L’opera dei pupi vista dall’altra parte dell’oceano, quando la grande miseria di fine Ottocento costrinse migliaia di siciliani ad abbandonare la propria terra per traghettare nel Nuovo Mondo. Carichi di aspettative e in cerca di fortuna, anche numerosi opranti si spinsero in America per avviare la loro attività. Per molti fu un successo perché le rappresentazioni dei paladini di Francia incantarono il pubblico della Little Italy, creando un elemento di coesione nelle nuove comunità di riferimento. Un capitolo di storia che merita di essere approfondito perché ancora poco conosciuto malgrado i riconoscimenti Unesco che l’Opera dei pupi ha ricevuto nel 2001.
Le vicende dei nostri pupari emigrati negli Stati Uniti sono ora ricostruite attraverso la storia esemplare della famiglia Manteo, in un bellissimo volume di Jo Ann Cavallo dal titolo I paladini di Francia in America. Il teatro dell’Opera dei pupi di Agrippino Manteo (1884 – 1947). Il libro, tradotto da Paolo Tartamella con un contributo di Alessandro Napoli, fa parte della collana «Studi e materiali per la storia della cultura popolare», nelle edizioni del Museo Pasqualino. L’autrice, direttrice del Dipartimento di Italianistica della Columbia University, è un’esperta dell’epica cavalleresca rinascimentale: grazie al suo studio e alla sua opera di diffusione e conoscenza della materia è stata fatta luce su nuovi aspetti di quest’antica tradizione teatrale che impiantandosi in un nuovo contesto ne ha mantenuto la continuità, elaborando al tempo stesso elementi innovativi e originali rispetto alle scuole di provenienza.
Una storia illustre dunque, anche negli Stati Uniti d’America e soprattutto a New York City, per merito del capostipite, Agrippino Manteo.
Il volume abbraccia la storia di tre generazioni, dalla nascita di Agrippino a Grammichele, in provincia di Catania, dove da orfano trascorre un’infanzia difficile fatta di stenti, al suo apprendistato presso i Crimi, ritenuti con Giovanni Grasso, fondatori del teatro di figura nella Sicilia Orientale. Un terreno di formazione molto fertile per la recitazione in generale, dove Agrippino rivelerà presto il suo talento come attore in molte compagnie catanesi.
Dalla Sicilia all’Argentina il passo è breve e poi a New York: un’avventura che inizia con pochi soldi in tasca e quattro marionette, ma destinata a crescere sviluppandosi nel giro di pochi anni all’interno di una solida impresa familiare, fino a divenire un mestiere completo. Agrippino costruiva di suo pugno i personaggi principali dell’epica cavalleresca, supportato dalla moglie Caterina e dalla figlia Ida che cucivano e ricamavano i vestiti, dipingevano le scene sui fondali, seguivano l’amministrazione del teatro e la contabilità, mentre gli altri familiari lo accompagnavano nelle rappresentazioni, manovrando i pupi dall’alto così come voleva la scuola catanese, e dando loro la voce con le cosiddette parrati longhi.
Gli eredi, in particolare il figlio Mike detto il “Papa”, ma anche i nipoti hanno preservato quel patrimonio e continuato l’attività fino al 1989, quando decisero di chiudere definitivamente il loro teatro. Nel 2010 hanno donato i loro pupi di scuola catanese, insieme ai copioni, ai fondali e alla biblioteca di testi cavallereschi all’Italian American Museum di New York, offrendo a tutti la fruizione di questa preziosa eredità culturale. Jo Ann Cavallo ha inoltre scansionato e digitalizzato la maggior parte dei copioni esistenti della famiglia Manteo, concessi dal Museo per l’intervento e che saranno presto resi disponibili sul loro sito web “Boiardo”.
La pubblicazione di questo volume giunge quanto mai opportuna in questo momento che fa seguito alla riapertura dell’Italian American Museum in un palazzo ristrutturato a Mulberry Street, proprio dove si trovava il teatrino di Agrippino Manteo.
Quando Agrippino muore, i suoi familiari continueranno, come si è detto, l’attività, spinti dalla medesima passione del padre. Costante sarà il loro impegno e lo sforzo di allargare il pubblico rivolgendo gli spettacoli non soltanto agli immigrati, ma a tutti gli appassionati e specialisti del settore, partecipando a rassegne e festival, grazie ai quali raggiungono molti riscontri positivi ed elogi dalla critica e dalla stampa straniera.
Ma tutto questo avveniva sempre in continuità con la lezione del padre, nel suo ricordo e al fine di preservarne la memoria: «Non si sa quante volte queste pagine sono state girate nei teatri del nostro Papà, che ha presentato gli spettacoli come nessun altro. Era il migliore. Con l’aiuto della sua orgogliosa famiglia. Era il migliore. “Se ne è andato” ed è ancora il migliore. Faccio del mio meglio, ma! Non il migliore. Come Papà». Mike (copertina interna, Libro 6; l’originale in inglese).
Con gli anni, per il sopraggiungere della crisi del teatro di animazione dovuta all’avvento del cinema e della televisione, anche i Manteo dovranno rinnovare gli spettacoli, accorciandoli e introducendo nuovi personaggi per stimolare l’interesse degli spettatori. Così com’era avvenuto in Sicilia, l’Opera dei pupi finisce col perdere quella continuità che aveva caratterizzato il ciclo cavalleresco, sviluppandosi a puntate nell’arco di un anno. In questa nuova versione, diviene episodica e occasionale in funzione di un pubblico sempre diverso, di turisti e studenti. Si punta così alle storie più accattivanti e capaci di scatenare il pathos anche durante una sola serata: come l’amore e la follia di Orlando per Angelica o la battaglia di Roncisvalle.
Nella seconda parte del libro viene presentata la trascrizione di otto serate dal ciclo dei Paladini di Francia di Agrippino, ciascuna accompagnata da un’introduzione e da un’analisi comparativa. Gli spettacoli selezionati riguardano la parte centrale della Storia dei paladini, dall’apparizione di Angelica del Catai a Parigi alla battaglia finale dei tre contro tre sull’isola di Lampedusa. La parte introduttiva che accompagna ogni trascrizione illumina inoltre sul contesto narrativo direttamente tratto dai poemi originali del Boiardo e dell’Ariosto e solo in via secondaria dalle riduzioni ottocentesche di Giusto Lo Dico e Giuseppe Leggio. È questo dato che mette in luce la valenza creativa e l’estro originale di Agrippino nei suoi adattamenti drammatici. Per i pupari siciliani il testo di Giusto Lo Dico era considerato la Bibbia, mentre Agrippino preferisce spesso ricorrere direttamente ai grandi poemi rinascimentali, pur non tralasciando le rielaborazioni successive.
La trascrizione di questi copioni scritti da Agrippino, gli appunti e i commenti del figlio Mike, le sinossi e le fotografie contenute nel libro costituiscono una straordinaria risorsa che fa rivivere nel ricordo quelle scene appassionate e frenetiche dei consigli e delle battaglie, le passioni e i conflitti d’amore, l’irruzione sul palcoscenico di forze magiche e demoniache, l’eccitazione e il coinvolgimento del pubblico con i suoi commenti ad alta voce. Una materia ancora palpitante e viva che dà ragione, in ultima analisi, anche della forza dell’oralità che contraddistingue ogni puparo degno di questo nome. Che se da un lato teneva a mente l’intreccio narrativo di ogni copione, dall’altro rielaborava costantemente durante la rappresentazione, confermando quella magica intesa che vi è, nel teatro popolare, fra scrittura e oralità.
Adesso che i pupi della famiglia Manteo sono stati musealizzati e restano silenziosi nelle vetrine delle sale, sono i copioni a parlare, a rendere testimonianza di un teatro che è ancora miracolosamente attivo anche se non più in scena: una finestra che si apre «sull’intricato, passionale e autentico mondo narrativo dei Paladini di Francia», scrive Cavallo.
In questa direzione notevole è stato l’impegno dell’autrice nell’affiancare allo studio scientifico e alla ricostruzione storica dei repertori e del teatro siculoamericano dei Manteo, anche una ricchissima documentazione d’archivio, presentando fonti composite e diversificate, tutte inedite, che spaziano dai manoscritti alle fotografie.
Meritevole è sempre l’impegno costante e instancabile di Rosario Perricone, direttore del Museo Internazionale delle marionette e direttore editoriale della collana che persegue nel suo obiettivo di valorizzare con tutti i mezzi possibili l’opera dei pupi nel mondo. Grazie al ruolo del Museo, i paladini di Francia sono nuovamente scesi per strada e oggi i nostri teatrini si affollano di un pubblico sempre crescente e appassionato. Tutto questo nel ricordo del mai dimenticato Maestro, Antonio Pasqualino, fondatore del Museo di cui quest’anno si festeggiano i cinquant’anni.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
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Orietta Sorgi, etnoantropologa, ha lavorato presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, quale responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006); Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015); Sicilia rurale. Memoria di una terra antica, con Salvatore Silvano Nigro (2017).
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