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La scultura polimaterica in «legno tela e colla»: le origini e la tecnica «per via di porre»

Trapani, I Misteri, Gruppo La Negazione (ph.Silvio Piazza)

Trapani, I Misteri, Gruppo La Negazione (ph. Silvio Piazza)

di Lina Novara    

È opinione comune nella storiografia trapanese che la tecnica polimaterica cosiddetta del «legno tela e colla» sia stata inventata a Trapani nel secolo XVII e che Giovanni Matera (Trapani 1653 – Palermo 1718) per primo l’abbia applicata nella realizzazione di statuine da presepe [1]. Recenti studi che hanno rivalutato l’aspetto tecnico e riconosciuto ai maestri il ruolo di artisti, hanno tuttavia trascurato di indagare sulle origini della cospicua produzione di opere, realizzate con materiali poveri, che ha visto nei secoli XVII e XVIII la sua massima espressione nei gruppi processionali dei Misteri [2].

Per la prima volta la tecnica è stata minuziosamente descritta nell’atto del 15 ottobre 1769, con il quale l’arte dei barbieri commissionò allo scultore trapanese Baldassare Pisciotta la ricostruzione ex novo del gruppo processionale La negazione: nella commissione si specifica che lo scultore avrebbe dovuto eseguire le statue secondo il bozzetto preparatorio da lui stesso presentato ai consoli dell’Arte e in «legno cipresso nelle sole teste, braccia, mani, piedi ed in quella porzione di gambe e petto… quali dovranno comparire ignudi; tutto il resto» [3], cioè la struttura interna per il fissaggio degli arti e delle parti nude, nonché l’ancoraggio alla «vara», doveva essere di legno di castagno rivestito di sughero. L’utilizzo di quest’ultimo materiale era finalizzato a dare volume alle statue, senza accrescerne il peso [4]. Gli abiti dovevano essere di tela, trattati con una «prima mano di gesso sazio di colla».

Trapani, I Misteri, San Pietro (part. del gruppo La Negazione), foto Giancarlo Nifosì

Trapani, I Misteri, San Pietro, part. del gruppo La Negazione (ph. Giancarlo Nifosì)

Con questo procedimento che consentiva di ottenere facili soluzioni plastiche ed effetti che emulavano il legno, le statue risultavano leggere, i tempi di lavorazione veloci e i costi meno alti. La consegna del gruppo La negazione doveva avvenire dieci giorni prima del Venerdì Santo del 1770; lo scultore Pisciotta aveva quindi a disposizione circa sei mesi di tempo per realizzare quattro sculture in «legno tela e colla» e un gallo «tutto di scultura», ossia tutto in legno [5]

Tempi più ristretti aveva avuto imposti, sei anni prima, il «perito scultore» Antonio Nolfo che il 16 febbraio 1764 ricevette dai consoli dei fornai l’incarico di rifare ex novo «magistrevolmente, secondo… duratura e decoro» i quattro personaggi del gruppo La coronazione di spine, «senza mai levar mano», in modo da consegnare il «Mistero» per la processione del Venerdì Santo dello stesso anno [6]. Non sappiamo se Nolfo riuscì a rispettare i tempi di consegna, considerato che ricevette il saldo dell’opera due anni dopo, nel luglio 1766, assieme al pagamento di tre libbre d’oro zecchino, impiegato per ornare le vesti dei personaggi e per sei pennacchi [7]. Anche Domenico Nolfo, figlio di Antonio, nel febbraio 1772 ricevette un incarico per così dire «a breve termine» per la realizzazione del gruppo La sentenza, dovendo consegnarlo prima del Venerdì Santo dello stesso anno [8].

Trapani, I Misteri, La Veronica (part. del gruppo Ascesa al Calvario), foto Giancarlo Nifosì

Trapani, I Misteri, La Veronica, part. del gruppo Ascesa al Calvario (ph. Giancarlo Nifosì)

È fuor di dubbio che questo tipo di scultura polimaterica richiedeva un lavoro di equipe, nel quale il maestro scolpiva nel legno di cipresso il volto, le mani, i piedi e le parti ignude, i lavoranti si occupavano della struttura lignea interna e i sarti avevano il compito di tagliare e confezionare i vestiti adattandoli alle statue e rendendo, a mano libera, vario ed efficace l’effetto delle pieghe. I tessuti degli abiti, non privi di giunture, comunque ben dissimulate dall’effetto delle pieghe e dalla stuccatura, venivano irrigiditi con strati di gesso e di colla di coniglio. Si passava quindi alla fase della colorazione che doveva rendere l’effetto simile a quello del legno e la figura simile al vero, e successivamente alla lucidatura con olio di lino per gli abiti e con l’olio di noce per «il colore delle carni» [9]. Decori in oro zecchino spesso impreziosivano abiti e tuniche.

Grafico della struttura portante di statua in “legno tela e colla”: dal pannello Tecniche esecutive, Statua di S. Giovanni Apostolo “Legno tela e colla” esposto alla mostra “Legno tela &…  La Scultura polimaterica trapanese tra Seicento e Novecento”,Trapani 2010-2011

Grafico della struttura portante di statua in “legno tela e colla”: dal pannello Tecniche esecutive, Statua di S. Giovanni Apostolo “Legno tela e colla” esposto alla mostra “Legno tela &… La Scultura polimaterica trapanese tra Seicento e Novecento”, Trapani 2010-2011

Il fissaggio di ciascuna statua ad una base lignea avveniva tramite una mortasa e un tenone [10]. La caratteristica fondamentale di questa tecnica è che si lavorava «per via di porre» – usando un modo di dire michelangiolesco – partendo da una struttura interna sulla quale si andavano via via costruendo i volumi con materiali diversi – legno, sughero, tela, gesso, colla, colore – e applicando le singole parti anatomiche scolpite in legno. Ogni figura risultava pertanto un esemplare unico, sempre diversa l’una dall’altra sia per il panneggio delle vesti, modellato in corso d’opera, sia per gli atteggiamenti e l’espressione dei volti. Il procedimento tecnico presenta analogie con quello tradizionale delle figure in cartapesta che, nel XVII e XVIII secolo, soprattutto nel leccese, avevano una struttura portante a T, cui si applicavano testa, mani e piedi.

I gruppi scultorei che compongono l’attuale processione dei Misteri sono, per la maggior parte, opere settecentesche, frutto di rifacimenti degli originali delle prime processioni, dei quali, allo stato attuale delle ricerche, si hanno scarse notizie documentarie. In documenti d’archivio relativi ai gruppi L’Arresto e l’Ascesa al Calvario, compare il nome dello scultore Nicolò de Renda, identificabile con il maestro che lavorava il corallo e che nel 1628 aveva firmato i capitoli della maestranza dei corallai e nel 1643-1645 aveva eseguito per i Gesuiti le statue di Sante, affiorate durante gli ultimi lavoro di restauro della chiesa del Collegio [11]. Nella sua bottega accoglieva giovani che volevano apprendere l’arte della scultura e, tra questi, Matteo Dio Li Volsi, figlio di Sacripante, come si ricava da fonti documentarie del 1619 che forniscono informazioni anche sulla struttura interna di una statua, definita anima, realizzata di lignami e lu corpu di suvari, attestando l’uso della tecnica del legno tela e colla già dai primi decenni del secolo XVII [12]: una conferma questa dell’ipotesi, già da tempo da me avanzata, che i primi gruppi processionali dei Misteri di Trapani, erano realizzati con una tecnica polimaterica, poi definita da Serraino del «legno tela e colla».

Grafico della struttura portante di statua in cartapesta: da La scultura in cartapesta, Milano 2008, p. 159

Grafico della struttura portante di statua in cartapesta: da La scultura in cartapesta, Milano 2008: 159

Significativa è inoltre l’istanza, fatta nel 1765 dai consoli dei fabbri al governatore della Compagnia di San Michele Arcangelo, di restaurare il gruppo de L’arresto, loro affidato, perché «distrutto e fracassato» [13]. Nell’accettare la richiesta il governatore precisa però che «va di patto che i suddetti consoli …. siano tenuti a consegnare alla detta Compagnia tutto quello che resterà del misterio di vecchio, cioè … teste, bracci o altro, basta che non restasse cosa … in potere di loro o altra persona» [14]. Questa precisazione ci induce a credere che anche il gruppo originario, presunta opera di Nicolò de Renda, fosse stato eseguito con lo stesso tipo di tecnica polimaterica [15]. A conferma di ciò va ricordato che lo scultore Vito Lombardo, imparentato con Antonio Nolfo per averne sposato la figlia, nel ricostruire lo stesso gruppo riutilizzò le teste di Gesù, di Pietro, del giudeo e del soldato, mentre rifece interamente la figura di Malco.

Considerato che, per la particolarità della tecnica, la realizzazione di un’opera avveniva «a più mani» e che spesso nelle ricostruzioni si riutilizzavano parti scultoree preesistenti, non sempre, anche all’interno di uno stesso gruppo, oggi è possibile individuare un linguaggio stilistico omogeneo. I numerosi restauri effettuati nel corso dei secoli hanno poi alterato l’autenticità delle opere il cui punto debole è purtroppo la fragilità: temono gli urti, i panneggi si deformano facilmente, la colla e lo stucco cedono al calore o all’umidità.

Gruppo La spoliazione, foto Silvio Piazza

Trapani, i Misteri, Gruppo La spoliazione (ph. Silvio Piazza)

Presumendo che anche i primi gruppi dei Misteri fossero stati realizzati con la tecnica polimaterica descritta nell’atto del 1769, è da ritenere che i maestri trapanesi, per rendere il più possibile leggere le statue da portare in processione e volendo ottenere risultati somiglianti a quelli del legno, avessero sperimentato una tecnica con altri materiali; a loro erano sicuramente note le caratteristiche dei manufatti artistici diffusi in Italia nel periodo rinascimentale, realizzati con l’assemblaggio di materiali diversi, opportunamente plasmati e modellati, fino ad ottenere prodotti polimaterici di notevole complessità tecnica.

Gli artisti fiorentini del Quattrocento, al fine di rendere più leggeri i crocifissi processionali, si erano cimentati nella ricerca di nuovi materiali; Antonio Pollaiolo tra il 1470 e il 1480 scelse il sughero per il grande Crocifisso  da «portare a processione», oggi conservato nella basilica di S. Lorenzo a Firenze. Andrea Verrocchio per un Crocifisso, avente la stessa destinazione, si servì di legno stuccato e ingessato, sughero e tela di lino ingessata e dipinta: l’opera, oggi conservata al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, fece da modello ad altri scultori che realizzarono in Toscana crocifissi processionali con la stessa tecnica, tra cui quello della pieve di S. Leonardo a Cerreto Guidi in provincia di Firenze, in sughero con perizoma in tela gessata, opera (1510-1515) di Andrea Ferrucci, scultore legato alla maniera del Verrocchio. Né va dimenticato per l’uso di materiali non tradizionali Antonello Gagini che, nel Cinquecento, in Sicilia, realizzò crocifissi in mistura per la chiese di Alcamo, Assoro, Ciminna e Monreale. In particolare quello di Monreale ha mani e piedi scolpiti in legno di noce, mentre il crocifisso di Alcamo ha un perizoma in tela e colla [16].

Nella ricerca delle origini della tecnica e delle fonti a cui attinsero i maestri trapanesi, va tenuto presente che in tutta l’arte del passato è stata impiegata una molteplicità di materiali; nell’arte greca, in particolare gli archetipi della tecnica polimaterica vanno individuati nelle statue criselefantine di Fidia o negli acròliti del museo di Morgantina e di Reggio Calabria. L’acròlito è infatti un tipo di statua che presso gli antichi Greci – e talora anche presso i Romani –  veniva realizzata scolpendo solo la testa, le braccia o le mani e i piedi, utilizzando pietra, marmo o avorio; tutto il resto era eseguito con materiale meno pregiato o deperibile (per esempio il legno) oppure non esisteva affatto, trattandosi unicamente di una struttura di sostegno (o di una impalcatura) destinata a trattenere le estremità scolpite, che veniva poi rivestita con veri panneggi in tessuto.

Nei secoli seguenti non esiste periodo, fase o cultura, dal livello più alto a quello più popolare o etnologico, che non presenti contemporaneamente prodotti monomaterici e polimaterici. Nelle botteghe polivalenti dei grandi scultori fiorentini, da quelle di Ghiberti e Donatello a quelle di Pollaiolo e Verrocchio, si fece uso di materiali più svariati. Vasari narra di imprese prestigiose sostenute da Jacopo Sansovino e Baccio da Montelupo nell’allestire un ricchissimo apparato in Firenze per la venuta di papa Leone X [17]. Sansovino, in particolare, usava una tecnica divenuta poi basilare per la cartapesta: legno di supporto, tela di rinforzo, strato di cartapesta, gesso e colori. Ed ancora Vasari, nella seconda edizione delle Vite, attribuisce ad Iacopo Della Quercia l’invenzione di modelli di statue con anima lignea, una tecnica messa in atto dallo scultore già all’età di diciannove anni quando, a Siena, per le esequie di Giovanni d’Azzo Ubaldini, realizzò la statua equestre del condottiero facendo «l’ossa del cavallo e della figura di pezzi di legno e di piane confitti insieme, e sopra messo terra mescolata con cimatura di panno lino e, pasta e colla» [18].

Le sperimentazioni effettuate dai maestri fiorentini del Quattrocento non furono fatti isolati in quanto anche in altre aree geografiche d’Italia, dal centro al settentrione, si assistette alla circolazione di opere in cui materiali diversi si combinavano in varie soluzioni e modalità per raggiungere risultati sempre più svariati. In area lombarda, a Mazzo in provincia di Sondrio, nell’oratorio dei santi Carlo e Ambrogio e a Bormio, nel Museo Civico, si trovano due rarissimi trittici, molto simili, che raffigurano la Madonna col Bambino tra le Sante Lucia e Margherita (fine sec. XV), in tela gessata e dipinta.

San Rocco, dal sito: www.regioneumbria.eu/guidamusei/i...

San Rocco, dal sito: www.regioneumbria.eu/guidamusei/i…

Nell’Italia centrale, a Sansepolcro, la città di Piero della Francesca, nel secolo XVI era attivo un intagliatore, Romano Alberti, detto Nero Alberti da Sansepolcro (15021568), che «fece della polimatericità la sua specializzazione, il legno è di solito struttura portante, ma la forma è definita da un materiale plastico. Il tutto veniva poi abbigliato con veri abiti» [19]. Appartenente ad una dinastia di intagliatori, oltre alla bottega nella sua città, aprì una succursale a Roma producendo opere lignee di vario genere e manufatti polimaterici, realizzati con materiali poveri; erano statue costituite da un’anima di legno, generalmente pioppo, attorno alla quale gli aiutanti del maestro di bottega avvolgevano stracci, stoppa e cordame, dando al tutto un aspetto antropomorfo. I maestri più esperti o il capobottega, infine, vi applicavano strati sempre più sottili di gesso, modellando la statua nella sua forma finale. Il manufatto, a questo punto, poteva essere colorato e decorato con monili, pietre e rivestito di panni imbevuti di colla. Con questa tecnica Nero eseguì, soprattutto per la provincia, un gran numero di statue di santi. Altra tipicità della bottega fu quella dei «manichini da vestire», realizzati con arti snodabili in modo da rendere più agevole la vestizione con abiti sontuosi e stoffe pregiate: ne fanno parte le Madonne e i Bambini Santi, anche detti Santi in casa, in genere raffiguranti il Bambin Gesù o San Giovannino, destinati alla devozione domestica dei fedeli.

La TC elicoidale, cui sono state sottoposte alcune delle opere di Nero, in occasione della mostra tenutasi ad Umbertide nel 2005, ha rivelato che 

«l’impalcatura delle sculture è composta da una struttura lignea, il cui asse portante è un montante che si estende verticalmente, arrivando in alto all’interno del capo e in basso fino alla regione pelvica: all’altezza delle spalle si incastra una traversa lignea, consolidata nel punto dell’incastro da un grosso chiodo metallico. Alle estremità di questa traversa sono fissate, mediante chiodi, due ulteriori strutture lignee che costituiscono l’ossatura delle braccia, mentre in basso sono fissati al montante due settori lignei che corrispondono agli arti inferiori…. L’intera struttura è ancorata al basamento grazie a staffe metalliche che ne assicurano la tenuta. Tra il guscio gessoso di superficie e l’anima lignea, la statua è poi riempita da una notevole quantità di stoppa di canapa che occupa tutto lo spazio vuoto tra lo scheletro e il rivestimento esterno. Per realizzare le parti ornamentali, come i calzari o le brache, si utilizzava tela impregnata di gesso e colla, forse colla di amido, che, essendo meno liquida della colla animale, era più adatta in fase di modellazione» [20]. 

Il modo di creare l’ossatura interna è paragonabile a quello del «legno tela e colla», con la variante del riempimento che a Trapani è di sughero e raramente di paglia ricoperta da fasce di tela [21].

Figura maschile orante, Curtatone (Mantova)dal sito www.fermi.mn.it/grazie/italiano/a5.html

Figura maschile orante, Curtatone (Mantova)dal sito www.fermi.mn.it/grazie/italiano/a5.html

Altro esempio di scultura polimaterica da ben considerare, nella ricerca delle origini della tecnica del «legno tela e colla», sono gli ex voto conservati nel santuario della Beata Vergine delle Grazie a Curtatone, nei pressi di Mantova [22]; si tratta di opere inserite in una impalcatura lignea, unica al mondo, ideata dal frate francescano Giovan Francesco da Acquanegra nel 1517. All’interno di nicchie trovano posto statue polimateriche –  di legno, stoffa, cartapesta e cera – che rappresentano sia umili pellegrini che personaggi famosi, imploranti grazie o testimoni di grazie ricevute. Sottoposte a restauro nel 2000, al di sotto di abiti ottocenteschi, le sculture hanno rivelato panneggi originari in tela di lino, gessata e dipinta, caratterizzati da una policromia dai colori vivaci. In alcuni casi mani e viso (e altre parti del corpo) sono in legno intagliato e si presentano come elementi separati, connessi poi al corpo tramite cuciture o incollaggio: rami non sgrossati fanno da sostegno interno [23].

I procedimenti tecnici usati nel Cinquecento da Nero Alberti e dall’autore o dagli autori delle opere polimateriche di Curtatone, inequivocabilmente, rimandano alla tecnica trapanese. In passato si è ritenuto che l’inventore di essa fosse stato Giovanni Matera il quale creava naturalistiche statuine da presepe, in legno di tiglio per le parti anatomiche in vista, in tela e colla per i vestiti, legno per lo scheletro. Antonino Uccello nel 1979 lo considerava «il caposcuola di una ricerca espressiva che in sé trova sporadiche applicazioni anche in precedenza, e raggiunge ora, nella scultura di piccolo formato, quei livelli che nella stessa epoca sono solo riscontrabili nella ceroplastica» [24].

Venditrice di uova, attr. a G. Matera, foto da archivio Novara

Venditrice di uova, attr. a G. Matera (ph. Archivio Novara)

Mastru Giuvanni lu pasturaru, come Matera era conosciuto ai suoi tempi, fu un maestro di rango più elevato rispetto a tanti altri che in Sicilia realizzavano singoli pastori, in quanto egli eseguiva presepi completi in «legno tela e colla», destinati alle chiese e alle case di nobili e ricchi privati. Considerato che i primi Misteri furono realizzati agli inizi del Seicento con la tecnica polimaterica, si deduce che Giovanni Matera non può esserne stato l’inventore, essendo nato nel 1653; si può tuttavia riconoscere al maestro il merito di avere trasferito il procedimento tecnico dalla statuaria processionale alle sculture «in piccolo» per i presepi. Né certamente è un demerito per i nostri valenti artigiani trapanesi l’aver fatto tesoro di esperienze tecniche già sperimentate in altre zone d’Italia, anzi va ad essi riconosciuto di aver saputo rielaborare dei procedimenti operativi e nobilitare dei materiali poveri, assemblandoli, manipolandoli, modellandoli e colorandoli, fino a far loro assumere un aspetto incredibilmente verosimigliante.

Veicolo conduttore di esperienze e conoscenze nell’ambito della scultura, furono senza dubbio gli ordini religiosi: i Francescani e i Gesuiti. Va ricordato che a Trapani, fin dalla seconda metà del XVI secolo, presso il convento dei Francescani era aperta una scuola per intagliatori e scultori, frequentata da molti giovani. Stampe devozionali, incisioni di opere di grandi artisti, repertori iconografici, testi vari, venivano poi diffusi e veicolati dagli ordini religiosi ed erano presenti nelle loro biblioteche.

Quando alla fine del Cinquecento le rigorose disposizioni del Concilio di Trento vietarono le rappresentazioni sulla passione di Gesù con personaggi viventi, nelle varie aree geografiche mediterranee di religione cattolica, si scelse di affidare alle sculture processionali il compito di raccontare al popolo la passione di Cristo e di indurre lo spettatore alla meditazione, proponendo raffigurazioni fortemente suggestive. Fu questo un nuovo genere di processioni, divenuto la traduzione scultorea delle rappresentazioni medievali dei Misteri dolorosi di Cristo.

La scultura spagnola del Seicento, sulla scia della pittura religiosa del periodo aureo, si fece interprete del pensiero e della dottrina della Chiesa, producendo soprattutto statue lignee, dipinte con notevole realismo, da portare in processione durante la Settimana Santa [25]. Oltre a queste si utilizzarono anche statue abbigliate, antichissima usanza, rinata in età medievale ed attestata nel Duecento in Spagna dove si usava porre sulle statue della Vergine, manti e corone; fu un fenomeno che dal XVI secolo si sviluppò sempre più, per raggiungere nel Settecento il massimo splendore pervenendo, con alterne fortune, fino ai nostri giorni.

In varie parti d’Italia, dalla Liguria (come a Savona) alla Campania (come a Napoli, Sorrento e Procida) e alla Sicilia, sorsero le processioni con gruppi scultorei policromi, raffiguranti in modo plastico e drammatico i momenti della passione e morte di Gesù: i materiali più usati furono il legno e la cartapesta che ebbe in seguito un vasto sviluppo nelle zone dell’Italia meridionale e soprattutto in Puglia.

Per rispondere alle rigorose disposizioni del Concilio, senza rinunciare alla spettacolarità della processione, a Trapani sul finire del secolo XVI e gli inizi del XVII, ad opera della Società del Preziosissimo Sangue di Cristo, in seguito fusasi con la Confraternita di San Michele (1646), si ricorse gradualmente all’uso di gruppi scultorei portati a spalle, raffiguranti i Misteri della Passione [26].

Quasi sicuramente sulla scelta della rappresentazione scultorea e sull’aspetto scenografico, influì la presenza in Sicilia degli Spagnoli, mentre sull’aspetto religioso influì la Chiesa e, probabilmente, un ruolo rilevante dovettero avere i Gesuiti che nel loro programma di catechesi avevano inserita la missione penitenziale con lo scopo di evangelizzare i ceti più umili, anche attraverso elementi spettacolari quali processioni e cerimonie atte a suscitare la pietà religiosa e la compunzione. A scegliere la tecnica quasi certamente furono gli artisti che, nella ricerca di un tipo di scultura processionale rispondente alle finalità devozionali della committenza che richiedeva opere di livello artistico meno elevato, oltre che costi e tempi di lavorazione contenuti, vollero imitare quella lignea utilizzando materiali poveri.

Sacra Famiglia, Trapani, Collezione Cesare Pastore, foto da archivio Novara

Sacra Famiglia, Trapani, Collezione Cesare Pastore (ph. Archivio Novara)

Se vogliamo poi ricercare le fonti stilistiche alle quali gli scultori attinsero, si deve in primo luogo considerare l’arte devozionale barocca, ma anche quel filone della pittura seicentesca, di ambito naturalistico, che ebbe in Caravaggio il degno rappresentante, senza sottovalutare la forte suggestione in seguito suscitata sugli artisti siciliani dei secoli XVII e XVIII dalla vasta produzione di opere lignee di fra Umile da Petralia, la cui «opera si inserisce bene nel clima della controriforma» [27]. Sempre e comunque è possibile individuare nei gruppi processionali trapanesi, come persistenti, i caratteri di un’arte devozionale che, con evidente teatralità, ha l’intento di suscitare pietà e coinvolgimento attraverso le componenti realistiche e drammatiche.

Sulla storia dei Misteri, lunga quattrocento anni, esiste un’ampia letteratura nella quale sono confluiti, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, numerosi scritti che hanno privilegiato l’aspetto storico-esegetico e etnico-antropologico, lasciando in ombra quello tecnico e stilistico e talvolta reputando le statue sculture in legno o in cartapesta. Anche se i nomi dei maestri dei primi del Seicento sfuggono all’indagine, è importante sottolineare che molti furono gli artisti che si dedicarono a questo tipo di plastica, per lungo tempo considerata «minore» e popolare: dal già citato Giovanni Matera, tra il XVII e il XVIII secolo, ai Ciotta, a Giacomo e Giuseppe Tartaglio, Antonio, Francesco e Domenico Nolfo, Baldassare Pisciotta, Andrea e Alberto Tipa, nel XVIII, fino ad arrivare a Domenico Li Muli nel Novecento. All’interno dei loro attrezzati laboratori-atelier, oltre che gruppi scultorei o semplici figurine da presepe si creavano anche statue di santi, di Maria, Giuseppe e del Bambino Gesù.

Va infine evidenziato, come elemento peculiare, che il loro era un lavoro manuale fatto di collaborazione fra più persone, cui ciascuno contribuiva, per la sua parte, al raggiungimento del risultato finale di un’opera tridimensionale, a tutto tondo, realizzata con materiali poveri: un lavoro di scultura, di assemblaggio, di manipolazione  e colorazione, che, partendo da una struttura interna di sostegno, «per via di porre» produceva esemplari unici, fortemente suggestivi, di sicuro impatto narrativo, espressivo e devozionale. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Note
[1] La tecnica «legno tela e colla» è stata definita «a cachért» da Georg Hager, direttore del Nationalmuseum di Monaco di Baviera agli inizi del Novecento. Su Matera vd. fra l’altro: G. Cocchiara, I pastori del Matera, in “Sicilia” n. 36, 1962; G. Bongiovanni, Giovanni Antonio Matera un grande scultore di figure “in piccolo”, in “Kalós”, anno III, suppl. al n. 6, novembre- dicembre 1991, che contiene la bibliografia precedente. 
[2] Tra la vasta bibliografia sui Misteri di Trapani vd. in particolare: F. Mondello, Album Artistico: La Processione del Venerdì Santo in Trapani ossia la Passione di Gesù Cristo illustrata con venti gruppi statuari detti Misteri e con cenni storico-esegetici, Biblioteca Fardelliana, Trapani, ms. 313 del 1901; M. Serraino, La processione dei Misteri. La Casazza Magna, Trapani 1980; G. Cammareri, La Settimana Santa nel trapanese. Passato e presente, Trapani 1988; L. Novara, I gruppi statuari dei Misteri di Trapani: tecnica e stile in “Legno tela &…  La Scultura polimaterica trapanese tra Seicento e Novecento”, a cura di AM. Precopi Lombardo – P. Messana, Erice 2011: 115-121; Eadem, I gruppi processionali di Trapani, in “Legno tela &… 2011: 131-150; Eadem, Settimana Santa a Trapani, I riti e i Misteri, Trapani 2021.
[3] AST (Archivio di Stato Trapani), 15 ottobre 1769, not. B. Renda.
[4] Alcune statue dei secoli XVII e XVIII presentano come materiale riempitivo, in alternativa al sughero, paglia, legata agli elementi lignei dello scheletro e trattenuta da strisce di tela: cfr. B. Figuccio, I Dolenti “Maria e l’Apostolo Giovanni” in Legno tela &… 2011: 67-69.
[5] Supra nota 3.
[6] AST, 16 febbraio 1764, not. D. Adragna: cfr. S. Accardi, I misteri di Trapani. Ricerche inedite e curiose, Trapani 2022: 46.
[7] AST, atto 17 luglio 1766, not. D. Adragna: cfr. S. Accardi, I misteri …, 2022: 46.
[8] AST, 20 febbraio 1772, not. M. Rosselli: cfr. S. Accardi, La processione dei misteri e le Maestranze di Trapani nei secoli XVIII-XX. Accenni storiografici. Ricerche inedite e curiose, Trapani 2024: 50-52.
[9] Supra nota 3.
[10] B. Figuccio, La scultura polimaterica trapanese e la tecnica di esecuzione. in “Legno tela &…” 2011: 47-54.
[11] Cfr. S. Accardi, I misteri …, 2022: 29-31. Su Nicola Renda vd.: L. Novara, Renda (di) in “Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo”, catalogo della mostra (Trapani) a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2003: 392. Eadem, La chiesa e il collegio. Dal documento al monumento, in “A. Buscaino, I Gesuiti di Trapani”, Trapani 2006: 280.
[12] Ibidem: 31-32.
[13] AST, 8 agosto 1765, not. A. Maurici, trascritto in Serraino, La processione…1980, all. IX.
[14] Ibidem.
[15] Per l’attribuzione al Renda vd.: S. Accardi, I misteri …, 2022: 29-31.
[16] Vd.: N. Contino, Il crocifisso dell’abbondanza di Alcamo e gli altri crocifissi in mistura di Antonello Gagini, in “La memoria restituita – gli interventi della Banca Don Rizzo a favore del patrimonio storico, artistico e culturale del territorio alcamese”, a cura di R. Alongi e L. Biondo, Alcamo 2008: 31-39. 
[17] G. Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori ed architettori (Firenze 1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-1885, rist. Firenze 1906. Su Sansovino e la cartapesta vd.: B. Boucher, The Sculpture of Jacopo Sansovino, I, New Haven-London 1991: 107-110; II: 346-351; M. Bonelli – M.G. Vaccari, “Il gran quadro di basso rilievo…”. Un ritorno in Jacopo Sansovino; in “Jacopo Sansovino. La Madonna cartapesta del Bargello. Esemplari a confronto, catalogo della mostra (Firenze) a cura di M. G. Vaccari, Roma 2006: 25-37.
[18] G. Vasari, Le Vite…, 1568, ed. 1906, II:.110-111. Vasari ci informa inoltre che anche le sculture in cera erano fatte con «l’ossatura di legname […] ed intessuta di canne spaccate» (G. Vasari, Le Vite…, 1568, ed. 1906, I:.153-154. Nel 1802 lo scultore pistoiese Francesco Carradori, nell’Introduzione elementare per gli studiosi della scultura, (a cura di G. C. Sciolla, Treviso 1979), attingendo a fonti precedenti, darà le istruzioni per realizzare l’ossatura interna di un modello di statua.
[19] R. Casciaro, Tecnica e artificio: racconti di cartapesta nella storia dell’arte italiana, in “La scultura in cartapesta Sansovino, Bernini e i maestri leccesi tra tecnica e artificio”, catalogo della mostra a cura del Museo Diocesano di Milano, Milano 2008: 19.
[20] R. Casciaro – C. Galassi, Cartapesta e scultura polimaterica nell’Italia del Rinascimento, in “La scultura in cartapesta …” 2008: 53. Si veda inoltre: Sculture “da vestire”. Nero Alberti di Sansepolcro e la produzione di manichini lignei in una bottega del Cinquecento, catalogo della mostra a cura di G. Galassi, Perugia 2005.
[21] Supra nota 4.
[22] Mira il tuo popolo. Statue votive del Santuario di Santa Maria delle Grazie, catalogo della mostra (Mantova) a cura di M. G. Vaccari, Milano 2000.
[23] Sculture e manichini votivi, a grandezza naturale, con volti e mani di cera, capelli veri ed abiti in tessuto, nel ‘400 e nel ‘500 si trovavano anche nel Santuario della Santissima Annunziata di Firenze.
[24] A. Uccello, Il presepe popolare in Sicilia, Palermo 1979: 151.
[25] Tra i maestri spagnoli ricordiamo: Gregorio Fernández (15761636), massimo esponente della Scuola di Valladolid ed erede dell’espressività di Alfonso Berruguete, autore fra l’altro di una Pietà, lignea policromata di un Paso della Settimana Santa, al Museo Nazionale della Scultura a Valladolid; Pedro de Mena (1628-1688), cui si devono opere di forte tensione emotiva come la Mater Dolorosa del convento delle Descalzas Reales di Madrid.
[26] Vd.: L. Novara, Sulle origini della tecnica “legno tela e colla”, in “L’amato volto”, a cura di Associazione Gruppo Sacro dei Misteri Simulacro l’Addolorata, Trapani 2016: 69-75.
[27] S. La Barbera, Umile da Petralia, fra’, in “L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, III Scultura”, Palermo 1994, ad vocem.

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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore. Ha recentemente pubblicato con M. A. Spadaro, Il liberty a Trapani. Architetture e protagonisti della modernità (ed. Kalos).

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