Stampa Articolo

La sofferenza degli Altri. I migranti bloccati tra Ceuta, Melilla e la pandemia

melilla-blu

Melilla, lo street artist italiano Blu ha dipinto una gigantesca bandiera europea: al posto delle dodici stelle, il filo spinato

di Giulia Rieti

Ci accorgiamo delle sofferenze che abitano il mondo solo quando colpiscono anche noi. Finché non siamo noi a patire epidemie, uragani, guerre, lotte, carestie, inondazioni, bombardamenti, torture, ingiustizie, maldicenze, violazione di diritti e crudeltà non ci rendiamo proprio conto di cosa accade attorno a noi. Queste disgrazie ci appaiono lontane (seppure molto spesso non lo sono) e questa distanza è come se ci legittimasse a non pensarci, ad andare oltre senza nemmeno soffermarci sui diversi problemi reali ed esistenti, che colpiscono circa cinque miliardi di persone povere.

Quando invece è la nostra stessa persona ad essere minacciata, o una realtà fisicamente più vicina a noi, allora sì che iniziamo a riflettere sulla vita, sui suoi valori e non ci sentiamo più così forti di far parte di “quell’Occidente più sviluppato”, che appare migliore rispetto agli altri mondi solamente perché dotato di sistemi medico-sanitario più avanzati, di fondi d’investimento maggiori, di tecnologie più aggiornate e di personale specializzato per qualsiasi settore. Questa visione, rafforzata dall’occidentalismo, pone i Paesi europei su una sorta di piedistallo, assegnando loro una presunta superiorità e intoccabilità rispetto a tutti gli altri, e in nome di questa superiorità ci si crede invincibili e protetti dai mali lontani, che colpiscono l’esistenza dell’essere umano. E invece da un giorno all’altro l’incantesimo s’è rotto e ci siamo ritrovati tutti indistintamente nella stessa condizione: l’umanità intera ha patito e sta continuando a subire gli effetti della pandemia Covid-19; sebbene ogni Paese disponga di mezzi diversi, siamo stati colpiti tutti e stavolta la malattia non si è diffusa solo nei Paesi del Terzo Mondo, da sempre facile vittima di malattie come  la malaria, la febbre gialla, l’HIV, l’epatite A e B, la febbre dengue o la poliomielite, difficili da debellare in nazioni povere, con un sistema sanitario fragile e strutture economiche e tecnologiche inadeguate. Il Covid-19 ha colpito tutti e ci ha costretto a tenere gli occhi aperti e a guardare anche noi la sofferenza degli Altri.

Vorrei dunque porre in questo articolo l’attenzione su una condizione di sofferenza da noi poco sentita, per molti forse anche inimmaginabile, vissuta dai migranti che si trovavano nella situazione di voler, o meglio dover, attraversare le barriere che separano il continente africano dall’Europa, le uniche due vie di accesso terrestri esistenti, che separano il Vecchio continente dal resto del mondo. Ovvero le due enclave spagnole in territorio marocchino: Ceuta e Melilla. Ho lavorato su questo tema per la stesura della mia tesi triennale, intitolata “Ceuta e Melilla: alla frontiera delle ingiustizie” [1] e richiamandomi a quelle pagine, rielaborate e aggiornate, vorrei ragionare intorno alla condizione dei migranti nel tempo della pandemia, un evento traumatico che ha ribaltato le sorti del mondo intero  ma come sempre ha colpito maggiormente determinate categorie di persone e non ha fatto altro che evidenziare le diseguaglianze e le discriminazioni che abitiamo quotidianamente.

Non avendo potuto condurre io stessa un’indagine sul campo, mi sono dedicata alla ricerca di materiale originale cui riferirmi, quindi mi sono basata su interviste condotte da altri, raccogliendo dati e fatti per cui la visione di documentari, filmati di informazione e reportage si sono rivelati una valida fonte di cui mi sono servita per procurarmi informazioni soprattutto in merito alle storie di vita delle persone. Ho utilizzato inoltre dati tratti dal lavoro di rielaborazione dei miei appunti presi durante le lezioni del corso di Antropología de las migraciones, presso la Universidad de Sevilla, che ho frequentato nella città spagnola grazie al progetto Erasmus; altro materiale e informazioni li ho recuperati dai dossier elaborati dalle associazioni e ONG [2] operanti sul territorio, e trattandosi di eventi di massima attualità, ho fatto spesso riferimento ad articoli di giornali che si sono rivelati utili materiali di documentazione non meno delle leggi organiche riguardanti i diritti universale degli esseri umani.

im-2

Posizione delle due enclaves spagnole sul territorio marocchino

Provenienze

Differenti rotte [3] conducono alle frontiere meridionali della Spagna: via mare, dal Marocco fino alle coste meridionali del Paese, principalmente a Tarifa (città la cui collocazione geografica la porta ad essere il punto più a sud d’Europa) e dal Marocco, Mauritania o Senegal fino alle isole Canarie; oppure via terra: dal Marocco raggiungendo le due enclave spagnole situate nel nord dell’Africa: Ceuta e Melilla. Migranti o rifugiati raggiungono queste enclave attraverso il mare (a nuoto o su piccole imbarcazioni), ma possono arrivare in Marocco anche passando lungo la costa (dal Senegal attraversando la Mauritania) o entrando per l’Algeria, una volta attraversato il Niger o il Mali. Quest’ultima rotta è battuta soprattutto da profughi della Costa d’Avorio e della Repubblica Democratica del Congo.

Per quanto riguarda i flussi di migranti siriani che compiono il loro viaggio verso il Marocco per arrivare in Spagna, la maggior parte inizialmente prendeva l’aereo fino in Algeria (ciò era possibile in quanto come cittadini siriani era loro concesso entrare nel Paese senza bisogno di un visto), per poi attraversare illegalmente la frontiera tra Algeria e Marocco. Questa rotta però non è più praticabile dal gennaio del 2015, allorché l’Algeria ha iniziato a richiedere il visto d’ingresso. Il fenomeno dell’immigrazione illegale è controllato da Frontex [4] che ha come obiettivi il controllo e la sorveglianza delle frontiere esterne alle aree dell’Unione Europea, marittime e terrestri, e si occupa inoltre della stipulazione di accordi con i Paesi confinanti per quanto riguarda la riammissione degli immigrati respinti.

Con l’approvazione della Ley de Extranjeria [5] del 1985, e l’adesione al Trattato di Schengen [6] (in vigore dal 26 marzo del 1995), la Spagna inizia una politica di chiusura progressiva delle sue frontiere, passando quindi dalle scelte politiche allo loro esecuzione: si procederà dunque alla costruzione di barriere che via via verranno costruite e rinforzate maggiormente, trasformando così questi luoghi di frontiera in spazi di pericolo, violenza e paura. Il tracciare confini non serve solamente a dividere due territori in senso fisico, a delimitarne l’appartenenza e il campo di intervento, contribuisce piuttosto a generare differenze e diffidenze, comportando di conseguenza una separazione a livello politico, sociale e giuridico: «Lo spazio europeo vive oggi un periodo di profonda ridefinizione delle sue frontiere esterne e dei suoi confini interni, intesi non solo nella loro declinazione territoriale ma anche e soprattutto come linee di demarcazione della differenza sociale» (Fassin, 2011: in Riccio).

im-4

Una parte della barriera eretta a Melilla

Le barriere e l’abuso di potere

Le frontiere tra le città spagnole di Ceuta e Melilla e il Marocco sono controllate dal Sistema Integrato di Vigilanza Esterna (SIVE) amministrato dalla Guardia Civil e utilizzato in tutta la Spagna per un miglior controllo delle frontiere meridionali, delle isole Canarie e delle isole Baleari. Anche il Marocco fa la sua parte in questo senso: è presente nella supervisione e il controllo del territorio mediante la sua polizia. Il modello di costruzione delle barriere è simile per entrambe le città spagnole: recinzioni esterne ed interne, con una strada di transito tra le due, controllata sia dalle forze dell’ordine spagnole sia da quelle marocchine, e con l’impiego di strumenti ad alta tecnologia come: sistemi di rilevamento, camere di vigilanza, sensori di suono e sensori termici per rilevare i movimenti, equipaggiamenti con luci a visione notturna. La realizzazione di entrambe le barriere viene finanziata parzialmente dai Fondos Europeos de Desarrollo Regional. Questo fatto ha sollevato perplessità e ambiguità visto l’utilizzo del termine desarollo (sviluppo). Non era infatti specificato che tipo di “sviluppo” avrebbe effettivamente apportato la costruzione di queste barriere, e siccome nessuno lo domandò pubblicamente tutto proseguì senza ostacoli e le barriere cominciarono a essere costruite.

La recinzione di Ceuta è una barriera fisica tra il Marocco e la città autonoma di Ceuta, innalzata nel 1995. Si tratta di due cortine parallele con una lunghezza pari a 8,3 Km e un’altezza di 2,5 metri. In mezzo corre una strada pattugliata dalla Guardia Civil spagnola e dalla polizia marocchina. Nell’ottobre del 1996 viene introdotto l’uso del filo spinato e nel 1999 i 2,5 metri di altezza della barriera esterna aumentano fino a 3,10 metri. Il sistema di controllo consiste in videocamere e dispositivi a raggi infrarossi, presieduto dalla presenza fissa di militari nella regione di frontiera. Nel 2006 il governo marocchino aggiunge un fossato di un metro e mezzo di profondità con l’intenzione di scoraggiare e rendere ancora più difficile l’arrivo dei migranti.

La costruzione della barriera di Melilla risale al 1998, è realizzata in acciaio sormontato da filo spinato, e divide fisicamente il Marocco dalla città spagnola di Melilla. Inizialmente si pensava all’innalzamento di una sola recinzione per coprire i 12 Km di frontiera, ma, seguendo il modello di Ceuta, si decise di innalzare altre due recinzioni parallele, di 3 metri di altezza ciascuna, che raggiunsero poi i 6 metri nel 2005, con l’intento di scoraggiare i numerosi tentativi di superamento della barriera susseguitisi in quello stesso anno. Il sistema di controllo è lo stesso adottato per la barriera di Ceuta [7].

Tra il 2005 e il 2013, 47 milioni di euro sono stati investiti dall’amministrazione spagnola nella costruzione della barriera di Melilla e 25 milioni in quella di Ceuta. Il mantenimento delle barriere nelle due enclave spagnole ha un costo annuale orientativo di 10 milioni di euro [8]. Nel 2014 anche il Marocco ha costruito la sua barriera, per poi rinforzarla nell’anno successivo con fili di ferro spinato e lame appuntite. Sono molte le persone rimaste ferite cercando di superare questi confini artificiali e, a causa di questi “rinforzi”, come le lame affilate e appuntite, era ancora più facile procurarsi lesioni anche gravi, che colpivano soprattutto braccia e gambe nell’atto dello scavalcamento. In seguito a questi eventi e alle numerose denunce che ne seguirono, nel 2014 si è provveduto a ritirare quegli elementi che provocavano gravi lesioni, lasciandoli tuttavia in quei tratti di barriera considerati più vulnerabili, e quindi che implicavano un rischio maggiore di accesso.

Si tenga presente che questi “rinforzi” così dannosi sono stati eliminati dalle barriere, non esclusivamente a causa delle gravi lesioni che procuravano ai migranti, e quindi in conseguenza alle proteste e lamentele di ONG e associazioni per la salvaguardia dei diritti umani e per il diritto all’asilo, ma anche in seguito alle rimostranze della stessa Guardia Civil, secondo la quale era suo compito poi occuparsi dei feriti, salire sopra la recinzione per riportare a terra tutti coloro che erano impossibilitati a scendere autonomamente a causa delle ferite, ovviamente aperte, procurate loro per l’appunto dalle lame. In questa situazione di “ripristino dell’ordine” la Guardia Civil entrava in contatto con il sangue della persona ferita e quindi il rischio di contrarre malattie era più alto. In conclusione i suddetti “rinforzi”, costituiti da vere e proprie armi (lame, vetri, spunzoni), sono stati eliminati probabilmente non per un atto di umanità verso i migranti quanto invece per la repulsione di venire a contatto con gli infortunati. Questa la ragione plausibile, che ha portato le autorità locali alla decisione di eliminare le lame dalle barriere, almeno per quanto concerne la parte spagnola.

im-5

Filo spinato aggiunto alla barriera di Ceuta per disincentivare i tentativi di assalto

Poiché i tentativi di superamento delle frontiere non cessavano, vennero installate sulle recinzioni delle reti così fitte da non permettere alle dita di infilarvisi, impedendo di fatto alle persone di potersi arrampicare per poi scavalcare la barriera. Nemmeno questa misura ferma tuttavia i migranti che si ingegnano e attuano strategie per la scalata, utilizzando per esempio arnesi a forma di uncino, una sorta di ganci, da tenere in mano e chiodi o bulloni incastrati sotto la suola delle scarpe così da riuscire nell’arrampicata. Questo è un altro aspetto degno di nota: i migranti si organizzano prima di assalire le barriere; adottano strategie, come quella di dividersi in gruppi, e usano attrezzi che si sono procurati o costruiti da soli, come per esempio una sorta di scale. Forme di resilienza, di agency, di protagonismo che muove da disperazione, determinazione, progettualità.

La componente del gruppo è fondamentale per queste persone che sono costrette a guardarsi le spalle l’un l’altra, anche se molto spesso la possibilità di difendere sé stessi o un proprio compagno è vana e nulla può, a fronte dei modi violenti degli agenti della polizia marocchina, dei militari e della Guardia Civil spagnola, che esercitano un uso eccessivo della forza e delle armi, violenza con cui si distinguono nelle loro azioni di respingimento.

Tutto ciò non basta a fermare i migranti, nonostante gli abusi, convinti fortemente della loro causa e essendo arrivati fin lì, non sono pronti a tornare indietro, a rinunciare al “sogno”: ognuno spinto dalle proprie ragioni che vanno dal cercare un futuro migliore in Europa, al non volersi arrendere rischiando di apparire deboli agli occhi della propria famiglia, o al ricongiungersi ai familiari già stabilitisi oltre la costa. Così Mohamed: «Continuerò a provarci fino a che Dio mi aprirà le porte» [9].

Vi è una differenziazione nella dotazione delle armi che si dovrebbero possedere esclusivamente per motivi di sicurezza e delle quali invece si fa ampio uso per reprimere i tentativi di assalto. Secondo quanto riportano numerose voci, la Guardia Civil è l’unica dotata di bolas de goma (proiettili di gomma), i militari prediligono l’uso del fucile pur disponendo di altre armi, mentre la polizia marocchina preferisce usare bastoni, se possibile appuntiti, per colpire i migranti. È stato registrato l’impiego improprio da parte delle autorità delle armi a disposizione [10].

L’abuso della forza da parte della polizia marocchina, della Guardia Civil e dei militari è inammissibile. Si tratta di lesioni gravi arrecate ai migranti colpiti in parti molto sensibili del corpo, come per esempio la testa, con conseguenti emorragie, e sono molti coloro a cui vengono rotte le ossa degli arti inferiori o superiori.  Etienne Balibar sottolinea che accanto a “violenza” e “potere”, bisogna aggiungere un terzo termine: “crudeltà” (Fassin, 2014). Inserire l’elemento della crudeltà sembra opportuno poiché per svolgere determinate azioni è necessario sangue freddo e un certo distacco emotivo, condizioni che la crudeltà porta con sé, anche se precisamente in questa vi è anche qualcosa di più; è intrinseco nella crudeltà una sorta di piacere nell’arrecare danno e dolore all’altro, che si tratti di dolore fisico (procurato da colpi e percosse) o morale (dal quale nasce l’umiliazione).

Le persone ferite di continuo, coloro che muoiono senza colpe, se non quella di voler vivere in un altro luogo, la vita sprecata di tutti i residenti nei CETI [11], il sovraffollamento di questi ultimi… tutto ciò è dovuto a una cattiva politica e una mancata organizzazione, ai ritardi nelle procedure identificative e riconoscitive, all’impossibilità da parte delle guardie spagnole e marocchine di saper gestire il potere e anche, soprattutto per quanto riguarda il numero eccessivo di persone in attesa nei centri, per il rifiuto da parte marocchina di rispettare l’accordo bilaterale del 1992 [12], di riammettere cioè i migranti irregolari provenienti da Paesi terzi [13].

Con la pressione dell’Unione Europea il Marocco iniziò a collaborare più attivamente con la Guardia Civil spagnola, portando così le due forze dell’ordine a essere più unite tra loro a discapito dei migranti contro i quali vennero utilizzati dei metodi ancora più duri e violenti nel respingerli alla frontiera. Queste due città e le aree circostanti ad esse si tramutano così in zone dove i militari e le polizie spagnole e marocchine possono godere di impunità [14] quando mettono in atto le pratiche per una politica di respingimento e di lotta alla migrazione irregolare.

Durante l’anno 2020 sono stati avviati i lavori per la costruzione di nuove barriere; a Melilla si tratta di una struttura di 10 metri di altezza, dotata di rulli metallici che sostituiscono il filo spinato e si estende per 12 chilometri, a Ceuta la tipologia di barriera è la stessa ma ha un’estensione pari a 8 chilometri. Si pensa che l’eliminazione del filo spinato e delle parti rinforzate con vetri e lame sia stata decisa per evitare che i migranti si infliggano lesioni nel tentativo di superare il muro, ma basta pensare all’altezza della barriera per capire che non è stato fatto per evitare loro il pericolo. Una caduta da 10 metri sarebbe altrettanto grave, se non fatale.

im-7

Migranti sulla barriera di Ceuta che attendono il momento giusto per saltare

Componente siriana: diverse modalità per attraversare la frontiera

Con lo scoppio della guerra in Siria nel 2011 iniziò a cambiare il panorama delle migrazioni dirette verso l’Europa per quanto riguarda la sua composizione. Se prima la prevalenza di persone migranti era di origine subsahariana, nell’estate del 2013 gruppi di profughi siriani cominciarono a dirigersi verso la città autonoma di Melilla. Componevano questi gruppi per lo più famiglie, nuclei familiari ampliati, con minori che avevano compiuto un viaggio molto lungo, estenuante e dispendioso. Il loro itinerario infatti prevedeva l’attraversamento di Egitto, Libia, Algeria e Marocco, un percorso di circa 7mila chilometri. Raggiunta la prima grande tappa del viaggio, ovvero il Marocco, quando si era vicini alla località di Nador, area limitrofa alla città di Melilla, i migranti siriani si attivarono alla ricerca di possibili modi da adottare per oltrepassare la frontiera, che non implicassero il superamento delle barriere. Infatti, a differenza dei migranti subsahariani, i profughi siriani non contemplavano il “salto” come opzione per raggiungere l’enclave, preferivano piuttosto affidarsi ai trafficanti che gli avrebbero procurato passaporti falsi permettendo loro l’accesso alla città attraverso i posti di frontiera ufficiali. La possibilità di scelta, se scelta possiamo definirla, che avevano i migranti siriani era dovuta solamente alle loro condizioni economiche migliori rispetto agli altri profughi.

Dal momento che un passaporto falso costava circa 2.000 dollari [15], da pagare in contanti, appare evidente che per un migrante subsahariano mettere insieme questa cifra era assai difficile, soprattutto perché non va dimenticato che per giungere alle frontiere delle città autonome, tutti avevano alle spalle un viaggio costoso a livello economico e faticoso a livello fisico e psicologico, viste le pessime condizioni in cui si ritrovavano a intraprenderlo, i continui soprusi dei militari nel deserto, i furti, la mancanza di acqua, il sole cocente durante il giorno, il gelo nella notte, le storie scoraggianti di chi non ce l’ha fatta ma anche quelle rincuoranti di chi ora ha un lavoro in Europa. Troppo spesso si pensa che i migranti arrivino alle enclave così, dal nulla, materializzandosi lì improvvisamente, e ci si dimentica del duro tragitto che hanno affrontato, segnati nel corpo e nella mente, per arrivare fin là, ed è proprio per questo che una volta davanti alle frontiere, non contemplano minimamente l’idea di rinunciare, di non superare la barriera.

Ma come ci ricorda Schuster (2005), la vita del richiedente asilo è caratterizzata da mobilità non solo in termini di spazio «si trovano ad affrontare frequenti spostamenti tra differenti status-categorie e tra differenti stati e località», devono fare richiesta e sottostare a visite mediche, colloqui, interrogatori per provare a conseguire lo status di rifugiato, che può essergli conferito secondo l’ingiusto principio dell’arbitrarietà. Infatti, per il conferimento del suddetto status, ci si basa sulla veridicità della richiesta accompagnata dal racconto dell’esperienza personale, narrazione che diventa materia fondante della credibilità del loro passato.

La valutazione avviene in modo arbitrario e soggettivo da parte dell’autorità e si trascura l’aspetto peculiare delle differenze e delle particolarità, riconducendo invece tutti i richiedenti asilo sotto un’unica condizione, senza tener conto che ogni singolo caso è eccezionale e possiede le proprie determinate specificità. Ci si limita a un riferimento a canoni comuni, che rappresentano la figura astratta e generica del richiedente asilo, e sulla base di essi si valutano, si accettano o rifiutano le domande di protezione internazionale; il giudizio risulta quindi soggettivo e dipende dai «differenti attori sociali che possono conferire realtà a questa categoria, ponendo o meno fiducia nella veridicità del racconto del richiedente asilo» (Giudici, 2014, in Riccio), la persona rifugiata è quindi una «figura che diversi attori-soggetti compongono e rendono reale attraverso il processo dialogico del riconoscimento» (Cabot, 2011: 114).

Una volta entrati nell’enclave, i profughi siriani trovavano accoglienza all’interno del CETI dove, come sappiamo, le condizioni erano di sovraffollamento e inadatte all’accoglienza di nuclei familiari con minori, le tempistiche per l’analisi e un possibile riconoscimento dello status di richiedente asilo erano interminabili, e si potevano protrarre a un tempo d’attesa anche superiore a un anno. Visto il massiccio arrivo di migranti siriani richiedenti asilo, il governo spagnolo nel 2014 istituì rispettivamente a Ceuta e a Melilla due Oficinas de Asilo [16] (Uffici di asilo) presso le quali era possibile presentare una domanda ufficiale d’asilo. Anche in questo caso però si riscontra una certa ambiguità, poiché l’accesso a queste oficinas de asilo era riservato esclusivamente agli abitanti siriani, escludendo senza spiegazioni quelli subsahariani ai quali veniva impedito l’accesso, sulla base della presunzione che fossero esclusivamente migranti economici, a differenza dei siriani ai quali era riconosciuta la necessità di chiedere asilo politico.

Se le modalità di entrata non dovrebbero essere discriminatorie, siamo di fronte a una «selettività sempre più accentuata nei meccanismi di accesso a questo diritto e da un sospetto a priori sempre più profondo nei confronti di chi ne rivendica l’appartenenza» (Marrus, 1985, Daniel, Knudsen, 1995), così che solamente a chi avesse raggiunto la città attraverso i posti ufficialmente riconosciuti era permesso l’accesso a queste oficinas e offerta la possibilità di presentare la richiesta d’asilo. Questa situazione di ingiustizia la troviamo riportata nelle denunce delle ONG, come l’organizzazione ACNUR [17] o APDHA [18], che evidenziano i diversi trattamenti adottati in base all’etnia. Questo diverso trattamento per i siriani, molto presto, già nel settembre del 2015, si mostrò ugualmente ingiusto e ambiguo; il passaggio alla città di Melilla infatti veniva sporadicamente bloccato dalle autorità marocchine con il pretesto di mantenere l’ordine all’interno dell’enclave, così limitando gli ingressi. La chiusura avveniva sempre più frequentemente, non consentendo alle persone di oltrepassare la frontiera e costringendole così a insediarsi nelle zone limitrofe a questa, in una situazione di attesa infinita. La Comisión de Ayuda al Refugiado (CEAR), per cercare di migliorare questa situazione di stallo e permettere ai possibili rifugiati di accedere alla città autonoma, chiese al governo spagnolo la concessione di visti umanitari, che però non furono concessi [19].

im-11

Assalto di gruppo alla barriera di Ceuta

Verso la fine del 2015 e durante il 2016, l’approdo dei profughi siriani all’enclave è andato via via diminuendo, a causa della chiusura arbitraria del passo di Beni Ensar e la conseguente impossibilità di presentare la domanda d’asilo a la oficina, essendo essa stanziata presso la frontiera, unitamente a una condotta sempre più aspra della polizia marocchina nei confronti dei migranti, ma anche a causa del business, che si era andato costituendo, di passaporti illegali cui i siriani erano costretti a partecipare nel ruolo di protagonisti per superare la frontiera. Un’altra causa possiamo identificarla nell’imposizione dal 1° gennaio 2015 di un visto di ingresso, necessario per accedere in Algeria, un’area di transito obbligata per i siriani che volevano raggiungere il Marocco. L’introduzione del visto ha deviato le rotte dei migranti siriani più a sud, verso la Mauritania e il Mali, o a nord verso le regioni balcaniche.

Siamo di fronte a «profondi cambiamenti nel modo di pensare e gestire rifugiati e richiedenti asilo, nei Paesi occidentali contemporanei» (Giudici, 2014, in Riccio) che sempre meno rispettano la persona nella sua integrità, conferendo maggior importanza allo studio del corpo, considerato come unico testimone della violenza subìta, sul quale è possibile osservare segni e ferite delle persecuzioni che assicurerebbero al richiedente asilo lo status di rifugiato. Riferendosi per lo più al corpo come «luogo della ricerca della verità» (Fassin, 2014), il racconto dei richiedenti viene svalutato e considerato solo secondario rispetto alle prove scritte sulla pelle, prove che «i torturatori di tutto il mondo hanno imparato come ridurre al minimo» (Rejali, 2007). Siccome non tutti i corpi dei richiedenti esibiscono tracce visibili di torture, si cerca di dare importanza alle “ferite dell’anima” (Fassin, 2014) molto più difficili però da produrre come testimonianza.

Bisogna inoltre considerare il fatto che poiché non tutti i richiedenti hanno accesso alla rete di medici e psicologi che potrebbero identificare i loro segni sia fisici che mentali, la violenza morale tende a essere ignorata, lasciando spazio solamente a quella fisica, presa in considerazione da commissioni disciplinari e da giudici; «lo stato entra dunque nella quotidianità dei soggetti non solo attraverso le leggi, la burocrazia, i sistemi di classificazione, ma anche attraverso una vasta gamma di atteggiamenti normativi, pratiche sociali, comportamenti disciplinari» (Tarabusi, 2014, in Riccio) e prove fisiche che il richiedente è tenuto a mostrare e superare per vedere assicurato il proprio status che ultimamente appare essere considerato «una sorta di merce rara» (Giudici, 2014: 174, in Riccio).

im-10

Rotta siriana verso Melilla e rotta subsahariana verso Melilla e Ceuta

Cambio di rotta

La crisi sanitaria dovuta alla diffusione dell’epidemia di Covid-19 ha prodotto nei flussi migratori effetti e modifiche non trascurabili dovuti alle misure di restrizione adottate dai singoli Stati nei confronti di spostamenti e chiusura delle frontiere. Nel caso delle due enclave spagnole riscontriamo cambiamenti significativi nelle rotte della migrazione africana dovuti a più ragioni, tra cui l’aumento del controllo alle frontiere, la paura di rimanere bloccati, il proseguire delle pratiche delle Expulciones en caliente [20] e l’aumento dei costi per attraversare il Mare di Alborán e lo Stretto di Gibilterra. Un insieme di fattori che hanno portato a un’inversione di rotta, cercando sempre l’accesso all’Europa attraverso il territorio spagnolo ma stavolta via mare, anzi attraversando l’Oceano Atlantico fino a raggiungere le Isole Canarie. Secondo il rapporto [21]Vulneraciones de derechos en la frontera sur: Gran Canaria y Melilla” le persone arrivate via terra alle due città autonome spagnole nel corso del 2020 (1.755 arrivi) sono diminuite di oltre il 70% rispetto ai 6.346 arrivi registrati nell’anno 2019. È cambiato anche il numero di accessi via mare alle due enclave, registrando una significativa diminuzione del 95% negli arrivi a Melilla (898 persone nel 2019 e 43 nel 2020) e di circa un 35% a Ceuta (655 arrivi nel 2019 contro 430 arrivi nel 2020) [22].

L’attenzione dei migranti si è concentrata dunque su di una rotta meno controllata, più aperta e meno costosa, anche se la durata e la pericolosità della traversata non sono indifferenti e potrebbero sopraggiungere complicazioni come l’insufficienza di acqua potabile e di cibo o un malfunzionamento dei motori. I giorni che i migranti passeranno a bordo delle precarie imbarcazioni variano a seconda del punto di partenza, generalmente previsto dalle coste del Sahara occidentale, della Mauritania, del Senegal e del Gambia. A intraprendere questo pericoloso itinerario che prevede giorni interi di navigazione sono migranti di nazionalità marocchina, malese, guineana, ivoriana e senegalese [23]. La pandemia mondiale ha ribaltato le sorti di tutti noi, ha prodotto un numero infinito di morti per il virus ma molto spesso è stata anche causa di morte indiretta per persone migranti che sono state costrette ad adattarsi e trovare nuove strategie per l’accesso all’Europa seppure esse comportano il rischio di dover affrontare un viaggio più lungo e più pericoloso.

melillamarocco

Recinzione di confine a Melilla (@Touring Club Italiano)

Blocco persone marocchine a Ceuta

Se fino a qualche anno fa il l’intenzione dei migranti era quello di superare la barriera dal Marocco per raggiungere finalmente l’Europa, adesso le enclave sono attraversate da una tendenza inversa: sono i marocchini a voler tornare nel proprio territorio d’origine. A causa della pandemia di Covid-19 i governi di Madrid e Rabat hanno deciso di sigillare il varco frontaliero di Tarajal II e così facendo un numero considerevole di marocchini che attraversano giornalmente, settimanalmente o mensilmente la frontiera per motivi lavorativi è rimasto bloccato fisicamente nella città di Ceuta senza possibilità di uscita. È il caso per esempio di molte mujeres porteadores, donne che trasportano quotidianamente carichi di merce varia sulle spalle attraverso la frontiera per limitare i costi di trasporto e guadagnare un minimo di denaro.

La chiusura improvvisa della frontiera ha intrappolato nella città spagnola migliaia di nordafricani che di fatto si ritrovano senza una dimora né un lavoro, lontani dai loro familiari e privi di notizie, proprio in una situazione di insicurezza sanitaria come quella che stiamo vivendo. Inoltre, molte delle persone marocchine bloccate nella città spagnola sono donne costrette a recarsi nell’enclave per lavorare a servizio di famiglie come badanti o domestiche, spesso e volentieri in nero, alle quali veniva di frequente offerto alloggio nella casa stessa in cui lavoravano e che quindi con lo scoppio della pandemia si ritrovano senza lavoro né un tetto per ripararsi, in una situazione di estrema insicurezza e precarietà.

Mule Ladies Melilla

Tunisini bloccati a Melilla

Blocco dei tunisini a Melilla

L’instabilità politica a Tunisi, la disoccupazione giovanile e il blocco delle frontiere da parte dell’Unione Europea hanno costretto anche la popolazione tunisina a fare ricorso a rotte illegali per entrare nel nostro Paese. Sono soprattutto le isole italiane di Lampedusa e la Sicilia le mete prescelte dai migranti tunisini e, a seguito della pandemia mondiale del Covid-19, sono aumentati gli arrivi attraverso il Mediterraneo verso l’Europa. Tuttavia negli ultimi anni si è registrato un cambio di rotta: l’aumento dei controlli via mare da parte dell’UE e il sempre maggiore numero di tunisini deportati dall’Italia al loro territorio d’origine ha spinto i migranti nordafricani a dirigersi verso un’altra via d’accesso all’UE ovvero le città spagnole di Ceuta e Melilla. Sebbene arrivare alle due enclave spagnole implichi un percorso più lungo e il passaggio attraverso l’Algeria e il Marocco, sono molte le persone tunisine che hanno preferito cambiare rotta e accedere all’Europa attraverso la Spagna piuttosto che l’Italia. Il Covid-19 ha aggravato di molto la condizione di tutti i migranti che sono riusciti a superare la frontiera e a trovarsi nelle città autonome dove però adesso sono bloccati, senza possibilità di movimento vivendo in condizioni di vita precarie e non affatto adeguate all’emergenza epidemica.

A Melilla infatti circa 760 [24] persone di nazionalità tunisina sono rimaste isolate da più di un anno nella città autonoma, tutte stipate nel CETI in condizioni poco dignitose, soprattutto alla luce dell’attuale emergenza sanitaria, e senza nessuna informazione sulla loro situazione futura. Ad essere sequestrati nel CETI sono anche bambini e adolescenti per i quali non è previsto un supporto scolastico e che di fatto vengono privati momentaneamente del diritto all’istruzione. Ancora non è stato firmato nessun accordo di rimpatrio tra la Spagna, l’Unione Europea e Tunisi, perciò i migranti tunisini rimangono in una situazione di instabilità e insicurezza, aggravata dalla crisi sanitaria e dall’inadempimento delle norme di distanziamento e igiene, richieste per evitare la diffusione e il contagio del virus.

2012a_003

A Melilla lo street artist italiano Blu ha dipinto una gigantesca bandiera europea: al posto delle dodici stelle, il filo spinato.

Conclusioni

La riflessione ancora approssimativa e frammentaria sui concetti di “sofferenza” e “giustizia” in un mondo che non riesce ad affrontare con civiltà le sfide della convivenza tra le differenze culturali ed etniche merita approfondimenti e sviluppi anche sulla scorta degli studi di antropologia. Unica tra le scienze umane che possiede una «predisposizione metodologica piuttosto diffusa: quella di prendere sul serio le persone, in particolare i migranti» (Brettel, 2008), e «i loro modi di intraprendere e agire nel mutevole contesto in cui vivono» (Riccio, 2014). Ascoltare e attribuire credibilità alle storie di vita dei migranti significa conferire importanza alla loro persona e riconoscerla come tale. Così facendo, l’antropologia può riportare e spiegare i fatti nella loro integrità, senza tralasciarne alcun aspetto, perché essa è dotata di quella «sensibilità olistica» (Riccio, 2014) insita nella sua natura e consustanziale al suo statuto di fondazione.

La diffusione del Covid-19 e la conseguente condivisione di questa stessa malattia con l’umanità intera avrebbero dovuto produrre sensibilità e responsabilità nelle singole coscienze, e la stessa generosa immagine dell’Europa che ha alimentato e continua ad alimentare i pensieri e le scelte dei migranti è ancora asserragliata e irretita nella logica miope dei respingimenti a difesa dei confini di ferro.  

Probabilmente è vero che non possiamo fare molto per tutte le persone vittime di questo destino, una cosa però possiamo farla: ascoltare le loro voci, rispettarle e diffonderle. Così facendo riconosciamo il valore di ogni singola persona coinvolta nell’esperienza di migrazione, possiamo chiamarla per nome; il che equivale a un riconoscimento basato sul mutuo rispetto e sulla solidarietà. E per quanto riguarda tutti quei migranti scomparsi prima ancora di arrivare, non possiamo far altro che ricordarli e non lasciare che vengano dimenticati nelle profondità dell’oceano o tra i fili spinati che separano la geografia dei mondi quando in realtà la Terra è una sola e ogni singolo individuo ha il diritto di abitarci e viverci secondo le sue aspirazioni, i suoi desideri e le sue volontà.

Dialoghi Mediterranei, n. 49, maggio 2021
Note
[1] “Ceuta e Melilla: alla frontiera delle ingiustizie”, anno accademico 2017-18, relatore professor Alessandro Simonicca, Facoltà di Lettere e Filosofia, Sapienza Università di Roma.
[2]  A difendere i migranti con l’intento di sostenerli e aiutarli a uscire dallo stato di mera precarietà e ingiustizia in cui si trovano sono alcune ONG e altre associazioni come: Asociación Pro Derechos Humanos de Andalucía (APDHA), Comisión Española de Ayuda al Refugiado (CEAR), l’associazione Pro derechos de la infancia (PRODEIN), la rete SOS razzismo, attive nel produrre e presentare informes (rapporti) mostrando indignazione e cercando spiegazioni rispetto la situazione dei migranti.
[3] “Migration Trends across the Mediterranean: connecting the dots”, relazione elaborata da Altai Consulting per la IOM’s Regional Office for the Middle East and North Africa (MENA), illustra le dinamiche dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo, giugno 2015:
https://publications.iom.int/system/files/altai_migration_trends_accross_the_mediterranean.pdf
[4] FRONTEX: European Border and Coast Guard Agency. L’Agenzia Europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne agli Stati membri dell’Unione Europea, fondata nell’ottobre del 2004 e attiva dal maggio del 2005, con sede a Varsavia. http://frontex.europa.eu.
[5] Norma che regola l’entrata e la permanenza degli stranieri extracomunitari nel territorio spagnolo, regola inoltre i diritti e le libertà che sono riconosciuti a questi ultimi. Tutti gli articoli delle leggi si possono trovare sulla pagina web del Boletin Oficial del Estado: https://www.boe.es/buscar/doc.php?id=BOE-A-1985-12767
[6] Lo spazio Schengen comprende tutti quegli Stati dell’Unione Europea che hanno accordato la creazione di uno spazio comune i cui obiettivi finali sono l’eliminazione di frontiere tra questi Paesi, la sicurezza e la libera circolazione di persone, costituendo di fatto solamente una frontiera esterna unica. Progetto venuto alla luce nel 1985 e con l’adesione progressiva di più Stati, attualmente sono 26 gli Stati firmatari del patto Schengen quali: Austria, Belgio, Cechia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Ungheria, Svizzera. Per maggior informazioni cfr. la brochure: https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/default/files/e-library/docs/schengen_brochure/schengen_brochure_dr3111126_it.pdf e il sito ufficiale dell’Unione Europea: https://europa.eu/european-union/about-eu/countries_it  
[7] E quindi videocamere e dispositivi a vigilanza infrarossa, e anche in queste circostanze, a sorvegliare la frontiera troviamo tanto la polizia marocchina quanto la Guardia Civil spagnola.
[8] Cifre prese dall’ investigazione Migrant Files,2015: https://www.infodata.ilsole24ore.com/2015/04/23/the-migrant-files/
[9] Mohamed, subsahariano, che vive da 3 anni sul Monte Guorougou; intervista tratta dal reportage “Hasta que se abran las puertas” pubblicato il 19 maggio 2015 da Cordoba international TV.
[10] Di seguito riporto alcuni frammenti di diverse testimonianze di migranti subsahariani che hanno assistito agli spari o sono stati colpiti in prima persona dai colpi dei proiettili di gomma sparati dalle autorità:
X è testimone degli spari lanciati contro due migranti senegalesi e maliani, rimasti feriti cadendo dalla recinzione: X: «Stavano sopra la recinzione, gli hanno sparato con un proiettile e sono caduti».
Y è testimone di un altro sparo a un suo compagno: «La pallottola l’ha colpito sulla mandibola» e resta ferito lui stesso, Y: «Ho due colpi di proiettile, uno nel costato e l’altro sulla spalla e mi hanno anche colpito con il fucile, i militari mi hanno colpito con il fucile e i marocchini con il bastone».
Sono interviste effettuate all’Associazione PRODEIN nel breve documentario “Associazione Prodein – Gli immigrati sub-sahariani in Marocco e Spagna”, diretto da Josè Palazon Osma. Non conoscendo i nomi dei soggetti intervistati li ho distinti mediante le lettere X, Y, essendo le risposte degli intervistati in lingua francese e sottotitolate in spagnolo, propongo una personale traduzione.
[11] Centros de Extancia Temporal para Inmigrantes (CETI), strutture che nascono con il progetto di accogliere i migranti, studiare la loro situazione, offrire un aiuto giuridico e linguistico e soprattutto trovare una soluzione che limiti il tempo di permanenza dei migranti nel suddetto centro. Sono diverse le cause per cui non si raggiunge questo risultato e i CETI si convertono in luoghi dove troppa popolazione migrante vive sospesa, in perenne attesa di notizie sulla sua condizione e con la speranza di non essere respinta nel proprio paese d’origine.
[12] Accordo di riammissione bilaterale firmato tra la Spagna e il Marocco il 13 febbraio 1992.Per maggiori informazioni consultare Les notes di Migreurop, “Accords de réadmissions. La «coopération» au service de l’expulsion des migrants”, dicembre 2012. http://www.migreurop.org/IMG/pdf/Note_de_MIGREUROP_12122012_Accords_de_readmission_pour_mise_en_ligne.pdf
[13] A: «Sì, la polizia marocchina rifiuta di ammetterci… gli danno soldi affinché ci prendano»B: «Le autorità marocchine rifiutavano di prendermi perché ero molto ferito quindi le guardie gli hanno dato dei soldi e così le autorità marocchine mi ammisero»: Filmato “Associazione Prodein – Gli immigrati sub-sahariani in Marocco e Spagna”, diretto da José Palazon pubblicato su arcoiris.tv.  I frammenti di dialogo sono in lingua originale francese e sottotitolati in spagnolo; quella che propongo è una personale traduzione italiana dei sottotitoli in lingua spagnola, identifico i migranti con le lettere A e B essendomi sconosciuti i loro nomi.
[14] Un altro spaventoso esempio dell’impiego eccessivo della forza e dell’uso improprio delle armi è fortino dai fatti del 6 febbraio 2014, quando oltre 200 persone migranti cercarono di accedere a Ceuta tramite mare arrivando alla spiaggia di Tarajal, dove la Guardia Civil non si fece problemi ad utilizzare attrezzature antisommossa, tra cui fumogeni e proiettili di gomma. L’episodio si concluse con la morte e la scomparsa di molti migranti e l’impunità degli agenti delle forze dell’ordine implicate nel caso.
[15]Cfr. Creta Sara “Melilla. Bloccati alle porte d’Europa”, Osservatorio Iraq, 12 novembre 2013: http://osservatorioiraq.it/focusmigrando/melilla-bloccati-alle-porte-deuropa.
[16] Lara R., “Derechos Humanos en la frontera sur 2016”, Sevilla, APDHA, 2016: 23.
[17] Tania Costa “La oficina de asilo recibe desde enero 4.300 solicitudes de sirios”, El Faro Digital, 11 settembre 2015: https://elfarodemelilla.es/2015/09/11/la-oficina-de-asilo-recibe-desde-enero-4-300-solicitudes-de-sirios/
[18]  Lara R., “Derechos Humanos en la frontera sur 2016”, Sevilla, APDHA, 2016: 27.
[19] Gabriela Sánchez “La policía de la frontera Marruecos – España impide el paso a cientos de refugiados sirios”, Eldiario.es, 12 settembre 2015: http://www.eldiario.es/desalambre/frontera-Marruecos-Espana-Europa-refugiados_0_430107018.html
[20] Con l’espressione expulsiones en caliente (rimpatri immediati) si intende l’operato delle forze e dei corpi di sicurezza dello stato consistente nel consegnare di fatto alle autorità marocchine i cittadini stranieri che sono stati intercettati nei territori sottoposti alla sovranità spagnola senza procedere per le vie legali normalmente previste. Le espulsioni da parte della Guardia civil e le conseguenti deportazioni dei migranti fino al deserto, ad opera delle forze di sicurezza marocchine, si verificano in assoluta violazione del diritto internazionale; queste espulsioni infatti si verificavano in diretto contrasto con la normativa interna (in particolare con la Ley de Extranjería, L.O. 4/2000 che stabilisce il trasferimento dei cittadini stranieri al corpo nazionale di polizia, garantendo una loro identificazione e la messa a disposizione di assistenza legale e se necessario linguistica.
[21] https://iridia.cat/wp-content/uploads/2021/01/INFORME-DDHH-FRONTERA-SUR-2021.pdf
[22] Balance de la Inmigración Ilegal del Ministerio del Interior http://www.interior.gob.es/prensa/balances-e-informes/2020
[23] The Operational Data Portal (ODP) di ACNUR https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean/location/522
[24] https://iridia.cat/wp-content/uploads/2021/01/INFORME-DDHH-FRONTERA-SUR-2021.pdf
Riferimenti bibliografici
Balibar, É., 2005, “Violenza: identità e crudeltà”, in Francoise Heritier, Sulla violenza, Meltemi, Roma: 47-71.
Brettell C., 2008, “Theorizing migration in anthropology: The social construction of networks, identities, communities and globalscapes” in Brettell C.B., Hollifield J.F., (a cura di), Migration Theory, New York, Routledge.
Cabot, H., 2011, “Rendere un ‘rifugiato’ riconoscibile: performance, narrazione e intestualizzazione in una Ong ateniese”, Lares, LXXVII, 1: 13.134.
Daniel, E. V., Knudsen, J. C., (a cura di), 1995, Mistrusting Refugees, Berkeley, University of California Press.
Fassin, D., 2011, “Policing Borders, Producing Boundaires. The Governmentality oh Immigration in Darl Times” Annual Review on Anthropology, vol. 40: 213-226.
-, 2014, Ripoliticizzare il mondo. Studi antropologici sulla vita, il corpo, la morale, Verona, Ombre corte. [trad. it. di  Pilotto C.].
Giudici, D., 2014, “Politiche di asilo”, in Riccio B. (a cura di), Antropologia e migrazioni, Roma, CISU: 171-178.
Marrus, M., 1985, The Unwanted: European Refugees in the Twentieth Century, Oxford, Oxford University Press.
Rahola F., 2003, Zone definitivamente temporanee. I luoghi dell’umanità in eccesso, Verona, Ombre Corte.
Rejali, D., 2007, Torture and Democracy, Princeton University Press, Princeton.
Riccio B. (a cura), 2014, Antropologia e migrazioni, Roma CISU
Schuster, L., 2005, “The continuing Mobility of Migrants in Italy: Schifting Between Places and  Statuses”, Jornal of Ethnic and Migrations Studies: 757-774.
Schmitz, J., 2008, “Migrants ouest-africains: misereux, aventuriers, ou notables?”, Politique Africaine, 109
Tarabusi, F., 2014, “Politiche del multiculturalismo” in Riccio B. (a cura di), Antropologia e migrazioni, Roma, CISU: 129-142.

______________________________________________________________

Giulia Rieti, laureata in Storia, Antropologa, Religioni alla Sapienza Università di Roma (Facoltà di Lettere e Filosofia), titolo della tesi triennale: “Ceuta e Melilla: alla frontiera delle ingiustizie” (relatore: Prof. Alessandro Simonicca), sta conseguendo il titolo magistrale in Discipline Ento-antropologiche alla Sapienza Università di Roma, con una tesi che ha previsto un lavoro di campo presso Rio Marina (Isola d’Elba). Ha partecipato al “Laboratorio Etnografico di Magliana” nel centro culturale “InsensoInverso” con un progetto sull’immigrazione, la diversità culturale e sociale e l’educazione offerta agli extra-comunitari. Ha partecipato alla redazione del report “Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018” sulla valutazione d’impatto sul territorio.

______________________________________________________________

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Migrazioni, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>