di Nuccio Zicari
Montalbano finì il gelato di cassata, pagò alla cassa, niscì, pigliò la machina che aviva lasciata poco distante e partì verso la Scala dei Turchi.
Seguendo le istruzioni del cammareri, a un certo punto girò a mancina, fece qualche metro di strata aspalata in discesa e si fermò. La strata non proseguiva, abbisognava caminare sulla rina. Si levò le scarpe e le quasette che lasciò in machina, la chiuì, si rimboccò l’orlo dei pantaloni e raggiunse la ripa del mare. L’acqua era frisca, ma non fridda. Passato un promontorio, la Scala dei Turchi gli apparse ‘mprovvisa.
Se l’arricordava assai più imponenti, quanno si è nichi tutto ci appare più granni della realtà. Ma anche accussì ridimensionata conservava la sua sorprendente billizza. Il profilo della parte più alta della collina di marna candida s’incideva contro l’azzurro del cielo terso, senza una nuvola, ed era incoronato da siepi di un verde intenso. Nella parte più bassa, la punta formata dagli ultimi gradoni che sprofondavano nel blu chiaro del mare, pigliata in pieno dal sole, si tingeva, sbrilluccicando, di sfumature che tendevano al rosa carrico.
Invece la zona più arretrata del costone poggiava tutta sul giallo della rina. Montalbano si sentì sturduto dall’eccesso dei colori, vere e proprie grida, tanto che dovette per un attimo inserrare l’occhi e tapparsi le orecchie con le mani. C’era ancora un centinaro di metri per arrivare alla base della collina, ma preferì ammirarla a distanza: si scantava di venirsi a trovare nella reale irrealtà di un quadro, di una pittura, d’addivintare lui stesso una macchia – certamente stonata – di colore.
S’assittò sulla sabbia asciutta, affatato. E accussì stette, fumandosi una sigaretta appresso all’altra, perso a taliare le variazioni della tinteggiatura del sole, via via che andava calando, sui gradoni più bassi della Scala dei Turchi [1].
Con queste parole Andrea Camilleri descrive la Scala dei Turchi nel suo romanzo La prima indagine di Montalbano. Il caso vuole, o forse qualcos’altro, che nel 2021 Poste Italiane mi commissioni la realizzazione di una fotografia della Scala destinata alla stampa di una cartolina in edizione limitata per la Filatelia Nazionale Italiana. L’occasione, la celebrazione del “340º anniversario della Licentia Fabricandi et Populandi” conferita al Comune di Realmonte, una concessione del Regno di Sicilia in favore dei baroni o feudatari consistente nel privilegio di popolare un feudo. La licenza conteneva il privilegium aedificandi ossia il permesso di cominciare la costruzione del borgo, che spesso avveniva in luogo di una preesistente residenza feudale, castello o baglio. La licenza poteva essere concessa dal Re o dai Viceré ai baroni, sia come riconoscimento per i servigi resi alla corona, sia, più frequentemente, dietro il pagamento alla tesoreria regia generale di Sicilia.
Durante l’evento di celebrazione, la cartolina su cui viene posto l’annullo filatelico, è affrancata col francobollo commemorativo proprio di Andrea Cammilleri, morto due anni prima, nel 2019. Senza essere consapevole di ciò che sarebbe accaduto poi, è sorprendente come la mia fotografia sembri descrivere uno scenario simile a quello descritto dallo scrittore nel suo romanzo e riportato sopra. Che Camilleri avesse voluto guidare il mio sguardo? Ancora il pensiero mi desta stupore [2].
Ma cosa è la Scala dei Turchi? Da dove origina il suo mito? Quale è la sua storia? La Scala dei Turchi è una falesia di marna di un bianco accecante, una roccia sedimentaria a grana fine di natura calcarea e argillosa. Si presenta come una gradinata naturale a picco sul mar Mediterraneo lungo il litorale di Realmonte, vicino a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento.
La sua forma ondulata e irregolare, con linee non aspre bensì dolci e rotondeggianti, scavata nella roccia da vento e pioggia, si erge fra due spiagge di sabbia fine. Dalla sommità si scorge tutta la costa agrigentina. A 200 metri dalla riva si possono vedere due faraglioni, che dalla spiaggia di Lido Rossello poco distante si vedono come uno solo, per questo chiamati Rocca Gucciarda - meglio conosciuti dagli abitanti del luogo come ‘u zitu e a zita’ - evocano l’immagine di due innamorati che, custodi di un amore negato dalle rispettive famiglie, decidono di lasciarsi annegare proprio in quello specchio di mare dove la leggenda vuole siano poi emersi i due scogli a suggello della loro eterna unione.
Il nome della Scala invece le deriva secondo una leggenda, oltre che dal particolare aspetto a gradoni, dalle passate incursioni di pirateria dei corsari saraceni, impropriamente chiamati Turchi dalle popolazioni locali. Così erano chiamate per convenzione le genti arabe, da qui la nota espressione “Mamma li Turchi”, con cui si allertava dell’imminente invasione, rimasta ancora oggi nella parlata comune. Già nel ‘500 i Saraceni trovavano riparo in questa zona meno battuta dai venti e quindi più sicura per l’approdo: ormeggiate le navi, si arrampicavano sulla gradinata per raggiungere i villaggi e saccheggiarli.
Per secoli sconosciuta se non ai locali, nel tempo diventa la principale attrazione turistica della Sicilia, per la singolarità della bianca scogliera dalle peculiari forme, ma soprattutto a seguito della popolarità acquisita proprio grazie ai romanzi del Commissario Montalbano di Andrea Camilleri e ad un’intensa campagna promozionale voluta dalla Regione che la elegge a simbolo dell’Isola. Nell’agosto del 2007, il Comune di Realmonte presenta all’UNESCO una richiesta ufficiale affinché questo sito geologico, insieme alla Villa Romana poco distante, sia inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità.
La zona purtroppo è anche tristemente nota per diversi esempi di abusivismo edilizio. Dagli anni ‘80 la falesia era deturpata da un ecomostro, un cantiere per un complesso alberghiero bloccato dalle denunce di Legambiente. Grazie alla mobilitazione in occasione del censimento del 2008, quando il luogo è stato segnalato in negativo tra i Luoghi del Cuore FAI, il FAI ha affiancato Legambiente nella sua battaglia per l’abbattimento dell’ecomostro. Nel 2013 l’ecomostro è abbattuto e dopo altri due anni nel 2015, grazie alla sinergia tra FAI e Comune di Realmonte, è abbattuto un secondo ecomostro (in ferro ed eternit su basamento di cemento amato) che dal 1974 sorgeva su un piccolo terrazzo roccioso e da allora deturpava la scogliera. Alla demolizione, resa possibile dal contributo di 20 mila euro del FAI – I Luoghi del Cuore insieme a Banca Intesa e all’azione del Comune, è seguita la riqualificazione dell’area, trasformata nel 2016 in belvedere pubblico.
Queste azioni facenti parte del progetto “Liberare la bellezza: un processo virtuoso per il paesaggio della Scala dei Turchi” [3], valgono alla Scala la menzione speciale al Premio Nazionale del Paesaggio Italiano 2017 [4]. Nell’interpretare e analizzare il progetto secondo lo schema prospettato dai diritti culturali si coglie subito che ad essere violato è stato il diritto culturale all’identità di un territorio e delle proprie comunità di riferimento [5]. «L’insieme dei riferimenti culturali con il quale una persona da sola o in comune con gli altri, si definisce, si costituisce, comunica e intende essere conosciuta nella propria identità». Con questa definizione, la Dichiarazione di Friburgo (2007) sancisce l’identità culturale.
La violazione del paesaggio, elemento identitario culturale per eccellenza, appare dunque una chiara violazione di quelle condizioni necessarie alla costruzione dell’identità culturale del singolo oltre che della collettività. Chi impedisce o altera la fruizione del patrimonio culturale collettivo – ed il paesaggio è indiscutibilmente patrimonio culturale collettivo – viola il diritto all’identità culturale, e dunque, alla costruzione della propria personalità, il cui sviluppo è sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Onu 1948). «Art.22: Ogni individuo, in quanto membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale, nonché alla realizzazione attraverso lo sforzo nazionale e la cooperazione internazionale ed in rapporto con l’organizzazione, le risorse di ogni Stato, dei diritti economici, sociali e culturali, indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della sua personalità».
Pertanto violare un diritto culturale, significa violare un diritto umano, il quale giuridicamente è stato riconosciuto come un diritto fondamentale dell’essere umano, e come tale universale, inviolabile e indispensabile.
«Legalità e Paesaggio, lotta all’abusivismo attraverso la valorizzazione delle qualità territoriali. Il progetto “Liberare la bellezza”, è stato giudicato esemplare per la capacità di coinvolgere le popolazioni locali, rivendicare il diritto alla legalità, battersi per la difesa di un contesto naturale di particolare bellezza naturalistica contro l’abusivismo e la speculazione edilizia, proporre un modello di fruizione turistica dei luoghi compatibile con le peculiarità paesaggistiche che li caratterizzano».
Questa la menzione speciale conferita al progetto Liberare la bellezza. Interessante appare l’associazione del tema della legalità con quello del paesaggio e come il progetto realizzato dal FAI viene riconosciuto essere strumento necessario per ridare dignità non solo a un territorio ma anche a una comunità abituata a vivere in situazioni dove a prevalere sono l’illegalità e la mancanza di rispetto per la bellezza.
Nessun territorio è difeso se non lo si vive con orgoglio, se non gli si dà dignità. Quella dignitas che indica eccellenza e superiorità morale e la possibilità di raggiungerla attraverso il rispetto dei diritti culturali – in questo preciso ambito la possibilità di avere restituita una identità culturale attraverso il recupero del paesaggio – può essere considerata una condizione necessaria per affermare il primato dell’etica, ossia il primato del bene su quello dell’utile nella vita del singolo individuo e della comunità.
Da qui si capisce come il kalos kai agathos, concetto tanto caro alla società delle polis greche delle quali questi luoghi sono stati testimoni, il bello, che diventa indissociabile al bene, è stato recepito dalla Dichiarazione Universale Dei Diritti Umani (Art.22), attraverso il riconoscimento dell’esistenza dei diritti culturali e il loro legame col tema della dignità e dello sviluppo della personalità del singolo individuo.
Connettere l’affermazione della bellezza e il rispetto dei diritti culturali, come prospetta la Dichiarazione di Friburgo (2007), significa riconoscere l’importanza di attivare processi necessari al fine di identificare quei valori, ossia quei comportamenti condivisi, che sono alla base di nuovi modelli di sviluppo, ossia di nuovi modelli di vita. Il progetto Liberare la bellezza, realizzato dal FAI ne è una chiara esplicitazione. «Si ama solo ciò che si conosce e si protegge solo ciò che si ama» (FAI-Fondo Ambiente Italiano). Era indispensabile che la Scala dei Turchi venisse prima universalmente conosciuta per poi essere amata [6].
Oggi il Belvedere FAI – Scala dei Turchi accoglie ogni anno milioni di visitatori che, passeggiando tra pini marini e immersi nella macchia mediterranea autoctona, possono ammirare dall’alto lo spettacolo della Scala che si staglia sul paesaggio circostante. È notizia di pochi giorni fa, l’istallazione nel belvedere di un relitto (riferibile ad uno sbarco fantasma di migranti) recuperato dal Comune di Realmonte sulla spiaggia di Lido Rossello, fatto dissequestrare e affidato alla chiesa, riqualificato dalla comunità e dagli artisti locali a simbolo di accoglienza e fraternità fra i popoli. «Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini coscienziosi e impegnati possa cambiare il mondo. In verità è l’unica cosa che è sempre accaduta», ha scritto Margaret Mead.
Ma a chi appartiene la Scala dei Turchi? La risposta a questa domanda apre uno scenario alquanto pittoresco. Molti avranno seguito l’acceso dibattito sul tema della proprietà della Scala che va avanti ormai da parecchi anni. Cerchiamo di fare ordine.
Da quando la Scala dei Turchi è passata alla ribalta dell’interesse turistico mondiale, ponendosi tra i principali poli attrattivi della Sicilia, in tanti si è generato un interesse spontaneo sul sito, a volerne acquisire la proprietà o piuttosto la gestione. Storia trita e ritrita a queste latitudini. La Scala, per quanto detto finora, sarebbe già di fatto patrimonio di tutti, dell’umanità, ma fino a pochi giorni fa aveva un proprietario, il settantenne Ferdinando Sciabarrà. Dopo un braccio di ferro durato 10 anni – Pirandello, Sciascia o Camilleri ne avrebbero fatto capolavori letterari – tra polemiche, contrasti, comparsate televisive, vicende giudiziarie, che hanno coinvolto lo stesso Sciabarrà, il Comune di Realmonte, la Regione Sicilia, l’associazione ambientalista Mareamico, il Parco Archeologico Valle dei Templi (perfino il magnate Elon Musk è stato scomodato), il contenzioso è stato risolto.
Il 27 Settembre 2023, titola il Corriere della Sera: “La Scala dei Turchi diventa proprietà pubblica: firmato l’accordo” [7]. Finalmente la proprietà della Scala dei Turchi viene ceduta a titolo gratuito al Comune di Realmonte.
«Un lavoro di squadra ci ha consentito di raggiungere questo grande traguardo. Ringrazio Sciabbarrà, che con un atto di grande generosità, ha mostrato a tutti che si può avere grande senso civico consentendo all’ente pubblico di tutelare un bene che è al contempo meraviglioso e fragile».
Con queste parole la Sindaca di Realmonte, Sabrina Lattuca, esprime grande soddisfazione. Per desiderio dello stesso Sciabarrà, e in segno di riconoscimento per il bene donato, il Comune di Realmonte ha installato una targa commemorativa proprio all’interno del Belvedere Fai Scala dei Turchi. A futura memoria. Poteva essere evitata tutta questa contesa? A mio modesto avviso sì, anzi ce lo dice la storia e la storiografia.
Da alcune ricerche effettuate sulla cartografia storica della Sicilia emerge un fatto curioso. Analizzando una pianta del barone prussiano, Samuel von Schmettau del 1719 [8], la cala accanto la Scala dei Turchi è chiamata Cala dello Schaicco, cioè cala dello sceicco, mentre il proprietario della Scala era un certo Sciabaro. Difficile da credere. Con buona probabilità, lo Sciabaro già proprietario del feudo nel ‘700, altro non era che un antenato dell’attuale ormai ex-proprietario Ferdinando Sciabbarrà. Con buona pace delle amministrazioni, istituzioni, dei legali e dei privati, la storia sembra parlare chiaro. Rimane il fatto che la famiglia Sciabarrà abbia fatto bene a cedere la proprietà della Scala dei Turchi al Comune di Realmonte, proprietà divenuta ormai troppo impegnativa da gestire per la gravosa responsabilità sulle vicende patrimoniali, infortunistiche frequenti, penali e amministrative. Oltre al merito per aver finalmente messo la parola fine alle infinite controversie e garantito che il bene tornasse di pertinenza del pubblico piuttosto che finire nelle mani dei privati. Un bene patrimonio di tutti, appunto, patrimonio dell’umanità.
In quanto bene di tutti, allora tutti abbiamo il dovere di proteggerlo e preservarlo. Dal punto di vista geologico, la Scala dei Turchi è un gioiello naturale che comincia a formarsi 6 milioni di anni fa e per la sua particolare composizione geologica rappresenta uno straordinario osservatorio climatico [9].
Eppure un bene così prezioso sul piano paesaggistico, turistico, storico, culturale, scientifico, rischia di scomparire. Si, di scomparire, avete capito bene. La Scala è a rischio idrogeologico, si sta sciogliendo e appiattendo, e da alcune previsioni si pensa che nei prossimi 50 anni possa scomparire del tutto, a causa della tropicalizzazione del clima, dell’innalzamento del livello dei mari, ma anche per colpa di quell’umanità che vuole goderne calpestandola, ferendola e in generale maltrattandola.
Nella notte tra il 7 e l’8 gennaio 2022, la bianca e candida scogliera è stata imbrattata da vandali con una polvere color rosso-sangue di ossido di ferro [10]. Il fatto è stato riportato anche dal New York Times [11]. Sul movente dell’efferato gesto, oggetto di indagini da parte della Procura, sono state fatte varie ipotesi; dall’atto vandalico scellerato all’azione di un artista disilluso alle prese con la tragedia della pandemia da covid-19. Fortunatamente, già dal giorno stesso dell’accaduto, gran parte dei danni è rientrato grazie agli sforzi di una squadra di esperti di beni culturali, impiegati municipali e cittadini locali che hanno pulito il sito con l’aiuto di stracci, scope e pompe dell’acqua. Da quel triste giorno la Scala è rimasta chiusa al pubblico.
«Il più grande peccato della Sicilia è quello di non credere nelle idee. Qui, che le idee muovono il mondo, non si è mai creduto»[12]. Questo il monito di Sciascia ai siciliani, agli italiani, al mondo intero oserei dire. Un invito a tornare a credere nelle idee, a credere che il mondo possa essere diverso da come è stato, da come è. La Scala dei Turchi può diventare metafora di una necessità globale, rappresentare un’inversione di tendenza su più fronti, ambientale, culturale, politico. «L’unico modo di essere rivoluzionari – aggiungeva Sciascia – è quello di essere un po’ conservatori. Al contrario del reazionario, che vuol tornare al peggio, il conservatore è colui che vuol partire dal meglio, che vuol conservare il meglio».
Viviamo in un mondo nuovo, diverso da qualunque altro prima di questo. Un mondo che nell’arco di pochissimi anni ha subìto e sta subendo una pandemia globale, conflitto russo-ucraino, nuovo – si fa per dire – conflitto israelo-palestinese, con i conseguenti danni all’economia mondiale totalmente in declino, per non parlare dell’altissimo rischio di un conflitto mondiale dietro l’angolo. Tutto ciò colpisce una società egoista e individualista, disumanizzata dall’utilizzo compulsivo dei social network, spersonalizzata da un capitalismo sempre più agonistico e da un consumismo sfrenato, con conseguenze evidenti nella rarefazione delle relazioni sociali vere e nell’aumento vertiginoso dell’inquinamento ambientale, che a sua volta produce effetti sui cambiamenti climatici.
Nel mondo nuovo in cui viviamo è a rischio la stessa umanità, come ci segnala il Rapporto ONU sul Clima del marzo 2023 che parla di «ultima chiamata per la terra» [13]. La Rivoluzione allora deve partire dalla Conservazione. La risposta probabilmente sta tutta qui, nel saper conservare ciò che di buono ancora abbiamo, i nostri valori, la nostra cultura, la nostra umanità, le relazioni sane, l’apertura e il confronto con la diversità, ma anche la bellezza di tutto ciò che ci circonda, di questo pianeta –del quale siamo ospiti e non possessori – e che abbiamo il preciso dovere di rispettare, di liberare dalla nostra eccessiva presenza disturbante.
Per tornare alla Scala, a causa dell’azione sconsiderata dell’uomo, essa è diventata un bene fragile. Adesso l’uomo rivoluzionario, che non la possiede ma semmai ne gode, deve conservarla, lasciare che sia la Natura a continuare a plasmarla.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] Andrea Camilleri, La prima indagine di Montalbano, Sellerio, Palermo. 2004
[2] Nuccio Zicari, SCALA DEI TURCHI, Poste Italiane. 2021. https://www.nucciozicari.com/scala-dei-turchi
[3] Liberare la bellezza un processo virtuoso per il paesaggio della Scala dei Turchi. https://youtu.be/eKy5pWm7jsM?feature=shared
[4] Ministero dei Beni Culturali. https://www.premiopaesaggio.beniculturali.it/progetto/liberare-la-bellezza-un-processo-virtuoso-per-il-paesaggio-della-scala-dei-turchi/
[5] Monica Amari, Elementi di Progettazione culturale. Metodologia e strumenti per il rispetto dei diritti culturali, Ed. FrancoAngeli, Milano 2017: 240-242
[6] Giuseppe Taibi, Varietà e potenzialità della costa di Realmonte: patrimonio da preservare e valorizzare. https://www.studiolegaletaibi.it/varieta-e-potenzialita-della-costa-di-realmonte-patrimonio-da-preservare-e-valorizzare-intervento-di-giuseppe-taibi/
[7] Corriere della Sera, La Scala dei Turchi diventa proprietà pubblica: firmato l’accordo. https://www.corriere.it/cronache/23_settembre_27/scala-turchi-diventa-proprieta-pubblica-firmato-l-accordo-46e57766-5d71-11ee-ba9c-b0284e699ccc.shtml?refresh_ce
[8] Schmettau-map of Sicily, 1719-1721 [B VII a 470].
https://maps.arcanum.com/en/map/sicily/?bbox=1482716.452396371%2C4475957.940773567%2C1516989.6825295808%2C4490256.303969765&map-list=1&layers=74
[9] Attraverso lo studio della conformazione geologica della Scala, si può fornire un’interpretazione dei cambiamenti climatici periodici a lungo termine che avvengono sul nostro pianeta mettendoli in correlazione con le variazioni dell’eccentricità orbitale, dell’inclinazione dell’asse terrestre e della precessione degli equinozi. Queste oscillazioni periodiche del clima sono oggi note come cicli di Milanković. Questi cicli contribuiscono a spiegare il ripetersi delle glaciazioni avvenute nella storia della Terra e a prevedere i futuri cambiamenti climatici. Da qui l’importanza della Scala anche sul piano della ricerca scientifica. Lo studio della sua conformazione potrebbe giocare un ruolo fondamentale in un’era, quella che stiamo vivendo, sopraffatta dai cambiamenti climatici evidenti e in atto
[10] Nuccio Zicari, Bianca di marna. Rossa di sangue. Atto vandalico alla Scala dei Turchi. 2022. https://www.nucciozicari.com/bianca-di-marna-rossa-di-sangue
[11] New York Times, Famed White Cliffs of Sicily Are Defaced in an Act of Vandalism. https://www.nytimes.com/2022/01/10/world/europe/white-cliffs-sicily-vandalism.html
[12] Edoardo Costadura, Leonardo Sciascia: la solitudine del Maestro, in EnnErre. Le nostre ragioni., IX, nr. 17, Milano 2002: 16-22
[13] Rapporto ONU, Un futuro vivibile per tutti è possibile, se intraprendiamo un’azione urgente per il clim. https://unric.org/it/rapporto-onu-un-futuro-vivibile-per-tutti-e-possibile-se-intraprendiamo-unazione-urgente-per-il-clima/
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Nuccio Zicari, fin da principio manifesta la sua poliedricità di interessi associando gli studi medici a quelli artistici. Agli esordi si dedica alle arti figurative, dal disegno alla pittura, ma in seguito il suo incontro con la fotografia fa sì che questa diventi il suo strumento di comunicazione più congeniale. Da autodidatta studia meticolosamente la storia dell’arte e della fotografia, frequenta a Milano corsi presso la Fondazione Internazionale per la Fotografia FORMA, la Nuova Accademia di Belle Arti NABA, l’Accademia di Fotografia JOHN KAVERDASH e la LEICA Akademie. Il suo principale interesse è l’aspetto documentario, antropologico, sociale e umanitario della fotografia, sia nel racconto di storie che nei progetti a lungo termine di interesse collettivo. Nel 2017 e 2018 i suoi lavori HUMANITY WITHOUT BORDERS ed SS-115, frutto di anni di reportage sull’immigrazione nel Mediterraneo, sono inseriti all’interno della “Italian Collection”, piattaforma che celebra ogni anno le più importanti storie fotografiche degli autori italiani. I suoi lavori sono stati esposti in Italia e all’estero e pubblicati su riviste nazionali, internazionali e su testi universitari. Dal 2019 scrive articoli per riviste di approfondimento culturale.
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