di Tommaso India
Nell’articolo pubblicato sul n. 33 del 2018 di Dialoghi Mediterranei e intitolato Capitale e classi subalterne. L’ importanza delle etnografie nel settore logistico [1], ho tentato di mettere in luce il fatto che il capitalismo storico ha cambiato la sua natura trovando maggiori guadagni nell’ambito del settore logistico. Nell’economia capitalista contemporanea, infatti, sempre più importanza assumono i processi logistici che, come ha sostenuto Guido Grappi nel suo volume sull’argomento [2], è possibile classificare in quattro grandi macro-flussi: dei dati, dei soldi, delle merci e delle persone.
Per funzionare e creare plusvalore questi quattro macro-flussi che compongono la logistica contemporanea, hanno la necessità di fare ricorso a processi di omogeneizzazione, frammentazione e gerarchia. Qualunque bene, flusso di denaro, dato o persona deve essere classificato, diviso e incanalato nel proprio ambito utilizzando queste tre caratteristiche fondamentali. È in esse che ha principio la trasformazione della logistica da funzione della produzione a strategia economica. Infatti, la logistica, sempre secondo Grappi, mantiene connaturata al suo essere una duplice natura. Da un lato essa è definibile come un apparato sistemico necessario a fare arrivare determinate merci [3] in un determinato luogo e un determinato momento, configurandosi in questo caso come un aspetto che fa parte di un più ampio processo di produzione. Dall’altro lato, invece, la logistica si configura come un vero e proprio settore economico il cui unico scopo è quello di fare arrivare le merci al cliente finale.
Per utilizzare le parole di Grappi: «il riferimento alla logistica come industria […] fa riferimento a quel comparto produttivo composto da aziende specializzate in servizi logistici e che entrano in una relazione di fornitore-cliente con altre aziende» [4]. In questo senso, negli ultimi anni si assiste ad una sempre maggiore importanza della strategia logistica all’interno delle aziende multinazionali. Un esempio potrebbe ravvedersi nella tendenza sempre più frequente a distribuire i prodotti attraverso siti di commercio online per farli arrivare direttamente al cliente finale senza alcun intermediario.
La logistica, quindi, si configura come elemento centrale nella fase attuale di capitalismo maturo, un sistema economico cioè le cui crisi sono sempre più profonde e più ravvicinate l’una all’altra. Tenendo presente l’importanza dei processi logistici, tenterò nel prosieguo di questo scritto di analizzare una delle questioni che in questo momento storico è al centro del dibattito pubblico sia per la sopravvivenza e il benessere degli esseri viventi sia per una possibile nuova fase di coscienza politica e civica: la gestione dei rifiuti. Partendo da considerazioni che riguardano il contesto territoriale siciliano, fra i più problematici di tutto il continente europeo, circoscriverò l’analisi alla vicenda della discarica del comune di San Michele, in provincia di Monterosso [5].
Tengo subito a precisare che i dati che presenterò in seguito, senza dubbio parziali e passibili di revisioni future, sono il frutto di una ricerca appena iniziata e questo scritto rappresenta la prima occasione di riflessione “pubblica” sull’argomento. L’approccio che utilizzerò per analizzare la gestione dei rifiuti in Sicilia è quello marxista legato alla classica analisi che il filosofo tedesco riserva alla creazione e accumulazione del capitale. In quest’ottica i rifiuti saranno trattati come una merce, data l’enorme quantità di denaro che gira intorno alla questione, e la logistica inerente i rifiuti come un vero e proprio settore specifico per la creazione di plusvalore a beneficio di pochi imprenditori, spesso finiti nelle maglie delle indagini delle varie magistrature siciliane a causa dei rapporti poco trasparenti con ambienti mafiosi, politici e amministrativi che hanno gestito per anni tutta la filiera dei rifiuti.
La gestione dei rifiuti in Sicilia nell’analisi della commissione parlamentare
Nel luglio del 2016 la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, che ha lo scopo di analizzare e monitorare le varie emergenze legate ai rifiuti, pericolosi e non, presenti in tutto il territorio nazionale con diversi gradi di pericolosità per la salute pubblica, ha presentato una Relazione territoriale sulla Regione Sicilia. Attualmente essa rappresenta l’ultimo documento ufficiale parlamentare che prende in esame la gestione dei rifiuti in Sicilia e riprende molte delle tematiche e delle problematiche già individuate dalla stessa commissione nel corso delle sue missioni nell’Isola durante la precedente legislatura, segno evidente che con il passare degli anni molto poco purtroppo è cambiato in questo settore, complici, come si vedrà di seguito, molti fattori.
La relazione è stata stilata in seguito a tre missioni da parte di tre componenti della commissione (gli onorevoli Alessandro Bratti, Stella Bianchi e Renata Polverini), svolte fra il marzo e l’aprile 2015 con sopralluoghi nelle discariche di Motta Sant’Anastasia (CT) di proprietà della Oikos, di Bellolampo (PA), di Mazzarrà Sant’Andrea (ME) e di Siculiana (AG). Il documento è diviso in tre ampie sezioni. Nella prima si prende in considerazione la situazione generale della gestione dei rifiuti considerando principalmente le varie dichiarazioni di stato di emergenza, la redazione e disattesa del piano dei rifiuti, il continuo ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti; la situazione delle discariche siciliane; il passaggio dagli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), finanziariamente insostenibili, alle SRR (Servizio di Regolamentazione dei Rifiuti), dal punto di vista finanziario altrettanto difficili da sostenere; le inchieste della magistratura che hanno messo in luce la corruzione di un funzionario regionale dell’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente, con alcuni imprenditori legati alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti in Sicilia.
Nella seconda sezione si analizza la situazione nelle varie province della Regione con particolare riguardo agli illeciti connessi alla gestione e al traffico di rifiuti e alle infiltrazioni della criminalità organizzata all’interno del settore. Nella terza parte infine si verifica attentamente l’operato dell’allora Assessorato all’energia e ai servizi di pubblica autorità, che ha presentato proprio in quel periodo un piano di rottura rispetto ai precedenti piani dei rifiuti del passato. Sempre nella terza sezione si dà conto dello stato dell’arte dell’attivazione di quattro termovalorizzatori che, secondo il piano dei rifiuti del 2002, avrebbero dovuti essere costruiti nella Regione.
Secondo la relazione, quindi, la Sicilia vive uno stato di emergenza legato alla gestione dei rifiuti almeno dal 1999, anno in cui il Governo nazionale di allora ha emanato la prima dichiarazione. Quest’ultima aveva come obiettivo la fine del modello di gestione dell’Isola, che prevedeva una discarica praticamente per ogni comune. Furono così istituiti gli ATO, enti il cui scopo principale era la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti all’interno di ambiti territoriali ottimali che raggruppavano più comuni e la cui competenza era direttamente avocata dalla Regione. All’istituzione di tali enti, ventisette in tutto il territorio regionale, si accompagnò il progetto della costruzione di quattro termovalorizzatori che avrebbero dovuto bruciare circa l’ottanta per cento dei rifiuti siciliani.
Ad oggi i termovalorizzatori non sono stati costruiti, nonostante siano stati emanati i bandi e le gare d’appalto siano state già aggiudicate, e la situazione degli ATO ha rappresentato un disastro finanziario per le casse regionali. Essi, infatti, divennero immediatamente strumenti di clientelismo politico e occasione di infiltrazione della criminalità organizzata. L’assoluta irrazionalità nelle assunzioni del personale, la totale assenza di addetti competenti in materia non meno che i lauti compensi di amministratori, dirigenti e impiegati hanno creato un buco finanziario di circa ottocento milioni di euro. Come rileva la stessa relazione:
«La strategia regionale prevedeva altresì la costituzione ope legis di 27 ATO e delle relative società d’ambito, nate nel novembre del 2002, che avevano il compito di gestire il ciclo dei rifiuti negli ambiti territoriali ottimali. Siffatto modello organizzativo ha portato la Regione siciliana ad un’emergenza finanziaria gravissima. Molti enti locali, infatti, depennarono dai propri capitoli di bilancio la voce “gestione dei rifiuti” e, attraverso accordi sindacali (2004), trasferirono alle società d’ambito il proprio personale addetto all’igiene urbana (quasi tutto il precariato del bacino dei lavoratori socialmente utili e molti di quelli in capo a diverse agenzie di lavoro interinale). In poche parole, le società d’ambito divennero in molti casi un’ “ammortizzatore sociale” usato dalle forze politiche per il controllo del consenso» [6].
Il risultato di tale operazione fu l’aggravarsi dei disservizi legati alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti contestualmente all’innalzamento esponenziale delle tariffe dei tributi. Quest’ultimo ha portato ad un ulteriore danno finanziario per l’erario pubblico dal momento che tali tributi venivano evasi senza che i comuni avessero l’interesse a recuperare il non pagato, sempre nell’ottica del mantenimento del controllo politico. Nel frattempo le discariche rimaste iniziarono a riempirsi sempre più velocemente così da non potere più effettuare i dovuti adeguamenti infrastrutturali, a causa della mancanza di fondi e dell’assenza di un piano di gestione dei rifiuti di lunga durata, che le varie normative italiane ed europee hanno introdotto nel corso degli anni per fare fronte ad una situazione sempre più complessa e grave.
Fra il 2008 e il 2010 la crisi degli ATO e di tutto il sistema di gestione dei rifiuti si palesa con una gravità inaudita, dal momento che finanziariamente le società di ambito non sono più sostenibili, le undici discariche sono ormai sature e sottoposte al continuo rischio di chiusura da parte della magistratura, e infine i rifiuti giacciono a imputridire per le strade delle città dell’Isola esponendo i cittadini a svariati rischi per la salute. Il governo regionale di allora, presieduto da Raffaele Lombardo, è costretto a elaborare un nuovo piano di intervento, che prevedeva la messa in liquidazione degli ATO e l’istituzione degli SRR, l’adeguamento di diversi impianti di raccolta di rifiuti, attraverso l’utilizzo di fondi europei, e il recupero di ottocento milioni di euro in due anni del buco finanziario che la precedente gestione dei rifiuti aveva creato. Per ragioni di economicità di questo scritto, non entrerò nei dettagli di questo nuovo piano, basti sapere che esso non ha trovato, ad oggi, nessuna o quasi attuazione. Se ad oggi la raccolta dei rifiuti è proseguita per le strade delle città siciliane è soltanto in conseguenza o quasi delle ordinanze contingibili ed urgenti di buona parte dei sindaci. Questo strumento tuttavia è la classica medaglia a due facce. Se da un lato, infatti, attraverso l’emanazione delle ordinanze si è perpetuata, anche se con molte difficoltà, la raccolta dei rifiuti; dall’altro lato tali ordinanze hanno portato al collasso le discariche siciliane come, solo per esempio, quella di Bellolampo. Ciò emerge chiaramente dalle parole del Procuratore aggiunto Salvatore De Luca, ascoltato dalla Commissione parlamentare proprio sulla situazione della discarica del capoluogo siciliano:
«Dagli atti a nostra disposizione emerge che l’attuale sistema di gestione del ciclo dei rifiuti in Sicilia è assai carente. […] A volte noi ci troviamo nell’enorme difficoltà – vedasi Bellolampo – di dover scegliere fra un male e un male forse maggiore. Che facciamo? Sequestriamo e chiudiamo questa discarica? Se chiudiamo la discarica che succede? A volte, appena c’è una situazione di miglioramento e si intravede una possibile soluzione politica, restituiamo quanto in sequestro [...]» [7].
Nelle parole della dichiarazione di De Luca le difficoltà di riportare ad una situazione di legalità tutto il sistema dei rifiuti in Sicilia sono evidenti e, come ho tentato di mostrare fin qui, fanno capo a diverse ragioni fra cui un ruolo non di secondo piano è rivestito dalle vicende di corruzione che hanno coinvolto alcuni funzionari pubblici e imprenditori del settore dei rifiuti. È il caso, nella fattispecie, dell’architetto Gianfranco Cannova, in servizio presso l’Assessorato del Territorio e dell’Ambiente, indagato per avere favorito le concessioni degli impianti di raccolta di rifiuti a quattro imprenditori dietro l’elargizione di tangenti: Domenico Proto, titolare della Oikos, azienda proprietaria della discarica di Motta Sant’Anastasia, Sodano Calogero e Sodano Nicolò, proprietari delle società Sicedil e Soambiente, addette alla raccolta, al trattamento e al trasporto di varie tipologie di rifiuti, e Giuseppe Antonioli, amministratore della Osmon, che ha costruito presso la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, un impianto di captazione dei biogas. L’avvio di tale inchiesta ha portato al commissariamento e, in alcuni periodi anche alla chiusura, delle suddette strutture che facevano capo agli imprenditori precedentemente elencati, creando un grave e pericoloso disservizio per tutti i cittadini delle zone interessante dalle discariche chiuse.
Da quanto fin qui detto in maniera molto sommaria, emerge il fatto che attorno al ciclo di rifiuti è stato convogliato l’interesse di imprenditori del settore, che, approfittando della perenne emergenza in cui si trovano le discariche regionali e della conseguente continua emanazione di ordinanze contingibili e urgenti, hanno continuato a raccogliere e stoccare i rifiuti contravvenendo di fatto alle direttive europee e alle leggi nazionali e regionali in materia e accumulando ingenti somme di denaro in cambio della fornitura di un servizio assai scarso. Un esempio lampante è la storia della situazione della discarica di San Michele, in provincia di Monterosso, comune siciliano in cui ho vissuto per un certo periodo.
A San Michele, a volte, mentre si è a casa con la propria famiglia, mentre si fa un giro per la piazza del paese fra il Duomo e il palazzo ducale, oggi sede del Municipio, può capitare che si sentano nell’aria i miasmi tipici dell’immondizia che fermenta. È il classico odore, nauseabondo e pungente, emanato dal contenitore dei rifiuti di casa, soltanto moltiplicato per qualche migliaio di volte quanti sono gli ettari di terreno che occupano il paese e tutto il suo circondario. Quando ovunque si vada ha il tanfo del cestino dei rifiuti vuol dire che ci si trova dentro il recipiente che contiene quella puzza. La prima volta che notai questa maleodorante situazione fu una domenica pomeriggio in cui mia moglie venne a trovarmi a San Michele. Mentre ci trovavamo nel bilocale che occupavo durante la settimana per questioni di lavoro, sentivamo entrambi un leggero eppure continuo tanfo di immondizia. Mia moglie, ad un certo punto stanca e infastidita, mi accusò di aver dimenticato di gettare il sacchetto dell’immondizia. Seccato dall’accusa, feci mente locale e cercai di ricordare se per caso avesse ragione. Ero sicuro di aver gettato i rifiuti, in quel periodo non differenziati, quotidianamente. Incassai comunque l’accusa e cercammo entrambi di goderci la nostra piccola vacanza in una zona della Sicilia diversa da dove abitiamo e di farci una passeggiata per le vie del centro. Il fetore leggero e continuo dell’immondizia ci accompagnò per tutto il pomeriggio. Mia moglie ad un certo punto mi disse che lo sentiva ancora e a me, come una fulminazione, venne in mente che ci trovavamo nel paese in cui era presente una delle più grandi discariche della Sicilia di cui avevo sentito parlare, ma di cui, allo stesso tempo, non sapevo nulla.
Approfondendo la questione risultò che la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti si era occupata più volte della discarica, visitandola durante tre missioni condotte nel 2015 e stilando una puntuale relazione confluita nella già citata Relazione territoriale sulla Regione siciliana.
Secondo la Relazione il sistema impiantistico di Monterosso è costituito da due discariche, entrambe appartenenti a soggetti privati: una si trova in contrada Urgo e appartiene alla Trasporti Veloci; l’altra è la discarica di San Michele che si trova in contrada Acque d’Inverno appartenente alla Pouli S.P.A. di proprietà della famiglia Macaluso. In realtà però le discariche di San Michele sarebbero due. La prima, la discarica di Bellagio, istituita alla fine degli anni Ottanta, è il nucleo principale e più vecchio e anche quello che desta più paure nella popolazione perché istituita in un periodo in cui l’attenzione dell’opinione pubblica sulle tematiche legate alla raccolta dei rifiuti era molto bassa, come si vedrà in seguito.
Le criticità rilevate dalla Commissione parlamentare nel sito sanmichelese riguardano sostanzialmente quattro punti:
- la raccolta differenziata si attesta su livelli molto bassi (nel 2015 su un totale di 512.873 tonnellate raccolte in tutta la provincia di Monterosso, soltanto 85.903 tonnellate risultavano differenziate);
- sul territorio sono presenti numerose discariche abusive;
- gli impianti sono inadeguati e utilizzano sistemi di smaltimento obsoleti superati anche dalle principali normative europee e leggi nazionali;
- «vi è una radicata presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, con forme di pressione sull’agire amministrativo e gravi compromissioni dell’ambiente» [8].
Anche la famiglia Macaluso è coinvolta nella vicenda che ha portato all’arresto del dirigente dell’Assessorato Regionale del Territorio e Ambiente. Il presidente della società, Vito Macaluso, è stato arrestato con l’accusa di avere corrotto il dirigente regionale per ottenere alcune autorizzazioni necessarie all’ampliamento degli impianti e della discarica, che in quel momento tuttavia accoglie circa 1040 tonnellate al giorno di rifiuti. La stessa commissione d’inchiesta sottolinea come:
«[…] le istruttorie condotte presso il competente dipartimento regionale hanno determinato l’emanazione di un provvedimento di chiusura che nei prossimi mesi determinerà l’indisponibilità dell’impianto per lo smaltimento dei rifiuti urbani. Attualmente ai sensi di una ordinanza contingibile ed urgente emessa dal presidente della Regione siciliana presso il suddetto impianto vengono conferiti circa 1040 tonnellate/giorno di rifiuti urbani» [9].
Il provvedimento in questione risale al 2015 e anche in questo caso, nonostante la grave situazione, le istituzioni si sono probabilmente trovate di fronte ad una scelta molto difficile: chiudere la discarica e aumentare il rischio sanitario per le strade della provincia di Monterosso, o continuare a scaricare i rifiuti a San Michele aumentando sempre di più la pericolosità della già esistente bomba ecologica? È ragionevole supporre che la scelta sia stata fatta nella direzione della seconda opzione dal momento che mentre scrivo queste righe, a distanza di quattro anni dall’emanazione del provvedimento di chiusura, si continuano ancora a scaricare i rifiuti a San Michele, senza che sia stato apportato nessun particolare intervento migliorativo nel sistema di raccolta, smaltimento e abbancamento dei rifiuti.
A tutto ciò si aggiungono i diversi provvedimenti giudiziari nei confronti di Vito Macaluso e di alcuni suoi collaboratori. Nell’agosto del 2014, infatti, la prefettura ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti della Pouli S.P.A., in seguito all’arresto di Macaluso, e la conseguente richiesta di commissariamento della discarica all’autorità nazionale anticorruzione (ANAC) attraverso la nomina di amministratori esterni. Dal punto di vista del servizio di raccolta e trattamento dei rifiuti cambia molto poco dal momento che i commissari mancano delle elementari competenze per gestire una discarica moderna e che la situazione ecologica della discarica è ormai gravissima, dati gli alti livelli di metano e mercaptani che si liberano nell’aria e investeno il paese soprattutto nella ore notturne, e la presenza di liquidi come il cloruro di vinile, il benzene e molte altre che vanno a comporre il percolato che si infiltra nelle falde acquifere della zona.
Altro provvedimento pendente a carico della Pouli è quello emanato, sempre nel 2015, dalla Procura di Monterosso. Secondo i relatori della Relazione:
«È stato contestato il reato di abuso di ufficio in quanto è stato affidato il servizio di igiene urbana ed ambientale dal comune di Monterosso alla Pouli […] che non era stata esclusa dalla gara nonostante fosse prevista l’esclusione per i concorrenti non in regola con la disciplina del diritto al lavoro dei disabili. È stato quindi aggiudicato provvisoriamente e definitivamente tale servizio» [10].
A supporto di tale ipotesi vi sarebbero le seguenti evidenze:
- la certificazione che ha consentito la stipula del contratto d’appalto è stata rilasciata dall’ufficio provinciale del lavoro solo dopo la sostituzione del suo direttore da parte della Regione siciliana;
- la IRI [società che si aggiudicata l’appalto insieme alla Pouli] risulta avere fatto un finanziamento elettorale pari a 50 mila euro alla campagna elettorale per il sindaco di Monterosso (in carica al momento dell’aggiudicazione);
- un figlio di Diliberto [pubblico ufficiale del comune di Monterosso] risulta avere fatto uno stage presso una ditta facente capo a Macaluso;
- tale Perrino, a capo dell’ufficio comunale che aveva espresso parere favorevole all’aggiudicazione (in contrasto con tutti gli altri pareri), faceva parte della commissione per l’aggiudicazione dell’appalto [11].
Infine, un ulteriore provvedimento che ha colpito la società Pouli riguarda «la cattiva tenuta degli impianti e lo sversamento del percolato in torrenti attraverso condutture; l’impianto è stato prima sequestrato e poi dissequestrato a seguito dell’adempimento delle prescrizioni imposte»[12]. Nonostante il dissequestro però è da sottolineare il grave danno ambientale che lo sversamento incontrollato ha creato.
Anche in questo caso, ho tentato di rendere conto delle vicende amministrative e giudiziarie che hanno coinvolto la discarica di San Michele e di mostrare i complessi intrecci che attorno al ciclo di rifiuti vedono coinvolti amministratori locali e imprenditori nella ricerca continua di accrescimento dei propri introiti spesso sottratti all’erario pubblico.
Il grande assente fin qui sembra essere la popolazione che è coinvolta nella vicenda della discarica di San Michele e che tutti i giorni è costretta a vivere affianco ad essa. Nel tentativo di colmare tale lacuna, ho iniziato a ricercare negli ultimi mesi, la presenza di associazioni, enti o istituzioni che si fossero occupati in qualche modo della discarica e della questione ambientale ad essa legata. Nell’ottica di tale ricerca mi sono imbattuto in un comitato No Discarica che vede attivi un nutrito gruppo di cittadini di Monterosso e di San Michele e che ho tentato di incontrare.
San Michele e la resistenza civica
Dario è un ragazzo di una trentina d’anni, broker assicurativo di professione con la passione della politica. Per anni è stato impegnato come consigliere comunale nel comune di San Michele fra le fila del Partito Democratico prima e di Liberi e Uguali dopo. Incontro più volte il suo nome nel corso delle mie ricerche in internet dal momento che è il fondatore, nel 2009, del comitato No Discarica di San Michele e l’autore di un blog che ha come oggetto principale di discussione le vicende politiche, amministrative e giudiziarie della discarica. Data la sua conoscenza della questione, decido di contattarlo tramite un social network molto famoso e organizziamo ben presto un incontro in un noto centro commerciale di Monterosso. Ci sediamo al tavolo di un bar e inizio io a parlare tentando di spiegare quali sono stati i miei interessi antropologici fino a quel momento e di cosa mi occupo per vivere. Poi passo alla questione della discarica, gli spiego che mi interessa approfondire l’impatto di quest’ultima sulla vita della popolazione locale, come la presenza di una bomba ecologica ha influito sulla visione del mondo della comunità presso cui vive e svolge la sua opera. Poi inizia lui a parlare. Parla pacatamente, ma allo stesso tempo, la sua voce trasmette sicurezza. Sembra la voce di chi sa cosa dice, lo ha ripetuto centinaia di volte, ma non è stanco e non si arrende. Già dalle prime battute emerge, nelle parole di Dario, la grande complessità della questione discarica di San Michele, che sarebbe stata inaugurata da Francesco Macaluso, padre di Vito, imprenditore i cui legami con la malavita organizzata sono stati messi più volte in luce dagli inquirenti di Monterosso. Macaluso, infatti, sarebbe stato accusato di essere stato un prestanome di Antonio Ventimiglia, noto boss mafioso della zona. Tale sodalizio nacque nel momento in cui Macaluso ebbe la necessità di coprire i suoi presunti traffici di rifiuti con importanti istituzioni pubbliche.
Secondo Dario il primo nucleo della discarica, quello che si trova in contrada Bellagio, sarebbe il vero problema ecologico dal momento che non si conosce con precisione il contenuto dei rifiuti che sono stati abbancati nel sito. Nel 2009 è stata inaugurata la discarica di Acque d’Inverno e, sebbene sia stata adeguata con il tempo alla normativa vigente in materia di stoccaggio e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, è caratterizzata da una capacità di accoglienza troppo sovradimensionata per il contesto in cui si trova. Secondo il mio interlocutore i due nuclei delle discariche di Bellagio e Acque d’Inverno, nel loro complesso, hanno una capacità di circa 3,5 milioni di tonnellate di immondizia e si configurano come il più grande sito di stoccaggio di rifiuti della Sicilia.
Come accennato più sopra, il nucleo di Bellagio è stato inaugurato alla fine degli anni Ottanta ed è quello che desta le preoccupazioni più grandi di Dario e del comitato di cui fa parte. Tale impianto, infatti, operò per un lungo periodo, a soli cinquecento metri in linea d’aria dal centro abitato, senza che nessuna autorità competente facesse approfonditi controlli sulle modalità di smaltimento e stoccaggio dei rifiuti, né sul contenuto dei rifiuti stessi. Il sospetto dei componenti del comitato è che, oltre ai rifiuti urbani, nel sito siano stati stoccati anche rifiuti speciali pericolosi provenienti da basi militari e ospedali di tutto il territorio regionale.
Dario è puntuale e preciso nelle sue ricostruzioni. Ad ogni domanda che gli pongo risponde in modo diffuso e chiaro. A volte si ferma per qualche secondo per ordinare i concetti e poi riprende il filo del discorso e procede spedito nel formulare le sue risposte. Quando gli chiedo come hanno cominciato ad accorgersi della discarica e qual è stato il motivo per cui hanno cominciato ad interessarsi ad essa, mi risponde che: «tutto è banalmente cominciato dalla puzza. In alcuni giorni il fetore è così forte e investe i centri abitati troppo vicini» [13].
Fra il mese di luglio e quello di agosto del 2018, l’Arpa di Monterosso ha istallato, su richiesta del Comune, una centralina di monitoraggio dell’aria nel centro abitato di San Michele. Grazie a quella centralina è stato possibile rilevare l’anomala presenza di gas, come il metano, le varie tipologie di mercaptani e l’idrogeno solfarato, compatibili con le attività svolte all’interno della discarica. La rilevazione dell’Arpa, inoltre, ha messo in evidenza il fatto che, soprattutto durante le ore notturne e nelle prime ore del giorno, la centralina ha rilevato degli improvvisi picchi di metano e mercaptani. Tali picchi hanno superato i limiti di legge anche di dieci-dodici volte. Quando ne chiedo la ragione, Dario si ferma. Il suo eloquio si interrompe e cerca di sviare. Poi farfuglia. Mi dice di non dire, che ancora non c’è nulla da dire. Finiamo i nostri caffè e andiamo a casa con la promessa di rivederci per approfondire, di dire ciò che adesso è meglio tacere.
La vicenda del ciclo dei rifiuti in Sicilia è complessa e ho scelto di analizzarla utilizzando gli strumenti dell’analisi economica di stampo marxista. Da questo punto di vista essa emerge in tutta la sua grandiosità e si pone come apice e capolavoro della strategia capitalista contemporanea. La tesi da cui muove il filosofo tedesco nel Capitale [14] è che l’economia capitalista si basa su una quota iniziale di capitale che produce merce. Quest’ultima crea plusvalore tale per cui il capitalista vede accresciuta la sua quota di capitale di una certa quantità. Questo è in estrema sintesi la formula su cui si basa l’intero impianto marxista: D-M-D’ in cui D<D’. La creazione di plusvalore è possibile grazie al fatto che le merci sono prodotte da una certa quantità di lavoro, più o meno specializzato, che non è sostanzialmente retribuito. Nel caso del ciclo dei rifiuti in Sicilia, tale formula deve considerare il fatto che il lavoro di produzione della merce, cioè l’immondizia, è interamente affidato ai cittadini che non solo non vengono retribuiti, ma anzi devono essere essi stessi a pagare, attraverso il versamento delle tasse, per ottenere il servizio. Il settore dei capitalisti privati, in questo caso, ha trovato il modo di creare denaro dai rifiuti.
In questi termini, appare evidente come la questione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti sia legata all’ambito della logistica come industria, per riprendere la tesi esposta in apertura di questo scritto. Essa infatti si pone con molteplici questioni che riguardano la raccolta, lo smaltimento, l’abbancamento e lo stoccaggio dei rifiuti che sono di precipua competenza della logistica contemporanea e in Sicilia hanno raggiunto un grado di complessità e di confusione che ha reso possibile la continua e costante infiltrazione della mafia in questo settore. Se da un lato gli imprenditori privati posseggono i mezzi di produzione per perpetuare tale situazione di arretratezza dei processi legati al ciclo dei rifiuti, dall’altro le amministrazioni pubbliche mancano delle necessarie competenze logistiche per mettere in atto piani di intervento realizzabili e di lunga durata. Data questa situazione, sia al livello regionale sia al livello locale, come nel caso della discarica di San Michele, è ragionevole sostenere il fatto che da un punto di vista squisitamente capitalistico, il business dei rifiuti è perfetto e non ha ragione di modificarsi visti i lauti compensi che se ne possono ricavare a vantaggio dei pochissimi imprenditori del settore.
Ciò che è fuori luogo in tutta la vicenda è la presenza di piccoli e deboli comitati civici, come quello di San Michele di cui fa parte Dario, l’interlocutore che ha riassunto in poco tempo le preoccupazioni e il lavoro del suo gruppo. Questi comitati rappresentano la voce dissonante del territorio che tendono spesso ad essere ignorate e, a volte, ad essere messe a tacere. Sono voci fuori luogo perché non allineate e non rassegnate; voci che labilmente e debolmente ci dicono che in tutte le San Michele d’Italia e del mondo intero la vera sfida per il futuro di tutti è il contrasto alle eco-mafie. È qui che è necessario impostare un discorso politico, storico e antropologico nuovo e che si metta a riflettere con coscienza e consapevolezza sulle modalità di intervento e di esclusione del settore capitalistico e mafioso dal ciclo dei rifiuti.