita in occasione del Maggio dei Libri dalla benemerita Biblioteca Regionale Universitaria ‘Giacomo Longo’ di Messina, non nuova a queste originali imprese culturali, grazie all’illuminata ed instancabile direttrice Tosi Siragusa, cui rivolgo il mio affettuoso e grato ringraziamento, anche per la generosa collaborazione prestata alla stesura di quanto scrivo.

Si diceva della mostra allestita nel nome della Divina Commedia, e dei profondi legami che hanno legato Dante alla Sicilia nei secoli, ma che trovano nel ritrovato spirito romantico ottocentesco impastato di orgoglio storico e demologico siciliano, le espressioni più alte. Ad attestarlo tutta una serie di testi impropriamente minori e misconosciuti, che illuminano l’apporto di assoluto valore dato dagli studiosi siciliani fra Otto e Novecento al culto di Dante, padre antelitteram dell’agognata patria italiana e della lingua nazionale!

20210622_172401Nel numero 49 di Dialoghi Mediterranei ci siamo soffermati sullo smilzo, ma denso opuscolo di Giuseppe Pitrè, Le tradizioni popolari della Divina Commedia, ora vorrei semplicemente segnalare almeno due titoli, davvero rappresentativi, quello di Leonardo Vigo Dante e la Sicilia, ricordi, pubblicato a Palermo nel 1870, scritto in occasione del secentesimo genetliaco di Dante Alighieri: «Promisi a cotesto Gonfaloniere (città di Firenze), offerirgli un cenno dei Ricordi e de’ legami politici e letterari fra Dante e Sicilia, ricerca intentata, dalla quale alcun giovamento potrà ritrarsi e qualche equivoco correggersi»; l’altro contributo porta la firma di Giuseppe Miraglia, ed è centrato su Note di erudizione dantesca, che prendendo le mosse dal breve elogio dantesco cinquecentesco dell’insigne matematico, e non solo, messinese Francesco Maurolico, giunge alle opere in versi e alle epigrafi dantesche del messinese Giacomo Rol (1809-1900), quest’ultime «Da porsi sull’ingresso del Palazzo Comunale e nella Sala dell’Accademia dei Peregrini Affaticati di Castroreale».

Così come succede da tempo, l’evento nel nome di Dante, oltre la mostra bibliografica, ha fatto interagire altri codici di comunicazione culturale, avvalendosi dei profili social. E così, alla presentazione del 28 maggio in streaming, che ha visto,  con le consuete spiccate attitudini alla divulgazione e comunicazione culturale, protagonista la direttrice, Tosi Siragusa, con la partecipazione del sottoscritto, ha fatto seguito la coinvolgente performance per voci, suoni e immagini, sulla rilettura di alcune sequenze delle cantiche dantesche in siciliano di Cannizzaro, affidata agli attori Gabriella Zecchetto e Antonio Previti, ai musicisti Gemino Cala’(fiati pastorali e clarinetto), Stefano Sgro’ (xilofono e batteria), Alessandro Blanco (chitarra), e per la regia al sottoscritto, e per l’editing video a Peppe Carrozza, funzionario della Biblioteca.

Ed ora lasciamoci con l’incipit dell’ampia e articolata introduzione che fa Tommaso Cannizzaro alla sua Divina Commedia, davvero illuminante, sul sentimento guida che ha ispirato la scrittura in siciliano.

«Fin dal 1877 la traduzione del Poema dantesco in lingua boema, intorno a cui lavorava assiduamente il mio illustre amico, e genialissimo poeta egli stesso, prof. Jaroslav Vrchlicky, e l’altro in danese che veniva per la terza edizione, stampando in quello stesso anno a Copenaghen il mio rimpianto amico Christiani Molbech, mi avevan suggerito l’idea di voltare in terza rima siciliana la Commedia di Dante, ritenendo il nostro dialetto assai adatto, per la sua efficacia e grazia, a rendere i profondi concetti, le vive immagini, i sentimenti or delicati or vigorosi del nostro maggiore poeta. Tentai infatti la prova traducendo poche terzine del primo canto (…), ma scoraggiato da un lato da parecchie difficoltà incontrate (…), lì mi arrestai. Corsero 20 anni da quel giorno, quando nell’aprile del 1900 la ricorrenza del Centenario della Visione dantesca, richiamando al divino poema la mente degl’italiani, ridestò in me la solita idea, e tratto fuori dalla polvere ove giaceva quel frammenti di traduzione del 1877, completai la versione del primo Canto e acquistando energia dal successo, mi diedi con lavoro assiduo e febbrile, temendo che la pazienza e il vigore mi venisser meno, a tradurre ordinatamente l’intero poema».
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).

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