di Luigi Scarpato
Tra i vicoli del Casamale, il centro storico di origine aragonese, di Somma Vesuviana ogni quattro anni si svolge la festa delle lucerne in concomitanza con la ricorrenza della Madonna della neve che cade il 5 di agosto.
Sulle origini della festa ci sono più interrogativi che certezze e intorno al suo significato per alcuni è un inno alla vita, per altri una celebrazione della morte, per altri è un rito di conclusione del raccolto estivo. Una festa probabilmente pagana, poi cristiana, influenzata dai riti ebraici della giudecca di Somma.
Il mio primo incontro con la festa risale al 2006, quando quasi per caso mi trovai immerso in questo rituale che ho documentato ogni anno fino al 2022.
Il fascino della festa si deve anche ai suoi luoghi: vicoli, cortili e slarghi fino agli allestimenti capaci di condurre i visitatori in una dimensione suggestiva e spesso surreale: un dedalo di viuzze di origine medievale protetto da una cinta muraria fortificata da Ferrante II D’Aragona nel XV secolo, con quattro porte d’accesso distribuite ai punti cardinali.
Tra i sommesi e il monte Somma c’è sempre stato un rapporto speciale, soprattutto in passato quando l’attività contadina era preponderante. Gli abitanti se ne prendevano cura e coltivavano i campi sulle sue balze, Lei, “’a Muntagna” come qui amano chiamarla, donava loro i propri frutti.
Festa, la cui documentazione più antica risale al 1757 quando nei registri del convento di s. Maria di Costantinopoli vengono annotate le spese per l’acquisto dell’olio per la festa delle lucernelle, che veniva (e viene) ripetuta solo ogni quatto anni quando i casamalesi si mettevano all’opera per la realizzazione di questo progetto collettivo
Per l’occasione i vicoli principali venivano, e vengono, decorati da un festoso addobbo con fronde di felci e rami di castagno, quasi a ricoprire il vicolo e a riprodurre il bosco sommese attraversato per il lavoro quotidiano, il tutto arricchito da ceste e pendagli dei frutti della terra vesuviana.
All’imbocco del vicolo vengono posizionate delle tavole riccamente imbandite alle quali trovano posto i commensali che cenano alla presenza dei visitatori.
Subito dopo la scena di vita quotidiana il vicolo viene allestito con quelle che sono il principale richiamo e simbolo della festa: le cupole, ossia telai in legno che riproducono figure geometriche basilari unitamente ad una miriade di lucerne ad olio posizionate per la lunghezza del vicolo a formare una infinita prospettiva, prolungata con l’uso di specchi per moltiplicarne la potenza illusoria e metafisica.
Le lucerne, riempite di olio lampante, saranno accese all’imbrunire e illumineranno con la loro luce tremula la notte dei vicoli. Ma la lucerna può essere vista anche come un fuoco fatuo e l’allestimento sulle cupole a formare un lungo corridoio può essere un cammino verso l’aldilà, un collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti, così come le zucche scavate con all’interno una lucerna, che contrariamente a quanto potrebbe apparire ad un visitatore odierno, non sono ispirate alla simbologia di Halloween, ma sono testimoniate già in epoche più antiche.
Il tutto legato dalla simbologia geometrica delle cupole: quadrato, rombo, triangolo e più recentemente cerchio ed esagono, che richiamano gli elementi naturali quali terra, aria, fuoco, acqua.
Cessata negli anni della Seconda guerra mondiale, la festa è stata ripresa negli anni Cinquanta per essere poi abbandonata come inutile relitto antico in un mondo che correva verso la modernità.
Saltata fuori dai cassetti collettivi della memoria solo da pochi anni, la festa è stata riscoperta, riproposta e rinnovata a cominciare dalla durata di tre giorni e dall’introduzione delle luci a led, allestimenti artistici sul tema delle tradizioni contadine e la tammurriata con canti e balli, reminiscenza di antichi riti iniziatici che gli anziani usavano eseguire al termine della processione della Madonna della neve che chiudeva i riti della festa.
La scoperta della festa da parte del grosso pubblico, proveniente da tutta la Campania e oltre, ne ha sì decretato l’enorme successo – facendola conoscere al di fuori dei confini locali, tanto da costringere l’organizzazione a contingentare l’accesso all’antico borgo nei tre giorni della festa – ne ha però inevitabilmente corrotto lo spirito originario verso aspetti più commerciali e superficiali.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2023
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Luigi Scarpato, architetto, lavora soprattutto sul territorio campano. L’attività professionale spazia dalle residenze private ai locali commerciali alle strutture per il tempo libero e il benessere. La fotografia è un modo per scoprire, fissare nella memoria e soprattutto raccontare visivamente ciò che vive nel corso delle sue esplorazioni in città, campagna e luoghi abbandonati, a partire dalla propria terra vesuviana.
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