di Valeria Laudani
Mi immergo in luoghi dimenticati e abbandonati, dove il tempo sospeso tra la polvere ha rarefatto la presenza umana. Natura e architettura si mischiano in un intrico inestricabile.
Camminando tra fabbriche in rovina, case deserte e paesaggi rurali degradati, affiora un contrasto stridente. Da un lato, la malinconica desolazione, dall’altro, la vigorosa e rigogliosa vegetazione.
Dell’uomo solo rifiuti: dappertutto bottiglie di plastica, pneumatici, sedie, cassette di ortofrutta accatastate, frammenti di vetro disseminati. Tracce del nostro passaggio. Drammatici segni del nostro tramonto sul pianeta.
Eppure tra le macerie e i detriti, si possono ancora trovare testimonianze della nostra storia civile e artistica. Statue spezzate e logore, una volta simboli di grandezza, affreschi nei soffitti di case pericolanti o sui muri di chiese devastate dai terremoti. Chiese che del sacro trattengono ancora la suggestione.
Nelle fotografie del degrado vedo più di semplici rovine. Scorgo le cicatrici del tempo che raccontano storie di rinascita e resilienza.
Le vecchie fabbriche dismesse conservano all’interno le macchine arrugginite e pare di sentire ancora il respiro dei lavoratori che le azionavano.
Nei luoghi terremotati e nelle città fantasma la terra devastata racconta di una comunità che sembra da un momento all’altro voglia rialzarsi con forza, come se ogni muro caduto chiedesse di essere ricostruito, pietra su pietra.
Così il parco giochi dimenticato, assediato dalle sterpaglie. Tra le assi rotte e i colori sbiaditi, quelle altalene immobili pare continuino lentamente ad oscillare, testimoni di infanzie trascorse, in attesa di generazioni che verranno.
Le rovine possiedono un’aura di bellezza, di nobiltà, di mistero. Un invito a guardare oltre la superficie e meditare sulla fragilità delle opere umane e sulla precarietà dell’esistenza.
In un mondo dominato dalla frenesia dei consumi e dei rumori, questi luoghi che sembrano celebrare il silenzio riescono ancora a parlarci, a dirci qualcosa del nostro passato, a documentare il nostro presente.
Le fotografie muovono dalla rabbia, dall’indignazione ma la loro luce vuole essere forse non solo denuncia ma anche speranza di una rinascita, desiderio e auspicio di un ripensamento collettivo, di una rigenerazione sociale.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
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Valeria Laudani, si diploma nel 1993 a Catania in Arti Grafiche, della Pubblicità e della Fotografia e inizia a lavorare privatamente come grafico-creativo e da freelance con alcune tipografie e agenzie pubblicitarie del territorio siciliano. Presso l’università intraprende gli studi in Scienze e Tecniche Psicologiche, per dedicarsi dal 1996 alla propria attività commerciale. Durante questo percorso, partecipa a diverse mostre personali e collettive a Catania e altrove.
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