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La pesca in famiglia: tra Tunisia e Italia

mio padre al porto di Marsala

Mio padre al porto di Marsala, 1988

di Ibtissem Slimane [*] 

Introduzione

Il presente lavoro racconta la storia della mia famiglia, attraverso il ruolo cruciale della pesca, mettendo in luce il percorso di trasformazione professionale e di mobilità territoriale di mio padre. Al centro della narrazione vi è la transizione dalla tradizionale attività agricola all’impegno della pesca a La Chebba, una città sulla costa centro-orientale della Tunisia. Questo cambiamento non ha riguardato solo l’aspetto lavorativo, ma ha anche comportato delle sfide morali.

La biografia di mio padre Abdelhamid si inserisce come esempio di mobilità socio-economica e culturale, resa possibile dall’attività della pesca. Motivato dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita, ha scelto di trasferirsi in Sicilia, aprendo così nuovi orizzonti in un contesto geografico e culturale diverso. Il suo arrivo in Sicilia ha segnato l’inizio di un processo di integrazione e dialogo con la comunità locale, andando oltre il semplice passaggio geografico. Navigare sul Mediterraneo, infatti, ha rappresentato una sfida professionale e un percorso di integrazione con un’identità diversa, senza mai perdere il legame con le proprie radici.

Mio padre ha intrapreso quest’avventura insieme a suo fratello, e i primi passi erano segnati da speranza e successo. Dopo la tragica scomparsa del fratello, mio padre ha scelto comunque di proseguire il suo percorso nella pesca, ben consapevole dei rischi che essa comporta. L’attività di un pescatore è infatti tutt’altro che semplice; ogni giorno rappresenta una sfida continua, in cui il coraggio di affrontare la forza della natura è fondamentale. Il mare, con la sua imprevedibilità, richiede non solo resistenza fisica, ma anche una profonda forza interiore.

Secondo l’esperienza di mio padre, il mare è il campo in cui misurarsi quotidianamente, un simbolo di sopravvivenza e determinazione, capace di mettere alla prova la volontà e la capacità di adattamento. Attraverso la sua avventura, noi, figli di un pescatore, abbiamo imparato dal mare lezioni profonde di vita: il rispetto per la natura, la forza necessaria per affrontare l’incertezza e la capacità di adattarsi ai cambiamenti. Il mare è diventato per noi non solo una fonte di sostentamento economico, ma anche un simbolo di crescita personale e familiare. Esso ha influenzato la nostra identità, insegnandoci il valore del sacrificio, della resilienza e della determinazione.

Questo racconto rappresenta un’esperienza vissuta tra le due sponde del Mediterraneo ed è un esempio di come la pesca possa fungere da strumento di integrazione, offrendo uno sguardo profondo sui rapporti umani e sociali. Attraversare il mare ci ha reso più consapevoli della nostra identità mediterranea, un intreccio inestricabile tra la cultura tunisina e italiana, africana ed europea. Ci ha insegnato che la vera comprensione interculturale nasce dall’incontro, dal dialogo e dalla volontà di superare, sia fisicamente che mentalmente, i confini.

La Chebba, il faro (ph. Islame Ibtissem)

La Chebba, il faro (ph. Ibtissem Slimane)

La Chebba, città d’origine della mia famiglia, è il luogo in cui mio padre ha avviato la sua carriera di pescatore. Situata nella regione di Mahdia [1], Chebba è nota per la sua antica tradizione peschereccia [2], le cui radici risalgono all’antichità e, ancora oggi, costituisce una risorsa economica vitale per la città. Il mare non è solo un confine naturale, ma il cuore pulsante della vita locale. Come descrive Matteo Scarabelli: «Mahdia, minuscola medina di pescatori che sembra rimasta incastrata in qualche secolo del passato.[..] Ovunque pescatori e innamorati scrutano il Mediterraneo, immobili e quasi mi sembra di vedere i loro pensieri galleggiare sulle onde [3].  Le sue parole evocano l’immagine di una città sospesa nel tempo, in cui il mare è il fulcro della vita, che plasma l’identità, la cultura e la tradizione del luogo.

A Mahdia, la pesca non è mai stata semplicemente un’attività economica, ma un’eredità tramandata di generazione in generazione. Questo legame profondamente tra gli abitanti e il mare è profondo e le sue radici si intrecciano con la storia stessa del luogo. La pesca, per molti abitanti di Mahdia, rappresenta una vera e propria filosofia di vita: il mare, con i suoi ritmi incostanti e i suoi imprevisti, diventa una metafora dell’esistenza stessa, insegnando l’arte dell’adattamento e della pazienza. È una scuola di vita, che richiede forza interiore e una costante capacità di affrontare l’imprevisto.

Nel porto di Chebba (ph. Ibtissem Slimane)

Nel porto di Chebba (ph. Ibtissem Slimane)

Ogni famiglia di Mahdia ha una storia legata al mare, e in questa trama di vite si intrecciano passato e presente, in un dialogo continuo tra tradizione e modernità. Mio padre, Abdelhamid, pur vivendo a Mahdia, proveniva da una famiglia con una solida tradizione agricola, possedeva terreni ed è specializzata nella coltivazione delle olive e nella gestione del bestiame. La loro esistenza era strettamente legata alla terra, alle sue stagioni e ai suoi cicli, e il mare, seppur vicino, rappresentava per loro un mondo distante. La vita della famiglia paterna si svolgeva all’interno dei ritmi costanti dell’agricoltura. Le conoscenze agricole venivano trasmesse oralmente da padre in figlio. Ogni generazione riceveva in eredità la terra, le tecniche e i segreti legati all’agricoltura.

Questo senso di stabilità, però, poteva anche trasformarsi in un limite. La certezza offerta dall’agricoltura, con i suoi ritmi ripetitivi, non lasciava spazio all’innovazione oppure al cambiamento. L’opportunità di miglioramento era affidata al tentativo di allontanarsi da quella tradizione. Tuttavia, per mio padre, quel desiderio di esplorare nuovi percorsi e di cercare opportunità al di là della terra coltivata divenne irresistibile, portandolo a distaccarsi dalla sicurezza del passato per avventurarsi verso il mare.

Azienda specializzata nel settore della pesca nel porto di Chebba (ph. Ibtissem Slimane)

Azienda specializzata nel settore della pesca nel porto di Chebba (ph. Ibtissem Slimane)

Questa scelta rappresentava una frattura significativa nella sua vita, un’opportunità più ampia che la terra non poteva offrirgli. Il passaggio dall’agricoltura alla pesca richiedeva non solo l’acquisizione di nuove competenze pratiche e professionali, ma anche una profonda trasformazione psicologica. Se la terra rappresentava stabilità e sicurezza, il mare era sinonimo di incertezza, di sfida, di imprevedibilità. Abituarsi alla vita di mare significava accettare un nuovo rapporto con l’ambiente, dove non esistevano certezze e tutto dipendeva dall’esperienza e dalla capacità di adattamento.

Un nuovo orizzonte: il viaggio dalla terra al mare 

Per mio padre, ventenne, non fu una decisione facile. Per lui, la terra rappresentava le sue radici, la tradizione familiare legata all’agricoltura, un mondo di cui sapeva tutto, ma che in qualche modo sentiva essere uno spazio ristretto e limitato. Il mare, invece, era un territorio sconosciuto e vasto. Per adattarsi al nuovo mestiere, non bisognava solo apprendere le tecniche professionali, ma entrare in un ambiente completamente diverso, popolato da uomini esperti, che conoscevano i segreti delle acque ed erano capaci di leggere il cielo e il mare. Per diventare parte di quella comunità, non bastava la volontà; era necessario possedere esperienza e capacità di adattamento..

Per iniziare la sua carriera, la prima tappa fondamentale è ottenere il «Libretto di Navigazione» [4], un documento ufficiale che certifica l’appartenenza professionale alla categoria  della pesca e alla gente di mare.  Con quel libretto, ha avuto accesso a una nuova vita, segnando l’inizio del suo viaggio.

Mio padre durante l'attività di pesca del pesce spada a Marsala

Mio padre durante l’attività di pesca del pesce spada a Marsala

Le prime esperienze sono state dure. La pesca non era solamente un mestiere da imparare, ma era anche un’esperienza che richiedeva forza fisica e una robustezza morale. Ogni giornata in mare rappresentava una prova. Si trattava di lavorare per ore senza sosta, sfidare il vento e il freddo. Tuttavia, per mio padre, il mare rappresentò una via di fuga dalle aspettative che lo legavano alla terra, dove la sua famiglia aveva radici profonde. Il mare gli offrì l’opportunità di costruire un futuro diverso, lontano dai campi. Nonostante le difficoltà iniziali, mio padre non si è arrestato. Si è adattato lentamente a quella vita, fatta di lunghi giorni in mare aperto, affrontando tempeste improvvise, e superando fatiche che sembravano non finire mai. Ogni giorno era una sfida, eppure anche un’occasione di apprendimento e di progressiva crescita.

A Chebba, una piccola città costiera, mio padre ha iniziato la sua carriera di pescatore. Con determinazione, si è unito ai pescatori locali, ha imparato le tecniche tradizionali della  piccola pesca. Ogni giorno si trovava insieme ai suoi colleghi a gettare le «reti da posta», chiamate tremaglia e in siciliano sinali. La pesca con queste reti è un metodo antico che rimane ancora oggi molto diffuso garantendo buone catture. Queste reti vengono gettate in mare e lasciate immobili. Sono strutturate in maniera particolare, tre strati affiancati, di cui le due reti esterne a maglie larghe mentre lo strato interno è a maglie strette. Quando il pesce passa attraverso il primo strato, rimane bloccato nella rete centrale [5]. Nonostante la semplicità di questa tecnica, comunque richiede una certa conoscenza. Bisogna sapere dove calare le reti e quando farlo, conoscere i fondali e leggere i segni della natura.

L’attività della pesca va ben oltre il semplice atto di gettare le reti in mare; è un’arte che richiede un ascolto profondo e una comprensione dei ritmi dei flutti, una danza complessa tra l’uomo e la natura. Ogni elemento naturale si trasforma in un segnale che guida il pescatore nella sua quotidianità, creando un legame profondo con l’ambiente.

Il movimento delle onde, ad esempio, non è solo una manifestazione fisica dell’acqua, ma un linguaggio che racconta storie di calma o indizi di tempesta. Le onde che si infrangono con dolcezza sulla barca possono segnalare una fase di tranquillità, mentre un’improvvisa intensificazione del loro movimento può preannunciare l’arrivo di un maroso. Allo stesso modo, il soffio del vento, con i suoi cambiamenti di direzione e intensità, diventa un compagno di viaggio che richiede attenzione. Ogni folata porta con sé un messaggio e il pescatore impara a interpretarlo, a distinguere tra un vento amico e uno minaccioso. Le correnti marine, invisibili e potenti, aggiungono un ulteriore elemento di complessità. Queste forze invisibili possono guidare o ostacolare il pescatore. Inoltre, il colore del cielo, che varia all’alba e al tramonto, offre indizi sul tempo che verrà. Un cielo sereno e tinto di arancione all’alba può promettere una giornata tranquilla, mentre nuvole scure e pesanti all’orizzonte possono allertare il pescatore a prepararsi a un’imminente tempesta. Ogni stagione porta con sé un profumo diverso, e saperlo interpretare significa avere una connessione profonda con il mare. Inoltre, il comportamento degli uccelli marini è un altro aspetto fondamentale. Il loro volo e le loro immersioni possono indicare la presenza di pesce.

La conoscenza sui segnali del mare non si limita soltanto all’insegnamento pratico delle tecniche di pesca, ma comprende un ricco patrimonio di valori, di stili e di saggezza. Il mare diventa così una realtà vivente che influisce in modo significativo sul carattere di coloro che lo affrontano. Vivere in sintonia con il mare significa acquisire un sapere che nessun libro potrà mai trasmettere interamente. Il mare è un maestro silenzioso e severo, che insegna attraverso la sua profondità, variabilità e imprevedibilità. In questo dialogo costante tra uomo e natura, il pescatore sviluppa un intimo rispetto per la potenza del mare, imparando che l’equilibrio si basa su una comprensione reciproca, dove ogni segnale diventa una chiave di interpretazione per navigare le acque.

Dopo aver acquisito la prima padronanza del mestiere, mio padre sentì il bisogno di ampliare la sua esperienza. Incoraggiato dal fratello maggiore, già dedito alla vita di pescatore, mio padre ha deciso di seguire lo stesso percorso. Il legame forte con il fratello, che aveva trovato nel mare una via di crescita, l’ha incoraggiato ulteriormente. Insieme, hanno deciso di cercare nuove opportunità, spinti dal desiderio di migliorare le proprie condizioni di vita. Lasciarono Chebba, con i suoi campi e viaggiarono verso l’Italia, dove li attendevano nuove sfide. Il mare italiano, con le sue promesse e i suoi pericoli, era un luogo dove avrebbero potuto costruire un futuro diverso.

pesca a Marsala (ph. Ibtissem Slimane)

La pesca a Marsala (ph. Ibtissem Slimane)

La pesca: mobilità territoriale dalle coste di Mahdia alle rive siciliane 

Sono arrivati a Marsala, nel 1982, dove hanno dato inizio ad un percorso di scoperta umana e professionale. In questi primi anni, non solo acquisirono competenze essenziali per il nuovo mestiere, ma trovarono anche occasioni per intrecciare legami con alcune famiglie locali. Questo passaggio rappresentò un’opportunità per radicarsi in una comunità che li accolse con calore, arricchendo il loro vissuto di nuove esperienze e amicizie.

Mio padre e suo fratello erano spinti dalla speranza di costruire un futuro migliore. Lo zio, già affascinato dall’idea di trascorrere alcuni anni in Italia per avviare una nuova impresa di pesca e costruire la propria barca, sognava una vita caratterizzata da successi e stabilità. Quando l’imbarcazione, frutto di impegno e sacrificio, finalmente è stata realizzata, rappresentò per lui un simbolo di speranza e di rinascita.

Tuttavia, alla fine del suo percorso in Italia, questo sogno si trasformò in una tragedia. Durante una notte di lavoro in mare, quando il cielo era scuro e il maltempo rendeva le onde minacciose, un tragico incidente ha colpito mio zio. Nel caos delle manovre, un cavo della rete si avvolse attorno al suo piede, tirandolo verso il bordo della barca. Ha cercato di liberarsi, ma la forza del mare lo ha trascinato giù, facendolo cadere in acqua. Il mare lo ha inghiottito in un attimo, lasciando dietro di sé solo il vuoto.

Nonostante gli sforzi immediati dell’equipaggio per salvarlo, il mare lo ha trattenuto nel suo abbraccio, senza pietà. La guardia costiera ha avviato una ricerca che è durata oltre venti giorni, ma di lui non si è avuto più traccia. Ogni tentativo di recuperarlo si è rivelato inutile. Questo evento, accaduto nell’ottobre del 1990, ha profondamente scosso la nostra famiglia. Come accade a molti pescatori, si dimostra quanto la vita in mare è piena di sfide e di pericoli. Il ricordo dello zio rimane un segno della vulnerabilità umana di fronte alla potenza della natura. La sua scomparsa ci ricorda che, nella pesca, anche la più piccola disattenzione può avere conseguenze fatali.

La pesca a Marsala (ph. Ibtissem Slimane)

La pesca a Marsala (ph. Ibtissem Slimane)

Dopo la perdita del fratello, le preoccupazioni della famiglia iniziarono a farsi sentire. I familiari incoraggiavano mio padre a lasciare la pesca e tornare a lavorare la terra, a riabbracciare l’agricoltura come mestiere sicuro. Nonostante tutto, mio padre ha deciso di proseguire la sua carriera di pescatore, pur portando con sé il dolore e le sfide che lo spingevano a riflettere sul significato della vita e sul valore della resilienza. Ogni volta che si trovava in mare, il pensiero del fratello lo ha accompagnato.

Proseguendo il suo lavoro per diversi anni a Marsala, mio padre ha praticato la pesca costiera [6], che si esercita nelle acque fino ad una distanza di sei miglia dalla terraferma. Ogni notte si preparava per una nuova avventura. Insieme alla squadra, saliva a bordo della barca, pronti a sistemare l’equipaggiamento necessario per affrontare la giornata.

Durante gli anni, mio padre ha avuto l’opportunità di apprendere diverse tecniche di pesca, tra cui quella praticata con le imbarcazioni chiamate «lampare», dotate di potenti fari. Questa tecnica, particolarmente adatta alla pesca del pesce azzurro come le sarde e le acciughe, si svolge nelle ore notturne, sfruttando la naturale attrazione che i pesci provano per la luce. Le lampare attirano i pesci verso la superficie, che si raggruppano in uno spazio circoscritto dalle barche. Una volta che i pesci si sono radunati in uno spazio, delimitato dalle barche, vengono calate le reti, pronte a catturare il pescato. Questa tecnica richiede una grande coordinazione tra l’equipaggio.

Un’altra tecnica che ha appreso mio padre è stata la pesca del pesce spada [7]. È una pratica che si svolge da tanto tempo in Sicilia. Quest’attività è simile a quella con le lampare, ma svolta con reti molto più grandi, chiamata «spadara». Queste reti si estendevano per chilometri e raggiungevano notevoli profondità. La pesca del pescespada, praticata da aprile ad agosto, richiedeva una preparazione accurata e grande abilità, poiché è una tradizione che si adatta ai ritmi naturali del mare. Ogni battuta di pesca era una nuova lezione, un’occasione per affinare le sue capacità e apprendere l’arte della pazienza.

In questi anni, mio padre ha lavorato a fianco a un solo capitano marsalese.  Giorno dopo giorno, hanno costruito un legame che va oltre la semplice relazione lavorativa, trasformandosi in una profonda amicizia che ha coinvolto anche le rispettive famiglie, creando un vincolo di stima che superava i confini del mestiere.

Il capitano, un giorno ha deciso di cessare l’attività di pesca, questo ha segnato un momento importante per tutti i membri dell’equipaggio. Lo Stato italiano, ovviamente, riconoscendo la conclusione di un ciclo lavorativo così significativo, è intervenuto con un indennizzo per cessata attività, che consiste in un contributo destinato a compensare la perdita del lavoro. Ogni membro dell’equipaggio ha  ricevuto la propria parte, un giusto riconoscimento per il tempo e i sacrifici dedicati al mare. Tuttavia, quando è arrivato il turno di mio padre, la situazione ha preso una piega inaspettata. Nonostante il suo impegno  e la dedizione dimostrata negli anni, non gli spettava nulla. La sua origine tunisina è diventata in quel momento un ostacolo, un limite che lo ha separato dagli altri.

La delusione era palpabile, non solo per il mancato compenso economico, ma anche per il profondo senso di esclusione e di essere considerato diverso. Aveva condiviso con loro le stesse fatiche e affrontato gli stessi pericoli sul mare, ma in quel momento quel legame sembrava svanire. Da quando era arrivato in Sicilia, mio padre scherzava sempre sul fatto di avere una famiglia in Sicilia, che noi non conoscevamo, perché si sentiva parte integrante di questa comunità. Nei suoi primi giorni a Marsala, una famiglia locale lo aveva accolto calorosamente, facendolo sentire subito a casa. Non erano semplici vicini; erano diventati un secondo nucleo affettivo, una nuova famiglia che lo trattava con affetto e rispetto. Spesso, durante le serate trascorse insieme, i membri di quella famiglia cercavano di convincerlo a sposare una donna siciliana. Quei momenti di convivialità, le risate e le battute avevano forgiato un legame profondo tra mio padre e la sua nuova comunità.

Inoltre, si era creato un forte legame che  ha unito la nostra famiglia con un’altra famiglia marsalese. Questa amicizia si è rafforzata nel corso del tempo e ha continuato a mantenersi viva, suscitando una grande curiosità a visitare la Tunisia e scoprire le nostre radici da cui proveniamo. Con i nostri vicini di casa, la cucina è diventata un vero e proprio ponte di comunicazione tra le nostre culture. Abbiamo creato l’abitudine di condividere piatti tradizionali, fondendo i sapori della cucina tunisina e italiana in un dialogo gastronomico che va ben oltre il semplice piacere del cibo. Spesso mia madre, con orgoglio, portava in tavola le specialità della sua terra d’origine, come il couscous, il brik –  un fagottino croccante ripieno di patate e tonno – e la molokhia, una zuppa verde preparata con le foglie della pianta di iuta. E non mancavano i dolci e i datteri, simboli autentici della cultura tunisina.

A loro volta, i nostri amici di Marsala ci ricambiavamo con i sapori tipici della tradizione siciliana: dalle squisite panelle, frittelle di farina di ceci, alla caponata di melanzane, fino alla colorata e profumata frutta martorana, che riproduce con maestria i colori e le forme della frutta siciliana grazie al dolce gusto di mandorle. Piatti come la pasta con i broccoli e altre pietanze siciliane sono entrati a far parte della nostra cucina quotidiana, rappresentando una storia di scambio e di arricchimento culturale. Ogni pasto condiviso si accompagnava a scherzi e a racconti, si intrecciava con i profumi avvolgenti dei piatti preparati con amore.

Il gambero rosso di Mazara del Vallo (ph. Ibtissem Slimane)

Il gambero rosso di Mazara del Vallo (ph. Ibtissem Slimane)

La pesca a Mazara del Vallo: tra opportunità e cessazione del lavoro 

Dopo aver terminato il suo lavoro a Marsala, mio padre ha deciso di trasferirsi a Mazara del Vallo, uno dei porti più vitali e dinamici del Mediterraneo. Il porto di Mazara si distingue per il settore della pesca, come afferma la ricerca condotta nell’ambito della Pesca ed Acquacoltura:

«Abbiamo modo di sottolineare come la Sicilia sia di fatto la regione più importante per il settore della pesca. Lo è in termini occupazionali e per numero di pescherecci, ma soprattutto perché esprime tutte le tipologie di marinerie con larga diffusione della piccola pesca e d’altro canto con le più importanti flotte di pesca d’altura nel Mediterraneo. La provincia più importante è sicuramente Trapani, dove il caso di Mazara del Vallo è assolutamente emblematico» [8]

Il porto di Mazara del Vallo è un luogo vivo e pulsante, dove si intrecciano le storie e le vite degli uomini di mare. Siciliani e tunisini si incontrano quotidianamente e spesso le conversazioni si mescolano con parole arabe, creando un dialogo spontaneo tra le lingue.  In questo luogo, il linguaggio diventa una testimonianza tangibile di una laboriosa e pacifica convivenza, dove  le culture diverse si incontrano e si arricchiscono a vicenda.

Mio padre, arrivato in questo luogo vivace, si inserisce nelle operazioni della pesca di altura.  Egli ci raccontava che, all’interno della barca, ogni membro a bordo ha una funzione precisa. Ognuno contribuisce secondo il proprio ruolo  in modo che le azioni siano finalizzate al successo. Grazie allo spirito collaborativo, ogni barca diventa una piccola comunità unita. La barca viene diretta con maestria dal capitano verso la zona scelta. Una volta raggiunto il punto previsto, si cominciano  a calare «le reti a strascico» [9]. Un’operazione delicata che richiede attenzione per evitare ostacoli come relitti sommersi e banchi di sabbia. Mentre le reti vengono trascinate sul fondale marino, la maggior parte dell’equipaggio approfitta per riposarsi. Solo il capitano e il motorista restano svegli, mantenendo il controllo della imbarcazione e vigilando sul mare. Poi, quando le reti vengono tirate su cariche di pescato, i pescatori selezionano con cura il pesce buono, separandolo dagli scarti come le alghe e la plastica. Con questa rete a strascico, si catturano diversi tipi di pesci come il merluzzo, il baccalà (in siciliano), le triglie e diverse specie di molluschi, gamberetti e piccoli crostacei. Il pescato, una volta lavato e incassettato, viene conservato nelle celle frigorifere, pronto per essere portato al mercato.

La vista sul mare dalla mia casa a Marsala (ph. Ibtissem Slimane)

La vista sul mare dalla mia casa a Marsala (ph. Ibtissem Slimane)

Dopo diversi anni di esperienza nel mondo della pesca, mio padre sentiva il desiderio di esplorare nuove prospettive professionali, si è dedicato alla pesca del gambero rosso, la specialità ittica più rinominata del Mediterraneo e nota per la qualità eccezionale che lo ha classificato tra i migliori gamberi al mondo. Quest’attività assai impegnativa portava mio padre lontano da casa per più di un mese. Si navigava verso le acque profonde di Malta, Grecia e Sardegna, dove il gambero rosso prospera in fondali sabbiosi.

Partiva una squadra, ognuno con il proprio ruolo preciso e tutti legati da un obiettivo comune che li spinge oltre l’orizzonte. In testa, il capitano legge le onde con uno sguardo esperto e decide la rotta, sapendo dove indirizzare la barca per trovare il pescato. Al suo fianco c’è il timoniere, colui che tiene saldo il timone, guidando l’equipaggio con mani ferme e garantendo la sicurezza di tutti andando lontano dalla costa. Sempre vigili sono il motorista e il secondo motorista, che conoscono il motore, lo ascoltano con attenzione. Al minimo segnale, intervengono prontamente, controllando ogni componente e mantenendo l’intero equipaggio in movimento. Quando si avvicina il momento del pescato, il capo-pesca si trasforma nel direttore delle operazioni. È lui a decidere il momento giusto per gettare le reti e stringere le cime, dando l’ordine con gesti rapidi e precisi, seguiti con disciplina e rispetto. Qui entra in gioco mio padre che insieme agli altri marinai, con mani forti e corrose dal sale, si muovono rapidamente, sistemando il pescato con cura, posizionandolo in modo che resti fresco e pronto per il viaggio di ritorno. C’è a bordo anche il cuoco, la figura che dà vita alla cucina della barca. Con la sua esperienza e creatività, trasforma il pescato del giorno in pasti abbondanti e gustosi.

Ogni membro dell’equipaggio ha un compito unico, come un organo essenziale di un grande meccanismo che respira insieme al mare. Con dedizione e fatica, fanno sì che ogni uscita si concluda con successo. Uniscono i loro sforzi affinché la pesca non sia solo un lavoro, ma una sfida condivisa che li lega, come una famiglia, nel loro cammino verso casa, arricchiti dal frutto di un viaggio.

L’esperienza di mio padre a Mazara è durata oltre vent’anni, un periodo in cui la vita da pescatore si è intrecciata indissolubilmente con quella di uomo, trasformandosi in un elemento essenziale della sua esistenza. La quotidianità sul mare diventa una sorta di rituale, una continua ricerca di equilibrio tra l’uomo e l’acqua, fondata su un dialogo silenzioso ma profondo. È un linguaggio non verbale, fatto di segni e movimenti. In questo modo, la vita sul mare si trasforma in una ricerca continua di armonia con il proprio ambiente, un equilibrio fragile e prezioso che richiede esperienza, umiltà e, soprattutto, un profondo rispetto. Mazara piano piano diventa, per mio padre, il luogo in cui ha costruito questa intima connessione, dove ha appreso che il mare non è solo una risorsa, ma un compagno di vita, che può offrire grandi ricompense e, al tempo stesso, richiedere grandi sacrifici.

Durante una normale battuta di pesca si verifica tuttavia un evento drammatico: sono apparsi resti di corpi umani, di naufraghi, vittime di una tragedia avvenuta chissà quanto tempo prima. Questo ritrovamento sconvolgente ha segnato profondamente mio padre, rappresentando per lui un momento di grande trauma e di intima riflessione. Dopo vent’anni trascorsi a solcare le onde e a vivere la vita da pescatore, prende la radicale decisione di abbandonare questa professione e tornare alla vita di campagna. In questo nuovo ambiente, la pace e la tranquillità della vita contadina possono offrirgli un diverso equilibrio. Tale cambiamento muove da una lunga riflessione, dal momento che affrontare il mare implica una complessa dimensione morale.

La storia di mio padre, come quella di molti altri pescatori migranti alla ricerca di un futuro migliore, si è intrecciata profondamente con la nostra identità familiare, diventandone una parte costitutiva e permanente. Il suo percorso, segnato da conquiste, avventure, rischi e pericoli, ha prodotto in famiglia lezioni di vita che ci hanno insegnato il valore della resilienza, della determinazione e della capacità di affrontare l’ignoto.

Per noi, figli di un pescatore, il mare non è solo il luogo di lavoro, ma è diventata una presenza costante nel nostro quotidiano. Le previsioni del meteo trasmesse alla radio o in televisione annunciavano il ritmo delle nostre giornate, stabilendo se l’indomani mio padre sarebbe partito per il mare o se il maltempo lo avrebbe costretto ad una pausa. Dopo la sua partenza,  non sapevamo quando sarebbe tornato, tranne nei giorni in cui il maltempo lo obbligava a rientrare.

Il suo arrivo a casa con il pesce fresco che ogni giorno si presentava sulle nostre tavole, è un simbolo evidente dei suoi sacrifici. Per noi, figli di un uomo di mare, ogni piatto non è solo cibo, ma una storia di fatica e di coraggio. Una storia che coinvolge uomini che, con il cuore colmo di speranza e il corpo stremato dalla fatica, affrontavano il mare in tutti i suoi aspetti imprevedibili.

Questo continuo intreccio tra il mare e la vita familiare ha plasmato il nostro modo di percepire il mondo. Ci ha insegnato il valore della pazienza, del sacrificio, e la capacità di affrontare con forza e dignità le incertezze che la vita ci pone di fronte. Così, la storia di mio padre, fatta di onde e di sacrifici, è diventata parte integrante della nostra narrazione. Come il mare, la vita può essere imprevedibile, ma mio padre ci ha insegnato ad affrontare ogni tempesta sapendo che, al di là di essa, c’è sempre la speranza di un nuovo orizzonte.

Il mare durante la battuta di pesca

Il mare tra la Sicilia e la Tunisia, durante la battuta di pesca (ph. Ibtissem Slimane)

Conclusione 

L’esperienza di mio padre in mare ha rappresentato un’opportunità di incontro e di scambio con persone di diverse nazionalità, ma è stato soprattutto il legame con i siciliani a segnare profondamente il nostro percorso. La Sicilia, con la sua ricca cultura e la generosità della sua gente, ci ha accolto come parte di una grande famiglia. Pur essendo vicini geograficamente, le nostre culture hanno rivelato delle differenze che ci hanno arricchito. Queste differenze ci hanno offerto nuove prospettive, allargando i nostri orizzonti e donandoci un senso di appartenenza più ampio e profondo.

Ogni viaggio in mare, per mio padre, oltre ad una sfida fisica, è stato una lezione di vita. Le infinite sfumature del mare, i suoi colori mutevoli e le sue maree imprevedibili, hanno insegnato a tutti noi il valore della pazienza. Imparare a seguire i ritmi del mare, con la sua alternanza tra calma e tempesta, ci ha aiutato a comprendere le dinamiche della vita stessa. Il mare ci ha mostrato che la vita ha momenti di serenità e di burrasca, e che bisogna imparare a navigare entrambi con forza e saggezza.

Ogni incontro con persone diverse, ogni porto raggiunto, ogni storia ascoltata ha arricchito la nostra esistenza, trasformando la nostra vita in un mosaico di esperienze indimenticabili, che hanno forgiato il nostro carattere e modellato la nostra visione del mondo, rendendoci più aperti, resilienti e consapevoli della bellezza e della complessità dell’esistenza. Così, la nostra storia familiare, originata dal mare, si è trasformata in un viaggio di scoperta che continua ad evolversi, arricchendosi di nuovi significati e legami che vanno oltre i confini delle nostre origini.

Oggi, guardando indietro, ci riconosciamo come figli del Mediterraneo, un’identità che nasce dall’intreccio armonioso delle culture tunisina e siciliana. Questo legame riflette non solo la bellezza della diversità, ma anche la complessità delle esperienze umane che ci uniscono. La pesca, per noi, non è semplicemente un’attività lavorativa, ma un viaggio di scoperta che continua a plasmare chi siamo. È un richiamo all’apertura e alla curiosità, un invito ad esplorare non solo le acque che ci circondano, ma anche le storie e le culture che si intrecciano con la nostra. In un mondo sempre più globalizzato, la nostra storia ci insegna che le differenze non sono da temere, ma da valorizzare. In questo mosaico di esperienze condivise, abbiamo trovato la nostra forza e il nostro posto, abbracciando le sfide e le opportunità che il mare e la vita ci offrono. La nostra avventura continua mentre siamo sempre pronti a scoprire nuove storie e a costruire legami indissolubili con le persone e il mondo che ci circonda. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
[*] Il testo è la versione ampliata e riveduta dell’intervento tenuto a Mazara del Vallo in occasione del Convegno “Matabbia. Siciliani in Tunisia, Tunisini in Sicilia. Esperienze di convivenza”, 11-13 settembre 2024.
Note
[1] L’economia della regione di Mahdia si fonda economicamente sul turismo, sulla pesca e sulla coltivazione delle olive. Per maggiori dettagli, cfr. https://www.reseau-euromed.org/fr/ville-membre/mahdia/ 
[3] Matteo Scarabelli, C’è di mezzo il mare. Viaggio in bicicletta intorno al Mediterraneo, Ediciclo Editore, Veneto, 2007: 104.
[4] Il libretto di navigazione è un documento ufficiale rilasciato dalla Capitaneria di Porto, il quale consente al pescatore a imbarcarsi. Per ulteriori informazioni, si invita a consultare il sito ufficiale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
[5] De Marchesetti Carlo, La pesca lungo le coste orientali dell’Adria, Tipografia di Ludovico Herrmanstorfer, Trieste, 1882: 63.
[6] Secondo il regolamento sulla pesca marittima, la pesca locale è consentita entro una specifica distanza dalla costa. L’art.9, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, definisce i vari tipi di pesca e afferma che: «La pesca locale si esercita nelle acque  marittime  fino  ad  una distanza di sei miglia dalla costa, con o  senza  navi  da  pesca  di quarta categoria, o da terra». 
[7] Angela Leucci, Pesca del pesce spada: l’antica tradizione siciliana, in «Il Giornale», Dicembre 2021.
[8] Ludovico Ferro, Il lavoro della pesca in Italia. Crisi, ridimensionamento e premesse per una nuova fase di sviluppo, Roma, 2022: 111.
[9] La pesca a strascico utilizza una rete a forma di sacco, trainata lentamente dalla nave. L’apertura della rete si trova generalmente sul fondale marino, raggiungendo profondità fino a 600 metri, ma può anche essere posizionata a varie altezze a seconda delle specie da catturare. Per maggiori dettagli, cfr: https://www.treccani.it/enciclopedia/pesca/ 
Riferimenti bibliografici 
Carlo De Marchesetti, La pesca lungo le coste orientali dell’Adria, Tipografia di Ludovico Herrmanstorfer, Trieste, 1882.
Ludovico Ferro, Il lavoro della pesca in Italia. Crisi, ridimensionamento e premesse per una nuova fase di sviluppo, Roma, 2022: 111.
Matteo Scarabelli, C’è di mezzo il mare. Viaggio in bicicletta intorno al Mediterraneo, Ediciclo Editore, Veneto, 2007.
Sitografia
https://www.reseau-euromed.org/fr/ville-membre/mahdia/
https://www.treccani.it/enciclopedia/pesca/
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Ibtissem Slimane, nata a Marsala e di origini tunisina, è dottoranda in linguistica italiana e docente di italiano per stranieri presso l’Università di Tunisi. Il suo percorso accademico si è sviluppato tra l’Italia e la Tunisia, con una specializzazione in linguistica italiana. Attualmente, la sua ricerca di dottorato è focalizzata sulla lingua siciliana, che rappresenta il patrimonio linguistico della sua terra natale.

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