In mano ai mortali il fuoco che raggia lontano-Esiodo (Teogonia)-
Tiresia, come gli sciamani delle altre culture non occidentali, leggevano gli eventi (naturali e non) come un presagio e una comunicazione da decifrare. Al di là di ogni versione magica e misteriosa del mito sul mito, il mito è una narrazione (così in Omero quanto in Esiodo); e ogni narrazione è solo un’ipotesi logica di lettura, interpretazione e comprensione delle cose e degli accadimenti. Così ci piace pensare che il “Satiro danzante” di Prassitele (!?) – fattosi “pescare” e trovare dal peschereccio “Capitan Ciccio”, scegliendo come sua ultima dimora la Città di Mazara del Vallo –, sia un omaggio e un invito a non dimenticare i nuovi Pro-meteo (il guarda avanti) del fuoco artistico. Nel corso del tempo, la figura di Prometeo è cambiata; da iniziale dio della sapienza, la sua figura si è mutata in quella di un eroe ribelle: simbolo della scienza e del progresso. Oggi l’aggettivo “prometeico” indica uno sforzo enorme, di chi vuole varcare un limite insuperabile, e la con-fusione con la fusione del fuoco ne media le possibilità lavorativo-artistiche.
Il fuoco come potenza delle metamorfosi e sorgente di lavoro, matrice l’operativa umana, consente così di costruire/creare oggetti d’uso di varia finalità (oggetti strumentali e quotidiani e oggetti di bellezza artistica). La ribellione è anche nella bellezza del fare artistico e della sua resistenza all’ordine statico e dormiente del vivere. Ci riferiamo ai lavoratori-artisti del fuoco, i ragazzi della Città araba del “Satiro danzante”, che dalla “Fonderia Calcagno” ci/si tramanda la tecnica della fabbrica della fusione a “cera persa” fino alla “Fonderia Vulcano”. Le fonderie. I luoghi del poiein (fare, fabbricare, costruire, modellare…) che a Mazara del Vallo hanno visto la frequentazione di artisti/scultori che alla “Fonderia Calcagno” e “Fonderia Vulcano” sono approdati per la realizzazione delle loro opere.
Questo si legge nella memoria del fonditore mazarese Bartolomeo (detto Lillo) Calcagno (formatosi in Piemonte). Questo trasuda visitando l’antica “Fonderia artistica Calcagno”. Qui gli occhi incrociano lo sguardo dei calchi che spiano i visitatori e la grande impronta del fumo nero al soffitto. Il fuoco è rimasto ad ardere. Occhi e calore, nei ricordi immagazzinati nell’habitat della fonderia, ci coinvolgono nel suo viaggio “prometeico” con le immagini che si presentano al rallenti.
Per anni la Fonderia Calcagno è stata l’unica realtà in Sicilia in questo settore. Per i maggiori scultori siciliani (Pecoraino, Tumminello, Gentile, Governali, Sardisco, Zola, Scimeca e tanti altri) è stato l’unico punto di riferimento. Chi voleva realizzare le proprie opere in bronzo si rivolgeva a Calcagno; oppure doveva andare oltre lo Stretto di Messina. Il ricordo dello scultore Filippo Scimeca non lascia dubbi in proposito: «Da giovane scultore, assistente alla cattedra di Scultura dell’Accademia di BB. AA. di Palermo, avevo iniziato a fondere, seguendo il mio maestro Silvestre Cuffaro, nella ‘Fonderia Di Giacomo’ di Napoli; naturalmente, le spese di viaggi, alberghi e ristoranti gravavano sull’opera. Quando nel 1981 vinsi il concorso per la realizzazione ed esecuzione del ‘Monumento ai Caduti’ di Milena (CL), qualcuno mi parlò di questa nuova fonderia di Mazara e, così, iniziò un decennio di collaborazione con Calcagno».
La fonderia di Mazara, da quel momento in poi, ebbe sviluppo e notorietà, e attirò pure tutti gli scultori siciliani che operavano con il bronzo, mentre migliorava la professionalità, che lasciava l’avvio (quasi) arcaico-artigianale e crescevano i nuovi giovani apprendisti, i nuovi Prometeo.
Calcagno, nel periodo che va dal 1985 al 1990, in altre parole, aveva creato un team di prim’ordine e un luogo dove, per anni, gli artisti si sono momentaneamente separati dalle proprie opere originali per affidarle alla perizia tecnica del maestro artigiano per essere riprodotti in bronzo. Per inciso, la tecnica della fusione del bronzo, costituita da una lega di stagno e rame e denominata a “cera persa”, ha origini antichissime: egizie, cinesi, greche, etrusche. Senza la bravura del formatore/fonditore, il progetto creativo dell’artista rimarrebbe orfano! L’esperienza dell’artigiano, infatti, gioca un ruolo decisivo. Dopo la colata il pezzo di metallo viene estratto dallo stampo, la scultura liberata, le sbavature vengono tolte a mano con scalpello e lima; si procede, poi, a rilavorarla con le tecniche del “martellaggio” e della cesellatura per eliminare le imperfezioni prima della passaggio alla “patina”. Qui la scelta è una vera operazione artistica, perché le variabili sono molteplici. L’azione dell’amalgama dipende dalla diversa combinazione chimica degli ossidi impiegati, mentre il risultato finale è connesso con le scelte formali. Il trattamento della superficie dell’opera ha, infatti, il compito di valorizzare ed esaltare la forma e quello di preparare l’opera ad accogliere la luce con i toni più appropriati. Gradi che vanno dalle calde sfumature del rame, alla purezza dell’ottanio (tinta a metà strada tra il blu e il verde), alla lucentezza dell’argento. E tutto ciò per permettere alla scultura di sprigionare nel modo più efficace la sua forza espressiva e l’universale bellezza estetica e logico-argomentativa.
La Fonderia “Vulcano” di Biagio Foderà, coadiuvato da Domenico (detto Mimmo) Signorello, docente di Arte della Fusione e Discipline Plastiche presso il Liceo Artistico di Mazara del Vallo, inizia, invece, la sua attività nel 1994 e costituisce oggi il proseguimento e l’ampliamento dell’ esperienza Calcagno. Foderà e Signorello, infatti, sono stati i figli di questo laboratorio battesimale. Hanno fatto parte del team Calcagno. Ma, negli anni, hanno saputo affinare e innovare i diversi settori della lavorazione. La loro professionalità è diventata “porto sicuro” per i maggiori scultori siciliani contemporanei (Agnello, Caputo, Gennaro, Gentile, Governali, La Bruna, Occhipinti, Pecoraino, Rizzo, Rizzuti, Salvato, Scimeca, Tumminello, Zora …). Il loro impegno è stato arguto e lungimirante. Non hanno trascurato gli aggiornamenti delle pratiche tecnologicamente sofisticate ed innovative, e l’impiego e l’uso di materiali speciali, per ottimizzare la resa artistica dei manufatti dell’arte. Certi lavori loro assegnati sono la testimonianza più sicura e meritoria del loro modo di lavorare con intelligenza e inventività.
A tal proposito non va dimenticato l’evento dell’allestimento della mostra “Il Tesoro di Napoli” . I capolavori del Museo di San Gennaro” (Museo Fondazione Roma di Palazzo Sciarra di Roma, 30 ottobre 2013-16 febbraio 2014; catalogo a cura di Paolo Jorio e Ciro Paolillo, edizioni Skira). Il gemmologo Armando Arcovito, dovendo realizzare una replica originale del “Busto reliquiario di San Gennaro” (opera in argento dorato, costellata di smalti e di gemme dell’altare maggiore della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro di Napoli e che, nelle celebrazioni del miracolo della liquefazione del sangue di maggio, è portata in processione) del 1305 di Etienne, Godefroy, Milet d’Auxerre, si è avvalso della collaborazione – oltre che di Francesca Bonnanni, per la pittura minuta su metalli e dell’artigiano orafo Mario De Francesco – degli artigiani fonditori Biagio Foderà e Mimmo Signorello della Fonderia “Vulcano” di Mazara del Vallo. Vista l’impossibilità di trasferire da Napoli il busto originale, i nostri geniali esecutori-fonditori hanno preferito mettersi alla prova, utilizzando una tecnica poco invasiva, la nuova tecnologia elettronica della scansione in 3D.
Una volta realizzato il busto bronzeo, è stato argentato e dorato e si è proceduto alle decorazioni delle placche metalliche con una tecnica mista a pennello, imitando gli effetti dell’antica pittura minuta su metallo per evidenziare gli elementi decorativi (tra cui piccoli gigli e draghi) presenti sulle placche; l’ultima fase è stata caratterizzata dall’applicazione del materiale gemmologico attraverso perni filettati avvitati alla struttura. Prestigiose commissioni per le Fonderie mazaresi, giusto riconoscimento per gli anni di serio lavoro nel settore. La nostra breve ricostruzione non vuol essere solo un ricordo, piuttosto un monito e un esempio maestro del risveglio creativo.