il centro in periferia
di Giampiero Lupatelli
L’idea di green community
Possiamo assumere come ideale punto di partenza della idea di Green Community un evento apparentemente lontano dalla attenzione degli attori politici e sociali che con questa prospettiva si troveranno poi a fare i conti.
L’evento è la pubblicazione nel 2006 (editore Marsilio) del volume Governare i Beni Comuni dell’economista istituzionalista statunitense Elinor Olstrom, che nel 2009 riceverà per questo, assieme ad Olivier Williamson, il Premio Nobel per l’Economia. Nella riflessione della Olstrom, per la prima volta, ecologia e sostenibilità sono percepite come termini fortemente e reciprocamente connessi. Insieme servono infatti a contraddire la famigerata parabola della “tragedia dei commons” che Garret Harding aveva ripreso e portato sotto i riflettori con un famosissimo articolo di Science del 1968, sostenendo appunto la insostenibilità della gestione di beni di valore ambientale sui quali insistono diritti di utilizzo condivisi. La ragione starebbe nell’incentivo al sovra-sfruttamento del bene determinato dalla massima estrazione di valore da parte di ogni partecipante al diritto, non mitigato dalla corrispondente perdita di valore in linea capitale, imputabile solo pro quota allo stesso soggetto individuale e trasferita invece alla generalità di quanti condividano i diritti.
La Olstrom argomenta efficacemente e con riferimento ad un’ampia gamma di temi che quando è una comunità – cioè un sistema sociale locale capace di una propria autonoma regolazione – il paradosso non vale e l’utilizzazione collettiva dei beni non ne comporta l’impoverimento.
Non sarà un caso che a curare l’edizione italiana compaia un giovane dirigente dello Stato, Giovanni Vetritto che ritroveremo ancora nella vicenda delle Green Community. Padre putativo delle Green Community, riconosciute come possibile nuovo soggetto di politiche ambientali e territoriali, è però il presidente nazionale dell’UNCEM Enrico Borghi che nel 2009, mentre la Olstrom vince il Nobel, pubblica un manifesto della nuova attenzione ambientale delle comunità politiche della montagna italiana con La sfida dei Territori nella Green Economy dove di nuovo prospettiva green e dimensione comunitaria si incrociano. «Crollato lo statalismo, fallito il liberismo: resta la comunità», titola efficacemente un paragrafo centrale del ragionamento di Borghi che, proprio con questo approccio, prova a fare i conti coraggiosamente con la campagna di stampa “contro la casta” che in quei tempi turbinosi porta avvio e procede verso lo smantellamento delle Comunità Montane – e di altri corpi intermedi – la cui ferita non si è ancora rimarginata.
Alle parole seguono anche azioni sul campo e nel 2011-2012, nell’ambito della programmazione europea 2007-2013, UNCEM avvia la sperimentazione di alcune Green Community in quattro regioni del Mezzogiorno, con una attenzione particolarmente centrata sui profili energetici.
Solo qualche anno più tardi la prospettiva delle Green Community diventa oggetto di una politica pubblica che ne riconosce esplicitamente il significato nella occasione della L.28 dicembre 2015 n. 221, nota come “collegato ambientale alla legge di Stabilità 2016”; una iniziativa politica che trae anche essa ampia ispirazione e sollecitazione dalla iniziativa di UNCEM.
All’art. 72, la legge 221 «promuove la predisposizione della strategia nazionale delle green community»; fissandone – in termini ancora davvero generali – i principali riferimenti tematici in nove punti (lettere da a) a i) che meritano di essere più estesamente ripresi e illustrati.
Assai rilevante è considerare preliminarmente la presenza già in questa definizione iniziale del tema di tre presupposti generali e fondativi di questa innovazione istituzionale/organizzativa:
- Il primo è il riferimento ai territori (rurali e di montagna); territori che, in relazione al valore delle risorse governate, intendono agire per «sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono» (comma 2). Territori, dunque cui si riconosce soggettività ed intenzionalità proprio mentre si fonda il loro valore identitario (e le relazioni organiche che il termine “community/comunità” evoca immediatamente) sui caratteri oggettivi del capitale naturale di cui i territori sono detentori; una soggettività comunitaria, dunque, che non trae origine dai valori culturali dei rapporti di sangue e dall’esercizio di una autorità tradizionale – come nella contrapposizione comunità/società della tradizione sociologica moderna (gemeinschaft/ gesellschaft nella paradigmatica formulazione di Ferdinand Tonnies) – ma trae piuttosto alimento dalla natura dei luoghi. È la trasposizione in chiave green del ruolo che Christian Norberg Schultz affida al Patrimonio (Culturale), ruolo che «modifica il significato dello spazio, trasformandolo dall’essere un sito all’essere un luogo, perché lì entra in gioco la vita»; dunque Green Community essenzialmente come comunità (elettiva) di luogo. Luogo che, con Beccattini, genera così la coscienza di sé.
- Il secondo essenziale riferimento di principio viene posto alla esigenza di «aprire un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane». Una affermazione ante litteram di Metro-montanità necessaria che assume particolare rilievo se si considera che il contesto della Legge 221 è anche quello che registra la introduzione nell’Ordinamento della previsione relativa ai Servizi e soprattutto ai Pagamenti per i Servizi Eco-sistemici ed ambientali PSEA (all’art. 70) che, pur non avendo esplicito richiamo nel testo dell’art 72 e nella sua declinazione tematica, ne costituiscono con tutta evidenza la cornice di senso, rafforzata dall’esplicito richiamo al «rapporto sussidiario e di scambio» con le realtà urbane per il quale il riferimento ai PSEA è evidente;
- Il terzo riferimento di ordine generale è quello alle istituzioni locali da cui la costituzione delle green community dovrebbe trarre impulso. Quelle Unioni di comuni – e di comuni montani in particolare – che, agendo sulla scorta di leggi regionali cui la 221 rimanda, possono individuare le modalità, i tempi e le risorse finanziarie, per promuovere l’attuazione della strategia nazionale (comma3). Dunque una necessaria dimensione intercomunale consolidata in una esplicita pratica associativa che concretizza – nella dimensione giuridico-amministrativa lo spirito delle comunità verdi e assicura loro capacità di agire.
Lo sviluppo operativo della politica
La missione di realizzare la Strategia Nazionale è affidata dalla legge 221 al Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie (DARA) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In attuazione del mandato ricevuto il DARA promuove nel 2017 una Consultazione pubblica sulla Strategia Nazionale delle green community di cui è utile riepilogare qui i principali esiti focalizzati riguardo a tre punti principali:
- l’opportunità di una esplicita e coordinata relazione della Strategia delle green community con altre Strategie nazionali come la Strategia nazionale sviluppo sostenibile, Strategia nazionale per le Aree Interne, Strategia energetica nazionale, Strategia nazionale per l’economia circolare, Strategia italiana per la biodiversità (Italia Sicura), Strategia per il patrimonio edilizio (Casa Italia).
- l’esigenza di focalizzare la dimensione territoriale rispetto alla quale configurare la Strategia, riconoscendone la dimensione comunque sovracomunale operando però con grande flessibilità ed approccio empirico a fronte della grande diversità dei caratteri territoriali delle regioni italiane;
- il riferimento ad esperienze di comunità territoriali sorte per la gestione di politiche, come i GAL o i Parchi, considerate come possibile elemento aggregante anche per la nuova Strategia e, assieme l’esigenza di “fare rete” anche ad una dimensione territoriale più vasta come quella legata, ad esempio, a grandi infrastrutture sostenibili per la ciclabilità.
Considerazioni, tutte, che non hanno trovato successivamente riscontro operativo sino alla recente previsione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che, finalmente, supera lo stallo generato dalla affermazione, al comma 4 della legge che «Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»; trasferendo, come ricordato, la responsabilità di mettere in campo queste risorse alle Regioni e alla Province autonome che «con proprie leggi possono individuare le modalità, i tempi e le risorse finanziarie».
A fare uscire le Green Community dal limbo interviene finalmente il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, con lo stanziamento di 135 milioni di euro a valere sulla misura M2C1 finanzia lo sviluppo sostenibile e resiliente dei territori rurali e di montagna che intendano sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono, tra cui, in primo luogo, acqua, boschi e paesaggio, avviando un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane.
Ciò verrà realizzato favorendo la nascita e la crescita di comunità locali, anche tra loro coordinate e/o associate (le green community), attraverso il supporto all’elaborazione, il finanziamento e la realizzazione di piani di sviluppo sostenibili dal punto di vista energetico, ambientale, economico e sociale.
L’investimento del PNRR, certo molto esiguo in termini quantitativi, acquista però una rilevanza davvero speciale perché è uno dei pochi investimenti di questo programma straordinario che sembra uscire almeno per un attimo da una logica di estrema settorializzazione e verticalizzazione top down della spesa che, per ragioni di efficienza e soprattutto di celerità, domina il PNRR, riconoscendo invece logiche di integrazione intersettoriale e valorizzando la dimensione associativa della realtà locale.
Il primo atto con cui la prospettiva del PNRR scarica a terra il suo intervento è la individuazione delle prime tre aree pilota: Parco del Velino Sirente, in Abruzzo, Unione Montana dell’Appennino Reggiano Area Pilota SNAI protagonista della Montagna del Latte in Emilia Romagna, e il territorio delle Terre del Monviso in Piemonte, che la ministra Maria Stella Gelmini, assieme ai tre Presidenti di Giunta Regionale interessati, comunica alla stampa il 30 marzo 2022.
Avvio di una sperimentazione le cui fasi di definizione metodologica dovrebbero accompagnare e ispirare la stesura del bando per la individuazione e il finanziamento delle altre 30 realtà (diventeranno poi 35 per effetto della regionalizzazione del riparto) nelle quali, sempre con l’orizzonte della metà del 2025, tassativo per il PNRR, si dovrà realizzare compiutamente la fase sperimentale delle Green Community.
Il bando pubblicato il 30 giugno 2022 ha fissato la scadenza del 16 agosto 2022 per la presentazione delle istanze, presentate nel numero di 182 da realtà aggregative di diversa natura (Unioni di Comuni, Comunità, Montane, Consorzi o semplici accordi convenzionali) in tutte le realtà regionali del Paese. Un successo importante e per molti versi inatteso che ha reso immediatamente evidente la misera dimensione delle risorse messe in campo dal PNRR, sollecitando l’intervento di ulteriori fonti finanziarie.
Di rilievo al riguardo la discussione che sull’argomento si è sviluppata nell’ambito del Tavolo Tecnico Scientifico della Montagna, istituito sempre dalla ministra Gelmini, che proprio al tema delle Green Community ha dedicato i lavori di un suo specifico sottogruppo di lavoro. Una discussione che ha accompagnato la stesura di un nuovo testo di legge sulla Montagna che la conclusione anticipata della Legislatura non ha consentito di portare all’esito desiderato ma che ha tuttavia rappresentato la cornice di senso per l’operazione di significativo incremento delle dotazioni del Fondo Nazionale per la Montagna pe il 2022 e ancor più per il 2023 con una espressa indicazione di prioritaria destinazione alla prosecuzione e allo sviluppo della strategia delle Green Community.
I contenuti tematici dell’ investimento PNRR
Per cogliere il significato e la stessa portata della operazione Green Community è fondamentale articolare la valutazione delle diverse voci tematiche (nove) che la L. 221/2015 introduce per caratterizzarne la missione e che qui di seguito richiamiamo provando a commentarle brevemente.
a) Gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale anche tramite lo scambio dei crediti derivati dalla cattura dell’anidride carbonica, la gestione della bio-diversità e la certificazione della filiera del legno.
Boschi e Foreste compaiono al primo punto della attenzione delle Green Community, portando l’enfasi sulla gestione integrata e certificata del patrimonio; la cosa non può certo stupire in un Paese che si è trovato – a sua insaputa, verrebbe da dire – ad assumere una prevalente connotazione forestale, quanto meno in termini di copertura del suolo.
Come emerso nell’ambito della consultazione pubblica che ne ha cercato di accompagnare il decollo, la natura “trasversale” della Strategia per le Green Comunità, impone una forte azione di coordinamento, nel merito e nei raccordi procedurali con altri approcci strategici già precedentemente disposti e ora confermati e sostenuti dallo stesso PNRR.
Più complesso ma ancora più essenziale è per questo il rapporto con la Strategia Forestale Nazionale, non citata dalla L.221 perché intervenuta successivamente alla sua approvazione. La Strategia Forestale Nazionale tratteggia una visione incentrata sulla Gestione Forestale Sostenibile (GFS), quale principio ispiratore internazionalmente concordato per affrontare le sfide globali connesse alla conservazione, valorizzazione e gestione del patrimonio forestale, l’incremento di valore della componente forestale del capitale naturale nazionale e lo sviluppo socioeconomico delle aree interne e montane dove è localizzata la maggior parte dei boschi, valorizzando il settore e le sue filiere. L’ambito forestale è sicuramente uno dei campi prioritari di attenzione delle Green Community al tema dei Servizi Eco-Sistemici e alla emersione dei relativi pagamenti.
b) Gestione integrata e certificata delle risorse idriche
Anche il fronte della gestione integrata e certificata delle risorse idriche propone nel contesto della Strategia per le Green Community una attenzione privilegiata al tema dei Servizi Eco-Sistemici e alla emersione dei relativi pagamenti, potendosi in questo caso basare sulla esistenza di disposizioni di carattere regionale che costituiscono significativi precedenti. Qui più evidente che altrove è il ruolo delle Green Community come strumento per uno scambio sussidiario tra i territori montani nella quale la risorsa idrica viene prelevata e i contesti urbani e metropolitani nei quali si concentra la sua utilizzazione.
c) Produzione di energia da fonti rinnovabili locali quali i micro-impianti idroelettrici, le biomase, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il bio-metano
Il tema della transizione energetica, componente essenziale della transizione ecologica e del conseguimento degli obiettivi del Green Deal Europeo è sicuramente tra i contenuti irrinunciabili delle azioni che la Strategia Nazionale delle Green Community dovrà mettere in campo, potendo fare riferimento a un vasto campo di opportunità nel PNRR di cui la misura sulle Comunità Energetiche (M2C2, investimento 1.02) si propone di sostenere le strutture collettive di autoproduzione focalizzandosi proprio a sostenere l’economia dei piccoli Comuni. La revisione in corso delle indicazioni operative al riguardo che non potrà non tener conto della accentuata gravità della crisi energetica accelerata dalla aggressione russa alla Ucraina è il passaggio necessario per implementare efficacemente e diffusamente una politica verso la quale sono rivolte molte aspettative. La strategia delle Green Community dovrà operare rafforzando un processo di responsabilizzazione delle comunità locali verso modelli energetici di maggiore sostenibilità non solo in termini di riduzione delle emissioni di CO2 ma anche riguardo alle esigenze della conservazione della bio-diversità con cui l’utilizzazione di fonti rinnovabili (acqua e biomasse in particolare) debbono convivere. Rilevante per questo il tema del rapporto con i grandi player – intermediari della relazione metro-montana – con cui si gioca in particolare la partita del rinnovo dei canoni concessori delle derivazioni.
d) Sviluppo di un turismo sostenibile capace di valorizzare le produzioni locali
La strategia della green community si misura con il tema assai rilevante di gestire gli impatti del riscaldamento globale sulla forma più impattante di utilizzazione turistica dei territori montani realizzata dall’industria della neve, proponendo alternative sul fronte della fruizione ambientale e delle nuove modalità dell’outdoor recreation per gestire tanto la riconversione di stazioni “spiazzate” dal cambiamento climatico quanto il sostegno allo sviluppo di nuove economie del turismo sostenibile in territori rimasti ai margini o caratterizzati da modalità di fruizione di più modesta intensità d’uso, come quelli delle seconde case, anche proponendo modelli innovativi di gestione del patrimonio costruito in funzione della ospitalità. È evidente la possibile relazione con la politica dei Cammini e con il Piano Nazionale dei Borghi (M1C3, investimento 2.01 del PNRR) del Ministero della Cultura e con quella per le ciclovie (M2C1 investimento 4.01 del PNRR) del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili.
e) Costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna
Il significato più profondo di questa linea di attenzione delle Green Community rivolta alla costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna, evidentemente trasversale ad un campo di iniziative che il PNRR sostiene direttamente con una intensità di risorse finanziarie di grandissima portata, deve essere inteso nella importanza delle azioni di accompagnamento – anche formative – necessarie perché la qualità della domanda sollecitata e la capacità delle imprese locali di proporre una offerta allineata ai migliori livelli di qualità inneschi circuiti virtuosi, tanto sul fronte della sostenibilità ambientale delle soluzioni, che su quello della sostenibilità economica dello shock sul lato della domanda determinato dai provvedimenti straordinari di incentivazione. Ne può essere un esempio emblematico quello dell’impiego più esteso di risorse forestali locali nelle pratiche costruttive dei sistemi locali.
f) Efficienza energetica e integrazione intelligente degli impianti e delle reti
La linea di azione della strategia delle Green Community rivolta alla efficienza energetica e integrazione intelligente degli impianti e delle reti si intreccia evidentemente con quella rivolta alla produzione da fonti rinnovabili e alla costituzione di comunità energetiche proponendo e strutturando le Green Community ad essere interlocutori dei grandi player elettrici sulle smart grid attrezzati a negoziare sul territorio le condizioni in cui potrà essere estesa l’iniziativa per cui è oggi prevista una specifica dotazione nel PNRR alla misura (M2C2, investimento 2.01) concentrata però sulle sole aree metropolitane
g) Sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production)
Le imprese della green economy sono sicuramente le protagoniste di una linea di attenzione della Strategia rivolta allo sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production) e alla economia circolare. La presenza più rarefatta di imprese manifatturiere in larga parte dei territori montani non deve far ritenere questa linea di azione relativamente marginale; al contrario un forte orientamento alla sostenibilità della intera comunità locale può essere non solo un fattore di sostegno e di accompagnamento allo sviluppo di imprese green già localizzate in questi territori (presenza non trascurabile se si usano come saggi le poche ma significative esperienze che hanno già esplorato il possibile cammino delle Green Community anche in carenza di specifiche disposizioni di sostegno) ma anche un elemento di importante attrattività nei confronti di imprese che esprimano questo orientamento. Una contestuale attenzione ai temi della transizione digitale può rafforzare questa attrattività.
h) Integrazione dei servizi di mobilità
Il tema della efficienza e della efficacia della mobilità nelle aree di rarefazione insediativa (e in particolare di una mobilità più sostenibile non totalmente dipendente dal riferimento esclusivo al trasporto automobilistico privato) è da lungo tempo – e sin qui almeno con modesta efficacia delle risposte – sul tavolo dei decisori e delle politiche territoriali. Scontiamo tuttavia la presenza di modelli organizzativi imbalsamati e gestiti da sistemi di regolazione anacronistici: per la separazione dei flussi del TPL e trasporto scolastico, in quello tra mobilità delle persone e trasporto delle merci, e si potrebbe continuare.
Le sperimentazioni ipotizzate in ambito SNAI si sono spesso scontrate con questa rigidità del sistema di regolazione e il tema non può certo darsi per risolto nell’ambito delle Green Community. La transizione digitale può però forse rappresentare ora un contesto tecnologico radicalmente rivoluzionato per le possibilità che consente di pensare con realismo a relazioni tra domanda e offerta.
i) Sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile che sia anche energeticamente indipendente attraverso la produzione e l’uso di energia da fonti rinnovabili nei settori elettrico, termico e dei trasporti
A conclusione del proprio campo di possibile intervento, la disciplina della L. 221 propone il tema delle attività agricole che in una ideale continuità di attenzione alle risorse primarie e alla loro utilizzazione “chiude il cerchio” che le filiere forestali avevano aperto al primo punto di questo stesso elenco. La formulazione letterale del testo legislativo è insolita e fa sospettare una qualche casualità nella addizione di un tema forse non originariamente concepito nell’impianto della manovra. Parla di un modello di azienda agricola sostenibile quando è presumibile che di modelli ne possano esistere più di uno, seguendo orientamenti produttivi certamente semplificati dall’orizzonte climatico montano (ma nemmeno troppo e che tanto meno potrebbero esserlo alla luce di nuove condizioni climatiche) ma non per questo uniformati a uno standard. E neppure da uniformare se la diversità, la tipicità (e la qualità) delle produzioni si è rivelata vincente per territori montani con una produttività naturale più contenuta e invece costi di produzione più elevati.
Dobbiamo allora forse intendere questa indicazione soprattutto nella direzione di un diretto e necessario coinvolgimento degli attori economici delle filiere primarie – che stanno conoscendo importanti fenomeni di successione generazionale o di ingresso di operatori di elevato livello formativo scolastico – entro l’orizzonte della sostenibilità, intendendola non come condizione esterna quanto piuttosto come leva strategica del proprio successo.
Considerazioni finali
Alcune considerazioni riguardo alle proposte debbono abbracciare l’intero campo tematico della Strategia Nazionale per le Green Community. Innanzitutto quelle che riguardano il rapporto, richiamato già dagli esiti della consultazione pubblica, con altre strategie di interesse.
Oltre alle questioni tematiche, già richiamate riguardo ai punti precedenti, è in primo piano il tema del rapporto delle Green Community con una Strategia nazionale per la Montagna, che promana dalla stessa Autorità preposta alla Attuazione della Strategia per le green community e cioè il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei Ministri, costituendo per di più questa nuova Strategia per la Montagna un fondamentale contenuto del Disegno di Legge sulla Montagna approvato dal Consiglio dei Ministri ma non arrivato poi alla discussione in aula per la interruzione anticipata della Legislatura.
Del pari rileva il rapporto con la consolidata Strategia Nazionale per le Aree Interne che promana da un diverso Dipartimento, quello per le Politiche di Coesione, della stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri. Oltre a richiamare l’evidente esigenza di un efficace coordinamento delle tre Strategie che non solo si sovrappongono – pur con le diverse declinazioni – rivolgendosi non solo ad un territorio che in larghissima parte è il medesimo ma anche ad un campo di obiettivi sicuramente convergente. Un coordinamento strettissimo ed intelligente, che non si preoccupi di ritagliare aree di competenza quanto piuttosto di esprimere sinergie, contando sulla contaminazione e la integrazione delle esperienze.
L’individuazione delle prime tre aree pilota per le Green Community sembra segnare un importante passo nella direzione di una certa continuità e integrazione tra le politiche, con la scelta della Montagna del Latte, avvenuta proprio in funzione delle positive indicazioni emerse nella attuazione della SNAI.
Il tempo è ormai maturo per rimboccarsi le maniche e posare, finalmente, gli scarponi sul terreno. Possiamo per questo dire che oggi sappiamo come costruire una Green Community? In generale la risposta non può che essere ancora dubitativa ma sappiamo che il doppio ciclo di sperimentazione aperto dalle prime tre aree pilota (guidate dalla esperienza pregressa e da una attenzione particolare del DARA e poi seguito dalle ulteriori 35 individuate dal Bando del PNRR ci darà informazioni e indicazioni preziose.
Merita forse già ora richiamare alcune questioni per così dire trasversali da affrontare con attenzione non minore da quella che sarà richiesta dalle questioni propriamente “tematiche” che abbiamo più sopra presentato e discusso con riferimento alle nove aree di intervento delineate dalla L. 221/2015.
La prima questione riguarda il problema della governance. Un suo assetto efficace è essenziale per dare riconoscibilità ed efficacia alla direzione di movimento della strategia locale; è essenziale anche per garantire quella dimensione propriamente comunitaria necessaria a sostenere nel tempo la gestione sostenibile delle risorse. Una governance necessariamente federale e inclusiva, sia nei confronti dei “poteri forti” dei player globali che le comunità incontrano entro le mura di casa o sul proprio cammino, che nei confronti dei “poteri deboli”, delle esperienze e delle occasioni di cittadinanza attiva che nella comunità verde devono potersi riconoscere.
La seconda questione riguarda la sostenibilità economica delle operazioni che la strategia vuole mettere in campo, condizione necessaria della loro durabilità; da ricercare con ostinazione e prudenza, davvero unendo pessimismo della ragione e ottimismo della volontà.
Abbiamo appreso operando su altri fronti quanto sia costitutiva della azione comunitaria e al tempo stesso determinante per il suo successo, l’esercizio di una sua esplicita dimensione educativa e pedagogica; tema da tenere assolutamente presente e da armare anche organizzativamente riconoscendo il rilievo delle azioni immateriali accanto a quelle strutturali e, soprattutto, preoccupandosi della loro qualità legata ad un coinvolgimento per nulla “laterale” delle agenzie educative nel progetto di Green Community.
Discorso pressoché identico lo si deve fare nei confronti della dimensione comunicativa dell’agire comunitario che deve saper riconoscere e coinvolgere i propri interlocutori, locali e no.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
Riferimenti documentali
Legge 221/2015: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/1/18/16G00006/sg
Documento Uncem: https://uncem.it/green-communities-cosa-sono-e-perche-sono-importanti-per-i-territori-montani-del-nel-futuro-la-scheda-uncem/
Voce Green Community di “Atlante Treccani”, di Francesco Tufarelli, già direttore Generale DARA: https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Green_Community.html
Dossier UNCEM Piemonte: https://uncem.it/wp-content/uploads/2022/02/UNCEMSmart_GreenDEF-1.pdf
Voce “Green Community” in “Rigenerazione Urbana. Un glossario” a cura di Giampiero Lupatelli e Antonio De Rossi, Donzelli 2022
Su Green Community e PNRR: http://marcobussone.it/il-pnrr-verde-grazie-alle-comunita/
Sulle prime aree pilota il mio “Il Tempo di raccogliere il tempo di seminare” http://www.caire.it/in-evidenza/green-community-appennino-reggiano/
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Giampiero Lupatelli, economista territoriale, laureato nel 1978 in Economia e Commercio all’Università di Ancona studiando con Giorgio Fuà e Massimo Paci, dal 1977 opera nell’ambito della Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia (CAIRE) dove si è occupato di pianificazione strategica e territoriale concentrando la sua attenzione sui temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale delle aree interne e montane. Ha collaborato con Osvaldo Piacentini e Ugo Baldini nella direzione di importanti piani e progetti territoriali di rilievo nazionale e regionale. È Vice-Presidente di CAIRE Consorzio, fondatore dell’Archivio Osvaldo Piacentini per cui è direttore della Rivista “Tra il Dire e il Fare”, componente del Tavolo Tecnico Scientifico per la Montagna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, membro del comitato scientifico della Fondazione Montagne Italia, della Fondazione Symbola e del Progetto Alpe del FAI, oltre che del Comitato di Sorveglianza di Rete Rurale Nazionale. Ha recentemente pubblicato il volume Fragili e Antifragili. Territori, Economie e Istituzioni al tempo del Coronavirus, per i tipi di Rubbettino editore.
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