di Giuseppe Nastasi
N.O.P.A.Q.U.I.E., acronimo della locuzione latina Noli Offendere Patriam Agathae Quia Ultrix Iniuriarum Est, è la scritta scolpita sulla facciata della cattedrale di Catania.
Significa letteralmente “non offendere il paese di Agata, perché è vendicatrice di ogni ingiustizia”.
Questa frase, da sola, racchiude ed esprime il profondo legame tra i catanesi e la loro santa protettrice. Un rapporto radicato nella storia e nella cultura della città. Ogni anno, la celebrazione della sua festa ne rinnova l’intensità e la vitalità.
La festa, che ha origini antichissime, è molto più di un semplice evento religioso. È un’esperienza collettiva che raduna la città in un appuntamento, tramandato di generazione in generazione.
È l’occasione per esprimere pubblicamente la propria devozione ma anche per ribadire il forte senso di appartenenza e di identità della comunità.
Dal 3 al 5 febbraio le strade si riempiono di preghiere, canti, fuochi d’artificio, danze e luci, creando un’atmosfera di grande emozione.
Tra le strade addobbate a festa è possibile incontrare le “candelore”, portate a spalla dai devoti, che rappresentano i quartieri o le corporazioni. Tra la folla si mescolano le “ntuppatedde”, donne che sfilano portando un velo e un abito bianco e recando in mano un papavero rosso, rivendicano libertà e emancipazione femminile.
E poi la vara di Sant’Agata, condotta trionfalmente tra le vie della città, accoglie il busto reliquiario di Sant’Agata e lo scrigno.
Descrivere la festa di Sant’Agata, in tutte le sue sfaccettature è un compito complesso.
Ogni aspetto della celebrazione, dalle tradizioni culinarie alla devozione religiosa, dalle danze folkloriche ai gesti di penitenza e speranza, si intreccia con la storia e l’identità della città di Catania.
Le fotografie, che accompagnano questo testo, catturano solo alcuni momenti iconici della festa, ma non possono trasmettere la profondità delle emozioni e l’energia che si percepisce nell’aria.
Per comprendere appieno la festa, non basta guardarla, bisogna viverla, immergersi nelle sue tradizioni e sentire il palpito di una città che per tre giorni all’anno diventa un tutt’uno con la sua Santa.
Solo partecipando a questo straordinario evento si possono cogliere le sfumature più intime della sua bellezza.
Negli scatti ho cercato di restituire la densità della partecipazione popolare, l’ebbrezza e la grazia di chi intrecciava tra le donne velate la danza delle “ntuppatedde”, l’altezza dello sforzo di chi sosteneva la vara, la moltitudine di chi alla luce dei grossi ceri pregava rapito.
Non so se sono riuscito a consegnare frammenti, scorci, dettagli di questa grande festa collettiva che è irrinunciabile momento dell’ininterrotto colloquio storico dei catanesi con la sua patrona. Invocata, implorata, corteggiata, amata.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Giuseppe Nastasi, ingegnere di sangue siciliano, appassionato del funzionamento delle cose e delle persone, innamorato della fotografia, che utilizza per collezionare piccole storie di umanità. Inizia a fotografare con consapevolezza nel 2011 quando, con l’occasione di un corso base, diventa socio ACAF. Nel corso degli anni ha realizzato diversi progetti fotografici e ha presentato i propri lavori in numerosi concorsi fotografici ricevendo riconoscimenti a livello nazionale. Ha partecipato a svariate mostre fotografiche collettive, tra le quali: “Lu Signuri di li fasci” nel 2016, “la festa nel sacco” nel 2016 e nel 2018, “Presepi viventi in Sicilia” nel 2018, “Tutti devoti tutti”, “Sant’Agata in biblioteca” nel 2019 e nel 2023 e “FAG—Fotografi ACAF Giramondo” nel 2019. Ha pubblicato su riviste specializzate.
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