di Rossano Pazzagli
La scuola è lo specchio della comunità, il principale strumento culturale della sua riproduzione, l’ambito educativo e formativo delle relazioni e dei valori che connettono la dimensione locale con il mondo. La scuola è anche il luogo fisico, l’edificio, il simbolo materiale della vita che passa da una generazione all’altra, un riferimento sociale di rilevante significato identitario e di orientamento spaziale, al pari della chiesa, del municipio, del cimitero. È così soprattutto nei paesi, nei borghi rurali e nei villaggi di montagna di cui è costellata l’Italia.
Per tante località delle aree interne italiane la chiusura della scuola, conseguente allo spopolamento e alla marginalizzazione di cui è stata vittima gran parte del territorio nazionale, ha significato la perdita di futuro, accentuando le disuguaglianze tra le zone forti e le zone deboli, la città e la campagna, la pianura e la montagna. Si è costruita così, in modo accelerato nella seconda metà del ‘900, una grande periferia italiana come contraltare dei processi di industrializzazione, di urbanizzazione e di polarizzazione dei servizi e delle opportunità. La visione polarizzante in un paese fortemente policentrico come l’Italia è stata un errore che pagheremo a lungo.
Quand’ero bambino c’erano scuole perfino nelle campagne, e in un piccolo comune come quello dove sono cresciuto, nella Toscana rurale degli anni ’60 c’erano cinque e o sei plessi scolastici sparsi nel territorio comunale. Io ho fatto le prime classi delle elementari nella casa di un contadino, presso cui l’amministrazione scolastica aveva affittato una stanza dotandola di cattedra, banchi e lavagna, frequentata da una decina di alunni dai 6 ai 10 anni provenienti dai poderi intorno, qualcuno distante anche qualche chilometro. Era una pluriclasse, con una maestra generalmente molto giovane e alle prime armi. Si chiamavano scuole sussidiarie e forse il mio era un caso estremo, trovandosi la “scuolina” in aperta campagna. Ma in tutta Italia c’erano scuole simili nelle contrade, nei piccoli borghi o frazioni distanti dal capoluogo comunale. La necessità di assicurare il diritto/dovere all’istruzione, sancito dalla ancora giovane Costituzione, si esplicava attraverso servizi scolastici che cercavano di avvicinarsi il più possibile all’utenza e ai territori.
Sarebbe una storia da fare e da ripensare, non per tornare alla scuola dei nonni, ma per raccogliere l’importanza di un legame ravvicinato tra scuola e territorio, tra educazione/istruzione e contesti di vita, poiché oggi ci troviamo in una situazione di crescente decontestaulizzazione dell’azione formativa, in una sorta di deterritorializzazione della scuola. Si tratta di un aspetto negativo delle tendenze globalizzanti ed omologanti del nostro tempo, di un grave danno per le aree interne del Paese.
Giustamente la Strategia nazionale per le aree interne (Snai) riconosce che i servizi di istruzione rappresentano il principale presidio culturale in cui le giovani generazioni ricevono ed elaborano il loro sapere, e il più importante luogo fisico in cui incontrano collettivamente i valori civici universali. Ne consegue l’obiettivo di promuovere la qualità dell’insegnamento e di salvaguardare il fondamentale diritto all’istruzione per le comunità delle zone rurali e montane. Ma anche laddove la Strategia sta andando avanti, ci si muove spesso in direzione della costituzione dei cosiddetti poli scolastici e della correlata cancellazione delle scuole di paese, ispirata da una ormai abusata logica del dimensionamento secondo la quale le strutture grandi assicurerebbero più elevati standard di qualità e di sostenibilità economica. In alcuni casi questo porta a costruire edifici scolastici avulsi dalle comunità che dovrebbero servire, spersonalizzati e staccati dal tessuto connettivo dei paesi, producendo scuole che rispondono più alla logica del centro-servizi che alla loro importanza come riferimento sociale e spaziale per la collettività.
Eppure ci sono esperienze attive che dimostrano come sia possibile garantire l’erogazione dei servizi educativi e di istruzione mantenendo le scuole tradizionali, coniugando la funzione di presidio territoriale con una elevata qualità dell’insegnamento. Ciò è possibile se si esce dalla logica della concentrazione degli alunni e dalla demonizzazione delle piccole scuole, che anzi rappresentano spesso – soprattutto se sostenute da adeguati investimenti, sia nelle strutture che nelle metodologie didattiche – esempi di efficienza e di modernità educativa.
Una di queste è quella di Neviano degli Arduini, un comune appenninico in provincia di Parma, dove nell’ambito dell’Istituto comprensivo di Neviano e Lesignano l’applicazione della modalità della pluriclasse ha consentito di tenere presente e viva l’esperienza educativa e dei relativi plessi scolastici nei paesi di Bazzano, Neviano e Scurano. Dal confronto con il dinamico e intraprendente dirigente scolastico Adriano Cappellini, è emersa l’interessante esperienza, da un punto di vista organizzativo oltre che pedagogico, della scuola di Scurano, un paese di circa 400 abitanti frazionato in varie località che dista circa 50 km dalla città di Parma e 15 dal capoluogo comunale. La strada che collega il piccolo paese con il capoluogo è strada di montagna, in inverno spesso gelata o ricoperta di neve. Per raggiungere la scuola di Neviano-capoluogo i bambini avrebbero dovuto affrontare impegnativi viaggi giornalieri, lunghi per loro e costosi per il Comune. Così, dall’ anno scolastico 2005/2006 è stato avviato un progetto sperimentale di cofrequenza dei bambini dell’Infanzia con quelli della primaria, dunque per la fascia d’età che va dai 3 ai 10 anni.
Gli attori coinvolti in questo progetto sono stati molteplici: l’Istituto Comprensivo che ha progettato e monitorato il progetto, il CSA (ex Provveditorato) che ha messo a disposizione un posto in organico per la scuola dell’Infanzia, il Comune di Neviano che ha effettuato lavori di ristrutturazione e manutenzione dell’edificio, la Fondazione Cassa di Risparmio di Parma con un finanziamento per gli arredi interni ed esterni. Attualmente la scuola di Scurano, denominata “la casa tra gli aceri” funziona con 15 bambini alla primaria e 12 alla materna. La scuola primaria è caratterizzata da un’unica pluriclasse che, grazie all’organico d’Istituto, viene divisa in due gruppi di lavoro: uno con prima e seconda insieme ai bimbi dell’ultimo anno dell’infanzia, presenti solo in alcuni momenti; l’altro formato dagli alunni di terza, quarta e quinta. Da un punto di vista pedagogico il fatto di consentire a bambini dell’infanzia (di cinque anni) di partecipare a momenti di didattica insieme a bambini di prima della primaria, sta mostrando lenti ma importanti risultati, sfruttando il potenziale di prossimità cognitiva.
Per quello che riguarda l’infanzia, l’assegnazione delle risorse d’organico ministeriale permetterebbe il funzionamento solo antimeridiano comprensivo di pasto. Ma da qualche anno, per andare incontro alle richieste delle famiglie, si è adeguato l’orario dell’infanzia a quello della Primaria (8.00-16.00) grazie a un progetto che prevede la presenza di un educatore per la scuola dell’infanzia nell’orario pomeridiano. Il pomeriggio dell’Infanzia è quindi coperto da personale con competenze educative della locale Cooperativa di Comunità (altro strumento di rivitalizzazione dei paesi) e finanziato in parte dal Comune, in parte dai genitori e, da ultimo, tramite una raccolta fondi effettuata durante l’estate cui tutto il paese collabora.
In sostanza, la scuola di Scurano si configura come una pratica di comunità che corrisponde al paese di cui fa parte e di cui ne garantisce identità, conoscenza, partecipazione, rielaborazione e proiezione nel futuro. Proprio grazie anche alla comunità, che ci ha creduto partecipando con un cofinanziamento, la scuola ha vinto nel 2017 il bando Biblioteche digitali finanziato dal Miur. Ciò permetterà un’ulteriore apertura della scuola al territorio, in quanto tale biblioteca sarà fruibile da tutti gli abitanti. La biblioteca, oltre ai libri cartacei, ha stabilito l’acquisto di e-reader da consegnare agli utenti, insieme alle credenziali per la lettura di testi in formato elettronico, consentendo l’attivazione di una “biblioteca innovativa digitale”, grazie alla quale la stessa scuola potrà realizzare una serie di libri sonori di suoni d’ambiente.
Si tratta come si vede, di un’esperienza scolastica viva, che si muove lungo due binari: da un lato la conoscenza della natura, del contesto e delle tradizioni locali, dall’altro un’istruzione di base moderna, attenta all’innovazione e in connessione con l’esterno, con lo scopo d unire radicamento comunitario e conoscenza del mondo più vasto. Ad esperienze come questa dovrebbero rifarsi le strategie di sviluppo locale nelle aree interne, previa una attenta lettura dei contesti. Così è avvenuto ad esempio nella elaborazione della strategia Snai per l’area molisana del Fortore, dove si propone di «migliorare l’esperienza didattica e formativa nelle pluriclassi con l’obiettivo di creare delle pluriclassi d’avanguardia». La pluriclasse con un numero limitato di alunni si dimostra in tali casi una modalità proficua dal punto di vista dell’apprendimento, perché tutti gli alunni possono essere seguiti quasi in modo individuale e personalizzato, con la possibilità di colmare in itinere eventuali lacune.
Sono esperienze da osservare e imitare, per evitare la spersonalizzazione e il distacco comunitario insito nei tanto propagandati “poli scolastici”, per ridare dignità e slancio alle piccole scuole e alle comunità di riferimento. Con coraggio e lungimiranza occorre mettere al primo posto il mantenimento o il ritorno della scuola (e dei bambini) nei paesi, anche laddove ne sono rimasti pochi. Sarebbe un investimento in futuro, il vero modo per invertire la rotta dello spopolamento e migliorare la qualità della vita in gran parte del territorio italiano.
Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
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Rossano Pazzagli, docente di Storia moderna e Storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise, esponente della Società dei Territorialisti e direttore del Centro di Ricerca per le Aree Interne e gli Appennini, dirige la Scuola di paesaggio “Emilio Sereni” presso l’Istituto Alcide Cervi e fa parte della direzione di varie riviste, tra cui “Ricerche storiche” e “Glocale”. È autore di numerosi articoli e libri; con Gabriella Bonini ha recentemente pubblicato il volume Italia contadina. Dall’esodo rurale al ritorno alla campagna (Aracne).
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