Vi sono nelle religioni, si può affermare in tutte le religioni, manifestazioni rituali ed elementi simbolici che le accomunano, che danno il segno della comune esigenza di tutti i popoli di ricercare la presenza di una o di più Entità Superiori. È necessario quindi un passo indietro nella storia dell’umanità. Una sintetica premessa per affermare che i fondamenti teologici delle diverse fedi sono stati preceduti da fondamenti rituali molto comuni alle principali religioni. Molti studiosi (Mircea Eliade [1] e Pavel Puckov [2] ad es.), fanno risalire il formarsi di un sentimento religioso, e quindi dell’esistenza di una Entità Superiore nella coscienza dell’individuo, ad alcune pratiche rituali e ad alcuni simboli: sepoltura dei morti, culto degli oggetti, il digiuno, le acque e il simbolismo aquatico della purificazione, il sole, la luna e la volta celeste, le pietre, ma anche gli animali, gli alberi e la vegetazione. È il passaggio dal timore delle forze della natura, al culto della vita ultraterrena e all’esistenza delle o della Divinità cui ci si deve rapportare durante la vita terrena attraverso forme di sacrificio, devozione, sottomissione e purificazione. Insomma, dalla notte dei tempi l’esistenza umana si accompagna alla compresenza di una vita ultraterrena.
In questa sede vogliamo restringere le nostre riflessioni a quel gruppo di religioni a noi più affini, quelle abramitiche monoteiste nello specifico, e cioè Ebraismo, Cristianesimo e Islam; soffermandoci in particolare sulla simbologia delle piante e della flora di cui ritroviamo diversi riferimenti nei testi sacri e nelle tradizioni tramandate di queste confessioni, che affondano le loro radici (non a caso uso questo termine così affine al nostro tema) nel bacino Mediterraneo e nel Medio Oriente. Prima di addentrarci nel particolare, ritengo opportuno cercare di comprendere le ragioni che hanno attribuito una funzione religiosa agli alberi e ai simboli vegetali più in generale. Senza voler arrivare a conclusioni affrettate, si può sicuramente affermare che l’albero rappresenta sia da un punto di vista mitologico, ma anche nella sua concreta esistenza l’Universo nel suo divenire, nel suo rigenerarsi senza soluzione di continuità.
L’albero nasce, cresce, si rigenera, muta con le stagioni, fiorisce e fruttifica in un moto che rassomiglia all’eternità. E questo è tanto più vero per quelle essenze arboree la cui crescita e la cui vita si perdono attraverso le generazioni umane che si avvicendano sulla terra. Quindi, in virtù delle sue qualità, l’albero, il vegetale si eleva a oggetto religioso. Inoltre, dobbiamo considerare, ad un’attenta analisi, che l’albero è intriso (o carico) di elementi sacri: è verticale, affonda le sue radici nella terra e si eleva verso il cielo, verso l’Onnipotente; cresce, perde o muta rami e foglie, ma nello stesso tempo li recupera, in un certo senso muore e resuscita in un moto che ci appare quasi perpetuo. Questa sua potenza rigeneratrice ci appare in una luce superiore che simboleggia l’universo nel suo divenire. Insomma, non è un caso se la vita eterna, l’immortalità, la morte e la rinascita, trovano nell’albero il simbolo per eccellenza.
Da qui al concetto di “Albero della vita”, il passo è breve. Questo simbolo o, meglio, questo concetto, lo ritroviamo in molte tradizioni culturali europee, asiatiche, americane precolombiane quale figura, metafora positiva. Ma rimanendo alle nostre fedi abramitiche rileviamo come esplicitamente o implicitamente, viene richiamato:
Nell’Ebraismo:
Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 2 – 8,9).
Il Signore Dio disse allora: Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre (Genesi 3 – 22).
Nel Cristianesimo:
Chi ha orecchi ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dall’albero della vita che è nel Paradiso di Dio (Apocalisse o Libro della Rivelazione attribuita all’Apostolo Giovanni – A Efeso 2 – 7).
Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all’albero della vita e potranno entrare per le porte della città (Apocalisse 22 – 14).
E in mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero della vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. (Apocalisse 22 – 2).
E chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell’albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.(Apocalisse 22 – 19).
Coloro che avranno creduto e compiuto il bene gioiranno in un prato fiorito (Sura XXX – 15). Questa sura del Corano ci porta nel Jannah (paradiso) islamico e anche qui troviamo l’albero della vita. La sua descrizione la ritroviamo in un hadit (pensieri, pareri, racconti di Muhammad, riportati dalla tradizione, sono parte importante della religione per moltissimi credenti). Così lo avrebbe descritto il Profeta:
C’è un albero, nel Jannah chiamato Tuba. Se un veloce cavaliere tenta di attraversare la sua ombra, dovrà viaggiare un centinaio d’anni. Le sue foglie sono verde smeraldo e i suoi fiori sono panni gialli. I suoi rametti di fine broccato. I suoi frutti sono gioielli e la sua gomma è zenzero e miele. I suoi ciottoli sono rossi rubini e verdi smeraldi e il suo suolo è muschio. La sua erba è zafferano, emana un dolce profumo senza essere bruciata. Dalle radici nascono fiumi di acqua fresca e vino squisito. La sua ombra è un raduno per l’incontro degli abitanti del Jannah. Loro lo amano e conversano qui tutto il tempo.
Ma quelli che credettero e operarono il bene, saranno introdotti in giardini alle cui ombre scorrono fiumi, dove rimarranno in eterno col permesso del loro Signore, ed ivi sarà il loro saluto: “Pace”. Non vedi come Dio assomiglia una buona parola a un albero buono che ha radice salda e i rami alti nel cielo, che dà i suoi frutti ad ogni stagione col permesso del Signore? (Sura XIV – 23 – 24 – 25).
L’Albero della vita, dunque, l’albero e non un altro simbolo, quale portatore di vita o di immortalità e resurrezione. Una simbologia che lo eleva al di sopra di ogni elemento presente in natura. Ma quale può essere nel concreto la specie vegetale che più si avvicina a questo mitico emblema?
È forse l’olivo l’Albero della vita?
Nelle religioni monoteiste, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, religioni dell’area mediterranea, l’olivo è considerato una pianta sacra, simbolo di pace. Una pianta coltivata nei vasti terrazzamenti, che non solo fornisce un alimento prezioso, con le sue foglie sempreverdi e la sua longevità pari a quella di pini e sequoie, ma che per diversi secoli è fonte di luce, come combustibile delle lampade. La più antica testimonianza scritta sull’olivo la troviamo proprio nell’Antico Testamento, libro sacro dell’ebraismo, nell’episodio del Diluvio Universale: Noè passati quaranta giorni per capire se le acque si erano ritirate fece uscire prima un corvo e poi una colomba, ritornarono all’Arca senza nulla nel becco. Noè aspettò altri sette giorni e di nuovo mandò la colomba fuori dall’ Arca. Quando scese il vespro, la colomba ritornò da lui: ed ecco aveva nel becco una fronda di olivo.
Nel cristianesimo possiamo ricordare la Domenica delle Palme che rievoca l’ingresso di Gesù a Gerusalemme accolto dalla folla che agitava rami di olivo e palmizi. L’olio è utilizzato, inoltre, nel battesimo, nella consacrazione dei sacerdoti, nell’unzione dei malati e nella cresima. L’olivo e l’olio sono più volte citati nel Corano fra i benefìci concessi dal Signore all’umanità. Al riconoscimento del valore alimentare e terapeutico dell’olio si accompagna spesso l’attribuzione di un valore simbolico, molto sfruttato in chiave mistica, legato alla produzione di luce. Particolarmente suggestivo ed incisivo a questo proposito il seguente passo coranico:
Dio è la luce dei cieli e della terra, e si rassomiglia la Sua Luce a una nicchia, in cui è una Lampada, e la Lampada è in un Cristallo, e il Cristallo è come una Stella lucente, e arde la Lampada dell’olio di un albero benedetto, un Olivo né orientale né occidentale, il cui olio per poco non brilla anche se non lo tocchi fuoco (Sura XXIV – 35).
L’olivo, quindi, così fecondo, pur crescendo in territori caldi e dove spesso regna la siccità e la cui esistenza va ben oltre la vita umana, può essere a pieno titolo al vertice delle essenze arboree e rappresentare “l’Albero della vita” o che dona la vita, sia nel senso materiale che spirituale.
Ma l’importanza degli alberi e dei vegetali nelle tre religioni abramitiche, non si esaurisce nel solo olivo; diverse sono le essenze arboree citate nei testi sacri e nella tradizione: acacie, mirti, cedri, olmi, cipressi, ma anche melograno, fico e tamerice. Un posto di particolare rispetto spetta alla palma da datteri.
Secondo un pensiero arabo la palma cresce con la testa al sole e i piedi nell’acqua, rappresentando, nelle vaste distese del deserto, la presenza di acqua. Per tale caratteristica, essa simboleggia la vita, la rinascita. Per la sua attitudine di slanciarsi verso il cielo, la palma era considerata un elemento di collegamento tra il terreno e il divino. Un episodio riportato nel Corano e ben in due vangeli apocrifi (Matteo, Giacomo) ha come protagonisti Maria, madre di Gesù, e la palma da dattero, questo anche a significare lo stretto legame che comunque unisce le religioni cui ci stiamo riferendo.
Nei Vangeli (apocrifi citati):
Mentre da Betlemme andavano in Egitto, Maria chiese a Giuseppe di riposare all’ombra di un’alta palma. La Madonna vide i datteri e ne desiderò uno, ma Giuseppe le disse che la palma era troppo alta e non era possibile prenderli. Gesù, che era in braccio a Maria, si svegliò e disse alla palma: Abbassa i tuoi rami e nutri mia madre.
Nel Corano:
I dolori del parto costrinsero Maria a riposare vicino ad una palma. Mentre soffriva per il travaglio, un angelo le gridò di non rattristarsi e le disse: Scuoti verso di te il tronco della palma e questa farà cadere su di te datteri freschi e maturi (Sura 19, la Sura di Maria).
È bello constatare come queste similitudini rendano le diverse fedi così vicine. Concludiamo questa riflessione con il grano, che albero non è, ma il vegetale che con i suoi frutti è padre e madre della nostra vita, attraverso ciò di cui ciascuno di noi necessita e che rappresenta la base di sussistenza di ogni popolo, che nella carestia e nelle guerre è il primo che viene invocato a gran voce: Il Pane.
Il grano è uno dei vegetali citati numerose volte nella Bibbia. In ambito cristiano Gesù è paragonato al seme di grano che muore nella terra per rinascere, le sue parole e i suoi esempi sono come semi che cadono e attecchiscono nei nostri cuori per produrre buoni frutti. Nel Corano:
E quando uno dona dei suoi beni sulla via di Dio è come un granello che fa germinare sette spighe, ognuna delle quali contiene cento granelli; così Dio darà il doppio a chi vuole, e Dio è ampio sapiente (Sura II – 261).
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] Mircea Eliade: Trattato di Storia delle Religioni, Bollati Boringhieri Torino 2008
[2] Pavel Pučkov: Le religioni nel mondo d’oggi, Teti editore Milano 1978.
Riferimenti bibliografici
Il Corano, a cura di Alessandro Bausani, editrice BUR Milano 2001.
La Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento), testo ufficiale CEI, edizioni Piemme Casale Monferrato 1988.
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Francesco Gianola Bazzini, dottore in Giurisprudenza e in Relazioni Internazionali, mediatore in ambito giuridico, consigliere del Centro Interdipartimentale Ricerca Sociale dell’Università di Parma, studioso di Sociologia delle Religioni e dell’Islam politico moderno, ha svolto seminari didattici presso due corsi di studio della stessa Università e attività divulgativa presso diverse realtà politico-culturali.
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