di Nabil Zaher
Il presente contributo si propone di illustrare un capitolo poco conosciuto della storia dell’emigrazione italiana ricostruendo i percorsi e i profili della presenza italiana in Egitto tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento. A tal fine, ne viene ripercorsa la storia cercando di analizzare le cause del fenomeno e gli aspetti sociali, culturali, economici e politici che contraddistinsero le comunità italiane ospitate dagli egiziani.
La presenza italiana in Egitto risale storicamente ad un’epoca molto remota: le prime tracce romane sulla terra dei Faraoni sono riconducibili ai tempi dell’Impero Romano. I primi nuclei di insediamento comparvero ai tempi delle repubbliche marinare. Ma una vera colonia italiana numericamente considerevole e ben inserita nel tessuto economico-sociale cominciò a stabilirsi sulle rive del Nilo contestualmente all’entrata in vigore delle riforme di Mohammed Ali che riuscì a diventare, malgrado le sue origini albanesi, primo viceré d’Egitto governandolo per più di quarant’anni dal 1805 al 1848:
«L’Ottocento è il secolo che vede l’Egitto aprirsi alla modernizzazione delle istituzioni politiche e sociali, culturali e assistenziali per opera del capostipite della nuova dinastia regnante, il viceré Mohammed Ali […] il cui lungo regno (1805-1848) consentì – con la collaborazione degli europei, ai quali furono largamente aperte le porte del Paese – l’attuazione di numerose riforme, su esempio di quelle realizzate in Occidente»[1].
L’insediamento italiano d’Egitto cominciò infatti ad assumere una rilevanza numerica solo dopo che si diede l’avvio ai processi di modernizzazione del Paese nella prima metà del secolo XIX sotto il governo di Mohammed Ali: «dei veri e propri insediamenti iniziarono a formarsi solo quando, sull’onda delle riforme modernizzatrici di Mohammed Ali, si crearono le premesse concrete per un’emigrazione […] italiana nel Regno»[2].
Nella prima metà dell’Ottocento, oltre alle riforme avviate da Mohammed Ali in Egitto, ci fu un altro elemento di richiamo che contribuì ad ampliare la presenza di immigrati italiani sul suolo egiziano. Si tratta degli eventi del Risorgimento italiano. Infatti, esuli politici che dovettero lasciare l’Italia in seguito all’insuccesso dei moti della prima metà dell’Ottocento, si misero ad emigrare in Egitto all’inizio del secolo XIX. Nel 1820-21 e 1831, dopo i fallimenti dei primi moti per l’indipendenza italiana, un primo gruppo di fuoriusciti andò in esilio in Egitto per sfuggire all’ oppressione politica e al ripristino dei vecchi regimi:
«Quelli che, nell’ età dei moti politici italiani, trovarono lì [in Egitto], come altrove, uno sfogo alla loro inappagata voglia di libero mondo o un rifugio da persecuzioni, dopo congiure fallite, insurrezioni represse, guerre sfortunate. [...] Uomini di forti passioni politiche e di setta, quasi tutti massoni, che hanno non poco contribuito a dar a quelle colonie la particolare impronta» [3].
I migliori rappresentanti delle classi superiori e militari ebbero una notevole rilevanza nel processo di modernizzazione che avvenne nel Paese dei faraoni. Sia nel campo economico come in quello culturale ed amministrativo, questi italiani lasciarono tracce indelebili della loro attiva presenza che calò solo con il raggiungimento dell’Unità italiana. Questi emigrati rinvennero nel regime di Mohammed Ali, mirante a creare uno Stato efficiente e moderno, il terreno propizio per compiere le loro attività e far emergere il loro talento e le loro capacità. Nel campo della sanità, la presenza italiana fu di un certo rilievo qualitativo e va sottolineato che sin dall’inizio del suo regno, Mohammed Ali si affidò a medici italiani nell’ambito civile e militare. Fra i medici di fiducia della famiglia vicereale, ci fu Ludovico Colucci, il quale occupò con i suoi figli posti eminenti:
«Il pugliese Ludovico Colucci giunse in Egitto nel 1804, destinato a diventare medico di corte e uno dei promotori dell’ospedale italiano ad Alessandria, a sua volta padre di tre medici. La famiglia Colucci permarrà in Egitto per quasi tutto l’Ottocento occupando cariche dirigenziali nella sanità […]. Nell’anno (1816) dell’inaugurazione […] dell’Ospedale Europeo […], Ludovico Colucci ne diviene il responsabile sanitario, carica che conserverà fino al 1830, sostituito dal figlio Carlo. Quando nel 1831 ad Alessandria, su richiesta del viceré, nasce sotto il nome di Intendenza di Sanità Pubblica il primo regolare sistema quarantenario, a scopo di prevenzione e controllo delle malattie infettive contaggiose endemiche ed epidemiche, Ludovico Colucci ne occupa la carica di primo presidente» [4].
Altri funsero da medici militari tra cui Grassi Francesco, Francesco Gaetani Bey ed Onofrio Abrate Pascià:
«In ambito militare, si delinea la figura di Francesco Grassi, medico pistoiese, responsabile sanitario dapprima all’Ospedale della Marina […] e successivamente, dal 1825 al 1828, nell’accompagnare in Morea la flotta navale del combattivo Ibrāhīm, il figlio guerriero di Mohammed ‘Ali […] Francesco Gaetani Bey, medico napoletano […] giocò- assieme a Francesco Grassi, diventato ispettore dei servizi sanitari nonché commissario delle quarantene- un ruolo fondamentale in Egitto alla guida della Polizia medica, durante le epidemie sia di colera del 1831 che di peste del 1835. […] Un altro medico italiano che raggiunse fama internazionale fu Onofrio Abbate Pascià, arrivato in Egitto nel 1845. […] Abbate occupò numerose cariche direttive in Egitto; fu Ispettore sanitario del Basso e dall’Alto Egitto e responsabile sanitario dell’Ospedale governativo del Cairo, infine ricoprì l’alta carica di Direttore di Sanità della nazione»[5].
Insieme alle figure di spicco sopraccitate, si possono citare Giovanni del Signore, Antonio Scotti, Antonio Forlini, ed altri ancora, oltre al farmacista Andrea Gentili e Antonio Figari Bey, farmacista personale di Mohammed Ali, e ispettore generale del Servizio farmaceutico nonché, posteriormente, professore alla scuola farmaceutica e medica del Cairo creata nel 1825 con personale docente prevalentemente italiano. I medici italiani, il cui numero fu sempre crescente, furono i più rinomati. Le Società per i soccorsi d’urgenza si fondarono ad opera degli italiani ed essenzialmente da operai toscani [6].
Nel campo archeologico, la prima missione archeologica Champollion-Rosellini, una missione franco-toscana, risale a quest’ondata migratoria. Nel brano seguente, si descrivono benemerenze italiane in questo campo:
«La base di ogni studio cronologico sull’Egitto antico è costituita dal cosiddetto Papiro reale di Torino e dalla Pietra di Palermo. La costruzione più fedele, fuori dall’Egitto, di una tomba egiziana con l’intera suppellettile in meraviglioso stato di conservazione è quella che trovasi al Museo di Torino. Non poche collezioni che, vendute in Europa, divennero nuclei dei principali Musei egiziani, erano di formazione italiana» [7].
Le attività svolte dagli intellettuali italiani ebbero già dal primo sviluppo del nuovo Egitto un carattere di consulenza scientifica. Si tenga conto che dal 1736 al 1820, gli unici rappresentanti diplomatici in Egitto erano due italiani: Carlo de Rossetti e B. Drovetti [8]. Gli furono affidati gli interessi inglesi, austriaci, francesi, prussiani e veneti. La lingua italiana fu adottata come lingua ufficiale. Il catasto, l’anagrafe e le poste portavano nella loro struttura l’impronta degli italiani: «nel 1820 Lorenzo Masi aveva introdotto il catasto e Carlo Meratti il primo ufficio postale ad Alessandria (l’impresa si ingrandì fino a divenire un vero e proprio servizio postale di collegamento con l’Europa tanto che, nel 1865, il Khedivè Ismail avocò il servizio allo Stato nominando direttore generale uno dei soci italiani). Anche il primo censimento nel 1882 fu opera di un italiano, Federico Amici Bey (bolognese)»[9].
Gli italiani furono i fondatori delle moderne poste egiziane. A questo proposito, «la posta europea […] ha tre eroi : due livornesi, Michele Meratti e suo cugino Tito Chini, e un bolognese, Giacomo Muzzi. […] La posta europea da essi creata in Egitto […] fu l’embrione del primo vero servizio postale pubblico nel Paese, è anche il primo e moderno servizio postale interno ad essere attivato in tutto l’immenso territorio dell’Impero ottomano»[10].
Tutti gli atti ufficiali del regno di Mohammed Ali redatti in lingua europea erano in italiano. Nella Scuola dei cadetti creata dal grande Pascià, tanti istruttori erano italiani e le lingue insegnate erano l’arabo, il turco, il persiano e l’italiano. La flotta di Mohammed Ali, la quale fu una buona flotta, fu diretta da parte degli italiani, e la lingua che correva allora fra i marinai era quella italiana[11]. Da questo primo moto migratorio, deriva un aspetto distintivo della collettività italiana: la presenza di un elevato numero di logge massoniche a cui aderirono «prevalentemente commercianti, negozianti, funzionari, consolari, liberi professionisti e artisti »[12].
L’Egitto costituì una realtà rilevante per la massoneria italiana fin dalle prime fasi della sua riorganizzazione simultaneamente all’unificazione italiana: nel 1860, le logge Pompeja di Alessandria e Eliopolis de Il Cairo, le quali ebbero una grande rilevanza, presero contatto con il nascente Grande Oriente d’Italia. Infatti, nel corso delle assemblee dell’ordine furono sempre rappresentate da eminenti delegati: «Il primo marzo 1862 delegato della Pompeja fu Livio Zambeccari, ispiratore della rinascita massonica nell’ottobre 1859 e primo Gran Maestro ad interim, mentre nell’assemblea costituente del maggio 1866, che si concluse con l’elezione di Giuseppe Garibaldi a Gran Maestro dell’ordine, la stessa loggia fu rappresentata dal noto esploratore Orazio Antinori»[13]. In Egitto, c’erano anche logge francesi, inglesi ed egiziane, in cui tanti massoni italiani trovarono riparo quando, nel 1925, Mussolini impose la chiusura di quelle italiane [14].
Una seconda ondata migratoria verso l’Egitto fu quella verificatasi nel periodo post-risorgimentale sotto i governi di Said e Ismail Pascià, cioè tra la metà dell’Ottocento e gli anni ottanta dell’Ottocento. In quel periodo, intensi flussi migratori di manodopera italiana coinvolsero l’Egitto. Sotto il governo di Said Pascià che prese le redini del comando dal 1854 al 1863, i traffici e i lavori pubblici avviati da parte dell’amministrazione coloniale inglese ebbero un grande incremento. Quando si iniziò il poderoso lavoro del taglio dell’istmo di Suez nel 1859, si assistette all’insediamento di nuclei di lavoratori italiani dalle riconosciute competenze professionali. Infatti, ai lavori di scavo del canale di Suez, presero parte parecchi ingegneri, architetti, artigiani ed operai spinti dalle difficoltà economiche. Questi ultimi decisero di rimanere in Egitto al termine dei lavori.
Con gli scavi del Canale di Suez durati un decennio, cominciò a delinearsi un’emigrazione economica di estrazione prevalentemente proletaria. L’apporto degli italiani alla costruzione del canale non si limitò a tecnici. Infatti, operai trentini e piemontesi contribuirono all’esecuzione pratica dei lavori avviati il 25 aprile 1859: «L’incremento della presenza italiana divenne significativo in occasione dei lavori per la costruzione del canale di Suez, iniziata nel 1859 e terminata dieci anni dopo, che richiamò in Egitto un gran numero di tecnici ed ingegneri. Lo stesso ideatore del progetto del taglio di Suez, è noto, fu l’italiano Luigi Negrelli»[15].
La politica intrapresa da Mohammed Ali, il vero fondatore dell’Egitto moderno, fu poi proseguita con particolare intensità dal suo discendente Ismail che fu al governo dell’Egitto dal 1863 al 1879. Il quinto sovrano autonomo che si fregiò del titolo di chedivè d’Egitto avviò una politica d’indipendenza, europeizzazione ed espansione e durante il suo regno, si diede il via ad altre ondate migratorie dall’Italia verso l’Egitto.
Altre ragioni che richiamarono in Egitto una forte corrente di emigrati furono da un lato la guerra civile americana (1861 865) e dall’altro il forte sviluppo che ebbe la coltura del cotone egiziano [16] in quell’epoca: «il maggiore ʻʻeccitamento all’emigrazione’’, come ricordava il console italiano al Cairo, si verificò al tempo della guerra di secessione americana. Allora, essendosi arrestata l’esportazione del cotone transatlantico, la coltivazione e il commercio di questo prodotto assunsero in Egitto proporzioni colossali e fruttarono ingenti ricchezze al Paese»[17].
Sotto il regno di Ismail Pascià che assunse le redini del comando dal 1863 al 1879, il Cairo venne riedificata sulla falsariga di Parigi: un teatro dell’opera, edifici imponenti, nuove linee stradali e ferroviarie e una rete telegrafica univano la capitale con il resto del mondo [18]. Nel 1871, il Paese africano con il maggior numero di residenti di nazionalità italiana era l’Egitto «in virtù degli indubbi benefici giuridici e della positiva congiuntura politica del Paese»[19]. In quel periodo, la colonia italiana acquistò consistenza, sino a diventare la seconda comunità di stranieri dopo quella greca, seguita dai francesi [20]. Nello stesso contesto, «i primi censimenti attuati in Italia verso la fine dell’Ottocento, contribuirono a chiarire il movimento migratorio degli italiani e valutarono questa presenza in Egitto attorno alle 25 mila unità: il 22% circa degli stranieri presenti a fine Ottocento in quella nazione, secondi solo alla comunità greca»[21].
La seconda ondata migratoria fu spinta essenzialmente da ragioni economiche. Tra il 1876 e il 1925, siciliani, campani, calabresi e pugliesi si diressero verso l’Egitto: « per il periodo 1876-1925, emerge il seguente quadro: […] per quanto riguarda l’Egitto, il flusso migratorio proviene dalla Sicilia, 25%, seguita dalla Campania, 13%, dalla Calabria e dalla Puglia, entrambe pari all’11%»[22]. Ai nuovi emigrati che si inserirono velocemente nel mercato egiziano si debbono notevoli mutamenti economici.
Ad Alessandria, si partecipò non solo agli scavi del canale di Suez inaugurato nel 1869 ma anche alla realizzazione di altre grandi opere, fra cui ricostruzioni, porti, e dighe come quella di Assuan avviata nel 1899 e conclusa nel 1902. Durante la sua costruzione, quando fu necessario riattivare le antiche cave di granito già adoperate nel periodo faraonico per avere a disposizione i materiali necessari al rivestimento dell’opera, per affrontare una carenza di manodopera locale competente e qualificata, ci si servì di operai italiani e, durante il periodo dei lavori, se ne contarono sino a duemila nei cantieri della diga [23].
Nel campo dell’edilizia, gli italiani possedevano delle grandiose imprese con le quali si eseguirono molti cospicui lavori: «solo ad Alessandria di 37 imprese di costruzioni esistenti agli inizi del’ 900, 11 sono italiane»[24]. Le grandi opere furono realizzate grazie ad architetti, imbianchini, decoratori, falegnami, scalpellini ed «appaltatori come Ernesto De Farro o Emanuele Dentamaro [i quali] legano il proprio nome a grandi opere pubbliche, specializzandosi nell’uso del cemento armato»[25].
Fra gli edifici realizzati dagli architetti italiani, che sopravvivono ancora, si ricordano il palazzo delle Assicurazioni Generali al Cairo, l’ospedale italiano, l’ambasciata d’Italia, le ville di Garden City e la moschea di Abu al Abbas ad Alessandria edificata dall’architetto Mario Rossi[26]. Successivamente al 1880, con il peggioramento della situazione economica in Italia, la presenza degli emigrati in Egitto si fece preminente e ai principi del secolo, Giuseppe Salvago Raggi, il console generale d’Italia al Cairo scrisse riguardo alla qualità degli italiani residenti in Egitto:
«Una metà degli italiani di Egitto è costituita da operai, piccoli impiegati di banche, di amministrazioni private e garzoni di botteghe etc. Un quarto circa sono italiani soltanto di nome, giacché nati in Egitto da famiglie originarie di qui, [...]. Fra questi non pochi sono ricchi e alcuni ricchissimi. Una quarta parte degli italiani di Egitto sono commercianti, impresari di costruzioni, avvocati, ingegneri etc. Essi guadagnano assai e fra i primi specialmente se ne potrebbero indicare alcuni che hanno fatto una cospicua fortuna» [27].
La colonia italiana con il suo rilevante aumento numerico cominciò a declinare con l’occupazione dell’Egitto «oberato da un eccessivo indebitamento» [28] da parte dei britannici nel 1882, a cui fece seguito una sua veloce perdita di rilevanza amministrativa, economica e politica. La politica coloniale britannica e francese stava affermandosi con una progressiva riduzione della funzione di leadership della collettività italiana. Nella prima fase, l’amministrazione dello Stato egiziano era essenzialmente nelle mani dei numerosi italiani in vari campi come quello della pubblica sicurezza, dell’amministrazione e dell’organizzazione sanitaria del Paese: «Oltre che dal fattore numerico, l’importanza della nostra collettività è dimostrata dal ruolo che ebbero gli italiani nell’organizzare o dirigere o collaborare a dirigere le più importanti amministrazioni egiziane, dalla polizia alle poste, dalla sanità ai tribunali e al catasto, per non citare che le più importanti»[29].
Tuttavia, proprio in seguito all’affermazione del dominio inglese nel 1882, emerge palesemente la perdita di posizioni della colonia italiana nella società e nella vita economica locale. Infatti, la politica inglese tendeva alla sostituzione sistematica degli italiani con un personale inglese in tanti settori come in quello postale:
«L’Italia di quegli anni non era certo una grande potenza. Non avrebbe potuto quindi esercitare alcuna influenza sulle cose d’Egitto. Gli italiani si trovarono presto in difficoltà […] Dovettero abbandonare delle posizioni-chiave, tra cui […] la Posta. Muzzi venne velocemente esautorato da un certo Alfred Caillard, un britannico delle isole della Manica, che egli stesso aveva assunto anni prima con le mansioni di amministratore finanziario. Sarà lui nel 1876 ad assumere la direzione delle Poste Vice-Reali»[30].
L’uso dell’italiano subì una ponderosa flessione. La tendenza fu irreversibile e così anche la lingua italiana, la prima lingua europea più usata, conosciuta, diffusa e capita da tutti, iniziò a decadere subendo la forte concorrenza della lingua inglese e di quella francese. Il console italiano al Cairo Salvatore Tugini conferma quanto detto: «In seguito alla occupazione inglese, nonostante la diminuzione dell’influenza politica della Francia in Egitto, la lingua francese è rimasta la più usata negli uffici amministrativi… La lingua inglese comincia pure ad essere in uso… »[31]. Per quanto riguarda la lingua italiana, essa doveva subire i gravi contraccolpi di una minore importanza non solo commerciale ma anche politica. Nel 1922, il degrado della lingua italiana era una realtà vissuta e lo asserì veementemente il Volpe con tono ammonitivo:
«Altre lingue europee stanno mettendo nell’ombra la nostra, anche se il movimento nazionale egiziano ha voluto dire valorizzazione dell’arabo e se negli uffici pubblici si tende a bandire ogni lingua che non sia l’arabo: cioè l’inglese, per lo sforzo variamente solidale della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, che un quarantennio fa mandarono in Egitto le prime missioni evangeliche, e più ancora il francese. I nostri stessi avvocati e giudici dei tribunali misti, se vogliono farsi capire, parlano e scrivono di solito il francese, sebbene l’italiano vi sia, per legge costituzionale, una delle tre lingue ufficiali»[32].
In quell’epoca, le scuole italiane ebbero un ruolo sostanziale. Non avendo l’opportunità di essere ufficialmente presenti in seguito all’occupazione inglese, l’Italia si servì di mezzi indiretti: i maggiori sforzi propagandistici e d’influenza si diressero verso gli egiziani con l’apertura di scuole italiane. Una caratteristica da evidenziare di questa seconda ondata era la presenza di una considerevole componente ebraica all’interno della collettività italiana [33]. Mentre in Italia, gli ebrei costituivano meno dell’1 per mille della popolazione complessiva, in Egitto «all’inizio del’ ’900 giungono a rappresentare il 10% della comunità» [34]. Se la loro presenza costituì un vantaggio all’esordio del ventesimo secolo, con l’avvento di Hitler al potere in Germania e specialmente dopo l’annuncio della promulgazione delle leggi razziali fatto da Mussolini nel 1938, la situazione mutò radicalmente. Tragiche furono le conseguenze per le organizzazioni assistenziali le quali persero i considerevoli contributi degli ebrei e pure per le scuole italiane che persero i loro allievi ebrei [35].
Una terza ondata migratoria si verificò fra le due guerre mondiali. In quel periodo, la collettività italiana era la seconda, dopo quella greca. Nel censimento egiziano del 1927, erano stimati 52.462, mentre nel 1917 erano 40.198. In questo terzo flusso migratorio in direzione del Paese delle Piramidi, era calato il numero di quanti erano inseriti nell’amministrazione pubblica egiziana, anzi si può dire che la classe degli impiegati governativi di cittadinanza italiana era quasi scomparsa per l’epurazione compiuta in quegli vent’anni. La stragrande maggioranza della colonia viveva del commercio e dell’industria e non dipendeva più dagli incarichi statali. Nonostante ciò, l’Egitto rimase la destinazione preferita di tanti anarchici italiani e rifugiati politici, come asserì lo stesso Pea nel suo famoso libro Vita in Egitto: «L’Egitto diventava così un rifugio particolarmente favorevole sia per i sovversivi italiani che dovevano sfuggire all’arresto o al domicilio coatto, sia per i rivoluzionari della Russia zarista»[36].
I fattori cardinali che hanno fatto giungere nella terra dei faraoni anziché altrove un numero cospicuo di stranieri, e soprattutto di italiani furono due: i tribunali misti che furono chiamati a giudicare nelle liti di diritto commerciale e civile fra stranieri ed egiziani e fra stranieri di varie cittadinanze, e le Capitolazioni, un insieme di privilegi, attribuiti dal governo egiziano agli europei che risiedevano nel Paese tra cui il diritto di libero stabilimento e l’inviolabilità del domicilio privato, oltre all’esonero dalle imposte tranne quelle doganali [37]. Gli stranieri, usufruendo di una situazione di favore di così notevole ampiezza, potevano vivere prosperamente con le loro istituzioni religiose, culturali, commerciali e sociali.
Fra le due guerre, la comunità italiana emigrata in Egitto crebbe significativamente. Tuttavia, dopo l’assalto italiano all’Etiopia, «gli inglesi cominciarono a considerare gli italiani d’Egitto come una possibile quinta colonna nell’ipotesi di un conflitto armato tra i due Paesi» [38]. Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel settembre 1939, la comunità italiana d’Egitto subì i risvolti tragici dell’ingresso in guerra dell’Italia riducendosi in modo radicale. Il dramma della colonia italiana iniziò quando Mussolini prese la decisione di entrare in guerra a fianco della Germania con la speranza di conseguire una veloce vittoria, provocando il tramonto della presenza italiana nelle terre egiziane: «L’andamento della campagna d’Africa e l’esito della guerra hanno pesanti conseguenze su tutti gli italiani e non solo su quelli che partecipano alle azioni belliche. Infatti, dopo la sconfitta dell’Asse sono messe in atto le deportazioni di molti italiani […] d’Egitto» [39] .
In quella fase, quando il regime fascista trascinò il Paese in guerra, si assestò «un colpo definitivo alla comunità italiana in Egitto, prima con le leggi razziali che portano alla separazione della rilevante componente economica e sociale ebrea dal resto della colonia e, poi, con la sconfitta in terra africana con l’internamento degli italiani (in Egitto, 8 mila tra i 15 ed i 65 anni) e la confisca dei loro beni» [40]. In quel periodo di crisi, il governo italiano non poteva agire in maniera diretta dato che non aveva rappresentanti ufficiali sul territorio e doveva operare tramite la Legazione svizzera che rappresentava l’Italia dal principio della guerra [41]. Nonostante tutte le loro sofferenze nel corso degli ultimi anni, parecchi italiani restarono in Egitto sino alla nazionalizzazione della Compagnia del Canale nel 1956 che pone fine ai «ruoli imperialistici anglo-francesi nella vita economica egiziana» [42]. Il conflitto araboisraeliano del 1967 aumentò il flusso degli italiani rimpatriati dall’Egitto [43].
Per concludere, in questo saggio, si è inteso offrire un rapido panorama della presenza italiana in Egitto fra l’Ottocento e la prima metà del Novecento ponendo in evidenza i tratti distintivi della colonia italiana d’Egitto e sommariamente le circostanze e le cause, che portò nella terra delle Piramidi una comunità inizialmente autonoma e forte e successivamente indebolita per la perdita di posizioni socio-politiche ed economiche nel contesto internazionale.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
Note
[1] A. Prinzivalli, “Ospedali e medici italiani in Egitto tra Ottocento e Novecento”, in M. Galletti (a cura di), Medici, missionari, musicisti e militari italiani attivi in Persia, Impero ottomano ed Egitto, Oriente moderno, n.6., Roma: Istituto per l’Oriente C. A. Nallino, 88 (2008): 169.
[2] D. Natili, Una parabola migratoria : fisionomie e percorsi delle collettività italiane in Africa, Viterbo : Sette città, 2009 : 24.
[3] Romain H. Rainero–L. Serra (a cura di), L’Italia e L’Egitto, dalla rivolta di arabi pascià all’avvento del fascismo, Napoli: APICI, 1991 :128.
[4] Prinzivalli, cit.: 170.
[5] Ivi: 171.
[6] S. Mohammed Ibrahim Abdo, L’Egitto nella poesia di Giuseppe Ungaretti (1888-1970): tesi di master/ Relatore S. Badie Eskandar/ Correlatore R.Mohamed Salama: 10.
[7] G. Ungaretti, “Il lavoro degli italiani“, in Id., Il deserto e dopo, Milano: Mondadori, 1961: 61.
[8] Mohammed Ibrahim Abdo, cit : 11.
[9] F. Fauri, “L’emigrazione italiana nell’Africa mediterranea 1876-1914”, in Italia contemporanea, n.277 (2015): 45.
[10] L. D. Biolato, “Gli italiani fondatori delle moderne Poste italiane”, in M. Galletti (a cura di), Medici, missionari, musicisti e militari italiani attivi in Persia, Impero ottomano ed Egitto, Oriente moderno, n.6., Roma: Istituto per l’Oriente C. A. Nallino, 88 (2008): 151.
[11] Mohammed Ibrahim Abdo, cit: 11.
[12] Natili, cit: 26.
[13] Ivi: 27.
[14] Cfr. M. Petricioli, “La comunià italiana in Egitto”, in F. Però e P. Vascotto (a cura di), Le rotte di Alessandria, Trieste: Eut edizioni, 2011: 21-22.
[15] Natili, cit : 24-25.
[16] Cfr. Giovanni Panjek, “I rapporti economici fra Trieste e Alessandria d’Egitto nell’Ottocento”, in F. Però e P. Vascotto (a cura di), Le rotte di Alessandria, Trieste : Eut edizioni, 2011: 49.
[17] Fauri, cit. : 46.
[18] Ibidem.
[19] G. Moricola, “Tra politica e affari : la comunità italiana in Egitto tra ’800 e ’900”, in Storia economica, Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, n. 1 (2018): 39.
[20] Fauri, cit: 45.
[21] Prinzivalli, cit. : 169.
[22] Natili, cit. : 13.
[23] F. Cresti, “Comunità proletarie italiane nell’Africa mediterranea tra XIX secolo e periodo fascista”, in Mediterraneo-Ricerche Storiche, Anno V, (2008): 201.
[24] Moricola, cit.: 47.
[25] Ibidem.
[26] Cfr. M. Petricioli, cit.: 25.
[27] R. H. Rainero, “La colonia italiana in Egitto, presenza e vitalità”, in R. H. Rainero e L. Serra (a cura di), L’Italia e l’Egitto, dalla rivolta di arabi pascià all’avvento del fascismo, Milano: Marzorati editore, 1991: 131-132.
[28] Moricola, cit.: 42.
[29] L. Dori, “Italiani in Africa: Tipografi e giornalisti italiani in Egitto”, in Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 14, n. 3, Roma: Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO), (1959): 146.
[30] Biolato, cit.: 161.
[31] Rainero, cit.: 134.
[32] Ivi: 135.
[33] Mohammed Ibrahim Abdo, cit.: 14.
[34] Moricola, cit.: 41.
[35] Mohammed Ibrahim Abdo, cit.: 14.
[36] E. Pea, E. Lorezetti (a cura di), Vita in Egitto, Milano: Ponte Alle Grazie, 1995: 195.
[37] M. Petricioli, Oltre il mito. L’Egitto degli italiani (1917-1947), Milano: Bruno Mondadori, 2007: 2-3.
[38] Mohammed Ibrahim Abdo, cit.: 17.
[39] S. Speziale, “Più a Sud de nostro Sud”, Meridiana, n. 92 (2918): 114.
[40] Moricola, cit.: 53.
[41] Mohammed Ibrahim Abdo, cit.: 17.
[42] M. Jaran, “Voci italiane ed egiziane da Alessandria d’Egitto: un dialogo tra Fausta Cialente e Nagib Mahfuz”, in Oriente Moderno Nuova Serie, anno 94, n. 1, Roma: Istituto per l’OrienteC. A. Nallino (2014): 33.
[43] Cfr. V. Briani, Italiani in Egitto, Roma: Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, 1982: 148-150.
Riferimenti bibliografici
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Dori, L. “Italiani in Africa: Tipografi e giornalisti italiani in Egitto”, in Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 14, n. 3, Roma: Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO), (1959).
Fauri, F. “L’emigrazione italiana nell’Africa mediterranea 1876-1914”, in Italia contemporanea, n. 277 (2015).
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Nabil Zaher, docente universitario di Lingua, Civiltà e Lettere italiane presso l’Università di Monastir (Istituto Superiore di Lingue applicate di Moknine) dal 2007, ha insegnato anche all’Università di Messina come professore ospite del Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne nel 2014 e nel 2015. Ha pubblicato diversi articoli in riviste culturali tra cui “Amaltea” e “Leukanikà”. Nel 2015, è stato insignito del premio letterario nazionale «Carlo Levi», XVIII edizione 2015 ad Aliano per la tesi di Dottorato discussa presso la Facoltà di Lettere, delle Arti e delle Umanità della Manouba (Tunisia) : Riflessi del Mezzogiorno nell’opera narrativa di Carlo Levi.
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