di Antonio Bica
Due mondi diversi, Oriente islamico e Occidente, tanto vicini ma pure distanti, con posizioni sempre più antitetiche, nonostante l’intensificarsi delle relazioni interculturali in un contesto di globalità senza precedenti nella storia. Un dialogo sempre più difficile e contorto, caratterizzato sovente da una crescente incomprensione, da espressioni culturali che si configurano in opposizione per via della loro inconciliabilità, per non parlare dei fantasmi delle antinomie legate alla tradizione sacrale e alla letteratura religiosa, del rimando fin troppo immediato a concetti come il radicalismo religioso e i fondamentalismi, della difficoltà, mai risolta in termini di approccio, dinanzi a parole come teocrazia, sharia, hijab, jihad ed altre ancora, che sono entrate quasi di prepotenza a far parte del nostro tranquillo vocabolario di occidentali.
Universo differente dunque, luogo di non intesa, di scandalo culturale, di shock civile, alterità pulsante che facciamo fatica a capire, nonostante prendiamo gli aerei e voliamo verso Oriente per dare un senso alla nostra voglia di esotico. Ma quel mondo continua a rimanerci sconosciuto, incomprensibile, malato e marginale rispetto al nostro; è come trovarsi dinanzi a due sistemi granitici e impenetrabili che nel fronteggiarsi producono immagini distorte che si respingono anziché attrarsi.
Le ragioni del rapporto conflittuale fra Islam e pensiero occidentale sono molteplici; quella “parte di mondo” non ha vissuto fenomeni storico-culturali come l’Illuminismo e la Rivoluzione francese, e pertanto ragione e profezia, religione e affari di Stato, Dio e politica, non sono mai state distinte. Dio è il Capo dello Stato e la Rivelazione è Legge a tutti gli effetti, non c’è e non può esserci spazio per tutto ciò che rappresenta innovazione, ‘bidah’, piuttosto il nuovo viene considerato eretico da parte della ortodossia. Ci si trova dinanzi ad una frattura culturale, politica, geografica; da un lato l’Oriente, condannato a quella “Infelicità Araba” di cui parlava il grandissimo Samir Kassir, l’Oriente così estraneo a quell’Illuminismo europeo che ha sancito il primato della ragione a scapito della metafisica, l’Oriente quasi condannato al concetto di teocrazia, perché quello è il risultato se non sai dividere Stato e Dio e se non hai sperimentato il primato della ragione nel bene e male; dall’altro lato l’Occidente, figlio delle catastrofi del secolo breve di cui ci racconta Eric Hobsbawm nei suoi studi, l’Occidente cieco che ha vissuto gli effetti nefasti del fallimento della ragione illuminista, naufragato nelle sciagure dei totalitarismi, un cadavere profumato che si è perso strada facendo le radici fondanti della cultura greca ed umanistica, l’Occidente della politica senza più cultura, l’Occidente che ha smarrito la sua antica relazione col Logos che già aveva preso il posto del Pensiero Mitico, l’Occidente del nichilismo storico preannunciato da Nietzsche e Dostoevskij, la nuova terra senza Dio.
Questo Occidente rappresenta un luogo di distrazione, di distacco, luogo di non attenzione dinanzi ad una spiritualità sempre meno importante, sempre più marginale; dall’altro lato invece abbiamo un mondo dove tutti gli interessi dell’uomo, dalla politica all’economia e alle espressioni culturali, dalla società alla quotidianità, tutto è in strettissima relazione col divino, con la fede, con princìpi e regole indiscutibili in quanto espressione verbale di Dio stesso.
È in particolar modo l’ambito religioso, oggi come nel passato, ad essere luogo di incomprensione e di controversie, e non solo fra le confessioni abramitiche, e quindi fra i tre monoteismi, Islam, Ebraismo e Cristianesimo, ma perfino in seno alla stessa confessione religiosa.
Nel periodo storico attuale è cresciuto notevolmente l’interesse dell’opinione pubblica nei confronti dell’Islam, tanto che la religione del Profeta è diventata motivo di discussione quasi ovunque, fonte di preoccupazione, bersaglio di invettive, origine degli interrogativi da parte di chi non riesce a spiegarsi come mai una religione della pace possa essere di fatto al centro dell’attenzione internazionale per questioni che hanno a che fare con attentati, bombe, massacri e uccisioni di gente innocente in nome di una guerra di religione, la guerra santa, perché ormai è così che l’Occidente traduce e intende il termine jihad, guerra santa, guerra di religione; nello stesso mondo musulmano vi sono vari punti di vista sull’idea di jihad; per alcuni si tratta di guerra santa, e perciò di impegno militare, altri invece fanno riferimento ad un impegno di tipo spirituale, atri ancora ad entrambe le cose con varie sfumature di significato.
Prima dell’avvento dell’Islam vi fu in Arabia il cosiddetto periodo della ‘jahiliyya’, cioè dell’ignoranza, il tempo che precedette la missione rivelatrice del Profeta, un periodo storico caratterizzato dall’ignoranza della Rivelazione e con essa della verità salvifica. La civiltà che seguì la ‘jahilyya’ preislamica fu qualcosa di diverso da quella che definiva il sistema tribale prima del Profeta; l’era della ‘jahilyya’ era caratterizzata da un sistema politico e sociale frammentato, tipico di una cultura tribale restrittiva, non omogenea; dopo la Rivelazione, gli Arabi si trovarono dinanzi ad una nazione vera e propria, una grande famiglia di cui essi costituivano il nucleo essenziale.
Senza dubbio si può parlare di unicità della concezione statale islamica, il cui proponimento matura in una direzione del tutto singolare, allora come oggi, cioè l’identificazione dello Stato con la ‘umma’, la comunità dei credenti; questo è il senso della ‘dar al-Islam’, la ‘terra dell’Islam’, ambito nel quale l’elemento geografico-territoriale coincide con quello spirituale, i confini nazionali sono quelli entro i quali vengono professati la religione e il credo islamico. La mancanza di una distinzione netta fra potere spirituale e potere temporale, in favore di una visione unitaria dei due ambiti, rende sfumato il concetto di nazione-territorio; c’è da un lato la dimora di chi professa la religione islamica, il credo e la sottomissione al Dio unico e poi, contrapposta ad essa, c’è la ‘dar al-harb’, la casa della guerra, la dimora degli infedeli.
I confini fra la nazione islamica e tutto il resto del mondo non sono concepiti unicamente come confini territoriali, geografici, etnici, politici, linguistici, ma soprattutto come confini religiosi, etici e spirituali, e le frontiere che li dividono sono pertanto effimere; ci ritroviamo dinanzi a qualcosa che si pone ben al di sopra del concetto di nazione così come è inteso dall’Occidente. D’altra parte, nella tradizione letteraria biblica, l’idea di nazione identifica i nemici del popolo eletto, quelli che non riconoscono il Dio biblico e contro i quali il popolo di Dio deve lottare per non farsi sottomettere. Anche la nazione di Israele, quella che Dio ha scelto, fonda le sue origini su basi religiose oltre che etniche, e questo fattore sarà determinante nel mantenere la sua unità.
L’obiettivo primario della missione del Profeta, lo sforzo costante dell’attività profetica, è indirizzato verso la creazione di una comunità ordinata, strutturata, con una propria organizzazione politica e sociale, che sia totalmente sottomessa a Dio e che viva secondo le regole ispirate alla Legge di Dio, la Sharia, così come espressa nella Rivelazione coranica e, successivamente, tramandata nella Sunna, vale a dire la tradizione, le abitudini, i comportamenti del Profeta. Dentro questo universo, è racchiuso e custodito il pensiero etico e giuridico della comunità dei credenti.
Lo Stato islamico si configura già nelle fondamenta e sin dalla sua nascita come entità non vincolata a confini territoriali, come teocrazia con una forte componente etica, in cui religione e politica non possono coesistere come princìpi indipendenti l’uno dall’altro, ma si fondono e si integrano. Questo porta ad una concezione statuale nella quale lo Stato islamico rappresenta l’unico modello di Stato legittimo. Tutto ciò che non è ‘terra dell’Islam’ (dove vivono i credenti, si professa l’Islam e vige la Sharia) è eterodossia, è ‘territorio della guerra’, è il luogo dove vivono gli infedeli; questi devono essere invitati a sottomettersi e abbracciare la religione del Profeta, oppure mantenere il loro credo e pagare un tributo ai musulmani (la ‘jizya’), vivendo così nella condizione di ‘dhimmi’, cioè di gente protetta, oppure vanno piegati con la forza delle armi se necessario.
I princìpi etico-religiosi, legati alla concezione primitiva dello Stato islamico, sono stati rivalutati nella storia recente in seguito alla crisi dei modelli statali occidentali, nonostante la loro supremazia in ambito tecnologico. Il Corano ci è di aiuto per meglio comprendere la visione religiosa del mondo dal punto di vista dei credenti musulmani.
Innanzi tutto Dio è il padrone del mondo, tutto gli appartiene, così anche il cielo e la terra che Egli ha creato:
CIT. Cor. 5, 17 «… Ad Allah appartiene la sovranità sui cieli, sulla terra e su tutto quello che vi è frammezzo! Egli crea quello che vuole, Allah è onnipotente. 18. Giudei e nazareni dicono: Siamo figli di Allah ed i suoi prediletti. Di’: Perché allora vi castiga per i vostri peccati? Sì, non siete che uomini come altri che Lui ha creato. Egli perdona a chi vuole e castiga chi vuole. Ad Allah appartiene la sovranità sui cieli e sulla terra e su quello che vi è frammezzo. A Lui farete ritorno».
CIT. Cor. 2, 107 «Non sai che Allah possiede il Regno dei cieli e della terra e, all’infuori di Lui, non c’è per voi né patrono né soccorritore?».
CIT. Cor. 5, 120 «Appartiene ad Allah la sovranità dei cieli e della terra e di ciò che racchiudono, ed Egli è l’Onnipotente».
CIT. Cor. 59, 22 «Egli è Allah, Colui all’infuori del Quale non c’è altro dio, il Conoscitore dell’invisibile e del palese. Egli è il Compassionevole, il Misericordioso; 23 Egli è Allah, Colui all’infuori del Quale non c’è altro dio, il Re, il Santo, la Pace, il Fedele, il Custode, l’Eccelso, Colui che costringe al Suo volere, Colui che è cosciente della Sua grandezza. Gloria ad Allah, ben al di là di quanto Gli associano. 24 Egli è Allah, il Creatore, Colui che dà inizio a tutte le cose, Colui che dà forma a tutte le cose. A Lui appartengono i nomi più belli. Tutto ciò che è nei cieli e sulla terra rende gloria a Lui. Egli è l’Eccelso, il Saggio».
Il concetto di separazione fra potere temporale e potere spirituale, fra Stato, politica e religione, non appartiene al mondo islamico, anzi è ad esso totalmente estraneo, essendo prerogativa dei moderni Stati occidentali. Riguardo alla cristianità, se consideriamo quanto riportato nel Vangelo di Luca al capitolo 20 (ma anche in Matteo e Marco), l’esistenza delle due forme di autorità si fa risalire a Gesù stesso in quell’invito a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Nell’Islam c’è un solo Dio ed una sola Legge che è quella divina; pertanto, la sovranità popolare, così come la intende l’Occidente, rimane qualcosa di estraneo, tagliata fuori dall’universo culturale islamico. Nel mondo musulmano, i credenti avvertono la necessità di portare a compimento le disposizioni divine nelle loro società, ed è su questa concezione che si costruisce l’idea di Stato; si tratta dello Stato di Dio e del Suo governo, in cui l’unico potere riconosciuto è quello di Dio stesso. Nelle democrazie occidentali il potere appartiene al popolo, nelle democrazie islamiche il potere appartiene a Dio; ‘la hawla wa la quwwata illa billahi’, ‘non c’e potere né forza se non da Dio’, pertanto Dio può fare e disfare ciò che vuole e ad Egli appartiene la sovranità (mulk):
CIT. Cor. 42, 49 «Appartiene ad Allah la sovranità dei cieli e della terra. Egli crea quello che vuole. Concede femmine a chi vuole e, a chi vuole, maschi; 50 oppure concede maschi e femmine insieme e rende sterile chi vuole. In verità Egli è il Sapiente, il Potente».
CIT. Cor. 25, 2 «Colui Cui appartiene la sovranità dei cieli e della terra, Che non si è preso figlio alcuno, Che non ha consoci nella sovranità, Che ha creato ogni cosa e le ha dato giusta misura».
CIT. Cor. 64, 1 «Glorifica Allah ciò che è nei cieli e sulla terra, Sua la Sovranità, Sua la Lode. Egli è onnipotente».
CIT. Cor. 25, 26 «In quel Giorno la vera sovranità apparterrà al Compassionevole e sarà un Giorno difficile per i miscredenti».
CIT. Cor. 35, 13 «Egli fa sì che la notte compenetri il giorno e il giorno compenetri la notte e ha sottomesso il sole e la luna. Ciascuno orbita fino ad un termine stabilito. Questi è Allah, il vostro Signore: appartiene a Lui la sovranità, mentre coloro che invocate all’infuori di Lui non posseggono neppure una pellicola di seme di dattero».
CIT. Cor. 36, 83 «Gloria a Colui nella Cui mano c’è la sovranità su ogni cosa, Colui al Quale sarete ricondotti».
Dio è il migliore dei governanti possibili, Lui detiene il potere e la sovranità assoluta, fa le leggi, indica le linee di comportamento, le disposizioni etiche, a Lui spetta il giudizio (hukm) essendo il migliore dei giudici:
CIT. Cor. 28, 88 «Non invocare nessun altro dio insieme con Allah. Non c’è dio all’infuori di Lui. Tutto perirà, eccetto il Suo Volto. A Lui appartiene il giudizio e a Lui sarete ricondotti».
CIT. Cor. 6, 57 «Di’: Mi baso su una prova chiara da parte del mio Signore – e voi la tacciate di menzogna – non ho in mio potere quello che volete affrettare: il giudizio appartiene solo ad Allah. Egli espone la verità ed è il migliore dei giudici. 58 Di’: Se avessi potere su quello che volete affrettare, sarebbe già stato definito il contrasto tra me e voi. Allah conosce meglio di chiunque altro gli ingiusti. 59 Egli possiede le chiavi dell’invisibile, che solo Lui conosce. E conosce quello che c’è nella terra e nei mari. Non cade una foglia senza che Egli non ne abbia conoscenza. Non c’è seme nelle tenebre della terra o cosa alcuna verde o secca che non siano citati nel Libro chiarissimo. 62 … “Non è a Lui che appartiene il giudizio? Egli è il più rapido nel conto”».
È chiaro come la democrazia islamica, diversamente da quella occidentale, debba sottostare alla Legge Divina, in totale accordo con i comandamenti di Dio e tutte le Sue disposizioni. Nella cultura occidentale la Legge fa scaturire la propria autorità dalla ragione, ma quando Dio è il Legislatore, obbedire alla Legge è, per il credente, un dovere religioso, un principio di fede ed anche un obbligo giuridico. I governanti devono solo attuare il volere divino, essendo i naturali rappresentanti di Dio sulla terra, i Suoi sostituti, i califfi.
Il termine ‘califfo’ fu assegnato, subito dopo la morte del Profeta, ai Suoi successori o vicari, cioè persone che ne fecero le veci; la parola araba ‘khalifa’ si riferisce a qualcuno che succede o subentra a qualcun altro e il titolo non ha un significato religioso ma politico, il califfo è la più importante autorità dello Stato:
CIT. Cor. 57, 1 «Glorifica Allah ciò che è nei cieli e nella terra. Egli è l’Eccelso, il Saggio. 2. Appartiene a Lui la sovranità dei cieli e della terra, dà vita e dà morte, Egli è l’Onnipotente. 3. Egli è il Primo e l’Ultimo, il Palese e l’Occulto, Egli è l’Onnisciente. 4 Egli è Colui che in sei giorni ha creato i cieli e la terra, poi Si è innalzato sul trono. Egli conosce ciò che penetra nella terra e ciò che ne esce, quel che scende dal cielo e quel che vi ascende; Egli è con voi ovunque voi siate. Allah osserva ciò che fate. 5 Appartiene a Lui la sovranità dei cieli e della terra. Ad Allah tutte le cose saranno ricondotte. 6 Fa penetrare la notte nel giorno e il giorno nella notte e conosce perfettamente quel che nascondono i petti. 7 Credete in Allah e nel Suo Messaggero e date una parte di ciò di cui Allah vi ha fatto vicari. Per coloro che credono e saranno generosi, ci sarà ricompensa grande».
Ne consegue che il mondo appartiene a Dio che lo ha donato agli uomini facendo di essi i Suoi khalifa, i vicari, i luogotenenti del Creatore sulla terra.
Qui, a seguire, un riferimento coranico agli ‘eredi’ della Scrittura, cioè i musulmani e, fra questi, coloro che pur credenti non obbediscono alla Legge divina e fanno ‘torto a sé stessi’, poi quelli che assolvono i loro obblighi senza tuttavia adoperarsi attivamente (sono coloro che si pongono in una zona intermedia), e infine chi si impegna in uno sforzo maggiore sulla via di Dio:
CIT. Cor. 35, 32 «Facemmo poi eredi della Scrittura i Nostri servi che scegliemmo. Fra essi c’è chi fa torto a se stesso, chi segue una via intermedia, chi vince la gara del bene con il permesso di Allah: questa è la grazia immensa. 33 Entreranno nei Giardini di Eden, ornati di bracciali d’oro e di perle e saranno di seta i loro vestiti».
CIT. Cor. 10, 13 «Facemmo perire le generazioni precedenti perché furono ingiuste. Messaggeri della loro gente avevano portato le prove, ma essi non furono disposti a credere. Compensiamo così gli empi. 14 Quindi vi costituimmo, dopo di loro, vicari sulla terra, per vedere come vi sareste comportati».
CIT. Cor. 7, 129 «Dissero: Siamo stati perseguitati prima che tu venissi e dopo che venisti a noi. Rispose: Può darsi che presto il vostro Signore distrugga il nemico e vi costituisca vicari sul paese per poi guardare quello che farete».
Il messaggio del Profeta possiede poi un valore universale, che unifica e raccoglie tutte le comunità nel segno dell’Islam, la religione vera e autentica, esprimendo inequivocabilmente l’universalità della missione profetica:
CIT. Cor. 34, 28 «Non ti abbiamo mandato se non come nunzio ed ammonitore per tutta l’umanità, ma la maggior parte degli uomini non sanno».
CIT. Cor. 7, 158 «Di’: Uomini, io sono un Messaggero di Allah a voi tutti inviato da Colui al Quale appartiene la sovranità dei cieli e della terra. Non c’è altro dio all’infuori di Lui. Dà la vita e dà la morte. Credete in Allah e nel Suo Messaggero, il Profeta illetterato che crede in Allah e nelle Sue parole. Seguitelo, affinché possiate essere sulla retta via».
CIT. Cor. 3, 85 «Chi vuole una religione diversa dall’Islam, il suo culto non sarà accettato, e nell’altra vita sarà tra i perdenti».
Il versetto riportato sancisce senza mezzi termini che, in seguito alla Rivelazione coranica, la fede islamica sarà la sola che Dio accoglierà come valida ed universale. Mentre la conflittualità fra ragione e religione, scienza e fede, ha accompagnato e permeato lo sviluppo del pensiero occidentale, nell’islam gli ambiti che concernono etica e spiritualità, mistica e prassi di vita quotidiana, sono intimamente legati fra loro. La logica di Dio diventa logica della politica, logica che si esprime in un’intesa fra Dio e gli uomini, dove questi si assumono l’impegno di rispettare ed attuare quanto stabilito da Dio stesso. Dio indica la via mentre gli uomini procurano di non deviare da essa. Più consapevole è il credo religioso, più pura e tenace è la fede, maggiore sarà la possibilità di istituire una società giusta ed un governo forte e stabile.
L’universo islamico ci appare come un sistema complesso e variegato nella sua multiformità; guardiamo l’Islam come una minaccia alle nostre presunte sicurezze, un pericolo per la nostra sia pur vacillante democrazia, soprattutto identificando l’Islam con le derive radicali fondamentaliste e quindi con il terrorismo e le bombe. Poi c’è anche la paura della sostituzione razziale, il timore ancestrale dello sguardo dell’altro che consideriamo totalmente estraneo a noi, e che pensiamo possa minare le basi della nostra identità sociale e nazionale, sempre ammesso che l’Occidente ne possieda ancora la consapevolezza e dia ancora un valore al sentimento identitario. Rimane il fatto che l’Occidente, forte della sua egemonia economica e politica e della sua presunta superiorità culturale, non è tuttavia in grado di fugare i propri pregiudizi e i preconcetti che lo vincolano. Di contro, l’Occidente laico e moderno, costituisce un elemento di corruzione e di decadenza dei costumi dal punto di vista dell’Islam e del dettato coranico, senza contare il timore che l’Occidente ricco e super organizzato da un punto di vista tecnologico, non abbia mai completamente sopito le sue pretese di colonialismo.
L’Occidente che ha ereditato il primato della ragione a scapito della metafisica, così come fu sancito dal Secolo dei Lumi, ha reciso in nome della modernità il suo legame antico col pensiero filosofico greco, con la radicale tradizione del pensiero cristiano, sacrificando le proprie radici culturali sull’altare del progresso, scivolando inesorabilmente nel nichilismo, mortificando l’idea del Sacro e sostituendola con un materialismo immanentista che non lascia spazio alla percezione del senso del Mysterium. È la trasformazione dell’‘homo religiosus’ in ‘homo negligens’.
La prospettiva dell’Islam è esattamente il contrario, in essa il progresso e la modernità non sono concepibili con il distacco dal legame con la tradizione o col rinnegamento dei suoi princìpi e dei relativi valori; uno sguardo al futuro non è possibile senza la restaurazione e il rispetto degli antichi valori religiosi.
L’Islam e il mondo arabo in generale hanno veicolato un atteggiamento ambivalente nei confronti del concetto di democrazia così come essa è intesa dall’Occidente. Vero è che la democrazia poggia le sue basi sul potere del popolo, ma è vero altrettanto che il potere di ciascun individuo, nelle grandi democrazie occidentali, si identifica con una frazione infinitesimamente piccola del potere stesso. La democrazia finisce così col trasformarsi in una forma di potere dei democratici all’interno del sistema liberale, un potere che tuttavia è esercitato da pochi più forti su molti più deboli, lasciando di fatto al popolo soltanto l’illusione del potere, generando un fantasma di democrazia, una effimera illusione.
L’Islam delle origini, nella sua identificazione con la prima comunità di credenti fondata dal Profeta, rappresenta un elemento nucleare e solido di struttura sociale democratica all’interno della quale il potere era avallato e legittimato dalla comunità nella sua interezza. Da questo punto di vista, l’idea di democrazia non è affatto estranea alla tradizione dottrinale islamica primitiva fino ai suoi successivi sviluppi. Eppure l’Islam manifesta un atteggiamento a dir poco di sospetto, se non addirittura di timore, nei confronti degli ideali di democrazia con cui l’Occidente si identifica.
Cultura, democrazia e modernità insieme, sono le bandiere sventolate dall’Occidente nel suo lungo percorso di conquista e colonizzazione di paesi e società considerate più deboli ed arretrate sia dal punto di vista economico che politico e sociale. I cosiddetti valori che l’Occidente vorrebbe imporre, vengono percepiti come un attacco al cuore della grande tradizione islamica, al suo impianto dottrinale, al tipo di società che ne deriva. Questi valori non vengono proposti ma imposti, in un disegno sotteso di nuova colonizzazione. Inevitabile non pensare ad una prospettiva di scardinamento di strutture sociali consolidate dalla dottrina e dalla tradizione, nel nome di una modernità desiderosa di esportare ad ogni costo globalismo, liberalismo e cultura. Sulle idee propugnate dall’Occidente del progresso si potrebbe discutere, tuttavia ciò non avviene; anzi, prevalgono le posizioni del sospetto e della paura dinanzi ad un Occidente liberale che tuttavia non rinuncia al ricorso alla forza delle armi.
Due culture così saldamente aggrappate alle loro posizioni finiscono inevitabilmente col guardarsi di traverso, frapponendosi spesso barriere insormontabili. Le istanze di democrazia ed innovazione propugnate dall’Occidente, soprattutto negli strati sociali meno abbienti e nelle fasce più giovani della popolazione (spesso si tratta di studenti sempre più marginalizzati e alle prese con la necessità di sbarcare il lunario per via delle loro modestissime risorse economiche), suscitano un atteggiamento di ostilità contrapposta all’ideale democratico stesso, fanno inoltre paura perché vengono associate alle sollecitazioni e alle pressioni della passata politica coloniale del ricco ed arrogante Occidente. I nuclei popolari, entro i quali nascono e prendono forma le derive radicali alimentate dal pensiero fondamentalista, sono legati proprio alle condizioni di indigenza di larga parte del tessuto sociale degli arabi nei Paesi più poveri. I radicalismi sono un baluardo anche violento contro quell’altra forma di violenza rappresentata dalla modernità, dalla diffusione dei beni di consumo, dal liberismo, dal liberalismo, da quella stessa democrazia sempre meno democratica e popolare e sempre più antinomica.
Altro ostacolo che si frappone fra le due diverse culture è l’eccesso di individualismo delle società e delle democrazie occidentali. Una società, per potere essere fedele al suo significato originario e alle sue finalità, dovrebbe trasmettere l’immagine di un insieme di individui che da una ideale periferia convergono verso un centro comune che rappresenta il cuore dell’interesse dell’intera comunità. Perché una società sia tale, essa deve innanzitutto essere ‘socìetas’, teatro di solidarietà comune, luogo dove tutti gli individui devono essere ‘soci’ fra loro ed operare con sforzi ed obiettivi condivisi, mettendo da parte l’interesse personale in favore del benessere comune.
L’ideale sociale islamico abbraccia una politica egualitaria volta al bene, esso è in antitesi con la immorale pretesa di realizzazione dei particolarismi individualistici che ammorba l’Occidente. È il desiderio personale, lasciato libero di agire senza alcun freno, che porta squilibrio e tensione fino a trascendere nella violenza e infine nella guerra.
L’Islam è da considerarsi in opposizione alla democrazia nella misura in cui la democrazia, nei suoi eccessi e nelle sue deviazioni, coincide con l’affermazione del laicismo individualista, della libertà individuale che travalica nel lassismo dei costumi perché sganciata dal sentimento etico e dal comune senso del pudore, del ‘bellum omnium contra omnes’, una guerra di tutti contro tutti in cui gli individui seguono i loro istinti e mirano a soddisfare i propri desideri senza tener conto delle esigenze e del rispetto altrui. Ecco che in questo senso l’Occidente rappresenta il triste miraggio di una terra tormentata da un conflitto perenne ed insanabile.
La grande comunità islamica è luogo di pace ed equilibrio, di individui solidali fra loro e tutti insieme solidali nella sottomissione a Dio; l’aspirazione comune è un sistema di democrazia ugualitaria simile a quello della prima comunità di musulmani fondata dal Profeta. Il trionfo del monoteismo propugnato dal Profeta portò ordine e moderazione, regole e privilegi, in una società tribale dominata dal politeismo, dall’anarchia e dalla violenza bruta, relegando al passato il periodo della jahiliyya, il tempo dell’ignoranza che precedette la missione del Profeta dell’Islam.
L’Occidente dell’individualismo, con le sue luci che accecano, la sua modernità che si sposa col caos, i suoi miraggi e le facili illusioni, è visto come soggetto di deviazione dalla retta via, presagio triste di un ritorno funesto a quella stessa anarchia appartenuta al passato della jahilyya.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
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Antonio Bica, specializzato in Studi Orientali all’Università di Napoli “L’Orientale”; studioso ci cultura e civiltà del Medio Oriente, ha svolto studi antropologici e linguistici nella Valle dell’Eufrate, Sud-est asiatico, Yemen, Nepal, Subcontinente Indiano, Etiopia e Corno d’Africa. Autore di reportages fotografici in zone di guerra, Libano, Siria, Alture del Golan, Valle di Quneitra, si occupa di studi di fisiopatologia e aspetti medico-legali della morte di Gesù di Nazareth. Premio Speciale per la Cultura 2012 e 2015, Ordine dei Medici-Chirurghi della provincia di Trapani.
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